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Prescrizione danno contrattuale: 10 anni, non 5

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3990/2024, ha stabilito che la domanda di risarcimento per perdita di chance, derivante dall’inadempimento contrattuale del datore di lavoro (nella specie, la mancata istituzione di un fondo per la retribuzione di risultato), è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale e non a quella quinquennale prevista per i crediti retributivi. La Corte ha accolto il ricorso di alcuni dirigenti sanitari su questo punto, cassando la sentenza d’appello che aveva erroneamente applicato il termine più breve. La decisione chiarisce una distinzione fondamentale tra pretesa risarcitoria e pretesa retributiva, con importanti conseguenze sulla durata del diritto ad agire in giudizio.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione danno contrattuale: la Cassazione conferma il termine di 10 anni

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa alla prescrizione del danno contrattuale nel contesto del pubblico impiego. La decisione chiarisce che il diritto al risarcimento per la perdita di chance, derivante dalla mancata attuazione di obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro, si prescrive in dieci anni e non nel termine più breve di cinque anni, tipico delle rivendicazioni salariali. Questa pronuncia offre tutele più ampie ai lavoratori che subiscono un pregiudizio a causa dell’inerzia del proprio datore.

I Fatti di Causa

Un gruppo di dirigenti sanitari, medici e non, aveva citato in giudizio la propria Azienda Sanitaria Provinciale. L’accusa era chiara: l’azienda non aveva mai istituito né attivato il fondo destinato a finanziare la “retribuzione di risultato”, una componente accessoria dello stipendio prevista dalla contrattazione collettiva. I dirigenti chiedevano quindi una condanna generica al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo la responsabilità dell’Azienda Sanitaria, aveva accolto solo parzialmente la domanda. I giudici di secondo grado avevano infatti ritenuto che l’inadempimento fosse cessato a partire dal 2006 e, soprattutto, avevano applicato il termine di prescrizione quinquennale, riducendo significativamente il periodo per cui era possibile richiedere il risarcimento. Insoddisfatti, i dirigenti hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e la corretta prescrizione del danno contrattuale

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, focalizzandosi sulla questione centrale della prescrizione. I ricorrenti sostenevano che, trattandosi di una richiesta di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale (specificamente, per perdita di chance di ottenere la retribuzione di risultato), dovesse applicarsi la prescrizione ordinaria decennale prevista dall’art. 2946 del codice civile, e non quella quinquennale dell’art. 2948 c.c., riservata ai crediti di natura retributiva.

La Suprema Corte ha dato pienamente ragione ai dirigenti. Ha ribadito un principio fondamentale: una cosa è chiedere il pagamento di una retribuzione già maturata (credito retributivo, prescrizione in 5 anni), un’altra è chiedere il risarcimento per non aver avuto nemmeno la possibilità di conseguirla a causa dell’inadempimento della controparte (danno da perdita di chance, prescrizione in 10 anni).

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si basa sulla netta distinzione tra la natura della pretesa. La domanda dei dirigenti non era volta a ottenere una specifica somma di denaro a titolo di retribuzione, ma a far accertare la responsabilità dell’Azienda Sanitaria per aver omesso di attivare le procedure necessarie alla costituzione del fondo. Questo inadempimento ha privato i lavoratori della possibilità di ottenere un vantaggio economico, configurando un danno da perdita di chance. Tale danno, derivando da una violazione di un’obbligazione contrattuale, rientra a pieno titolo nell’ambito della responsabilità contrattuale, per la quale la legge prevede un termine di prescrizione di dieci anni.

La Corte ha invece rigettato gli altri motivi di ricorso, con cui i dirigenti contestavano la decisione d’appello di considerare cessato l’inadempimento dal 2006. Secondo gli Ermellini, questa valutazione costituisce un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità. Inoltre, le argomentazioni dei ricorrenti sulla non corretta quantificazione del fondo negli anni successivi al 2006 avrebbero dovuto essere fatte valere con un’azione diversa, di natura retributiva, e non risarcitoria.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha un’importante implicazione pratica: i lavoratori che subiscono un danno a causa di un inadempimento contrattuale del datore di lavoro, che impedisce loro di accedere a potenziali benefici economici, hanno dieci anni di tempo per far valere il proprio diritto al risarcimento. La sentenza rafforza la tutela del lavoratore di fronte a comportamenti omissivi del datore, distinguendo chiaramente il diritto al salario dal più ampio diritto a non essere danneggiato dall’inadempienza altrui. Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello sul punto della prescrizione e ha rinviato la causa a un’altra sezione della stessa Corte per una nuova decisione basata sul corretto termine decennale.

Qual è il termine di prescrizione per una richiesta di risarcimento danni da perdita di chance contro il datore di lavoro?
La sentenza stabilisce che il termine di prescrizione è quello ordinario decennale (art. 2946 c.c.), in quanto si tratta di una domanda di risarcimento per inadempimento contrattuale e non di una pretesa retributiva.

Perché la richiesta di risarcimento per la mancata istituzione del fondo di risultato è considerata danno da perdita di chance?
È considerata tale perché l’inadempimento del datore di lavoro (la mancata attivazione del fondo) ha privato i lavoratori della possibilità concreta di ottenere la retribuzione di risultato, causando un danno risarcibile per la perdita di questa opportunità.

Qual è la differenza tra un’azione per risarcimento del danno e un’azione retributiva in questo contesto?
L’azione risarcitoria mira a compensare il danno derivante dalla mancata attivazione delle procedure per erogare la retribuzione di risultato. L’azione retributiva, invece, si intenterebbe se il fondo fosse stato attivato ma quantificato in modo errato o se la retribuzione non fosse stata corrisposta pur essendo maturata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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