Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13181 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13181 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
R.G.N. 29005/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 26/03/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 29005-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 72/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/03/2019 R.G.N. 374/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE volto a riqualificare il rapporto intercorso tra le parti tra il 2007 e il 2009 come rapporto di agenzia piuttosto che di procacciamento di affari, con conseguente condanna della società al pagamento di somme dovute a titolo di ‘differenza tra le retribuzioni percepite e quelle dovute’, di indennità ex art. 1751 c.c., di risarcimento del danno ex art. 1751, comma 4, c.c., di ‘indennità meritocratica’, di ‘indennità di incasso’, di ‘danno previdenziale’, di risarcimento del danno per la mala fede nell’esecuzione del contratto;
la Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto che i crediti inerenti alle differenze provvigionali e all’indennità per maneggio denaro fossero prescritti per decorrenza del termine quinquennale; che la domanda risarcitoria in relazione a tali crediti, in quanto introdotta per la prima volta in sede di appello, fosse inammissibile; che il richiedente fosse ‘decaduto dal diritto al pagamento delle indennità previste dall’AEC, indennità meritocratica e di cessazione del rapporto’; che nulla avesse il Rollo ‘alleg ato e provato in ordine alla propria posizione previdenziale ed all’eventuale danno pensionistico correlato alla omissione contributiva’; che mancasse anche ‘qualsiasi elemento di fatto utile al fine dell’accertamento dell’esistenza e della quantificazione del danno’ preteso per ‘la violazione dei doveri informativi’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con dieci motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla medesima parte ricorrente;
1.1. il primo denuncia: ‘Violazione artt. 2935 c.c. e 2941 c.c., n.8, nonché dell’art.115 c.p.c. … anche alla luce dell’art. 1375 c.c. e 1749 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360, n.ri 3, 4 e 5 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto sospesa la prescrizione del diritto, in virtù del dolo della preponente, consistito nell’omessa trasmissione di informazioni fondamentali, prescritte dalla legge’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione artt. 2934 c.c. e ss. in relazione all’art.2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art.416 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.ri 3 e 4 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per non aver rilevato l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione del credito proposta dalla Preponente, in quanto generica e priva di allegazioni, nonché dell’avvenuta consegna dei resoconti provvigionali’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione degli artt. 345 e 420 c.p.c. oltre che dell’art.112 c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, n.ri 3 e 4 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver affermato che la richiesta di applicabilità della prescrizione ordinaria nel caso di specie fosse domanda nuova, inammissibile in sede d’appello’;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘Violazione ed errata applicazione artt. 2946 e 2948 c.c., n.4, in relazione all’art. 360,
n.ri 3 e 4 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver erroneamente applicato la prescrizione quinquennale, non rientrando i crediti derivanti da rapporto di agenzia tra quelli che devono essere pagati periodicamente’;
1.5. il quinto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione artt. 2946 e 2948 c.c., n.4, in relazione all’art. 360, n.ri 3 e 5 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver erroneamente applicato la prescrizione quinquennale all’indennità di incass o a danno della prescrizione ordinaria, non rientrando quei crediti tra gli elementi essenziali del contratto di agenzia, ma costituendo prestazione accessoria e ulteriore’;
1.6. il sesto motivo denuncia: ‘Violazione degli artt. 132 c.p.c., comma 2, n.4, art.156 c.p.c., comma 2, art.161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., oltre che art. 111 cost. comma 2, nonché vizio di motivazione anche in relazione all’art. 1751 c.c. e all’Acco rdo Collettivo Agenti del 16 febbraio 2009 in relazione all’art. 360, n.ri 3, 4 e 5 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per non aver motivato l’illegittima estensione dei casi di esclusione dell’indennità ex art. 1751 c.c. alla normativa dell’ac cordo economico collettivo, settore commercio 2009’;
1.7. il settimo motivo denuncia: ‘Violazione degli artt. 132 c.p.c., comma 2, n.4, art.156 c.p.c., comma 2, art.161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., oltre che art. 111 cost. comma 2, anche alla luce dei poteri di cui all’art.421 c.p.c., nonché difetto di motivazione e omessa valutazione di un fatto decisivo. Violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. alla luce dell’art. 1218 c.c. … difetto di motivazione e omessa valutazione di prove (art. 360, n.ri 3, 4 e 5 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente la prova del danno pensionistico’;
1.8. l’ottavo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. anche alla luce del portato normativo di cui agli artt.1751 c.c. e agli artt.1749, co. 2 c.c. e all’art.7 co.3 dell’A.E.C. commercio. Violazione degli artt. 2697 c.c. e 2727 e ss. c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, 4 e 5 c.p.c.’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente la prova del risarcimento del danno per omessa trasmissione delle informazioni prescritte dalla legge’;
1.9. il nono motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art.2739 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, 4 e 5 c.p.c.’; si censura la sentenza impugnata per aver omesso la pronuncia sul richiesto giuramento decisorio’;
1.10. il decimo motivo denuncia: ‘Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.)’; ‘si censura la sentenza impugnata per aver illegittimamente condannato il ricorrente alle spese legali di entrambi i gradi di giudizio’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo presenta concorrenti profili di inammissibilità per come è formulato;
innanzitutto, nello stesso motivo, si evoca contestualmente la violazione dei numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo un’adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, ‘di censure caratterizzate da irredimibil e eterogeneità’ (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; Cass.
n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019; Cass. n. 36881 del 2021);
in particolare, le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 16990 del 2017) hanno persuasivamente rilevato come ‘la sovrapposizione di censure di diritto, sostanziali e processuali, non consente alla Corte di cogliere con certezza le singole doglianz e prospettate’, atteso che ‘la tipizzazione dei motivi di ricorso comporta, infatti, che il generale requisito della specificità si moduli, in relazione all’impugnazione di legittimità, nel senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzato con l’espressione della cd. duplice specificità, essendo onere del ricorrente argomentare la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge’;
inoltre, si invoca impropriamente la violazione dell’art. 115 c.p.c., atteso che, come di ribadito da Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020, per dedurre la violazione di detta disposizione è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
quanto al preteso errore di percezione che sarebbe stato commesso dalla Corte territoriale questa Corte, ancora a Sezioni unite, ha oramai chiarito che: «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’a rticolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024);
la decisione ha pure evidenziato che, ‘se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, , rendendo pervio l’articolo 115 c.p.c. ben oltre il significato che ad esso è riconosciuto (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle «carte» processuali, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristinerebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più’, assegnando ‘alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito’;
infine, la censura è volta, nella sostanza, a contestare un accertamento di fatto in ordine all’esistenza di un occultamento doloso del debito, contemplato dal n. 8 dell’art. 2941 c.c. come causa di sospensione, che la Corte territoriale ha ritenuto non
sussistere sulla base della mera violazione di obblighi informativi, in quanto il Rollo, ‘in seguito alla stipulazione dei contratti dal medesimo conclusi, disponeva degli elementi utili per richiedere una verifica dei resoconti e della correttezza degli importi liquidati, né risulta -continua la Corte -che il medesimo abbia mai chiesto chiarimenti in merito ai criteri di calcolo delle provvigioni o all’ammontare delle stese nel corso del rapporto di lavoro o successivamente nel termine quinquennale’;
rispetto a tale apprezzamento chi ricorre sollecita una diversa valutazione ovviamente preclusa in questa sede di legittimità;
2.2. il secondo motivo , che contesta l’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione come formulata dalla società, è da respingere;
infatti, la prescrizione era stata già accolta dal giudice di primo grado e non viene specificato come la questione dell’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione sia stata devoluta in appello;
in mancanza di indicazione, nell’illustrazione del motivo, dei contenuti dell’atto processuale dai quali risulti che detta questione era stata ritualmente sottoposta all’attenzione del Collegio del gravame, ogni ulteriore delibazione è preclusa a questa Corte;
2.3. il terzo motivo – con cui si contesta la statuizione della Corte territoriale nel punto in cui ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria proposta per la prima volta in appello – non è accoglibile;
oltre i profili di inammissibilità derivanti dal non avere riportato nel motivo i contenuti della domanda introduttiva e dei motivi di gravame, onde consentire la delibazione dell’ error in procedendo denunciato, occorre rilevare che la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte
secondo cui, una volta proposta una domanda di adempimento del contratto -nella specie la domanda di condanna al pagamento delle maggiori provvigioni ritenute dovute -risulta inammissibile la domanda risarcitoria introdotta in corso di causa (cfr. Cass. n. 6161 del 2004; Cass. n. 17144 del 2006; Cass. n. 13953 del 2009, cui si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
in ogni caso, chi ricorre argomenta che la domanda risarcitoria in appello configurerebbe una mera emendatio libelli , trascurando di considerare il principio secondo cui: ‘Nel rito del lavoro, la disciplina della fase introduttiva del giudizio – e a maggior ragione quella del giudizio d’appello – risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 437 cod. proc. civ., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al petitum che alla causa petendi , neppure nell’ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, e non è, pertanto, consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, anche quando il bene richiesto rimanga immutato, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una emendatio libelli , permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge’ (tra le altre, Cass. n. 17176 del 2014 e Cass. n. 15886 del 2002);
2.4. il quarto motivo è infondato perché parte ricorrente non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, secondo la quale il diritto dell’agente alle provvigioni si prescrive
in cinque anni ex art. 2948 c.c. (Cass. n. 11024 del 2007; Cass.
n. 15069 del 2008);
2.5. analogamente risulta infondato il quinto motivo, atteso che anche per l’indennità di incasso rivendicata dall’agente vale la prescrizione quinquennale, una volta che ne siano ravvisati i presupposti affinché venga separatamente compensata, nel caso in cui l’incarico sia conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto (cfr. Cass. n. 17572 del 2020, tra le altre);
2.6. anche il sesto motivo con cui si denuncia un ‘vizio di motivazione’, evocando la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., ‘in relazione all’illegittima estensione dei casi di esclusione dell’indennità ex art. 1751 c.c.’ – non può trovare accoglimento;
è noto che le Sezioni unite di questa Corte (Cass., SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo
contro
llo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).
il che certamente non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per confermare quanto già ritenuto in prime cure e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente;
in ordine all’applicabilità del termine annuale di decadenza di cui all’art. 1751 c.c. anche alle indennità di cessazione del rapporto previste dagli accordi economici collettivi degli agenti di commercio, i giudici del merito hanno argomentato che ‘i pres upposti per l’erogazione delle indennità di cui all’AEC devono essere sempre ricondotti all’ordinamento comunitario, di cui costituiscono attuazione interna, ed in particolare alle norme contenute nella direttiva europea 86/653/CEE, art. 17, comma 5’, secondo cui ‘l’agente commerciale perde il diritto all’indennità di cui al paragrafo 2 o alla riparazione del pregiudizio di cui al paragrafo 3, se ha omesso di notificare al preponente, entra un anno dall’estinzione del contratto, l’intenzione di far valere i propri diritti’, in coerenza con quanto ha più volte affermato questa Corte giudicando che un congruo termine di decadenza, quale quello di un anno, non può ritenersi in alcun modo pregiudicare i diritti del lavoratore (cfr. Cass. n. 11783 del 2012 e Cass. n. 9348 del 2013);
una volta ritenuta la ‘decadenza dal diritto alle indennità previste dall’AEC’, correttamente la Corte piemontese ha poi ritenuto assorbito il motivo di appello concernente l’interpretazione dell’art. 13 dell’Accordo del 2009 che subordina la corresponsione delle indennità allo scioglimento del contratto
‘ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente’;
2.7. il settimo motivo presenta i pregiudiziali profili di inammissibilità nella sua formulazione già evidenziati al paragrafo 2.1., evocando promiscuamente e contestualmente i vizi di cui ai numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c. e lamentando una ‘omessa valutazione di un fatto decisivo’ in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza della cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022);
neanche sussiste il denunciato ‘difetto di motivazione’, anche perché la sentenza impugnata è conforme al principio per il quale l’azione attribuita al lavoratore dall’art. 2116 c.c. per il conseguimento del risarcimento del danno patrimoniale -consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante -presuppone, oltre che l’intervenuta prescrizione del credito contributivo, anche che siano maturati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale (cfr. Cass. n. 15947 del 2021), mentre il motivo in esame non confuta adeguatamente l’assunto della Corte territoriale secondo cui il COGNOME ‘nulla ha allegato e provato in ordine alla propria posizione previdenziale ed all’eventuale danno pensionistico correlato alla omissione contributiva’;
2.8. parimenti inammissibile l’ottavo motivo, con cui si lamenta il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi;
non solo si utilizza la consueta tecnica di formulazione, già censurata con riguardo al primo e al settimo motivo, atteso che si denuncia promiscuamente la seriale violazione di una pluralità
di norme processuali e sostanziali, oltre che di A.E.C., senza il rispetto del canone di specificità del motivo ma la doglianza non si rapporta adeguatamente neanche con la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto che ha disatteso la richiesta di risarcimento in via equitativa del danno ‘in assenza di qualsiasi elemento di fatto utile ai fini dell’accertamento della esistenza e della quantificazione del danno’;
chiaramente l’apprezzamento in ordine alla deduzione di elementi fattuali tali da consentire l’accertamento e la quantificazione del danno compete al giudice di merito, cui non può surrogarsi il giudice di legittimità;
2.9. il nono motivo, con cui ci si duole della mancata pronuncia sulla richiesta di giuramento decisorio, non è accoglibile;
premesso che i capitoli del giuramento decisorio devono essere formulati in modo che il destinatario possa, a sua scelta, giurare e vincere la lite o non giurare e perderla, sicché, a seguito della prestazione del giuramento, al giudice non resta che verificare l’ an iuratum sit , per accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto (tra le recenti, Cass. n. 29614 del 2023), resta fermo che per il giuramento decisorio, in quanto mezzo ordinato a troncare la lite mediante il supremo appello che una parte fa alla coscienza dell’avversario, pur dovendo essere ammesso anche quando i fatti dedotti siano stati accertati o esclusi dalle risultanze di causa e anche se sia stato deferito in via subordinata, è pur sempre necessario che i fatti per i quali è deferito abbiano il requisito della decisività (Cass. n. 16216 del 2019; Cass. n. 10653 del 1994);
nella specie i capitoli deferiti sono rivolti ad accertare il fondamento dei crediti vantati ma, nella specie, i giudici del merito hanno respinto le pretese creditorie o perché maturata la prescrizione (non presuntiva) o in quanto processualmente
inammissibili, di modo che il deferito giuramento risulta privo della necessaria decisività;
2.10. il decimo motivo, relativo alla condanna alle spese del doppio grado, è inammissibile perché fondato sul presupposto, rivelatosi errato, della fondatezza delle censure proposte col ricorso per cassazione;
pertanto, alla stregua delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 26 marzo 2025.