Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32226 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 32226 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 34042/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Bolzano, alla INDIRIZZO in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore , dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME in proprio e quali eredi di NOME e di NOMECOGNOME rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Prof. NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrenti –
avverso la sentenza, n. cron. 44/2019, della CORTE DI APPELLO DI TRENTO -SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO depositata in data 13/04/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 28/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso; udito, per la ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso ; udito, per i controricorrenti , l’Avv. Prof. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione; lette le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. depositate dalle parti.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. ritualmente notificato l’1 ottobre 2014 unitamente al pedissequo decreto di fissazione di udienza, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a. (per il prosieguo, anche breviter , Banca) innanzi al Tribunale di Bolzano chiedendo dichiararsi la nullità o pronunciarsi l’annullamento o la risoluzione dei contratti di investimento finanziario da essi stipulati con quest’ultima il 10 dicembre 2003, aventi ad oggetto l’acquisto di obbli gazioni Lehman Brothers , e condannarsi la Banca alla restituzione, in loro favore, degli importi da ciascuno versati (€ 59.7879,17 il Bernard ed € 79.373,24 la COGNOME) o al risarcimento dei danni subiti, contrattuali o extracontrattuali, commisurati agli importi predetti. A sostegn o di tali pretese esposero, tra l’altro: i ) di avere un grado di istruzione bassa ed un’esperienza in prodotti finanziari assolutamente minima; ii ) che la Banca aveva omesso di chiedergli le informazioni ex art. 28, comma 1, lett. a) , del Regolamento Consob n. 11522 del 1998; iii ) che, a seguito dell’investimento suddetto, avevano concentrato il 100% del loro portafoglio in un unico titolo, amplificandosi, così, in modo
evidente, il rischio di perdita, anche totale, degli ingenti capitali investiti; iv ) che la Banca non li aveva avvisati dell’evidente inadeguatezza , per tipologia, oggetto e dimensione, dell’investimento de quo , limitandosi ad inserire negli ordini di acquisto ed a fargli sottoscrivere una incomprensibile, fuorviante e non chiara clausola recante la dicitura, in tedesco, che ‘ l’operazione non corrisponde alla linea di investimento concordata ‘. Né la stessa aveva specificato ai ricorrenti alcuna informazione adeguata sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, la cui conoscenza sarebbe stata necessaria per effettuare una scelta di investimento cosciente e consapevole; v ) che, il 15 settembre 2008, il Gruppo Lehman Brothers era andato in default , sicché essi avevano perso il capitale investito, non restituitogli alla scadenza dei titoli nel 2013.
1.1. Costituitosi l’istituto di credito, che eccepì, preliminarmente, la prescrizione delle avverse pretese restitutorie e della domanda di risoluzione, per intervenuto decorso del relativo termine decennale, e concluse comunque per l’infondatezza delle domande degli istanti, l’adito Tribunale, con ordinanza ex art. 702ter cod. proc. civ. dell’8 settembre 2017, respinse in toto queste ultime, ritenendo prescritta l’azione di restituzione dell’indebito e carente quella risarcitoria sotto il profilo dell’allegazione dello specifico pregiudizio subito e della condotta illecita serbata dalla Banca.
Il gravame promosso NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME medio tempore deceduto, nonché da NOME COGNOME ed NOMECOGNOME anch’essi eredi di quest’ultimo, fu accolto, per quanto di ragione, dalla Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 13 aprile del 2019, n. 44, resa nel contraddittorio con la Banca Popolare dell’Altro Adige s.p.a.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse ed in sintesi, quella corte: i ) confermò la decisione del tribunale in ordine alla prescrizione della domanda di risoluzione, affermando che ‘ poiché l’inadempimento contrattuale, allegato con la dovuta specificazione, sarebbe stato consumato il 10.12.2003, in occasione, cioè, del perfezionamento dei contratti d’investimento, è estinta per prescrizione decennale l’azione di risoluzione promossa nell’anno 2014 ‘;
ii ) ritenne, conseguentemente, che ‘ la prescrizione dell’azione di risoluzione preclude l’azione di ripetizione di indebito ‘; iii ) considerò non prescritta l’azione risarcitoria, richiamando i princìpi sanciti da Cass. n. 23820 del 2010 ed opinando che il termine decennale di prescrizione dovesse decorrere dalla data di default della società emittente; iv ) affermò che ‘ la restituzione della somma investita ben può essere pretesa a titolo di indebito conseguente alla pronuncia di risoluzione della compravendita di titoli per inadempimento dell’intermediario. Essa, però, può essere pretesa anche sulla base di diverso titolo giuridico, quello, cioè, meramente risarcitorio, e ciò quando, per effetto dell’inadempimento dell’intermediario, si sia avuto il totale azzeramento dell’investimento. Nel caso, invece, di perdite parziali, la liquidazione del danno non potrà che avvenire utilizzando come basilare criterio estimativo del pregiudizio il prezzo di acquisto dei titoli. Sicché non può dirsi che sia carente, sot to il profilo dell’allegazione, la domanda che specifica il credito risarcitorio indicandolo nella sua misura massima, il prezzo di acquisto dei titoli medio tempore svalutati, e che sia anche corredata dalla clausola di salvaguardia in base alla quale la liquidazione del danno subito debba, in ogni caso, avvenire nella misura arbitranda dal giudice adito ‘; v ) considerò non fornita dalla Banca la prova dell’avvenuto adempimento degli obblighi informativi sulla stessa gravanti e sussistente il nesso di causalità tra tale inadempimento ed il danno lamentato dagli istanti, che quantificò in € 18.499,45, in favore di NOME COGNOME e di € 24556,52, in favore di NOME COGNOME tenuto conto del capitale da ciascuno di essi effettivamente investito, di quanto da loro rispettivamente già ricevuto per cedole annuali sui titoli dal 10 dicembre 2003 al 9 settembre 2007 e di quanto medio tempore restituitogli dalla procedura di insolvenza del Gruppo Lehman Brothers .
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso la Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a., affidandosi a tre motivi , illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Hanno resistito, con unico controricorso, NOME COGNOME ed NOME COGNOME in proprio ed in qualità di eredi di NOME e NOME COGNOME
3.1. La Prima sezione civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 22 novembre/22 dicembre 2023, n. 35891, ha ritenuto opportuno disporre la rimessione della causa alla pubblica udienza stante la particolare rilevanza della questione posta dal terzo profilo del primo motivo di ricorso -concernente la individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria promossa dall’investitore in relazione ai danni derivatigli dall’avvenuta violazione degli obblighi informativi gr avanti sull’intermediario , tenuto conto dei riflessi su controversie analoghe e di quanto già sancito da Cass. n. 2066 del 2023. Sono state depositate memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il terzo motivo di ricorso, il cui esame va logicamente anteposto agli altri, lamenta « Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), per non aver accertato in concreto l’assolvimento degli obblighi informativi dell’intermediario nonché violazione e/o falsa applicazione delle norme (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 29 Reg. Consob n. 11522/98 nonché agli artt. 1223, 1225, 1227 c.c.) nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto non adempiuti gli obblighi informativi della Banca e sussistente il nesso di causalità tra inadempimento e danno subito dagli investitori ». Si contestano le affermazioni con cui la corte territoriale ha considerato non fornita dalla Banca la prova dell’avvenuto adempimento degli obblighi informativi sulla stessa gravanti e sussistente il nesso di causalità tra tale inadempimento ed il danno lamentato dagli istanti.
1.1. Premettendosi che il rapporto dedotto in causa è sorto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006, sicché si farà riferimento alla disciplina dettata dal T.U.F. del 1998 (d.lgs. n. 58 del 1998) e dal Regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportategli per adattarli alle suddette nuove direttive, la descritta doglianza si rivela complessivamente inammissibile.
1.2. Giova ricordare che questa Corte si è soffermata, in molteplici occasioni ( cfr . tra le più recenti ed esaustive, anche nelle rispettive
motivazioni, Cass. nn. 10111 e 33353 del 2018; Cass. n. 16127 del 2020; Cass. nn. 19891 e 35789 del 2022; Cass. nn. 7288, 7932 e 12990 del 2023), sul tema degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario in applicazione dell’art. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, esaminando l’argomento e pervenendo ad esiti interpretativi univoci e consolidati, sotto due distinti aspetti che sono stati tenuti e che occorre mantenere attentamente separati: i ) quello dell’identificazione della latitudine degli obblighi informativi medesimi; ii ) quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale ove l’investitore lamenti l’inadempimento di detti obblighi.
1.2.1. In relazione ad essi, dunque, può farsi rinvio, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., a quanto ampiamente esposto in quelle pronunce, così sintetizzabile: i ) gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998 sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è i l caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); ii ) con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, l’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all’investitore ‘ informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento ‘; iii ) giusta l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica dilige nza richiesta e, pertanto, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio;
iv ) l’intermediario convenuto in un giudizio di responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento; v ) l’assolvimento dell’obbligo di informazione specifica impone, quindi, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente; vi ) con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’art. 28, primo comma, lett. a) , -consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura) -esso è funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la relativa valutazione di adeguatezza da parte dell’intermediario -come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione suddetta; vii ) l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento
degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo.
1.2.2 . Quanto, poi, all’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova, in sede giudiziale, nelle azioni come quella intrapresa dagli attori/appellanti, occorre anzitutto richiamare la regola secondo cui, nei giudizi di risarcimento del danno, è onere dell’intermediario provare di avere agito con la diligenza richiestagli, ai sensi dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998: norma che, lungi dal comportare un’inversione dell’onere probatorio altrimenti discendente dall’art. 2697 cod. civ., si pone in perfetta armonia e continuità con la regola generale stabilita dall’art. 1218 cod. civ., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilità ( cfr . Cass. n. 17138 del 2016; Cass. n. 12990 del 2023), non trovando applicazione tale norma solo al di fuori del campo della responsabilità contrattuale, ove il danneggiato intenda far valere la responsabilità extracontrattuale dell’intermediario per fatto altrui ( cfr . Cass. n. 16616 del 2016).
1.2.3. Soffermandosi, inoltre, sul significato dell’articolo 23 citato, questa Corte ha affermato ( cfr., amplius , in motivazione, Cass. n. 16127 del 2020, poi ribadita dalle più recenti Cass. nn. 7932 e 12990 del 2023) che, « in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e prima ancora dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni;
l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito ‘con la specifica diligenza richiesta’ (Cass. n. 3773/2009) ».
1.2.4. Spetta, dunque, in primo luogo, all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto. Dopo di che, grava sul medesimo investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno: onere la cui osservanza -come puntualizzato dalle già citate Cass. n. 16127 del 2020 e Cass. n. 12990 del 2023 -« versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del ‘più probabile che non’, attraverso l’impiego del giudizio controfattuale, e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, così da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, giudizio che ben può muovere dalla stessa consistenza dell’informazione omessa (cfr. Cass. n. 12544 del 2017), riguardata attraverso la lente dell’ id quod plerumque accidit, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Tale giudizio per sua natura non si presta alla prova diretta, ma solo a quella presuntiva, occorrendo desumere (nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza previsto dall’art. 2729 cod. civ.) dai fatti certi emersi in sede istruttoria se l’investitore avrebbe tenuto una condotta, quella consistente nel recedere all’investimento, ormai divenuta nei fatti non più realizzabile (cfr. Cass. n. 17194/2016) ».
1.2.5. Grava, altresì, sull’investitore la prova del danno, ricordandosi, in proposito, che, come chiarito da Cass. n. 29353 del 2018 ( cfr . pag. 5-6 della motivazione), « in presenza di un comportamento illegittimo dell’intermediario, l’investitore inconsapevole si trova esposto ad un rischio
che avrebbe potuto essergli accollato solo a seguito di adeguate informazioni. Il danno consiste nel rischio di perdita del capitale investito che il cliente ben informato non si sarebbe presumibilmente addossato, o almeno non in quella misura. E poiché il legislatore, nel dettare la normativa di settore in materia, muove dal presupposto che dette informazioni sono invece necessarie all’effettuazione di scelte d’investimento effettivamente consapevoli ed oculate, deve presumersi, fino a prova contraria, che quel rischio il cliente non lo avrebbe corso se fosse stato informato come si doveva. È dunque corretto far riferimento alla successiva perdita di valore del titolo per quantificare il danno subito dall’investitore il quale si sia trovato esposto al rischio di quella perdita per un fatto imputabile all’intermediario (Cass. n. 29864/2011) …» (considerazioni affatto analoghe si leggono anche in Cass. n. 16127 del 2020, Cass. n. 25343 del 2021, Cass. nn. 7932 e 12990 del 2023).
1.2.6. Peraltro, pronunciandosi proprio sul tema della sussistenza, o meno, del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’obbligo informativo gravante sulla banca ed il danno lamentato dall’investitore, Cass. n. 33596 del 2021 ha opportunamente puntualizzato che « questa Corte, dopo aver numerose volte affermato che l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento degli obblighi informativi ed il danno grava sull’investitore, ha più di recente ritenuto che detto inadempimento faccia sorgere una presunzione di sussistenza del nesso di causalità: “Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivoinformativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa
nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati” (Cass. 17 aprile 2020, n. 7905); anche in quest’ultima prospettiva, tuttavia, la banca può vincere la presunzione offrendo prova contraria, quantunque essa non possa essere desunta esclusivamente dalla generica rischiosità degli investimenti pregressi ». Conclusioni, queste, rinvenibili, in termini assolutamente analoghi, anche nelle precedenti Cass. n. 24142 del 2018, Cass. nn. 30532 e 31497 del 2021, nonché nelle successive Cass. n. 35789 del 2022 e Cass. nn. 7932 e 12990 del 2023, a testimonianza, dunque, di un indirizzo interpretativo, sullo specifico tema, ormai sostanzialmente stabilizzatosi.
1.3. Alla stregua di tutti i riportati, e qui condivisi, principi, quindi, la decisione della Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, oggi impugnata, rivelandosi coerente con gli stessi, non risulta inficiata dai vizi ad essa ascritti dalla censura in esame.
1.3.1. In particolare, detta corte: i ) ha rimarcato che, « tra i vari addebiti dagli investitori mossi all’intermediario vi è la violazione dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 in tema di operazioni non adeguate. In particolare, secondo la loro tesi, gli ordini di acquisto non avrebbero dovuto avere cor so poiché si trattava di un’operazione inadeguata sotto il profilo dimensionale essendo concentrata su un unico titolo. A nulla rileverebbe, poi, il fatto che essi stessi hanno attestato per iscritto la non corrispondenza dell’operazione alla linea d’investimento in precedenza convenuta. . Nel caso concreto, dunque, gli investitori hanno dato atto per iscritto, in modo generico, che le operazioni da loro ordinate non erano coerenti con la linea di investimento convenuta, senza specificazione alcuna in ordine all’informazione ricevuta. Nel presente giudizio essi hanno poi lamentato di non essere stati edotti sui rischi conseguenti alla concentrazione dell’investimento su un unico titolo » ( cfr . pag. 16-20 della sentenza impugnata); ii ) ha osservato che « lo stesso intermediario, a p. 26 della sua comparsa di costituzione d.d. 11.1.2018 nel presente grado di giudizio, ha dato atto che, come evidenziato dalla documentazione da lui stesso dimessa (doc. 3233), al momento della conclusione dei contratti d’inve stimento i
sottoscrittori non hanno inteso fornire informazioni sulla loro situazione finanziaria. In base ad una regola di comune diligenza professionale, nella descritta situazione l’intermediario avrebbe dovuto assumere, proprio perché privo di specifica cognizion e sull’entità e sull’impiego del patrimonio dei clienti, che l’investimento richiestogli fosse totalitario e, quindi, avrebbe dovuto sconsigliarlo. Ed infatti, la diversificazione del portafoglio titoli quale sistema di neutralizzazione del rischio connesso a qualsiasi tipo d’investimento vale per tutti gli investitori, persino per quelli che eventualmente abbiano una non contenuta propensione speculativa. Non poteva, poi, ritenersi sufficiente una generale raccomandazione alla diversificazione, dovendo essa essere dettagliata con particolare riguardo agli specifici titoli trattati dai clienti. Ed infatti, quelle in concreto negoziate erano obbligazioni Lehman Brothers che, secondo le indicazioni dello stesso intermediario (cfr. p. 23 della comparsa di costituzione e risposta cit.), avevano durata decennale. Già in ragione di tale durata è di tutta evidenza la necessità di spiegare la particolarità del rischio assunto dalla concentrazione dell’investimento in quel solo titolo. Benché esso fosse promettente dal punto di vista dei rendimenti e del suo rating, andava nondimeno rimarcata l’esposizione dell’affidabilità del titolo alle future inevitabili incertezze correlate all’andamento dei mercati nel corso di un così lungo lasso temporale. L’onere di allegare e di provare l’adempimento dell’obbligo di protezione del cliente secondo la precisata portata non è stato in alcun modo assolto dall’intermediario che sul punto nulla ha dedotto » ( cfr . pag. 20-21 della menzionata sentenza); iii ) ha aggiunto che la vincolatività dell’obbligo suddetto nemmeno « potrebbe essere elusa sull’assunto che l’intermediario, nel caso di specie, aveva ricevuto unicamente il mandato all’acquisto dei titoli senza alcun incarico consulenziale sull’adeguatezza dell’operazione » ( cfr . pag. 21-della medesima sentenza, richiamando, in proposito, i princìpi sanciti da Cass. n. 18702 del 2016), così considerando sussistente l’addebito d’inadempimento contrattuale dagli investitori rivolto all’intermediario; iv ) quanto, poi, al nesso causale tra violazione degli obblighi informativi e danno, ha fatto proprio il dictum di Cass. n. 24142 del 2018,
successivamente concludendo che, « Nel caso di specie, quindi, poiché dall’accertata violazione degli obblighi informativi s’inferisce che il pregiudizio lamentato dagli investitori si è prodotto come normale conseguenza dell’inadempimento dell’intermediario e poiché questo non ha dimostrat o la sopravvenienza di fattori interruttivi dell’ordinaria consecuzione causale, deve concludersi che a lui vada ascritta la responsabilità essendo soddisfatto anche il requisito dell’attribuzione materiale della denunciat a lesione patrimoniale. La fondatezza della domanda risarcitoria con riguardo al descritto profilo d’inadempimento contrattuale comporta l’assorbimento di tutti gli altri prospettati dagli investitori » ( cfr . pag. 23 della sentenza de qua ).
1.3.2. Appare evidente, dunque, che, così argomentando, la corte territoriale, prendendo in esame i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento dei danni proposta dagli attori/appellanti ed indicando le ragioni del convincimento espresso in ordine agli stessi in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, ha inteso opinare, sostanzialmente, non solo che la Banca non aveva adempiuto gli obblighi informativi su di essa gravanti, sotto lo specifico profilo della mancata avvertenza della opportunità/necessità di diversificare l’investimento, piuttosto che concentrarlo su di un di un unico titolo, peraltro, di durata decennale, ma anche che a tale omissione informativa fosse ricollegabile, in assenza di contraria e/o diversa dimostrazione della Banca, il nesso di causalità tra detto inadempimento ed il danno lamentato dagli attori/appellanti. Si è al cospetto, dunque, di accertamenti chiaramente di natura fattuale, non ulteriormente sindacabili, in questa sede, se non per vizio motivazionale, peraltro nei ristretti limiti in cui l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., -nel testo modificato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 13 aprile 2019), -tuttora lo consente.
1 .3.3. La ricorrente insiste oggi nel sostenere l’adeguatezza dell’operazione richiestale dai coniugi NOMECOGNOME in relazione al loro profilo di rischio e di aver adempiuto pure allo specifico obbligo informativo a
suo carico (quello concernente l’opportunità/necessità di diversificazione dell’investimento, piuttosto che concentrarlo su di un unico titolo di durata decennale) ritenuto, invece, non osservato dalla sentenza impugnata, mostrando, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 27522, 16541, 13408, 11299, 10033 e 9014 del 2023; Cass. nn. 35041 e 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) il vizio di motivazione, ancor più in
rapporto al novellato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr. e multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27522, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014). Il compito di questa Corte, in effetti, non è quello di condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito ( cfr . Cass. n. 3267 del 2008), anche se la parte ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio ( cfr . Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia ma ntenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 11176 del 2017); iii ) l’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda, dunque, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso
accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26255, 19371, 17021, 6127 e 2607 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 31999, 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018); iv ) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la decisione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che, in sede di legittimità, non è data la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un dete rminato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete ( cfr . Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 10599 del 2021); v ) « Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un fatto controverso e decisivo della lite e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento » ( cfr . Cass. n. 31999 del 2022); vi ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024).
1.4. Va ribadito, infine, quanto al rapporto fra violazione degli obblighi informativi e produzione del danno -così disattendendosi anche il corrispondente profilo dell’odierna doglianza ( cfr . pag. 35 del ricorso) -che, nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente (come pacificamente nell’o dierna vicenda) non rientri in alcuna delle categorie di investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile alcun concorso di colpa di quest’ultimo nella produzione del danno ( cfr . Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 26064 del 2017, parag. 17; Cass. nn. 8394 e 9892 del 2016).
2. Venendo, dunque, all’esame degli altri motivi di ricorso, i l primo di essi è rubricato « Violazione e/o falsa applicazione delle norme (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 2935, 2947 e 1453 c.c.) nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto la prescrizione per il risarcimento del danno da investimento decorrente dalla data del default della società emittente ». Le censure ivi argomentate sono state così conclusivamente sintetizzate ( cfr . pag. 20-21 del ricorso): « 1) tutte le domande proposte dai sigg.ri NOME COGNOME (anche quelle di restituzione e risarcimento) configurano esercizio di un diritto potestativo e, quindi, solo la domanda giudiziale avrebbe potuto interrompere il decorso del termine prescrizionale; 2) l’azione di risarcimento, pur potendo, in ipotesi, svolgersi in vi a autonoma, nel caso di specie è stata tuttavia svolta in via complementare ed accessoria rispetto a quella di risoluzione e, dunque, anch’essa risulta travolta dall’estinzione per prescrizione di quest’ultima (come, del resto, statuito per la domanda di restituzione); 3) in ogni caso, il dies a quo del termine prescrizionale non decorre dalla data del default ma dalla data di esecuzione degli ordini (dato oggettivo e ‘non soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto risarcitorio da parte del creditore, conoscenza che potrebbe essere colpevolmente ritardata pure per incuria del medesimo titolare del diritto ); 4) a ben vedere, gli attori hanno contestato alla Banca inadempimenti che sarebbero occorsi previamente ed in occasione della stipula dei contratti; la responsabilità
sarebbe, dunque, precontrattuale e l’azione risarcitoria comunque prescritta, essendo decorso il termine quinquennale dalla data di introduzione del giudizio rispetto alla data del (pur erroneo) dies a quo (il default della società emittente. Il giudice di appello ha del tutto omesso di pronunciarsi sulla questione (cioè di qualificare l’inadempimento rispetto al suo momento storico di accadimento), implicitamente (ma erroneamente) presumendolo quale inadempimento contrattuale (quando, in realtà, sarebbe stato, al più, precontrattuale) ».
2.1. Tale doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
2.2. Giova considerare, innanzitutto, -in relazione al punto n. 4 delle sintetiche conclusioni appena riportate -che, come ricordato da Cass. n. 8997 del 2021 e, più recentemente, da Cass. n. 10646 del 2023, le Sezioni Unite di questa Corte, nel prendere in esame il rapporto intercorrente tra il contratto quadro e le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, hanno evidenziato come queste ultime, benché possano consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d’intermediazione ( cfr . Cass., SU, nn. 26724-26725 del 2007).
2.2.1. Ribadito questo principio, va precisato che non è il contratto quadro a determinare il singolo investimento o disinvestimento: è con il singolo ‘ ordine ‘ che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario (ad esempio, concludendo direttamente con detto soggetto contratti relativi a titoli che quegli già detenga nel proprio portafoglio, o conferendo al medesimo uno specifico mandato avente ad oggetto l’acquisto o la vendita di alcuni prodotti finanziari, o, ancora, incaricandolo di una mera attività di trasmissione del proprio ordine all’intermediario negoziatore). Pertanto, appare lontana dalla realtà l’opinione secondo cui il momento negoziale delle singole operazioni di investimento sia da rinvenire nel contratto quadro. In tali termini, è da approvare il rilievo, svolto da Cass. n. 8394 del 2016, secondo cui le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro. Del resto,
come si è detto, le Sezioni Unite ammettono che le operazioni eseguite dopo la conclusione del contratto quadro possano assurgere a veri e propri negozi giuridici.
2.3. Ora, nelle operazioni di investimento vengono in discussione, per l’intermediario, obblighi particolari, che vanno tenuti distinti da quello consistente nel porre in essere l’atto dispositivo indicato dall’interessato.
2.3.1. Come è noto, l’art. 21 T.U.F. (d.lgs. n. 58 del 1998) e la normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522/1998, vigente ratione temporis , pongono obblighi di comportamento che, al pari di quelli contemplati dalla precedente disciplina -su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite nelle sentenze prima citate -, risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nella cura dell’interesse del cliente. Taluni di questi obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria; altri, invece, hanno ragione di configurarsi dopo la conclusione del contratto quadro. Di entrambe tali tipologie (come dei rispettivi oneri di allegazione e prova a carico di ciascuna parte e del nesso di causalità tra loro inosservanza e danno lamentato dal cliente investitore), peraltro, si è già dato ampiamente conto nei precedenti paragrafi da 1.2.1 a 1.2.6. di questa motivazione, cui, pertanto, può qui farsi rinvio per intuibili ragioni di sintesi. Dalla disciplina, legislativa e regolamentare, ivi descritta, dunque, si ricava che l’intermediario non può limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo (cedendolo in contropartita diretta, in base alla esemplificazione di cui sopra, o acquistandolo sul mercato e rivendendolo poi all’investitore in attuazione di un mandato per conto altrui, o infine trasmettendo l’ordine di acquisto a chi lo offra sul mercato), ma che lo stesso è tenuto, altresì, alla spendita di una precisa attività, funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura, delle implicazioni e dei rischi delle singole operazioni; ciò che fa dell’intermediario un vero e proprio ausiliario del proprio cliente nella scelta delle medesime. È in tale prospettiva, segnata dall’esistenza, in capo all’intermediario, dell’obbligo di dare non già
esecuzione agli « ordini » di investimento ricevuti, quanto, piuttosto, di dare esecuzione ad « ordini » di investimento sui quali il proprio cliente sia stato convenientemente edotto, che trova giustificazione il rimedio risolutorio: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova difatti piena attuazione, con conseguente risoluzione per inadempimento del medesimo ( cfr . sul punto, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 16861 e 20617 del 2017; Cass. n. 3261 del 2018; Cass. n. 8997 del 2021).
2.4. Vero è che l’attività informativa di cui è gravato l’intermediario viene spesa frequentemente, e anzi di regola, nel periodo che precede il conferimento dell” ordine ‘ (inteso come negozio avente ad oggetto il singolo servizio di investimento): ma ciò non basta per escludere la responsabilità per inadempimento dell’intermediario e la risoluzione del detto ‘ ordine ‘, ove tale soggetto abbia dato corso all’acquisto del prodotto finanziario senza fornire all’investitore convenienti ragguagli su di esso.
2.4.1. Occorre considerare che, a mente dell’art. 21, comma 1, lett. b) , del d.lgs. n. 58/1998, gli intermediari hanno l’obbligo di ‘ acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati ‘. La norma valorizza l’affidamento che l’investitore deve riporre nell’intermediario, in modo da assicurare che le operazioni siano pienamente conformi all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del cliente.
2 .4.2. La prescrizione secondo cui gli investitori devono essere ‘ sempre adeguatamente informati ‘ non è da intendere nel senso che l’intermediario, al di fuori del caso dei contratti di gestione di portafoglio e di consulenza, abbia un obbligo di informazione quanto all’aggravamento del rischio dell’investimento già effettuato; infatti, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, gli obblighi informativi devono essere adempiuti in vista dell’operazione da compiere e si esauriscono con essa ( cfr . Cass. n. 8997 del 2021; Cass. n. 17949 del 2020; Cass. n. 10112 del 2018; come nota incisivamente Cass. n. 2185 del 2013, non massimata, « dopo l’erogazione
del servizio si è esaurita l’attività dell’intermediario con riferimento all’ordine eseguito »). La norma indica, piuttosto, che la funzione di ausilio nella scelta dell’operazione di investimento -che è assegnata all’intermediario gravato dei pertinenti obblighi informativi -deve attuarsi nel modo più completo ed efficace: e, quindi, svolgersi fino a quando il servizio di investimento non sia prestato. Il termine ultimo entro cui vanno adempiuti i richiamati obblighi informativi si colloca, in altre parole, in un momento successivo rispetto a quello di conferimento dell’« ordine ».
2.4.3. Tale conclusione trae conferma dal Reg. Consob n. 11522/1998, applicabile alla fattispecie: infatti, l’art. 28, comma 2, del detto regolamento stabilisce che gli intermediari autorizzati non possono ‘ effettuare ‘ operazioni ‘ se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento ‘ ( per incidens , in termini analoghi, sulla tempistica degli obblighi che qui rilevano, si è successivamente espresso l’art. 34 Reg. Consob n. 16190/2007, secondo cui le varie informazioni cui è tenuto l’intermediario vanno eseguite in tempo utile prima della prestazione dei servizi di investimento).
2.4.4. Il citato art. 28, comma 2, chiarisce, dunque, che, ricevuto l’ordine, l’intermediario non possa limitarsi ad eseguirlo ove il cliente non sia stato in precedenza puntualmente istruito sui termini dell’operazione da compiersi: ove l’informativa sia del tutto mancata, risulti insufficiente o si riveli scorretta (contenente, cioè, indicazioni inesatte), l’intermediario stesso dovrà fornire al cliente i necessari ragguagli circa l’investimento. Anche in questo frangente della vicenda contrattuale andrà assicurato che il nominato soggetto sia adeguatamente informato riguardo a una scelta di investimento da considerarsi realmente consapevole (per modo che, una volta edotto, lo stesso possa, se del caso, manifestare all’intermediario le ulteriori sue determinazioni, prima che l’operazione abbia corso). La disciplina in esame, pertanto, valorizza la veste dell’intermediario, quale ausiliario nella scelta di investimento, pure nel periodo intercorrente tra il conferimento dell”ordine’
e la sua esecuzione: e proprio perché il detto soggetto, in tutti i casi in cui sia dato di ravvisare un deficit informativo, vi deve porre rimedio prima di dar corso all’operazione di cui è stato incaricato, una prestazione del servizio di investimento che trascuri tale obbligo non può che tradursi in un inadempimento.
2.4.5. È escluso, così, che -guardando al singolo ‘ ordine ‘ di investimento -la responsabilità dell’intermediario possa essere relegata nell’area della responsabilità precontrattuale: una tale conclusione potrebbe sostenersi ove si reputasse che gli obblighi di informazione attiva (che attengono al singolo strumento finanziario) si delineino solo nella fase che precede la conclusione del contratto diretto alla negoziazione del titolo (l’« ordine » di investimento). Per contro -lo si è visto -la disciplina legislativa e regolamentare dà ragione di come l’obbligo, da parte dell’intermediario, di rappresentare all’investitore le connotazioni specifiche dell’operazione finanziaria si collochi anche nello stadio successivo, allorquando, cioè, l” ordine ‘ è stato impartito e si tratti di darvi esecuzione: prima di dar corso al contratto di negoziazione oramai concluso l’intermediario deve ‘ sempre ‘ assicurarsi che l’investitore sia stato adeguatamente informato dell’operazione da compiersi, provvedendo a fornire le indicazioni che si mostrino ancora necessarie in vista di tale risultato e rispondendo, in caso contrario, delle conseguenze della propria condotta omissiva.
2 .5. Fermo quanto precede, nell’odierna fattispecie, per quanto qui ancora di interesse, gli attori/appellanti miravano a far valere la presunta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, l’inadeguatezza e/o inappropriatezza dell’inv estimento rispetto al loro profilo di rischio, e cioè, in ultima analisi, l’inadempimento dell’intermediario posto in essere al momento del conferimento dell’ordine di acquisto.
2.5.1. Occorre tenere conto, dunque, dei principi sanciti da: i ) Cass., SU, n. 26724 del 2007 (successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 25222 del 2010; Cass. n. 8462 del 2014; Cass. n. 525 del 2020; Cass. nn. 15099 e 15099 del 2021; Cass. n. 10646 del 2023), secondo cui, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente
e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. ” contratto quadro “, il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del ” contratto quadro “; ii ) Cass. n. 24648 del 2023, a tenore della quale ( cfr . pag. 8 della motivazione) « l’inadempimento degli obblighi gravanti sull’intermediario ben ‘può giustificare tanto la risoluzione del contratto quadro quanto quella dei singoli ordini, ovviamente nella misura in cui, per la sua importanza, si riveli idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio contrattuale ‘ (la frase è tratta da Cass. n. 16820/2016, che a sua volta si richiama in modo espresso al precedente di Cass., n. 23717/2014). Ricorrendone i presupposti, l’investitore, nella sua veste di contraente non inadempiente, può cioè indirizzare l’azione, a seconda del suo interesse, nel senso della caducazione dell’intero rapporto con l’intermediario o nel senso invece della sola caducazione di talune parti dello stesso. Ciò posto, è bene pure puntualizzare, che – con riferimento allo svolgimento effettivo dei servizi di investimento quanto l’investitore, quale attore in risoluzione, imputa all’intermediario non è il cattivo esito di un dato investimento, bensì l’inadempimento degli obblighi, cui quello è tenuto per legge e per Regolamento Consob, con riferimento (anche) a quel dato investimento. In realtà, l’assolvimento degli obblighi di informazione attiva e di adeguatezza costituisce proprio il ponte endocontrattuale, all’evidenza – di passaggio tra la funzione di investimento, come resa dal contratto quadro, e i singoli investimenti, come inevitabilmente espressi dai singoli ordini: in questa ‘cinghia di trasmissione’, consistendo propriamente la protezione sostanziale che il sistema vigente viene ad assicurare all’investitore ».
2.5.2. Ne deriva che l’affermazione dell’inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, come concretamente argomentata dagli attori appellanti a fondamento anche della loro domanda risarcitoria, comporta che la responsabilità del primo da essi così invocata deve qualificarsi come di natura contrattuale, con conseguente applicazione del regime giuridico (quanto alla ripartizione dell’onere probatorio ed alla individuazione del termine prescrizionale ed alla sua decorrenza) per essa stabilito.
2.6. Va ricordato, poi, -con specifico riferimento ai punti nn. 1) e 2) delle già riportate sintetiche conclusioni della doglianza in esame -che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, del tutto condivisibilmente ed in ripetute occasioni, che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 8353 del 2023, resa proprio in fattispecie di intermediazione finanziaria), giacché l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto ( cfr . Cass. n. 22277 del 2023; Cass. n.10741 del 2002; Cass. nn. 5774 e 272 del 1998). La causa di risarcimento danni per inadempimento contrattuale, infatti, non è accessoria rispetto alla causa di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento, perché la decisione dell’una non presuppone, per correlazione logico-giuridica, la decisione dell’altra, né vi è subordinazione, essendo invece autonome tra loro ( cfr . Cass. n. 22277 del 2023).
2.6.1. È sicuramente vero che il presupposto di entrambe è l’accertamento dell’inadempimento, ma è altrettanto innegabile che lo stesso incide diversamente, dovendo essere di non scarsa importanza per accogliere la domanda di risoluzione e fungendo soltanto da parametro di valutazione per la domanda risarcitoria ( cfr . Cass. n. 22277 del 2023; Cass. n. 15770 del 2000). In definitiva, quindi, i tre diritti, la risoluzione per inadempimento, l’adempimento ed il risarcimento del danno, hanno in comune gli stess i fatti costitutivi -l’obbligazione e l’inadempimento -ma consentono al titolare di
conseguire utilità diverse ( cfr . Cass. n. 22277 del 2023; Cass. n. 22883 del 2008; Cass. n. 9926 del 2005; Cass. n. 13598 del 2000). La domanda di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, pertanto, non deve essere necessariamente correlata alla richiesta (e, tanto meno, alla pronuncia) di risoluzione del contratto, perché l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo ‘ in ogni caso ‘ il risarcimento del danno, ha voluto evidenziare l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di risoluzione (Cas s. n. 11348 del 2020). In presenza del fatto costitutivo, costituito dall’inadempimento (anche non grave) di uno dei contraenti di un contratto a prestazioni corrispettive, dunque, il giudice ben può accogliere la sola domanda di risarcimento, senza pronunciare o, addirittura, rigettando la risoluzione del contratto per la scarsa importanza dell’inadempimento medesimo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 12466 del 2016).
2.6.2. Alla stregua dei suddetti principi, quindi, non meritano seguito gli assunti degli odierni ricorrenti secondo cui « 1) tutte le domande proposte dai sigg.ri NOME COGNOME (anche quelle di restituzione e risarcimento) configurano esercizio di un diritto potestativo e, quindi, solo la domanda giudiziale avrebbe potuto interrompere il decorso del termine prescrizionale; 2) l’azione di risarcimento, pur potendo, in ipotesi, svolgersi in via autonoma, nel caso di specie è stata tuttavia svolta in via complementare ed accessoria rispetto a quella di risoluzione e, dunque, anch’essa risulta travolta dall’estinzione per prescrizione di quest’ultima (come, del resto, statuito per la domanda di restituzione) ».
2.7. Venendo, poi, al tema della prescrizione, rileva il Collegio che, nelle controversie in tema di prestazione di servizi di investimento, quest’ultima costituisce una tipica eccezione a disposizione dell’intermediario per resistere a contestazioni aventi ad oggetto investimenti in strumenti finanziari risalenti nel tempo e rivelatisi pregiudizievoli per il cliente a distanza di anni. In tale contesto, allora, riveste indubbia rilevanza pratica stabilire con esattezza il dies a quo per il computo del termine di prescrizione relativo alle controversie predette.
2 .7.1. Infatti, se è pacifico che, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., ‘ la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ‘, la concreta individuazione di tale momento ha dato luogo specie nel caso delle operazioni di investimento -ad interpretazioni tutt’altro che univoche, influenzate dalla ricerca di un delicato equilibrio tra tutela dell’investitore incolpevolmente ine rte, insopprimibile esigenza di certezza dei rapporti giuridici e speculare interesse dell’inter mediario a non vedersi sottoposto, per un tempo indefinito, al rischio di contestazioni tardive avanzate dai clienti a seconda del carattere profittevole, o meno, dell’investimento.
2 .7.2. Occorre rimarcare, peraltro, che, in relazione all’indagine suddetta, è doveroso distinguere a seconda del tipo di domanda formulata dall’investitore e, in particolare, tra: i ) azioni volte alla declaratoria di nullità, all’annullamento ovvero alla risoluzione del contratto per grave inadempimento (azioni cd. caducatorie), con conseguenti pretese di restituzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo; ii ) azioni volte ad ottenere il risarcimento del danno subito dall’investitore per inadempimento contrattuale dell’intermediario (azioni cd. risarcitorie). Orbene, nella fattispecie oggi sottoposta all’esame di questa Corte viene in rilievo, solo ed esclusivamente, la seconda di queste ipotesi, atteso che le statuizioni della corte distr ettuale concernenti l’intervenuta prescrizione delle domande degli attori/appellanti di risoluzione contrattuale per inadempimento dell’intermediario e di restituzione delle somme da essi investite non sono state fatte oggetto di specifica censura.
2 .8. Così delimitato, dunque, l’ambito della odierna riflessione, giova premettere che, come pure osservato in dottrina, il problema dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione decennale, ex art. 2946 cod. civ. (e non quinquennale, ex art. 2947 cod. civ., evidentemente trattandosi, come si è spiegato in precedenza, di responsabilità contrattuale. Cfr . Cass. n. 25644 del 2017; Cass. n. 14188 del 2016), allorquando l’investitore avanzi una domanda di risarcimento del danno derivante dal dedotto inadempimento degli obblighi informativi
gravanti sull’intermediario al momento della singola operazione di investimento, ha risentito del contrasto registratosi in seno alla giurisprudenza di legittimità in relazione alla decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno nelle ipotesi di responsabilità contrattuale.
2 .8.1. L’impostazione tradizionale, formatasi soprattutto con riguardo ad operazioni di investimento legate ai noti crack Argentina, Cirio, Parmalat e Lehman Brothers , àncora la decorrenza della prescrizione al momento della percezione del pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore, richiamando l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità aquiliana e condiviso da alcune pronunce della Suprema Corte anche con riguardo a fattispecie di responsabilità contrattuale ( cfr., e multis , Cass. n. 3176 del 2016; Cass. n. 5504 del 2012, spesso richiamata dalle pronunce in materia di intermediazione finanziaria, secondo cui, ‘ in tema di danno contrattuale – al fine di determinare il dies a quo della prescrizione occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale del creditore il danno causato dal colpevole inadempimento della convenuta ‘; Cass. n. 26020 del 2011), secondo cui, nell’azione di danni, la prescrizione inizia a decorrere solo quando si manifesta il pregiudizio patrimoniale in concreto e, cioè, la conseguenza dannosa rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta. Significativa, in proposito, si rivela la motivazione di Cass. n. 1823 del 2022, che, discorrendo di « risarcimento del danno derivante dall’inadempimento dell’intermediario finanziario ad obblighi informativi al cui rispetto questi sarebbe stato comunque tenuto (anche) nel corso dell’esecuzione del contratto », ha rimarcato che « Onde stabilire l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione di una pretesa risarcitoria siffatta, dunque, assumevano rilievo decisivo l’inadempimento colpevole dell’intermediario medesimo ed il danno causalmente ad esso collegato. Inoltre, va considerato che la prescrizione, decorrendo dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, presuppone la violazione del diritto: soltanto dal momento e per effetto di tale violazione sorge nel creditore l’interesse ad azionare la tutela per ottenere il soddisfacimento della pretesa. Nella specie, è di tutta evidenza che l’interesse ad agire del per ottenere l’invocato
ristoro patrimoniale non poteva farsi risalire al momento in cui era sorto il diritto all’esecuzione del contratto – coincidente con la stipula del contratto costitutivo del diritto stesso – atteso che esso avrebbe acquisito consistenza solo allorquando si fossero effettivamente prodotte le conseguenze negative sul suo patrimonio determinate dall’accertato inadempimento imputabile all’intermediario. Affatto correttamente, quindi, la corte distrettuale ha individuato nel momento (risalente al dicembre 2001) in cui si manifestò il rifiuto dello Stato argentino di onorare il proprio debito pubblico l’epoca in cui il ebbe percezione del danno subito per effetto dell’acquisto di titoli obbligazionari di quel Paese in relazione ai quali l’intermediario non gli aveva prospettato l’inadeguatezza dell’investimento in rapporto al proprio profilo di rischio ».
2.8.2. Sulla scorta di tale principio, il dies a quo per il computo del termine prescrizionale è stato individuato da svariate pronunce di merito nella data del default dell’emittente, quale momento in cui l’investitore assume contezza dell’inadempimento della banca intermediaria agli obblighi informativi e del pregiudizio derivatone (vale a dire, la perdita del valore dell’investimento). Si è opinato, in particolare, che, in tali ipotesi, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla ” data del fatto ‘, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo, conosciuti o conoscibili. In altri termini, il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione va individuato nel momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, ex art. 2935 cod. civ., ossia, per il diritto risarcitorio, nel momento in cui la produzione del danno si è manifestata all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.
2 .8.3. Nell’ambito di questo stesso indirizzo, vi sono state, poi, nella giurisprudenza di merito, alcune decisioni che, seppure con riferimento a fattispecie di responsabilità extracontrattuale, in maniera ancora più garantista verso l’investitore hanno po sticipato il dies a quo della prescrizione
ad un momento successivo al default dell’emittente (in un caso di investimento in obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina, il termine di decorrenza della prescrizione è stato fissato al momento dell’approvazione dell’offerta pubblica di scambio del 2005, quando era ormai chiaro che l o Stato Argentino non avrebbe pagato le cedole originarie e gli investitori avevano acquisito ‘ una chiara e sicura conoscenza del danno vale a dire della perdita del capitale investito ‘; in un’azione di responsabilità ext racontrattuale promossa nei confronti della banca statunitense Morgan Stanley , in relazione all’acquisto di obbligazioni Viatel , si è rilevato che il danno non può considerarsi verificato ‘ nell’immediatezza del default ma si andrà a compiutamente verificare solo nel momento in cui gli attori avranno definitiva consapevolezza dell’impossibilità di integrale recupero del loro credito, del quale la procedura concorsuale statunitense ha consentito via via parziali rientri ‘).
2 .8.4. Sempre sulla scorta del principio per cui la prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale decorre solo quando il danno sia ‘ oggettivamente percepibile all’esterno e riconoscibile da chi intenda chiederne il ristoro ‘, in un caso in cui non si era verificato il default dell’emittente si è ritenuto, invece, che il decorso del termine di prescrizione decennale dovesse computarsi dalla data in cui l’investitore aveva venduto i titoli acquistati realizzando una minusvalenza rispetto al prezzo di acquisto.
2 .8.5. In direzione diametralmente opposta rispetto all’impostazione tradizionale di cui si è detto, si è sviluppato, tuttavia, un diverso orientamento che individua il dies a quo del termine prescrizionale in esame nella data (certa) dell’inadempimento ( id est : nel momento in cui è stata posta in essere la violazione della regola di condotta contestata all’intermediario).
2.8.6. Tale tesi trova la sua principale espressione nella decisione di questa Corte n. 1547 del 2004, che, con riferimento alle azioni risarcitorie derivanti da inadempimento contrattuale in generale, ha statuito che la ratio di individuare il dies a quo per la decorrenza della prescrizione nel momento in cui il titolare del diritto ha contezza del pregiudizio va circoscritta alle ipotesi di responsabilità aquiliana, per la quale sono stabiliti ‘ ristretti limiti
temporali ‘. Al contrario, in caso di responsabilità contrattuale, il termine prescrizionale va individuato nella data dell’inadempimento, in quanto ‘ una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nell’ipotesi d’impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi d’impedimento di fatto al qual genere va ricondotta l’ignoranza del titolare, colpevole o meno ch’esso sia salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile d alla ratio dell’art. 2941 n. 8, c.c. ‘ (nel senso dell’irrilevanza, ai fini della decorrenza della prescrizione, degli impedimenti di carattere soggettivo o di mero fatto, va ricordata pure Cass. n. 20907 del 2017, secondo cui ‘ l’impossibilità di far valere un diritto, cui l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è esclusivamente quella derivante da cause di natura giuridica che ne ostacolino l’esercizio, senza che rilevino impedimenti di carattere soggettivo e ostacoli di mero fatto, dato che tra le tassative ipotesi di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 c.c. non rientrano né l’ignoranza del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza dello stess o ed il ritardo determinato dalla necessità del suo accertamento, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8] dello stesso articolo ‘).
2 .8.7. Il principio espresso ‘ in linea generale ‘ dalla Suprema Corte, per quanto ad oggi non univoco nella giurisprudenza di legittimità, negli ultimi anni, dunque, è stato sempre più diffusamente applicato dalla giurisprudenza di merito in materia di intermediazione finanziaria, la quale individua nella data di acquisto del titolo il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria derivante dalla violazione dei doveri informativi dell’intermediario. Al riguardo, si è sottolineata, anzitutto , l’esigenza di individuare una data certa svincolata dalle oscillazioni di valore dei titoli e dalle scelte meramente discrezionali ed arbitrarie dell’investitore. In questo senso: i ) si è rilevato che, ‘ se si dovesse accedere alla tesi … secondo la quale la prescrizione del diritto
a chiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale inizierebbe a decorrere non da quando l’intermediario sia venuto meno al doveroso comportamento di informare il cliente sulla rischiosità dei prodotti finanziari ma dal momento in cui l’investitore abbia contezza del declassamento o comunque della minusvalenza dei titoli, sarebbe difficile, se non impossibile, individuare una data certa, o peggio, si attribuirebbe all’investitore l’arbitrio di indicare una data a suo piacimento. Ciò in quanto un titolo subisce oscillazioni in negativo ed in positivo. Pertanto, l’unica data certa da cui poter ricollegare gli effetti sfavorevoli dell’investimento è quella in cui sono state ordinate le operazioni e in cui si sarebbero verificate le carenze informative di cui si dolgono gli attori ‘; ii ) si è ritenuto che ‘ la lesione del diritto alla protezione dell’investitore conseguente al mancato assolvimento degli obblighi informativi non sta nella sorte contingente del valore mobiliare comprato, giacché anche il titolo obbligazionario o azionario inconsapevolmente rischioso potrebbe rilevarsi in pratica vantaggiosissimo, bensì sta nel fatto stesso di aver acquistato un titolo pericoloso senza averne avuto contezza e, pertanto, si verifica contestualmente all’acquisto disinformato di titoli rischiosi, non dopo, a seconda che le quotazioni vadano bene o male, o magari per un po’ bene e per un po’ male. Ne discende che, in casi del genere, il dies a quo della prescrizione va quindi ancorato alla condotta inadempiente lesiva, non ai suoi imponderabili effetti posteriori, tra l’altro soggetto a continue fluttuazioni di mercato che renderebbero del tutto arbitraria l’identificazione del momento produttivo del danno (una perdita del 5% è già danno ai fini del decorso del termine prescrizionale, o ci vuole il 10% o forse il 20%? E se la quotazione del titolo recupera il 4% dopo aver perso il 5% il decorso della prescrizione è orami evidenziato) ‘.
2 .8.8. In questa direzione sembra muoversi, da ultimo, anche l’Arbitro delle Controversie Finanziarie, che afferma, in maniera costante, che il termine prescrizionale dell’azione di risarcimento per inadempimento dell’intermediario va computato a decorrere dalla contestata violazione delle regole di condotta gravanti sull’intermediario e non dall’imprecisato momento
in cui il danneggiato ha conosciuto, o avrebbe potuto conoscere, il danno ed il suo diritto di farlo valere. Significativa, in proposito, risulta l’affermazione rinvenibile nella decisione di detto Arbitro del 24 maggio 2021, n. 3794, laddove si assume di avere « già più volte chiarito, nei propri precedenti orientamenti sul tema (si veda da ultimo decisione 3 maggio 2021, n. 3697), le ragioni anche sistematiche per cui non può essere seguita la tesi del ricorrente che vorrebbe che pure nel caso di danno da perdita del valore dell’investimento conseguente a inadempimenti dell’intermediario degli obblighi informativi al momento dell’acquisto, alla stessa stregua di quanto avviene in altri ambiti disciplinari, il dies a quo sia identificato con il momento in cui il danno si è reso manifesto, dunque nel caso in esame il default. Si tratta, infatti, di una soluzione irragionevole ad avviso di questo Collegio, che assicura un ingiustificato regime di over protection dell’investitore, perché gli permette di fruire di uno strumento di fatto perpetuo per sterilizzare ogni investimento rivelatosi a distanza di anni di esito negativo, rendendo così sostanzialmente indistinguibile il confine tra danno causalmente riconducibile all’inadempimento dell’intermediario e mera p erdita economica conseguente alle semplici alee dell’operazione ». Parimenti, nella successiva decisione del medesimo Arbitro del 29 ottobre 2021, n. 4480, si legge, tra l’altro, che « Con riferimento al diritto al risarcimento del danno per inadempimento agli obblighi di corretta informazione, è avviso del Collegio -anch’esso oramai più volte affermato -che del pari il dies a quo della prescrizione si indentifichi con quello in cui si consuma l’inadempimento, anche perché in tali casi il danno si produce immediatamente nella sfera del cliente, essendo rappresentato dal pregiudizio alla possibilità di compiere una scelta consapevole; un danno che non è legato, dunque, al fatto in sé della perdita di valore del titolo, la quale del resto può dipendere, specie per gli investimenti a lungo termine come sono quelli azionari, anche da fatti che nulla hanno a vedere con eventuali carenze informative ».
2.9. Fermo tutto quanto precede, rileva il Collegio che la recente pronuncia di questa Corte n. 2066 del 2023 (resa in fattispecie riguardante domande dirette ad ottenere, in via principale, la dichiarazione di nullità di un
ordine di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina, impartito il 3 febbraio 1999, obbligazioni date in pegno alla banca a garanzia di un pari finanziamento e poi dalla banca medesima vendute a parziale soddisfazione del proprio credito, e, in via subordinata, il risarcimento dei danni per violazione del d.lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 26. Da questo secondo punto di vista, la pretesa era stata ancorata alla violazione degli obblighi informativi, alla mancata consegna del documento sui rischi generali, all’inadeguatezza dell’operazione, alla mancata osservanza della forma scritta e al conflitto di interessi) ha avuto modo di puntualizzare ( cfr . pag. 11-12 della motivazione) -in sostanziale continuità con quanto desumibile dalla già citata Cass. n. 1823 del 2022 -che, « Per l’incidenza sul termine di prescrizione, la corte d’appello ha errato nel sostenere che il pregiudizio risarcibile non poteva che essersi verificato nel momento in cui era stato impartito l’ordine di acquisto dei titoli argentini, o in quello in cui era stata fatta la ratifica dell’acquisto. L’affermazione non può trovare consenso visto che nell’azione di danni la prescrizione inizia a decorrere solo quando si manifesta il pregiudizio patrimoniale in concreto, e cioè la conseguenza dannosa rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta. È questo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto a un danno concretamente determinatosi (art. 2935 cod. civ.). D’altronde, la stessa sentenza riferisce che si trattava, nel caso concreto, di un’azione di risarcimento per inadempimento degli obblighi informativi previsti dal T.u.f. Pertanto, ai fini del risarcimento del danno contrattuale, per determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione occorreva verificare il momento in cui si fosse prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dall’ipotetico colpevole inadempimento del debitore (v. tra le moltissime Cass. n. 5504-12). E questo perché la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui, rispettivamente, ha luogo l’inadempimento e si concreta la manifestazione oggettiva del danno (v. Cass. n. 1889-18), avendo riguardo all’epoca di accadimento della conseguenza lesiva per come obiettivamente percepibile e riconoscibile ».
2.9.1. Questo Collegio condivide la riportata conclusione, altresì osservando, in proposito, quanto segue.
2.9.2. Innanzitutto, occorre premettere che qualsivoglia azione risarcitoria richiede il verificarsi/manifestarsi di un danno, non potendo trovare seguito l’assunto per cui la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, è suscettibile di tutela risarcitoria. L’azione suddetta, infatti, costituisce la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta illegittima/illecita dei terzi. Essa è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata. Il fatto costitutivo di tale azione, dunque, ove si versi in fattispecie di responsabilità contrattuale (come quella di cui oggi si discute, tenuto conto di quanto si è già detto in precedenza), non può coincidere senza residui con quello dell’ azione di inadempimento e/o risoluzione ma deve contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile. Ciò vuol dire tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, fra causalità materiale e causalità giuridica. Significative, in proposito, si rivelano alcune osservazioni di carattere generale rinvenibili nella sentenza resa da Cass., SU, n. 33645 del 2022, -pronunciatasi in fattispecie di danno da occupazione di immobile sine titulo , quindi di responsabilità extracontrattuale, ma con valenza, in parte qua , ragionevolmente estensibile a qualunque tipologia di azione risarcitoria -laddove si è spiegato ( cfr . pag. 17-19 della motivazione) che « La distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica è un’acquisizione risalente della giurisprudenza di questa Corte. Sul punto vanno richiamati gli arresti delle Sezioni Unite. Sia Cass. Sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576, che Cass. Sez. U. 11 novembre 2008, n. 26972, entrambe muovendo dall’ipotesi del danno non patrimoniale, hanno differenziato nell’ambito dell’illecito aquiliano la causalità materiale, rilevante ai fini dell’imputazione del danno evento (dommage o damnum) ad una determinata condotta secondo i criteri di responsabilità previsti dalla disciplina del fatto illecito, e la causalità giuridica, di cui sono espressione gli
artt. 1223 e 2056, la quale, in funzione di selezione delle conseguenze dannose risarcibili, attiene al nesso eziologico fra il danno evento ed il cd. danno conseguenza (préjudice o praeiudicium) , costituente l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria. Già prima delle richiamate pronunce delle Sezioni Unite vi erano state Cass. 16 ottobre 2007 n. 21619, le sentenze gemelle Cass. n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003, Cass. 24 ottobre 2003, n. 16004, tutte quante rese sempre in materia di danno non patrimoniale, e ancora prima Cass. 15 ottobre 1999, n. 11629. Anche nella giurisprudenza costituzionale, secondo la linea evolutiva che va da Corte cost. 14 luglio 1986 n. 184 a Corte cost. 27 ottobre 1994 n. 372, è emersa la distinzione fra danno evento e danno conseguenza. La distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica è stata da ultimo ripresa da Corte cost. 15 settembre 2022, n. 205. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che ‘ se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria ‘ (Cass. Sez. U. n. 576 del 2008), così temperando l’originario rigorismo della tesi della causalità giuridica presente nella dottrina che la introdusse. Secondo questa dottrina, la fattispecie della responsabilità risarcitoria si perfeziona con la verificazione del fatto, comprensivo dell’azione e dell’evento, mentre la causalità giuridica interviene solo in funzione selettiva del danno risarcibile all’esito di una responsabilità già accertata. Una simile visione resta n ell’alveo della prospettiva pan -penalistica dell’atto antigiuridico (non iure, nel senso di comportamento non giustificato dal diritto), mentre il punto di vista della moderna responsabilità civile, improntata al principio di solidarietà (art. 2 Cost.), è quello dell’allocazione del danno contra ius (‘ingiusto’, secondo la qualifica dell’art. 2043). Al rigorismo dell’originaria tesi dottrinale va obiettato che in assenza delle conseguenze previste dall’art. 1223 cod. civ. non vi è alcuna responsabilità risarcitoria da accertare perché non vi è danno da risarcire . . Il danno conseguenza assume rilevanza giuridica non per la mera differenza patrimoniale fra il prima e il dopo dell’evento dannoso, ma solo in quanto cagionato da un evento lesivo di un interesse meritevole di tutela ad un determinato bene della vita, secondo la fondamentale definizione contenuta in Cass. Sez. U. 22 luglio 1999, n. 500;
reciprocamente, l’evento di danno è giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno conseguenza quale concreto pregiudizio al bene della vita ».
2.9.3. Così precisati i termini della distinzione fra evento di danno e danno conseguenza, quale caposaldo della teoria del risarcimento del danno, e chiarita la necessità dell’elemento costitutivo ulteriore nella causa petendi della domanda risarcitoria rispetto a quella delle domanda di inadempimento e/o risoluzione contrattuale, diviene doveroso domandarsi in quale momento il soggetto che intraprenda un ‘ azione risarcitoria abbia eventualmente subito un danno causalmente riconducibile alla responsabilità (nella specie, contrattuale) della controparte evocata in giudizio. Posto, allora, che, come è intuitivo, sapere che da un certo comportamento è derivato un danno non è la stessa cosa che temere che un certo comportamento possa eventualmente provocare un danno, può subito concludersi, affatto ragionevolmente, nel senso che il termine di prescrizione di detta azione inizia a decorrere solo da quando il danno si è verificato (o, se si preferisce, manifestato).
2.9.4. È opportuno, peraltro, individuare correttamente non solo l’illecito da cui far scaturire il diritto al risarcimento del danno, ma anche il bene della vita tutelato dalle norme applicabili al caso di specie. Proprio in relazione a questo secondo profilo, allora, è innegabile che, alla stregua delle già richiamate disposizioni di cui all’art. 21 T.U.F. ( ‘ 1. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a] comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b] acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; …’ ) ed al l’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1998, ( rubricato ‘ Informazioni tra gli intermediari e gli investitori ‘, il cui comma 2 prevede che ‘ 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare con sapevoli scelte di investimento o
disinvestimento ‘ ), il bene della vita spettante al risparmiatore, come tutelato dalle norme appena richiamate, non è semplicemente il diritto a ricevere un’informativa diligente, corretta e trasparente, ma, soprattutto, il diritto ad assumere scelte d’investimento e disinvestimento ‘ consapevoli ‘, vale a dire effettuate all’esito di una ponderazione svolta su informazioni corrette e complete. Ne consegue che l’illecito non è costituito, esclusivamente, dalla puntuale violazione dell’obbligo informativo, fine a sé stessa, bensì comprende lo stato di ‘inconsapevolezza’ generato nel risparmiatore al momento de ll’assunzione, nel mantenimento e nella dismissione delle proprie scelte d’investimento.
2.9.5. In altri termini, la lesione della libertà negoziale (tale dovendosi considerare il fatto di aver acquistato un titolo pericoloso senza averne avuto contezza) non è, di per sé, produttiva di danni, sicché non può ancorarsi la decorrenza della prescrizione dell’azione risarc itoria de qua ad un momento nel quale non si è ancora realmente determinato un danno risarcibile. Quest’ultimo, invero, può concretizzarsi in via esemplificativa e senza alcuna pretesa di esaustività -allorquando accada un evento, quale può essere, nella specie, il default della emittente i titoli, che precluda, in tutto o in parte, la possibilità di recuperare il capitale investito oppure nel momento i cui i titoli stessi vengano disinvestiti, perché in tali evenienze può verificarsi, ragionevolmente, la perdita patrimoniale, che costituisce il danno di cui il cliente chiede il risarcimento ed un indefettibile presupposto dell’azione. È intuitivo, infatti, che fino a quando, in conseguenza dell’inadempimento, non si è prodotto un danno, di quest’ultimo non si può chiedere il risarcimento.
2.9.5.1. Si vuole dire, cioè, che, nelle fattispecie come quella in esame, l’illecito non può esser e inteso in senso strettamente puntuale, bensì va ricondotto in un’ottica più ampia , per cui la lesione della ‘ consapevolezza ‘ d’investimento del risparmiatore sussiste fin tanto che permane il presupposto informativo fallace, scorretto e negligente instillato dall’intermediario asseritamente infedele. Da ciò consegue che l’inconsapevolezza della scelta d’investimento, generata , appunto, da una scorretta o negligente informativa d i quest’ultimo , può essere rimossa da un
evento disvelatore dello stesso illecito (quale, ad esempio, nel caso di specie, il sopravvenuto default di Lehman Brothers ), che ha manifestato i reali rischi dell’investimento fino a quel momento celati ex adverso al risparmiatore. Evento, peraltro, da intendersi non già fondato su qualsivoglia percezione ‘ soggettiva ‘ del risparmiatore, bensì come un fatto esterno, sia esso notorio o, comunque, oggettivamente percepibile alla stregua del criterio della normale diligenza che deve assistere anche le scelte dell’investitore e la sua condotta successiva pendente l ‘intera durata dell’investimento , idoneo a disvelare, senza incertezze, la definitiva verificazione del danno consistente nella perdita, totale o parziale, della somma investita.
2.9.6 . Del resto, dal combinato disposto degli artt. 2935 (‘ La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ‘), 1218 (‘ Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ‘) e 1223 (‘ Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta ‘) del codice civile -questi ultimi due individuanti, rispettivamente, il titolo dell’azione ris arcitoria e l’oggetto della relativa richiesta emerge agevolmente che la tutela risarcitoria consta di tre presupposti indefettibili, vale a dire: i ) l’inadempimento del debitore agli obblighi contrattuali; ii ) l’imputabilità dell’inadempimento; iii ) il danno che ne consegue. Pertanto, se ancora non si è verificato/manifestato quest’ultimo, l’azione risarcitoria spettante al soggetto danneggiato nei confronti del danneggiante non può essere esercitata.
2.9.7 . Va sottolineato, pure, che a dover essere risarcito non è l’evento di danno in sé (ossia il fatto e/o la condotta, magari anche omissiva, dannosi come accadimento naturale), bensì il danno che si esteriorizza e cioè allorquando diviene ‘ oggettivamente percepibile e riconoscibile ‘, così introducendosi un principio di carattere mobile e rivitalizzante la stessa portata dell’art. 2935 cod. civ., che lega l’inizio della prescrizione al momento
in cui il ‘ diritto può essere fatto valere ‘. Pertanto, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, contrattuale o extra contrattuale, inizia a decorrere non dal momento della verificazione materiale dell’evento di danno, bensì dal momento della conoscibilità del danno inteso nella sua dimensione giuridica, cioè dal suo effettivo manifestarsi; un danno ingiusto, cioè, che non soltanto sia ‘ oggettivamente percepibile ‘ all’esterno (elemento della conoscibilità del danno), ma che -attraverso parametri oggettivi quali la diligenza esigibile all’uomo medio e d il livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico -possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa/dolosa di un terzo (requisito della rapportabilità causale). In altri termini, la prescrizione suddetta comincia a decorrere non già dalla data del fatto (condotta inadempiente), inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo, conosciuti o conoscibili.
2.9.8. Il principio così delineato (ossia, della conoscibilità del danno nella sua dimensione giuridica, rectius : del suo effettivo manifestarsi) trova applicazione, ai fini dell’individuazione dell’ exordium praescriptionis , in tutti i casi di esercizio del diritto al risarcimento del danno, con la precisazione, tuttavia, che il carattere mobile dell’iniziale dies a quo ed il suo ‘ spostamento in avanti ‘ si giustificherà esclusivamente nelle ipotesi in cui sia dato scindere, sotto il profilo temporale, il momento dell’accadimento materiale dell’evento di danno e quello, diverso, della ‘esteriorizzazione del danno’ nei termini sopra precisati. Infatti, è solo in questi casi -a differenza di quelli in cui si possa apprezzare la coincidenza tra la verificazione dell’evento di danno e la conoscibilità del danno ingiusto patito, con la conseguenza che, in questi ultimi, la decorrenza della prescrizione avrà inizio nel momento stesso in cui si è prodotto l’evento di danno, senza che vi sia uno ‘ spostamento in avanti ‘ del relativo dies a quo -, che l’individuazione di un ‘ dies a quo mobile ‘ è sorretto dalla ratio di evitare che il termine di prescrizione inizi a decorrere in assenza della manifestazione -da valutarsi alla stregua di circostanze
oggettive e della normale diligenza che si richiede ad un investitore per l’intera durata del proprio investimento di un danno ingiusto.
2.9.9. Ed è quanto avviene, innegabilmente, anche nelle ipotesi di responsabilità per danni reclamati dall’investitore e riconducibili alla violazione di obblighi informativi da parte dell’intermediario, fattispecie nella quale il primo si può accorgere dell’inadempimento informativo del secondo solo dal momento in cui, alternativamente o congiuntamente: a ) entra in possesso di tutte le informazioni e, quindi, può rendersi conto della carenza di quelle omesse dall’intermediario; b ) emerge il danno-perdita. Ciò, allora, consente di ritenere -così superandosi le contrarie affermazioni, sul punto, esposte dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (e ribadite oralmente nel corso della pubblica udienza) -che il rilievo circa la teorica configurabilità di un nesso causale presunto (salva prova contraria gravante sul danneggiante) tra danno ed omissione informativa certamente non esclude che il danno medesimo (laddove sia effettivamente sussistente, ben potendo dall’omissione predetta non d erivare alcun danno ove il titolo oggetto dell’investimento non abbia subito alcun evento pregiudizievole) si sia verificato/manifestato solo in un momento successivo alla condotta omissiva stessa, come accaduto nella specie, secondo quanto accertato dalla corte distrettuale, che ha individuato tale momento in quello del default del Gruppo Lehman Brothers .
2.9.10. Alteris verbis , il pretendere, come oggi vorrebbe la Banca ricorrente ( cfr . pag. 21 del ricorso), di far decorrere il termine prescrizionale, piuttosto che dalla data del default del Gruppo Lehman Brothers , da quella « di esecuzione degli ordini (dato oggettivo e ‘non soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto risarcitorio da parte del creditore, conoscenza che potrebbe essere colpevolmente ritardata pure per incuria del medesimo titolare del diritto ‘) » , comporta la palese confusione tra il momento dell’inadempimento della banca ai suoi obblighi informativi e quello in cui si è determinato il danno nel patrimonio del cliente (circostanza, peraltro, del tutto eventuale), potenzialmente ponendo l’irragionevole onere a carico del danneggiato di
esercitare, se del caso, l’azione risarcitoria prima ancora che si verifichino i suoi elementi costitutivi, ossia fin dal momento in cui si è verificata la condotta inadempiente, nonostante che il danno (ove effettivamente configurabile) non si sia ancora prodotto. In termini ancora più chiari, ragionare diversamente -e cioè far decorrere il termine di prescrizione dal momento dell’esecuzione dell’operazione, momento che coinciderebbe con l’inadempimento degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, e non dal momento in cui la perdita si manifesta -sarebbe illogico perché l’inadempimento alle obbligazioni contrattuali, soprattutto a contenuto informativo, non può andare a vantaggio dell’inadempiente, atteso che è proprio la mancanza di informazioni che rende il diritto non esercitabile. A ben vedere, infatti, e come si è già accennato, l’investitore si può accorgere dell’inadempimento informativo dell’intermediario solo dal momento in cui, alternativamente o congiuntamente: a ) entra in possesso di tutte le informazioni e, quindi, può rendersi conto della carenza di quelle omesse dall’intermediario; b ) emerge il dannoperdita, nel senso che quest’ultimo diviene oggettivamente percepibile dal danneggiato secondo la diligenza esigibile all’uomo medio ed il livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico, posto che proprio da tale oggettiva percepibilità scaturisce il necessario presupposto logico dell’azione risarcitoria (che si aggiunge all’evento da cui deriva l’illecito contrattuale), vale a dire l’indispensabile interesse ad agire da parte del danneggiato. Opinare, invece, nel senso che il dies a quo della prescrizione sia quello della sottoscrizione dell’ordine (come oggi preteso dalla ricorrente) equivale, in sostanza, ad affermare che l’investitore dovrebbe procedere alla tutela risarcitoria del proprio diritto in un momento in cui la perdita e, quindi, il danno, non si è ancora prodotto (e potrebbe addirittura non prodursi): in un momento, cioè, in cui nemmeno sussis te, in capo all’investitore, lo specifico interesse ad agire, condizione necessaria, ex art. 100 cod. proc. civ., per poter proporre la corrispondente azione in ambito giudiziario. Del resto, sarebbero chiaramente improponibili eventuali azioni autonome di mero accertamento con riferimento a fatti che, seppure giuridicamente rilevanti, integrino solo
elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, il quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua interezza, vale a dire, nella specie, il diritto al risarcimento del danno, che richiede l’accertamento non solo dell’illecito, ma anche del danno patrimoniale concretamente subito, nonché del relativo nesso di causalità.
2.9.11. A tanto deve aggiungersi, poi, che l’affermazione secondo cui nell’azione di danni, per responsabilità contrattuale o extracontrattuale, la prescrizione inizia a decorrere solo quando si manifesta il pregiudizio patrimoniale in concreto, e cioè la conseguenza dannosa rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta, questo essendo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto ad un danno concretamente determinatosi, appare sostanzialmente coerente -o, se si preferisce, certamente non in contrasto -con quanto sancito nella recente pronuncia della Corte costituzionale n. 35 del 2023 (sebbene, è doveroso puntualizzarlo, con riferimento ad una vicenda riguardante un termine di decadenza e non di prescrizione), la quale, nel sancire la incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 ( Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati ), nella parte in cui fa decorrere il termine triennale di decadenza per la richiesta di indennizzo del danno vaccinale da quando l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno e non da quando ha saputo anche della sua indennizzabilità, ha osservato -in una fattispecie in cui i genitori di una bambina danneggiata dal vaccino contro il morbillo avevano chiesto l’indennizzo oltre il triennio da quando si era manifestato il danno e tuttavia prima che il danno stesso, in quanto causato da vaccinazione all’e poca non obbligatoria, ma solo raccomandata, fosse dichiarato indennizzabile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 107 del 2012 -che « L’effettività del diritto alla provvidenza dei soggetti danneggiati da vaccinazioni impone, , di far decorrere il termine perentorio di tre anni per la presentazione della domanda, fissato dall’art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, dal momento i n cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza dell’indennizzabilità del danno. Prima di tale
momento, infatti, non è possibile che il diritto venga fatto valere, ai sensi del principio desumibile dall’art. 2935 cod. civ. ».
2.9.12. Va ribadito, dunque, in sostanziale continuità con quanto opinato dalle già citate Cass. n. 1823 del 2022 e Cass. n. 2066 del 2023, che il termine prescrizionale decennale per l’esercizio, da parte del cliente/investitore, dell’azione di risarcimento danni nei confronti dell’intermediario, per responsabilità contrattuale dello stesso derivante da inadempimento agli obblighi informativi su di lui gravanti in occasione di operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione di un “contratto quadro’ stipulato con il primo, inizia a decorrere solo quando si manifesta in concreto, per il cliente/investitore medesimo, il pregiudizio patrimoniale, e cioè la conseguenza dannosa da lui oggettivamente percepibile, secondo il metro dell’ordinaria diligenza, e rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta, questo essendo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto ad un danno effettivamente determinatosi.
2.10. L’individuazione, poi, di quale sia il momento in cui, per il cliente/investitore, divenga o sia divenuto realmente percepibile il danno lamentato è un’indagine che deve muovere, necessariamente, da un triplice rilievo: i ) innanzitutto, dalla natura affatto peculiare dei beni (titoli azionari e/o obbligazionari; derivati e prodotti simili; etc.) generalmente oggetto delle fattispecie di intermediazione mobiliare come quella di cui oggi si discute. Si tratta, infatti, di beni che, proprio per le loro caratteristiche tipiche, non sono assimilabili ad altri beni mobili (ed alla disciplina per essi invocabile nell’ipotesi di azioni risarcitorie eventualmente derivante dalle vendite che li riguardino); ii ) in secondo luogo, dal fatto che, nel caso degli investimenti finanziari, è palese che un danno risarcibile ex art. 1223 cod. civ. non può essere provocato dal normale andamento del valore e/o prezzo del titolo sul mercato secondario, in quanto tale circostanza, vale a dire la fluttuazione del titolo stesso, è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari (soprattutto laddove si sia al cospetto di titoli azionari). È necessario, invece, un quid pluris , se del caso anche un evento ‘anomalo’ , che, al contempo, disveli il rischio taciuto
dall’intermediario e concretizzi la lesione patrimoniale ; iii ) dalla peculiarità della fattispecie di cui all’art. 94 del d.l.gs n. 58 del 1998, la quale postula l’esistenza e l’avvenuta pubblicazione di un prospetto informativo di cui, dunque, l’investitore è edotto, o almeno avrebbe potuto esserlo secondo l’ordinaria diligenza, già al momento dell’investimento. Circostanza, questa, che non sempre ricorre in altre ipotesi di investimenti.
2.10.1. Ecco, allora, che un tale momento non può che dipendere dalle circostanze del singolo caso concreto (ed il relativo accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, perché presuppone indagini di natura fattuale notoriamente precluse in sede di legittimità, sicché diviene sindacabile da questa Corte solo sotto il profilo motivazionale e nei limiti di quanto l’attuale art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., ove concretamente invocabile, lo consenta), -nel caso di specie esso è stato in dividuato all’atto del default del Gruppo Lehman Brothers (risalente al settembre 2008) -a tal fine essendo doveroso ricordare che l’eccezione di prescrizione si concreta in un fatto estintivo della pretesa della controparte che onera colui che la propone di indicarne e provarne le circostanze fattuali su cui fonda, rimanendo, altrimenti, a suo carico, le conseguenze negative della loro mancata o insufficiente dimostrazione ( cfr. art. 2697 cod. civ.).
2.10.2 . Quest’ultima precisazione consente anche di superare l’assunto per cui, al fine qui in discussione, non può assumere rilievo un evento (ossia il default predetto) patologico e, se si vuole, pure eccezionale, che si verifica, concretamente, in pochissime occasioni, in quanto il destino della maggioranza dei titoli immessi sul mercato non è certo quello di ‘assistere’ alla dichiarazione di insolvenza dell’e mittente, bensì di essere rimborsati, scambiati o comunque di continuare a rappresentare il capitale di rischio di società in bonis . Non vi è chi non veda, invero, che proprio quanto si appena detto circa l’onere di allegazione e prova, a carico dell’intermediario, circa il fatto da lui posto a fondamento dell’eccepita prescrizione estintiva dell’azione risarcitoria intrapresa nei suoi confronti da un cliente/investitore, ben consente all’intermediario medesimo di indicare specifiche circostanze fattuali da cui intenda ricavare la oggettiva percepibilità del danno subito da
quest’ultimo a decorrere da un momento anteriore da quello da lui allegato, dovendone, tuttavia, fornire la prova corrispondente, in assenza (o in ipotesi di insufficienza) della quale lo stesso rimarrà, sul punto, soccombente.
2.11. Esigenze di completezza, poi, impongono di rimarcare che la soluzione interpretativa fin qui argomentata non si pone in contrasto con quanto sancito dalla recentissima sentenza resa da Cass. n. 30439 del 2024, che, affrontando il diverso problema della decorrenza degli interessi compensativi nell’ipotesi di risarcimento del danno subito dall’investitore per non aver ricevute informazioni dall’intermediario, ha stabilito che gli stessi decorrono dalla data dell’inadempimento, individuato in quello della sottoscrizione dei titoli.
2.11.1. In particolare, si legge nella menzionata sentenza che ( cfr. pag. 15 della sua motivazione), «, con riferimento al risarcimento del danno per inadempimento da parte dell’intermediario degli obblighi informativi sullo stesso gravanti, la condotta inadempiente priva l’investitore del diritto a una scelta realmente consapevole in ordine alla tipologia di investimento da effettuare (cfr. Cass. 11 novembre 2019, n. 33596; Cass. 28 luglio 2020, n. 16126; Cass. 17 aprile 2020, n. 7905) e, di regola, si colloca in un momento temporale distinto rispetto a quello in cui si verificano le relative conseguenze dannose. Ne consegue che in presenza di tali conseguenze dannose occorre che l’investitore sia reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se la condotta inadempiente non fosse stata posta in essere e ciò va assicurato mediante il riconoscimento in suo favore di un importo pari all’investimento perduto ed erogato al momento della conclusione dell’operazione, rivalutato per adeguarlo al mutato potere d’acquisto e con l’aggiunta degli int eressi compensativi a decorrere da tale momento al fine di risarcirlo per la mancata disponibilità della somma inconsapevolmente investita a causa della condotta illecita dell’investitore, e previe riduzioni derivanti da altri proventi eventualmente nelle more conseguiti ».
2.11.2. Posta, allora, la differenza cronologicamente esistente, e di cui si ampiamente dato conto in precedenza, tra momento dell’inadempi mento e
quello di manifestazione del danno, ben può ritenersi, affatto ragionevolmente, che mentre il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria dei danni decorre dalla manifestazione del danno (nel caso di specie, dunque, -in assenza di una diversa dimostrazione, il cui onere gravava sulla banca eccipiente, di un momento ad esso anteriore – dal default del titolo Lehman Brothers ), quello di decorrenza degli interessi predetti decorre dal momento dell a condotta inadempiente dell’intermediario (che è, innegabilmente, quello in cui, al momento della sottoscrizione dei titoli, lo stesso non fornisce all’investitore le informazioni dovutegli): ciò perché va assicurata la integrità del risarcimento invocato, sicché, necessariamente, dovrà ristorarsi l’investitore del fatto di aver versato il corrispettivo dei titoli in quel momento (pur essendosi il danno causalmente ricollegabile a quell’inadempimento obbiettivamente manifestato solo in un momento successivo).
2.12. La sentenza impugnata si rivela, dunque, in parte qua , coerente con le argomentazioni tutte fin qui esposte, sicché la doglianza in esame deve essere respinta, contestualmente enunciandosi i seguenti principi di diritto:
« In tema di intermediazione finanziaria, il termine prescrizionale decennale per l’esercizio, da parte del cliente/investitore, dell’azione di risarcimento danni nei confronti dell’intermediario, per responsabilità contrattuale dello stesso derivante da inadempimento agli obblighi informativi su di lui gravanti in occasione di operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione di un “contratto quadro’ stipulato con il primo, inizia a decorrere solo quando si manifesta in concreto, per il cliente/investitore medesimo, il pregiudizio patrimoniale, e cioè la conseguenza dannosa da lui oggettivamente percepibile, secondo il metro dell’ordinaria diligenza, e rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta, questo essendo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto ad un danno effettivamente determinatosi».
« L’individuazione di quale sia il momento in cui, per il cliente/investitore, divenga o sia divenuto realmente percepibile il danno da ascriversi a ll’intermediario inadempiente ai propri obblighi informativi dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e la relativa indagine deve
necessariamente tenere conto , tra l’altro : i) della natura affatto peculiare dei beni (titoli azionari e/o obbligazionari; derivati e prodotti simili; etc.) generalmente oggetto delle fattispecie di intermediazione mobiliare, trattandosi di beni che, proprio per le loro caratteristiche tipiche, non sono assimilabili ad altri beni mobili; ii) del fatto che, nel caso degli investimenti finanziari, un danno risarcibile ex art. 1223 cod. civ. non può essere provocato dal normale andamento del valore e/o prezzo del titolo sul mercato secondario, in quanto tale circostanza, vale a dire la fluttuazione del titolo stesso, è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari (soprattutto laddove si sia al cospetto di titoli azionari). È necessario, invece, un quid pluris , se del caso anche un evento ‘anomalo’, che, al contempo, disveli il rischio taciuto dall’intermediario e concretizzi la lesione patrimoniale ».
3. Il secondo motivo di ricorso, infine, è rubricato « Violazione e/o falsa applicazione delle norme (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 1453, 1455 e 1223 c.c.) nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto sufficientemente allegata la domanda risarcitoria degli appellanti parametrata alla misura delle restituzioni ». Le censure ivi argomentate sono state così conclusivamente sintetizzate ( cfr. pag. 23-24 del ricorso): « 1) la pronuncia di appello erroneamente assimila (sotto il profilo dell’onere di allegazione e prova, sia dell ‘an che del quantum ) il risarcimento alla restituzione, senza pronunciarsi sulla risoluzione; in effetti, dapprima invoca l’autonomia della domanda di risarcimento da quella di risoluzione, poi, però, (contraddittoriamente) parametra la misura del risarcimento alle restituzioni (che sono legate alla domanda di risoluzione, prescritta e, dunque, non esaminabile). Quindi, il giudice di appello erra nel parametrare apoditticamente la misura del risarcimento a quella delle restituzioni; ed erra nel non ritenere di ricavare aliunde la misura del risarcimento, posto che ha considerato prescritta e, dunque, non esaminabile la domanda di restituzione; 2) inoltre la pronuncia di appello omette completamente di pronunciarsi sulla circostanza che, in difetto di risoluzione, l’inadempimento potrebbe essere di scarsa importanza e, dunque, disancorato rispetto alle restituzioni (che sono
figlie della risoluzione e, dunque, di un inadempimento grave); 3) infine, la pronuncia di appello omette ancora una volta di qualificare l’inadempimento della banca come precontrattuale ovvero come contrattuale, circostanza che in alcun modo può ritenersi implicita. E così, dal momento che, a tutto voler concedere, la responsabilità della banca sarebbe di natura precontrattuale, si esulerebbe dal contesto dei rimedi di cui all’art. 1453 c.c.: non ci sarebbe risoluzione, conseguentemente restituzione e, dunque, parametro per il risarcimento del danno, così come erroneamente ritenuto dall’impugnata sentenza ».
3.1. Anche tale doglianza è complessivamente insuscettibile di accoglimento.
3 .2. Invero, quanto all’autonomia dell’azione di risarcimento danni da inadempimento contrattuale rispetto all’azione di risoluzione contrattuale, è sufficiente qui -per intuibili ragioni di sintesi -il richiamo a quanto si è già ampiamente argomentato nei precedenti §§ 2.6., 2.6.1. e 2.6.2. di questa motivazione.
3.3. Parimenti, con riguardo alla natura contrattuale (e non precontrattuale) della responsabilità della Banca odierna ricorrente e del perché di una tale conclusione, basti qui -per analoghe esigenze di sintesi -il rinvio a quanto si è già esposto nei precedenti §§ 2.5., 2.5.1. e 2.5.2. di questa motivazione.
3 .4. Infine, proprio la spiegata autonomia dell’azione risarcitoria da inadempimento contrattuale rispetto a quella di risoluzione per il medesimo inadempimento, consente di affermare, come si è già precedentemente riferito, che il presupposto di entrambe è l’accertamento dell’inadempimento, ma che quest’ultimo incide diversamente, dovendo essere di non scarsa importanza per accogliere la domanda di risoluzione e fungendo soltanto da parametro di valutazione per la domanda risarcitoria ( cfr . Cass. n. 22277 del 2023; Cass. n. 15770 del 2000).
3.4.1. Ne deriva, quindi, che nulla impedisce a chi esperisca la prima delle azioni suddette di quantificare l’invocato risarcimento nel medesimo importo cui avrebbe avuto diritto, sebbene a titolo (evidentemente diverso da quello
risarcitorio) di restituzione, né al giudice di utilizzare, in via parametrica, quello stesso importo ove ritenga fondata l’azione così promossa e dimostrato, in quei termini, il danno subito dall’istante ( cfr . sostanzialmente in tale senso, Cass. n. 8353 del 2023, pag. 9 della motivazione, recante il richiamo alla precedente Cass. n. 9027 del 2009).
3.4.2. In questo senso, dunque, è senz’altro corretta l’affermazione della corte distrettuale secondo cui la somma investita può essere anche recuperata « sulla base di diverso titolo giuridico, quello, cioè, meramente risarcitorio, e ciò quando, per effetto dell’inadempimento dell’intermediario, si sia avuto il totale azzeramento dell’investimento. Nel caso, invece, di perdite parziali, la liquidazione del danno non potrà che avvenire utilizzando come basilare criterio estimativo del pregiudizio il prezzo di acquisto dei titoli » ( cfr . pag. 14 della sentenza impugnata).
3.4.3. Pertanto, nessuna assimilazione della domanda risarcitoria, rispetto a quella (ritenuta prescritta analogamente a quella di risoluzione per inadempimento), diversa, di ripetizione degli importi investiti, può ascriversi alla corte suddetta, la quale, molto più semplicemente (oltre che affatto correttamente), ha utilizzato come parametro di inziale riferimento del danno lamentato dagli attori/appellanti gli importi da essi rispettivamente investiti, per poi addivenire alla concreta determinazione di quanto spettante a ciascuno di essi tenendo conto di quanto da loro rispettivamente già ricevuto per cedole annuali sui titoli de quibus dal 10 dicembre 2003 al 9 settembre 2007 e di quanto medio tempore restituitogli dalla procedura di insolvenza del Gruppo Lehman Brothers.
4 . In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a. deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il
versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di Banca Popolare dell’Alto Adige s.p.a. e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dai controricorrenti che si liquidano in € 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile