Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7942 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 497/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME, p.e.c.: EMAIL
-ricorrente –
contro
SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), in persona del socio unico NOME COGNOME -intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Milano n. 1708/2021,
pubblicata in data 26 maggio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo, ottenuto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con cui si chiedeva il pagamento di fatture emesse a seguito di plurimi servizi di trasporto di persone, eccependo, in via preliminare, la prescrizione del credito azionato.
L’ opposta, al fine di confutare la contrapposta eccezione, replicò che tra le parti era intercorso un contratto di appalto di servizi, al quale non si applicava l’art. 2951 cod. civ.
Il Tribunale di Como, accogliendo l’ eccezione, revocò il decreto ingiuntivo.
L a Corte d’appello di Milano, investita del gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha confermato la sentenza di primo grado, osservando che trovava applicazione il termine annuale di prescrizione, previsto dall’art. 2951 cod. civ., anche quando le varie prestazioni di trasporto erano state rese in esecuzione di un unico contratto (misto) di appalto di servizi di trasporto, e che non era pertinente, al caso di specie, il richiamo alla normativa che disciplinava il contratto di noleggio con conducente (legge 11 agosto 2003, n. 218).
Nel disattendere la dedotta erroneità del calcolo della decorrenza del termine di prescrizione, ha rilevato che l’esistenza di un pactum de non petendo stipulato per facta concludentia, allegato dall’appellante -la quale aveva fatto presente che, a fronte della diffida del 29 novembre 2016, il difensore di controparte, pur avendo risposto, in data 2 dicembre 2016, in modo interlocutorio, che nulla
era dovuto dalla sua assistita, si era riservato di prendere posizione in maniera analitica sulle prestazioni riportate nelle singole fatture, senza mai sciogliere la riserva -non poteva condurre alla conclusione che il termine di prescrizione non avesse mai iniziato a decorrere, in quanto con tale patto non era stato fissato un termine, né era ragionevole ipotizzare un differimento sine die.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, con cinque motivi.
NOME COGNOME quale socio unico della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia la ‹‹ violazione degli artt. 1655, 1678, 2951 c.c. ›› , lamentando che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ricondotto il contratto inter partes a quello di trasporto, anziché a quello di appalto di servizi di trasporto.
Segnatamente, evidenzia di avere effettuato, su incarico di RAGIONE_SOCIALE, plurimi trasferimenti di persone, utilizzando autobus di proprietà e organizzando prestazioni di servizi di trasporto con cadenza giornaliera, e di non essersi limitata , nell’esecuzione del servizio, destinato soprattutto al trasporto scolastico e/o ricreativo, a fornire il solo supporto logistico e organizzativo, ma di avere anche prelevato studenti ed accompagnatori, fornito servizi a bordo e sostato in aree di servizio per consentire ai viaggiatori di consumare pasti durante la giornata. Sostiene che il ‘pacchetto’ fornito non era consistito nella mera prestazione del servizio di trasferimento da un
luogo ad un altro, ma nella predisposizione di molteplici servizi accessori, cosicché l’oggetto prevalente e assorbente del contratto non poteva che essere identificato in quello di appalto, con conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale; la molteplicità dei trasporti effettuati giornalmente, per alcuni mesi, in diverse località, con salita e discesa dei viaggiatori nei singoli ‘punti di raccolta’, non poteva essere assimilata ad una pluralità di singoli contratti di trasporto, ma ad una prestazione continuativa di servizi.
1.1. La censura è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata.
1.2. Invero, i giudici d’appello , uniformandosi al consolidato orientamento di questa Corte, hanno evidenziato che il termine annuale di prescrizione dei diritti nascenti dal contratto di trasporto, di cui all’art. 2951 cod. civ., trova applicazione anche quando le varie prestazioni di trasporto siano rese in esecuzione di un unico contratto (misto) di appalto di servizi di trasporto, dovendosi in tali ipotesi far riferimento alla normativa in tema di trasporto per individuare quelle norme che, come la durata della prescrizione, sono intimamente collegate alla concreta tipologia della prestazione (cfr. Cass., sez. 1, 18/12/2015, n. 25517; Cass., sez. 3, 30/11/2010, n. 24265; Cass., sez. 3, 6/12/1996, n. 10894; Cass., sez. 3, 13/09/1997, n. 9128; Cass., sez. 3, 21/10/1997, n. 10332).
Prescindendo dalla qualificazione del contratto, la Corte territoriale ha ritenuto del tutto irrilevante, ai fini della concreta individuazione del termine di prescrizione applicabile, accertare se, nella fattispecie concreta, il rapporto contrattuale avesse natura unitaria, nel senso che tra le parti era stata pianificata l’esecuzione di una serie di trasporti, aventi il carattere di prestazioni continuative soggette ad una disciplina unitaria, per il cui adempimento il trasportatore-appaltatore aveva predisposto un’organizzazione di
mezzi propri, finalizzato al raggiungimento del risultato complessivo rispondente alle esigenze del committente, o se piuttosto fossero configurabili distinti contratti di trasporto.
1.3. La ricorrente non attinge idoneamente siffatto percorso argomentativo, poiché si limita a reiterare, anche in questa sede, che il rapporto contrattuale intrattenuto con la controparte dovrebbe essere collocato entro il paradigma del contratto di appalto ed a richiamare un precedente di questa Corte (Cass., n. 14670 del 2015), che non esprime principi dissonanti da quelli applicati dal giudice di appello, posto che esso affronta la diversa questione del termine di prescrizione applicabile ai contratti di autotrasporto di cose per conto terzi soggetti al sistema delle cd. ‘ tariffe a forcella ‘ , istituito dalla legge n. 298 del 1974 , che esula dall’oggetto del presente giudizio .
Con il secondo motivo, deducendo la violazione degli artt. 1678, 2951 cod. civ. e 2, comma 2, legge 11/8/2003, n. 218, la ricorrente contesta ai giudici di appello di non avere tenuto conto che entrambe le società effettuavano noleggi di autobus con conducente e che il termine di prescrizione applicabile al rapporto di fatto intrattenuto tra le parti, del tutto assimilabile alla locazione, non potesse che essere quello previsto dall’art. 2948 n. 3 cod. civ.
2.1. Il motivo è inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.
2.2. La ricorrente, facendo espresso riferimento alla distinzione tra contratto di noleggio e contratto di locazione di cose mobili, assume che la odierna intimata avrebbe preso a noleggio (con conducente) autobus di proprietà della stessa ricorrente, richiedendo di volta in volta singoli servizi mediante invio di specifiche e-mail e che, a fronte di tale organizzazione del servizio, il rapporto intrattenuto sarebbe di fatto assimilabile alla locazione, come tale assoggettabile ad un diverso termine di prescrizione.
A supporto della doglianza, tuttavia, omette di riportare, sia pure nelle sole parti rilevanti, il contenuto del contratto intercorso tra le parti e delle e-mail inviate dalla committente al fine di porre questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale e di verificare il fondamento della critica mossa alla sentenza impugnata sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso.
Difatti, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamarli, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
È al riguardo appena il caso di ribadire che i requisiti di formazione del ricorso rilevano ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso.
Con il terzo motivo, prospettando la violazione degli artt. 1322, 1324, 1362, 1375 e 2935 cod. civ., la ricorrente contesta ai giudici di merito di non avere adeguatamente interpretato il tacito pactum de non petendo stipulato per facta concludentia dai procuratori delle parti.
Evidenzia che, a fronte di una diffida, da essa inviata tramite il proprio difensore in data 29 novembre 2016, il successivo 12 dicembre 2016 l’avv. COGNOME, difensore della RAGIONE_SOCIALE aveva
telematicamente comunicato che alcune fatture azionate non erano mai pervenute alla società da lui assistita, la quale, anche al fine di prendere posizione in maniera analitica su tali fatture, stava effettuando una verifica e che, entro la settimana avrebbe dato riscontro in ordine alla richiesta di pagamento; sostiene che, attraverso la mediazione dei rispettivi procuratori, era stata concordata tra le parti una ‘moratoria’, che si era conclusa con l’accettazione tacita della proposta di soprassedere da iniziative pregiudizievoli in sede contenziosa nei confronti della debitrice, ma il comportamento di quest’ultima, nella fase successiva alla stipulazione del patto, non era stato improntato a buona fede, in quanto, pur avendo richiesto una settimana per vagliare i termini della controversia, aveva poi in giudizio opposto la prescrizione in via di eccezione.
Trattandosi di pactum de non petendo a tempo indeterminato, prosegue la ricorrente, il termine rimesso alla volontà della debitrice ex art. 1183, secondo comma, cod. civ., poteva ritenersi interrotto per la prima volta, ai fini del decorso della prescrizione, dalla iniziativa unilaterale del creditore, coincidente con la comunicazione inviata dal procuratore della ricorrente alla controparte in data 1° marzo 2018; conseguentemente, ‘l’acquiescenza prestata al proposto differimento delle reciproche iniziative aveva di fatto inciso anche sulla stessa azionabilità della pretesa creditoria, con correlativo differimento del dies a quo dal quale far decorrere il termine prescrizionale’.
3.1. La censura è infondata.
3.2. Anche se in linea di principio il pactum de non petendo non integra violazione del divieto di deroga convenzionale del regime legale della prescrizione fissata dall’art. 2936 cod. civ., in quanto incide sull’azionabilità della pretesa, con la conseguenza che la
prescrizione inizia a decorrere dalla scadenza del termine fissato con il patto stesso (in tal senso Cass., sez. 1, 27/03/1979, n. 1776; Cass., sez. 3, 09/12/1974, n. 4128), dalla lettura delle comunicazioni provenienti dai procuratori delle parti, ritrascritte in ricorso, si evince chiaramente che le parti non hanno fissato un termine con il patto, come sottolineato dal giudice d’appello, cosicché non può sostenersi che la settimana richiesta dal procuratore della debitrice per meglio valutare i termini della controversia possa avere sospeso, sino alla comunicazione del 1° marzo 2018, il decorso della prescrizione.
3.3. Diverse sono le ricostruzioni emerse in dottrina che, da una parte, escludono l’incidenza del pactum de non petendo sulla struttura del diritto di credito e ad esso assegnano la mera funzione costitutiva di dotare il debitore del potere di paralizzare la pretesa del creditore (‘teoria dell’effetto sostanziale debole’) e, dall’altra parte, attribuiscono al pactum de non petendo la funzione di rendere inesigibile il credito, riducendo l’obbligazione a un titulus adquirendi (‘teoria dell’obbligazione ridotta’) .
Nella prospettiva dell’effetto sostanziale debole, la stipulazione di un pactum ad tempus o in perpetuum non incide sul decorso del termine di prescrizione, perché esso non altera la struttura del rapporto obbligatorio, lasciandolo del tutto immutato; la teoria dell’obbligazione ridotta rifiuta la stessa possibilità che un credito, già reso inesigibile dal pactum de non petendo , possa subire il medesimo effetto riduttivo (del potere di esigere la prestazione) per effetto della prescrizione, con una incidenza variabile sul decorso del termine di prescrizione: se il pactum de non petendo ha un termine finale di efficacia (ossia se è ad tempus ), risolvendosi in una dilazione della pretesa, esso è configurabile come ‘una causa di sospensione del termine di prescrizione’; se è convenuto in perpetuum , ‘interrompe il tempo della prescrizione’, sicché una sua eventuale risoluzione
comporta la ‘ricostituzione del credito’ con un nuovo termine prescrizionale’.
3.4. Ma al di là dei rilievi che si potrebbero muovere alle teorie sopra sinteticamente riportate, è evidente che non può condividersi la tesi prospettata dall’odierna ricorrente che condurrebbe a ritenere legittimo un pactum de non petendo in perpetuum , che, secondo autorevole dottrina, costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di un corpus di norme imperative, ed in particolare non solo dell’art. 2934 cod. civ. (il quale dispone che ‘ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge’), ma anche dell’ar t. 2936 cod. civ. (che sancisce la nullità di ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione) , perché pattuire l’inesigibilità del diritto per un tempo eccedente il termine prescrizionale significa incidere, modificandola, sulla disciplina legale della prescrizione, oltre che dell’art. 2937 cod. civ., il quale stabilisce che la prescrizione può essere rinunciata ‘solo quando questa è compiuta’, perché un pactum de non petendo che oltrepassa il termine prescrizionale equivarrebbe ad una rinuncia alla prescrizione prima che essa sia compiuta.
Ne segue che, in ragione della rilevata insussistenza, nel patto, di un termine, la sentenza impugnata va esente dalle censure ad essa rivolte.
4. Con il quarto motivo, denunciando la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che la novità delle questioni dibattute avrebbe dovuto indurre il giudice d’appello a compensare le spese di lite anche in caso di soccombenza.
La censura è inammissibile. In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato di questa Corte è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto, esula da tale
sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass., sez. 3, 11/01/2008, n. 406; Cass., sez. 5, 19/06/2013 n. 15317; Cass., 05/04/2003 n. 5386; Cass., sez. 1, 04/08/2017, n. 19613; Cass., sez. 6 -3, 17/10/2017, n. 24502).
Poiché, nella specie, non è stata accolta la domanda azionata con ricorso monitorio, sicché non si versa in ipotesi di accoglimento parziale della domanda, nel confermare la sentenza di primo grado, che aveva condannato la odierna ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della controparte, del suindicato principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto piena e corretta applicazione.
Con il quinto motivo, rubricato: violazione degli artt. 177 e 183, settimo comma, cod. proc. civ., la ricorrente contesta alla Corte territoriale di non avere ammesso la prova per testi articolata, sebbene rilevante per la connotazione del rapporto contrattuale e per la sua qualificazione.
5.1. La doglianza è inammissibile.
5.2. Giova al riguardo rammentare che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è, in astratto, censurabile, o per inosservanza di norme processuali o per vizio di motivazione, ma in tale secondo caso solo nei ristretti limiti nei quali è oggi deducibile secondo il paradigma di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ..
Non può, in via di principio, essere posto in dubbio il rilievo che il diritto alla prova assume quale strumento di un effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6, § 1, CEDU), di guisa che la sua violazione è certamente censurabile in cassazione ai sensi dell’art.
360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; una tale violazione è, però, configurabile allorquando il giudice del merito rilevi decadenze o preclusioni insussistenti (cfr. Cass. 05/03/1977, n. 910) ovvero affermi tout court l’inammissibilità del mezzo di prova richiesto per motivi che prescindano da una valutazione, di merito, della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite; ove invece ci si muova in tale seconda prospettiva, ancorché la decisione del giudice di merito si risolva pur sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, non viene in rilievo una regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore ma piuttosto -come è stato rilevato -«il potere (del giudice) di operare nel processo scelte discrezionali, che, pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta» (Cass., sez. U, 22/05/2012, n. 8077); in tal caso, «la decisione si riferisce, certo, ad un’attività processuale, ma è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa e, in definitiva, della sostanza stessa della lite. Il che spiega perché siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perché, quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, esse siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle» (Cass., sez. U, n. 8077 del 2012, cit.); la mancata ammissione della prova pone, dunque, in tale ipotesi, solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può pertanto essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della
decisione (Cass., sez. 3, 06/11/2023, n. 30810; Cass., sez. L, 14/10/2015, n. 20693; Cass., n. 66 del 2015; Cass., n. 5377 del 2011; Cass., n. 4369 del 1999).
5.3. La ricorrente non ha indicato in modo esauriente le ragioni per le quali la prova per testi articolata, i cui capitoli sono riportati in ricorso in omaggio al principio di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., risulti decisiva, essendosi genericamente limitata ad affermare la rilevanza delle richieste istruttorie ‘per la connotazione, in fatto, del rapporto contrattuale e, di conseguenza, per la qualificazione giuridica dello stesso’; il che impone la declaratoria d’inammissibilità della doglianza.
Alla inammissibilità ed al rigetto dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, essendo il socio unico della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione