Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1007 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1007 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27696/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende con procura speciale in atti;
-RICORRENTE –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE,che la rappresenta e difende con procura speciale in atti;
-CONTRORICORRENTE- avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La Corte d’appello di Roma ha dichiarato la prescrizione del credito professionale rivendicato dall ‘ avv. NOME COGNOME per la difesa
Oggetto: professioni
di COGNOME dante causa del l’attuale resistente, in una controversia di lavoro svoltasi in primo grado e in appello.
Per la cassazione della sentenza l’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., per manifesta infondatezza del ricorso. Su opposizione del ricorrente, che ha chiesto la decisione, è stata fissata l’adunanza camerale.
Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., per aver la pronuncia accolto un’eccezione di prescrizione non proposta dalla resistente nella qualità di erede della parte patrocinata, essendosi la resistente costituita in proprio, non risultando titolare diretta del rapporto di debito.
Il motivo appare palesemente inammissibile, poiché era stata la ricorrente ad evocare in giudizio la COGNOME in detta qualità, sicché non può dolersi di un presunto difetto di titolarità del rapporto di debito che condurrebbe, comunque, ad un esito sfavorevole del ricorso.
Sotto altro profilo era indubbio che la convenuta fosse erede della parte patrocinata, evocata a tale titolo in giudizio per il pagamento delle spettanze, non avendo alcuna rilevanza che non avesse formalmente speso la qualità di erede. Poteva proporre tutte le eccezioni, inclusa quella di prescrizione.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 83, 112, 115, 116, c.p.c., 1399, 2946 e 2957 c.c., per aver la Corte fatto decorrere la prescrizione dalla morte della parte rappresentata in giudizio, sebbene il rapporto professionale fosse proseguito con l’erede, che aveva anche incamerato le somme liquidate dall’Inps.
Il motivo è infondato.
La prescrizione decorreva dalla morte della parte patrocinata, cui conseguiva l’estinzione del mandato e l’esigibilità del compenso (Cass. 2275/1974; Cass. 17924/2023).
L’art. 2957 c.c., dispone che per le competenze dovute agli avvocati e ai patrocinatori legali il termine decorre dalla decisione della lite, dalla conciliazione delle parti o dalla revoca del mandato; per gli affari non terminati, la prescrizione decorre dall’ultima prestazione; la norma ha lo scopo di fissare una data precisa di decorrenza facilmente verificabile, individuando due diversi momenti di decorrenza della prescrizione a seconda che l’affare sia o meno concluso. Per gli affari compiuti, essa decorre dalla decisione, dalla conciliazione o dalla revoca del mandato, per quelli non compiuti dall’esecuzione dell’ultima prestazione (Cass. 4075/1975; Cass. 6033/1987; Cass. 12326/2001; Cass. 13374/2004; Cass. 13401/2015; Cass. 275/2021).
Si considerano definiti (ossia conclusi) non solo gli affari definiti con la decisione, anche in rito, la conciliazione, la revoca del mandato, ma anche quelli in cui una causa obiettiva o subbiettiva faccia venir meno il rapporto tra cliente ed avvocato, quale l’estinzione del giudizio in cui sia stato svolto il patrocinio (Cass. 964/1964; Cass. 7281/2012; cfr. anche Cass. 17924/2023 per la decorrenza della prescrizione per gli affari non definiti; o la morte del cliente, Cass. 40626/2021).
Le attività successive, espletate a vantaggio dell’erede, erano riferibili ad un nuovo rapporto professionale, non a quello originario intercorso con la parte originariamente patrocinata, ormai estinto per l’intervenuto decesso di quest’ultima .
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e 1399 c.c., per non aver la Corte ammesso il giuramento finalizzato a provare l’interruzione della prescrizione.
Il motivo è inammissibile.
La valutazione della decisività del giuramento è rimessa al giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi logici o giuridici della motivazione (Cass. 27471/2019); come ha poi evidenziato la pronuncia, il giuramento era stato deferito senza precisare il contenuto e le formule impiegate per la costituzione in mora, il che
avrebbe richiesto al giudice di valutare la loro idoneità a valere come atti di costituzione in mora, non essendo la formula idonea a dimostrare direttamente e senza margini di apprezzamento i fatti da dimostrare.
Il deferimento del giuramento decisorio è inammissibile ove la formulazione delle circostanze, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, non conduca automaticamente all’accoglimento della domanda, ma richieda una valutazione di tali fatti da parte del giudice del merito (Cass. 39/2011; Cass. 1551/2022).
Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese.
Poiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis, cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., da cui deriva la condanna della ricorrente al pagamento in favore al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. , sez. un., 27433/2023; Cass., sez. un., 27195/2023; Cass., sez. un., 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 2.000,00 per onorari, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15% , nonché € 2 . 000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c. e di € 1 .000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione