Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18847 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18847 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11700/2022 proposto da
COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi d all’avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrenti- contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti; -controricorrente- avverso la sentenza della Corte d’Ap pello di Venezia, n. 320/2022, pubblicata in data 16.02.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato in data 11.8.2013, i fratelli COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Verona il Banco Popolare Società Cooperativa (poi Banco B.P.M. s.p.a.) lamentando l’inadempimento da parte dell’istituto di credito agli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore in occasione degli investimenti dagli stessi effettuati in titoli obbligazionari emessi dalla Repubblica Argentina e chiedendo, quindi, l’accertamento del colpevole inadempimento della banca e il conseguente risarcimento del danno patrimoniale patito a seguito del ‘default’ dello Stato emittente, in tesi avvenuto in data 23 dicembre 2001, quantificato nel capitale investito, detratte le cedole percepite e il valore residuo dei titoli, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, nonché il risarcimento del danno da lucro cessante.
Al riguardo, gli attori allegavano, a fondamento delle domande: i) di aver concluso tra il febbraio e il marzo del 1997 tre distinti contratti di intermediazione finanziaria presso la filiale di Trieste dell’allora Credito Bergamasco; ii) che nell’ambito di tali rapporti avevano investito parte di un’ingente somma di denaro in titoli BTP e CCT, per un valore complessivo di circa € 1.000.000; iii) che, nel 1997, su sollecitazione di un funzionario della banca, avevano liquidato gli investimenti in titoli di Stato italiani per acquistare le obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina analiticamente indicate in atto di citazione, per un complessivo valore pari a circa € 1.180.000,00; iv) che a distanza di alcuni anni dal default dichiarato dallo Stato argentino, nell’ambito di una complessa trattativa la banca si era resa disponibile a versare a titolo conciliativo la somma onnicomprensiva di € 200.000,00, rifiutata dagli attori in quanto ritenuta inadeguata; vi) che sulla base di tali presupposti avevano contestato alla banca la violazione delle regole di
condotta previste dalla normativa generale e di settore, chiedendo al Tribunale l’accertamento dell’inadempimento dell’istituto di credito nell’ambito del rapporto contrattuale di intermediazione finanzi aria, e la conseguente condanna al risarcimento dei danni sofferti, e segnatamente: a) il danno emergente, consistente nella somma complessivamente investita di € 1.180.379,00, corrisposta al momento dell’acquisto dei titoli della Repubblica Argentina, detratte le cedole percepite e il valore dei titoli, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali dalla data dei conferimenti al saldo effettivo; B) il danno da lucro cessante, determinato nella somma che un investimento in titoli di Stato del medesimo ammontare avrebbe prodotto in termini di inte ressi, ovvero negli interessi risultanti dall’applicazione del tasso legale e rivalutazione monetaria sul capitale investito dalla data dei versamenti, anche procedendo se del caso a valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.
All’udienza del 18.10.2016 la banca documentava l’avvenuto rimborso da parte della Repubblica Argentina dei titoli ‘Argentina GBP 97/07 10%’ e segnalava l’intervenuta adesione degli attori all’offerta d’acquisto da parte della Repubblica Argentina dei titoli medesimi, conseguentemente rilevando, in relazione a questi, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire, essendo in dipendenza di ciò venuto in ogni caso meno il pregiudizio in tesi sofferto dagli attori in relazione alle relative poste.
Gli attori, a propria volta, dato atto del fatto che effettivamente era intervenuta la vendita dei predetti titoli per effetto della sopravvenuta decisione dello Stato argentino di liquidare i relativi importi, concordavano nel ritenere cessata la materia del contendere in merito ai (soli) predetti bond Argentina GBP stante il sopravvenuto adempimento dell’emittente rispetto ai menzionati titoli.
Il Tribunale, con la sentenza n. 1576/2019 rigettava integralmente le domande attoree di risarcimento del danno, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca e, ritenuta la sussistenza di giusti motivi, compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
Con sentenza del 16.2.2022, la Corte territoriale rigettava l’appello degli attori ( nelle more del giudizio d’appello decedeva NOME COGNOME cui succedevano, costituendosi in giudizio, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME) osservando che: le considerazioni svolte dagli appellanti non superavano efficacemente le corrette valutazioni fatte dal giudice di primo grado in relazione alla necessaria individuazione del dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria derivante dalla violazione dei doveri informativi dell’intermediario finanziario nella data (certa) dell’inadempimento, ovvero nel momento in cui era stata posta in essere la violazione della regola di condotta contestata all’int ermediario; nel caso di responsabilità contrattuale, il termine prescrizionale andava individuato nella data dell’inadempimento, in quanto una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consentiva di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale rispetto al momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, se non nelle ipotesi di impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi di impedi mento di fatto al qual genere era da ricondurre l’ignoranza del titolare, colpevole o meno ch’esso sia , salvo un comportamento doloso della controparte come desumibile dalla ratio dell’art. 2941 n. 8, c.c.; non risultavano, per contro, apprezzabili le considerazioni degli appellanti relative a ll’inesistenza di un danno risarcibile al momento dell’a cquisto dei titoli e comunque alla sua concreta percepibilità solo in un momento successivo a tale data,
e segnatamente dal momento in cui la Repubblica argentina dichiarò il proprio default ; ne discendeva che, in casi del genere, il dies a quo della prescrizione era da ancorare alla condotta inadempiente lesiva e non ai suoi imponderabili effetti posteriori, tra l’altro soggetti a continue fluttuazioni di mercato che renderebbero del tutto arbitraria l’identificazione del momento produttivo del danno; in tale prospettiva , era da ritenere corretta l’affermazione del primo giudice secondo cui: ‘ in base alla stessa prospettazione attorea è logico assumere che i riflessi dannosi delle specifiche violazioni menzionate abbiano preso preciso corpo proprio nel momento della conclusione d ell’investimento denunciato, investimento che, difatti, ove fosse stato preceduto dalle corrette informazioni reclamate, non avrebbe avuto luogo, ovvero sarebbe stato effettuato a condizioni diverse e più accorte. In tale ricostruzione si comprende come al successivo default dello Stato argentino debba attribuirsi non già il significato dell’insorgenza del danno da investimento, e neppure quello della sua concreta percepibilità, bensì il diverso significato della evidenziazione della ‘misura quantitativa’, del quantum del danno sofferto, che è concettualmente altra cosa rispetto al suo an; considerato che tutti gli acquisti di obbligazioni Argentina di cui si tratta sono stati effettuati tra il mese di marzo e il mese di luglio del 1998 (v. atto d’appello, pag. 34/39), e quindi oltre dieci anni prima rispetto alla contestazione avanzata dagli attori, va confermata la decisione di primo grado che ha (condivisibilmente) accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca intermediaria e, per l’effetto, re spinto la domanda degli investitori; la sentenza di primo grado era inoltre condivisibile anche nella parte in cui aveva ritenuto l’insussistenza di validi ed efficaci atti interruttivi della prescrizione; era altresì infondato l’appello incidentale della banca.
Ricorrono in cassazione , avverso la suddetta sentenza d’appello, NOME COGNOME e gli eredi dell’originario attore deceduto, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME e il coniuge NOMECOGNOME con due motivi, illustrati da memoria. Banco BPM spa resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2935 e 2946, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto prescritto il diritto al risarcimento del danno per responsabilità professionale della banca intermediaria, per inadempimento agli obblighi informativi prescritti dalle norme primarie e secondarie in materia di intermediazione finanziaria, fissando come dies a quo di decorrenza del termine di estinzione del diritto la data di effettuazione dell’acquisto dei titoli obbligazionari argentini (1998), anziché la data del fallimento ( default) dell’emittente Repubblica d’Argentina, avvenuto il 23 dicembre 2001 (tale dato oltre ad essere notorio, infatti, non era mai stato contestato nel corso dei giudizi di primo e secondo grado).
Al riguardo, i ricorrenti assumono che: prima del danno il relativo diritto certamente non era esercitabile; infatti, finché l’Argentina aveva pagato le cedole degli interessi, senza dichiarare che non avrebbe restituito il capitale alla scadenza del termine dell’obbligazione, si versava in una condizione di regolare adempimento contrattuale, per cui altrettanto certamente alcun danno poteva essere richiesto in alcuna sede, per il semplice fatto che sino al default non c’era alcun danno e dunque il relativo diritto non poteva essere fatto valere, e quindi non poteva iniziare a decorrere la prescrizione; la consapevolezza di avere subito una perdita patrimoniale si era formata soltanto con il default dichiarato dalla Repubblica argentina, posto che
prima, come detto, vi era regolare adempimento, mentre soltanto dal 23 dicembre 2001 il debitore si era detto non in grado di onorare gli impegni assunti, e da quel momento il creditore aveva avuto conoscenza e certezza del danno subito; nel caso concreto, il fatto generatore del danno consisteva nell’omessa informativa da parte della banca ai clienti -dichiaratamente inesperti in materia finanziaria, con modesto livello d’istruzione e precedente operatività in BOT e CCTdella speculatività dei titoli obbligazionari emessi dalla Repubblica d’Argentina e della relativa incontestata inadeguatezza per tipologia, oggetto e dimensione; era pertanto evidente che il decorso del termine prescrizionale dell’azione di risarcimento del danno dovesse iniziare a decorrere dalla data del suddetto default , e i ricorrenti non erano certamente stati in grado di comprendere che la Repubblica d’Argentina non avrebbe provveduto alla restituzione del capitale, e ciò in considerazione del fatto che, nel periodo intercorrente tra l’effettuazione dell’investimento e il fallimento, aveva sempre regolarmente pagato gli interessi remunerativi del prestito, e rimborsato i titoli obbligazionari giunti a scadenza; il giudice, incontestata la ricezione da parte della banca convenuta delle lettere di interruzione della prescrizione prima che fossero passati dieci anni dalla dichiarazione di fallimento della Rep ubblica d’Argentina (23 dicembre 2001), ossia allorquando non era ancora scaduto il termine ordinario di prescrizione dell’azione v olta ad ottenere il risarcimento del danno, avrebbe dunque dovuto rigettare l’eccezi one di prescrizione, in quanto infondata, e decidere nel merito condannando la banca al risarcimento del danno patito dai ricorrenti.
Il secondo motivo deduce omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360, n. 5, c.p.c. , per aver la Corte d’appello manifestamente omesso di valutare un fatto
determinante che aveva comportato un errore motivazionale, la cui valutazione avrebbe certamente condotto ad una diversa decisione in ordine all’intervenuta rinuncia alla prescrizione da parte della banca intermediaria, come si evinceva chiaramente dalla missiva inviata da quest’ultima al procuratore dei ricorrenti nell’anno 2012, passati 14 anni dall’effettuazione delle operazioni d’investimento contestate (1998), dal contenuto incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione decennale per il diritto al risarcimento del danno, manifestata solo con la comparsa di costituzione in primo grado.
Al riguardo, i ricorrenti assumono che: la proposta transattiva – non accettata solo per questioni attinenti al l’ammontare pos to a liquidazione del credito – prevedeva il versamento da parte della banca della somma di €200.000,00 e la rinuncia dei ricorrenti a qualsiasi azione, domanda ed eccezione relativa agli investimenti nei bond argentini, e ciò, con tutta evidenza, perché la convenuta considerava ancora esistente ed azionabile il diritto al risarcimento del danno patito a causa dell’inadempimento agli obblighi informativi in occasione dell’investimento nei titoli argentini; segnatamente, con la lettera dell’11 maggio 2012, allegata come documento n. 55 in primo grado (doc. 14), l’allora Banco Popolare, evidenziando l’intensità della trattativa svolta tra le parti, aveva confermato di voler transigere la controversia alle indicate condizioni; pertanto, con tale missiva la banca aveva riconosciuto all’epoca ancora esistente in capo ai ricorrenti il contrapposto diritto di credito, e così aveva effettuato una tacita rinuncia alla prescrizione decennale, come previsto all’art. 2937, comma terzo, cod. civ.; pertanto, anche qualora il dies a quo di decorrenza della prescrizione per l’azione di risarcimento del danno fosse stato correttamente indicato nel momento dell’acquisto dei titoli obbligazionari, la Corte territoriale, valutando adeguatamente la
documentazione prodotta, di cui aveva la disponibilità perché ritualmente allegata al ricorso in primo grado, e la mancata contestazione del contenuto della medesima, avrebbe dovuto rigettare la domanda di controparte per intervenuta rinuncia alla prescrizione, essendo l’eccezione in tal senso rilevabile d’ufficio, e ciò anche in assenza di una ‘controeccezione’ di parte appellante.
Il primo motivo è fondato.
Sulla questione, occorre dar conto de ll’orientamento di questa Corte, come sviluppatosi negli anni.
In ambito di intermediazione finanziaria, è stato affermato, in linea di principio generale, che ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria per inadempimento degli obblighi formativi, la prescrizione non decorre dal momento in cui viene impartito l’ordine d’acquisto dei titoli, bensì da quello in cui si manifesta in concreto il pregiudizio patrimoniale, ossia la conseguenza dannosa rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta (Cass., n. 2066/2023; fattispecie in tema di acquisto di bond argentini).
In tema di diritto al risarcimento del danno, è stato precisato che la regola per la quale il termine di prescrizione decorre da quando il danneggiato ha avuto o avrebbe potuto avere conoscenza della ingiustizia del danno, ossia del fatto che esso si è prodotto e che va attribuito a taluno, non muta a seconda del titolo di responsabilità, se contrattuale o extracontrattuale, valendo anche in caso di responsabilità contrattuale (Cass., n. 29328/2023).
E’ stato poi rilevato che il momento in cui per il cliente diviene o è divenuto realmente percepibile il danno da ascriversi all’intermediario inadempiente ai propri obblighi informativi, da cui inizia a decorrere il termine decennale di prescrizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria, dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e la relativa
indagine deve tener conto che i peculiari beni oggetto della controversia (titoli azionari o obbligazionari, derivati e simili) non sono assimilabili ad altri beni mobili e che il danno risarcibile ex art. 1223 c.c. non può essere provocato dal normale andamento del valore o del prezzo del titolo sul mercato secondario, poiché la sua fluttuazione è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari, essendo, invece, necessario un quid pluris, anche un evento anomalo, che al contempo disveli il rischio taciuto dall’intermediario e concretizzi la lesione patrimoniale (Cass., n. 32226/2024).
E’ stato altresì ritenuto (Cass., n. 14019/2025) doveroso distinguere a seconda del tipo di domanda formulata dall’investitore e, in particolare, tra: i) azioni volte alla declaratoria di nullità, all’annullamento ovvero alla risoluzione del contratto per grave inadempimento (azioni cd. caducatorie), con conseguenti pretese di restituzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo; ii) azioni volte ad ottenere il risarcimento del danno subito dall’investitore per inadempimento contrattuale dell’inter mediario (azioni cd. risarcitorie).
Con la precisazione che se la violazione di obblighi informativi dell’intermediario costituis ce allegazione fondante una domanda di risoluzione contrattuale proposta dell’investitore per inadempimento del primo, il momento in cui si realizza detto inadempimento, e dunque il momento in cui il diritto può essere esercitato a mente dell’art. 2935 c.c., è proprio quello in cui l’intermediario medesimo esegue l’ordine di acquisto ricevuto dall’investitore senza avergli prima fornito le informazioni tutte di cui si è detto scrutinando i precedenti motivi secondo e terzo, a nulla rilevando la consapevolezza successivamente acquisita dell’inadempimento dei menzionati obblighi informativi .
Nella concreta fattispecie, viene in rilievo la seconda di queste ipotesi, posto che ciò che gli appellanti hanno chiesto è l’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale (riferita all’ordine di acquisto di obbligazioni Argentina) e la condanna della banca alla restituzione della somma da essi investita (detratte le cedole incassate medio tempore), nonché il risarcimento del danno, sia quello emergente che da lucro cessante.
Nella specie, dunque, alla stregua del citato orientamento di questa Corte, il danno si è verificato dopo la condotta inerente all’acquisto dei titoli, riconducibile alla data del default argentino che ha costituito un quid pluris , un evento anomalo, che al contempo ha disvelato il rischio taciuto dall’intermediario e concretizzato la lesione patrimoniale.
Invero, prima del default argentino del 23/12/2001 gli investitori non avevano subito alcun danno, in quanto l’emittente aveva regolarmente pagato gli interessi e rimborsato i titoli giunti a scadenza; non c’era inadempimento e quindi neanche diritto al risarcimento azionabile.
Inoltre, a tenore di altro consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova
contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa (Cass., n. 3914/2018; n. 24142/2018).
Nel caso concreto, pertanto, la Corte d’appello ha erroneamente individuato il termine iniziale della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni nella data dell’esecuzione degli ordini d’investimento in questione, anziché in quello del default dello Stato argentino.
L ‘accoglimento del primo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, e il rinvio della causa alla Corte territoriale- anche in ordine alle spese del giudizio- che dovrà attenersi al suddetto principio ed indagare sul dedotto inadempimento circa gli obblighi informativi.
Il secondo motivo è da ritenere assorbito dall ‘ accoglimento del primo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata, nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 giugno 2025.