Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21793 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15214/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 158/2020 depositata il 16.01.2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME evocavano NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Santa NOME Capua Vetere per sentire dichiarare il suo inadempimento in relazione all’obbligo da questi assunto nei loro confronti con scrittura stipulata in data 03.10.2003 – contestualmente all’acquisto da parte degli attori di un immobile a proprio uso abitativo comprendente un terrazzo -per l’ eliminazione, entro un anno, delle infiltrazioni di acqua provenienti dal terrazzo.
A sostegno delle loro ragioni, deducevano gli attori che lo COGNOME provvedeva ad effettuare i lavori di impermeabilizzazione e copertura del terrazzo; tuttavia, a causa della cattiva esecuzione delle opere di riparazione, gli attori avevano incaricato altra società (RAGIONE_SOCIALE): chiedevano, pertanto, anche il risarcime nto dei danni quantificati in € . 15.600,00, come da fattura emessa in data 15.12.2006, pari all’esborso sostenuto per i lavori eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE
1.1. Il Tribunale adìto rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dallo COGNOME ex art. 1667 cod. civ., posto che dal 15.09.2006 – data in cui veniva denunciata allo COGNOME la cattiva esecuzione delle opere pattuite – alla data di notificazione dell’atto di citazione (09.05.2009) era decorso il termine prescrizionale di due anni dalla consegna dell’opera.
La pronuncia veniva impugnata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi alla Corte
d’Appello di Napoli che, in accoglimento del gravame, condannava il convenuto/appellato al pagamento della somma di € . 15.600,00, oltre alle spese di lite. A sostegno della sua decisione, osservava la Corte che:
dal contenuto della scrittura privata sottoscritta dallo COGNOME in data 03.10.2003 emerge il suo impegno unilaterale ad eseguire a proprie spese i lavori di riparazione in questione, assumendosi anche la responsabilità non solo della loro eventuale cattiva esecuzione ma anche dell’eventuale ritardo;
muovendo dal presupposto dell’esistenza in atto delle infiltrazioni provenienti dal terrazzo dell’immobile acquistato dagli attori nella stessa data, e facendosi lo COGNOME garante della loro eliminazione, se ne deduce che questi abbia assunto un obbligo unilaterale sostanzialmente di risultato, equiparabile alla situazione in cui l’appaltatore abbia riconosciuto l’esistenza dei vizi impegnandosi ad eliminarli; ipotesi, questa, in cui è pacifico secondo la giurisprudenza di legittimità che la nuova obbligazione non sia soggetta ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti dall’art. 1667 cod. civ. ma all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per il caso di inadempimento contrattuale (Cass. n. 25541 del 2015);
-diversamente da quanto affermato dal Tribunale, l’obbligo assunto dallo COGNOME non deriva da alcun contratto di appalto, al quale perciò non si ritiene applicabile la disciplina di cui all’art. 1667 cod. civ.
Avverso detta pronuncia NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi.
Si difendevano depositando controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e quali eredi di NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – Nullità della sentenza, vizio ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Il ricorrente sostiene che nella domanda introduttiva del giudizio di prime cure gli istanti avevano chiesto il risarcimento dei danni subìti per la cattiva esecuzione dei lavori da parte del convenuto il quale, costituendosi, a sua volta eccepiva la prescrizione della pretesa attorea ex art. 1667 cod. civ. Il giudice d’appello, invece, ha introdotto nella causa petendi un elemento autonomo in violazione del principio dispositivo, ossia l’obbligazione di risultato, introducendo nuovi profili di fatto oltre i limiti del tema decisionale prospettato dalle parti: viene, cioè, ipotizzato in motivazione che l’odierno ricorrente sia intervenuto per eliminare vizi preesistenti attribuibili alla sua responsabilità, ove invece è fatto non contestato che tali nuovi lavori venivano eseguiti con un patto ex novo .
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., degli artt. 1362, 1363 in relazione all’art. 1665 cod. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente sostiene che, introducendo nella ricostruzione dei fatti di causa un argomento in via autonoma, e cioè che l’appaltatore COGNOME avrebbe riconosciuto l’esistenza dei vizi dell’opera impegnandosi ad eliminarli, la Corte d’Appello avrebbe violato i criteri interpretativi enunciati dalla Corte di legittimità (Cass. n. 14432 del 2016), nonché l’art. 115 cod. proc. civ., poiché il giudice di seconde cure non ha posto a base della sua decisione prove dedotte dalle parti, ma ha fatto ricorso ad un ragionamento deduttivo fondato su presupposti di fatto nuovi e comunque non dimostrati.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 cod. civ., dell’art. 113 cod. proc. civ. Error in iudicando .
Dall’errata introduzione di un argomento di causa su iniziativa d’ufficio, il giudice di secondo grado è approdato ad un’ulteriore errata conclusione, ossia l’applicazione del termine prescrizionale di dieci anni, anziché ricondurre la fattispecie al disposto di cui all’art. 1667 cod. civ., come giustamente individuato dal Tribunale, recante termine di prescrizione di due anni dal giorno di consegna dell’opera.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti aggrediscono la sentenza -se pure sotto diversi profili -in un unico punto, ossia l’aver considerato come nuova obbligazione quella assunta dallo COGNOME nella scrittura privata del 03.10.2003 e, per l’effetto, l’aver applicato il termine decennale di prescrizione dell’azione.
Tutti sono inammissibili, in quanto -pur facendo riferimento anche alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. essi attengono all’ attività di interpretazione delle dichiarazioni negoziali, tipicamente demandata al prudente apprezzamento del giudice del merito.
4.1. Innanzitutto, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di ermeneutica contrattuale l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ.; o di motivazione omessa o manifestamente illogica, ossia non idonea a consentire la
ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione, ovvero un’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti ai sensi dei nn. 4) e 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. , nella formulazione attualmente vigente (per tutte: Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.): ipotesi – queste ultime – qui neanche dedotte dal ricorrente. Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale r iferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass., Sez. L, n. 17168 del 09/10/2012; Sez. 2, n. 13242 del 31/05/2010; Sez. 3, n. 24539 del 20/11/2009); con la conseguenza dell’inammissibilità de l motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche risolvendosi, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass., Sez. 1, n. 22536 del 26/10/2007).
Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni; perciò, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dol ersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3, n. 24539 del 20/11/2009; Cass. Sez. 1, n. 4178 del 22/02/2007; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10745 del 04/04/2022, Rv. 664334 -02; v. anche: Cass Sez. 2, Ordinanza n. 40972 del 2021, che
conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15603 del 04/06/2021 – Rv. 661741 01; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9996 del 10/04/2019 – Rv. 653577 01).
4.2.1. Nella specie, avuto riguardo alle censure in esame, va ritenuto che i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione delle norme che regolano l’interpretazione delle dichiarazioni negoziali, adottando una motivazione che risulta esente da vizi logici.
Superando il dato letterale della scrittura privata in questione (formulata in senso dubitativo, posto che la scrittura privata fa un riferimento alla possibilità dell’evento «in relazione alle possibili infiltrazioni di acqua dal lastrico… » ), nonché l’assenza in essa di specificazioni in merito ai rapporti sottostanti (formulata in modo da non rendere noti i rapporti sottostanti tra lo COGNOME e gli appellati), il giudice di seconde cure esclude la sussistenza di un contratto di appalto, e deduce la volontà delle parti nel senso dell’assunzione di una garanzia «di risultato», o «riconoscimento operoso» dall’unilateralità dell’obbligo e dalla sua ampiezza, posto che lo COGNOME, con detta scrittura privata, si impegnava non solo a eseguire lavori di riparazione a proprie spese, ma si assumeva altresì la responsabilità di eventuali danni arrecati a terzi e di possibili ritardi nell’esecuzione (sentenza n. 6583 del 14.03.2017).
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito, risultando generiche, limitate all’elencazione di norme ermeneutiche violate e, anche sotto tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una interpretazione alternativa della dichiarazione negoziale.
4.3. Non ha pregio neanche l’asserito vizio di ultrapetizione, non essendo corretto qualificare il presupposto della preesistenza dei vizi rispetto all’obbligo di riparazione degli stessi assunto dal ricorrente, ai fini della prescrizione decennale, come nuovo profilo di fatto idoneo ad ampliare la causa petendi , trattandosi di una deduzione logicopresuntiva dedotta dal giudice di seconde cure quale fatto ignorato derivato da un fatto noto, ossia l’assunzione dell’obbligo di eliminazione dei vizi e il suo inesatto adempimento.
Come ripetutamente affermato, la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (tra le tante, di recente: Cass. n. 26991 del 05/10/2021; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017, Rv. 645168; Sez. 6 -3).
5. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € . 2.200,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione