Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8553 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8553 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 5374-2023 r.g. proposto da:
NOME COGNOME, nato Nettuno (RM) il DATA_NASCITA, C.F CODICE_FISCALE, NOME COGNOME, nato a Velletri (RM) il DATA_NASCITA, C.F. CODICE_FISCALE, ed NOME COGNOME, nato a Cisterna di Latina (LT) il DATA_NASCITA, C.F. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, come da procura in atti;
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione n. 28/2012 del Tribunale di Latina, con sede legale in Cisterna di Latina (INDIRIZZO), INDIRIZZO, partita IVA n. P_IVA, in persona dei curatori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
contro
NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE, e NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE; RAGIONE_SOCIALE, P.IVA P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore; NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE; NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE.
-intimati –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, 2 Sezione Civile Specializzata in Materia di Impresa, n. 5073/2022, pubblicata il 22 luglio 2022, non notificata, resa all’esito del giudizio di appello avente RG n. 5113/2018 (riunito al 5276/2018), avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 1001/2018 del 15 gennaio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con atto di citazione ritualmente notificato, il RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, e NOME COGNOME, in qualità di amministratori della RAGIONE_SOCIALE ( ‘RAGIONE_SOCIALE‘) succed utisi dal 2002 in poi, nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali componenti del collegio sindacale della medesima RAGIONE_SOCIALE, al fine di far accertare e dichiarare una serie di condotte illecite dagli stessi perpetrate e, p er l’effetto, sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni provocati -secondo una graduazione di responsabilità in considerazione della carica concretamente rivestita e RAGIONE_SOCIALE azioni o omissioni effettivamente poste in essere -per un ammontare complessivo superiore ad un miliardo di euro.
2. Con sentenza n. 1001/2018, pubblicata il 15 gennaio 2018, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda del RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, condannava gli amministratori NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’intero collegio sindacale (nelle persone di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), in solido, al risarcimento del danno nella misura di € 15.315.000,00, oltre alla rivalutazione monetaria, dalla pubblicazione della
sentenza al suo passaggio in giudicato, agli interessi e alle spese legali; rigettava, invece, le domande avanzate nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Nel giungere alla predetta decisione, il Tribunale di Roma rigettava anche l’eccezione di prescrizione mossa da tutti i convenuti .
Con atto di appello notificato in data 13 luglio 2018, i sindaci NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, impugnavano la sentenza eccependo, in particolare, la prescrizione dell’azione e, nel merito, l’assenza di responsabilità (il procedimento assumeva il n. R.G. NUMERO_DOCUMENTO).
Con atto notificato il 16 luglio 2018 proponevano appello anche gli amministratori NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, rilevando: (i) la prescrizione dell’azione promossa dalla curatela, dovendosi considerare quale dies a quo non la sentenza di fallimento, ma il momento antecedente degli accertamenti fiscali eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in quanto già indici per il creditore ‘Stato’ dell’insufficienza patrimoniale; ( ii) l’improprio utilizzo RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, in particolare della sentenza di patteggiamento (il procedimento assumeva il numero di R.G. 5276/2018).
In entrambi i giudizi, con comparse datate una 6 maggio 2019, si costituiva il RAGIONE_SOCIALE, che concludeva per il rigetto degli appelli, evidenziandone la totale infondatezza. Si costituiva anche l’RAGIONE_SOCIALE in entrambe i giudizi, chiedendo, in particolare, il rigetto di tutte le domande svolte nei propri confronti dai sindaci COGNOME e COGNOME.
6 Con provvedimento del 9 luglio 2019, la Corte di Appello disponeva la riunione della causa R.G.n. 5276/18 alla antecedente avente R.G.n. 5113/18 e con successiva sentenza n. 5073/2022, pubblicata il 22 luglio 2022, la Corte di Appello di Roma ha confermato integralmente la sentenza impugnata, rigettando gli appelli e condannando le controparti a rifondere le spese. A sostegno del suddetto provvedimento, la Corte territoriale ha rigettato i gravami, rilevando: (i) la correttezza del percorso logico ed argomentativo seguito dal Tribunale, sul rilievo , con specifico riferimento all’eccezione di prescrizione (che ancora qui rileva per il giudizio in cassazione), che il giudice di prime cure avesse correttamente applicato l’univoco orientamento giurisprudenziale in materia di decorrenza del termine della prescrizione e del relativo onere probatorio e (ii) che il motivo articolato dagli odierni ricorrenti
fosse totalmente infondato in quanto ‘ Invero l’indagine fiscale è stata compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, mentre il soggetto creditore è l’RAGIONE_SOCIALE. Trattasi, dunque, di enti soggettivamente distinti, pur facenti capo allo Stato che, pertanto, come rilevato dal RAGIONE_SOCIALE attore, ha avuto contezza del proprio credito fiscale solo al momento dell’emissione degli avvisi di accertamento, risalenti nel 2009 e notificati nel 2010 … ‘ ( v. pag. 24 sentenza impugnata).
7. La sentenza di appello, pubblicata il 22 luglio 2022, è stata impugnata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui il RAGIONE_SOCIALE ETR ha resistito con controricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’articolo 146 l. fall., con riferimento agli articoli 2394, 2949 e 2935 c.c., sul rilievo che la Corte di Appello avrebbe ‘ erroneamente considerato quale dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità la data della sentenza di fallimento, anziché il momento della esteriorizzazione dell’insufficienza patrimoniale avvenuta in data antecedente ‘. Secondo i ricorrenti, la Corte di Appello non avrebbe correttamente valutato gli elementi effettivamente idonei a provare la conoscibilità dell’incapienza patrimoniale di ETR, omettendo di considerare che ‘ nel caso di specie, in cui il creditore è costituito dall’RAGIONE_SOCIALE, il danno erariale era sicuramente percepibile ‘ . Più in particolare, il giudice di prime cure e la Corte territoriale avrebbero trascurato ‘ la qualificazione soggettiva del creditore in surroga del quale la Curatela agisce, oltre che la qualifica oggettiva del debito, appunto erariale ‘, con la conseguenza che ‘ nel caso specifico, l’azione di responsabilità poteva e doveva già essere esercitata in occasione dell’esito degli accertamenti inquisitori, atteso che gli organi di accertamento fiscale coincidono con il soggetto creditore che ben poteva avere conoscenza nell’occasione dell’incapienza patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE‘.
Il motivo così articolato è inammissibile sia ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., sia perché richiede, su altri profili, un nuovo apprezzamento di merito della quaestio facti .
2.1 In ordine al primo profilo, va osservato che il motivo di ricorso qui in esame risulta inammissibile in quanto la Corte di Appello di Roma (al pari del giudice di prima istanza) ha correttamente deciso la questione ad essa sottoposta sulla base dell’uniforme orientamento di legittimità né i ricorrenti hanno fornito elementi idonei a consentire un mutamento di esso che peraltro, successivamente alla sentenza di primo grado, è stato ulteriormente ribadito.
Più in particolare, nella sentenza qui impugnata, la Corte di merito ha rigettato l’eccezione di prescrizione richiamando il consolidato principio di diritto secondo cui l’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione dell ‘ onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali , ora denunciabili ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (Sez. 1, Sentenza n. 24715 del 04/12/2015; vedi anche: n. 13378 del 2014; Sez. 1, Ordinanza n. 3552 del 06/02/2023). Sulla base di tale principio, la Corte territoriale ha correttamente concluso nel senso che ‘ La motivazione del Tribunale va dunque confermata: invero il primo giudice risulta aver correttamente valutato gli elementi di fatto dedotti dalle parti
appellanti a sostegno dell’asserita prescrizione, ed ha altresì correttamente applicato i principi di diritto in tema di onere della prova, come affermati dalla RAGIONE_SOCIALE .’ (così pag. 15 sentenza impugnata).
Occorre pertanto ribadire, anche in questo nuovo contesto decisorio, che la prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949, secondo comma, c.c., decorre dal momento in cui si verifica l’insufficienza del patrimonio sociale: momento che, non coincidendo necessariamente con il determinarsi dello stato di insolvenza, può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento (cfr., anche: Cass. 28 maggio 1998, n. 5287; Sez. 1, Sentenza n. 15074 del 22/11/2000; Cass. sentenza n. 941 del 18/01/2005; Cass., Sentenza n. 17121 del 21/07/2010). Tuttavia, al fine di costituire il momento iniziale di decorrenza della prescrizione, l’insufficienza in argomento – intesa come eccedenza RAGIONE_SOCIALE passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i d ebiti della società -deve presentarsi come oggettivamente conoscibile dai relativi creditori.
Coerentemente ai principi ora ricordati, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l’onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato di insufficienza patrimoniale della società spetta al soggetto (amministratore o sindaco) che, convenu to in giudizio a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, eccepisca l’avvenuta prescrizione della stessa azione (cfr., Cass., 14 dicembre 2015, n 25178 cit.; Cass. 28 maggio 1998, n. 5287; Cass., 21 luglio 2010, n. 17121, cit.).
2.2 Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie, i convenuti con l’azione di responsabilità non hanno né allegato in maniera chiara né provato, nel corso del giudizio di merito, che lo stato di insufficienza patrimoniale della società fosse preesistente al fallimento e che il medesimo fosse percepibile dai creditori che venivano in contatto con la società.
Né i ricorrenti hanno, nel motivo, adeguatamente censurato il diverso apprezzamento di merito fornito dalla Corte territoriale, e ciò proprio con particolare riferimento al mancato assolvimento da parte degli amministratori e sindaci dell’onere della prova sopra descritto, affidando invero le relative censure a congetture genericamente formulate, senza riprodurre nell’odierno ricorso in modo ordinato gli elementi già offerti in valutazione ai giudici del
merito. Occorre infatti evidenziare, sul punto qui da ultimo in esame, che la Corte distrettuale aveva affermato che l ‘esistenza dell’iscrizione della ipoteca giudiziale non rappresentava indice univoco per apprezzare l’emersione dell ‘ insufficienza patrimoniale e che peraltro la società debitrice aveva continuato ad operare fino al 2012, nonostante i licenziamenti.
Sul punto giova ulteriormente precisare che, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., più in particolare, Cass. n. 941/2005, cit.), l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento -onere gravante, come detto, sull’amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione – non può essere assolto mediante la generica deduzione, non confortata da utili elementi di fatto, secondo cui l’insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della dichiarazione di fallimento della società, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dall ‘ eccedenza RAGIONE_SOCIALE passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale: un debitore ben potrebbe essere insolvente, ma avere un attivo sufficiente, se ben liquidato nel tempo, a pagare tutti i creditori (sul punto, si leggano: Cass. 13378/2014, cit.; Cass. 3552/2023, cit.; Cass. 23659/2023; Cass. 37823/2022).
2.3 Il motivo è inoltre inammissibile perché versato in fatto e rivolto a sollecitare questa Corte di legittimità ad una nuova lettura e ad un rinnovato scrutinio del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio.
I ricorrenti deducono che la Corte di Appello di Roma avrebbe errato nel ritenere – quale dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità – la data della sentenza di fallimento, anziché il momento della esteriorizzazione dell’insufficienza patrimoniale avvenuta in data antecedente, in quanto avrebbe omesso di considerare che ‘ nel caso di specie, in cui il creditore è costituito dall’RAGIONE_SOCIALE, il danno erariale era sicuramente percepibile ‘. In particolare, il giudice di prima istanza e la Corte t erritoriale avrebbero trascurato ‘ la qualificazione soggettiva del creditore in surroga del quale la Curatela agisce, oltre che la qualifica oggettiva del debito, appunto erariale ‘, con la conseguenza che ‘ nel
caso specifico, l’azione di responsabilità poteva e doveva già essere esercitata in occasione dell’esito degli accertamenti inquisitori, atteso che gli organi di accertamento fiscale coincidono con il soggetto creditore che ben poteva avere conoscenza nell ‘occasione dell’incapienza patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE ‘. A ciò si aggiungerebbe che ‘ le ipoteche giudiziali iscritte nel 2006 e nel 2007 e relazionate nell’indagine patrimoniale condotta dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE erano sicuramente conoscibili da qualunque terzo che fosse entrato in contatto con la società, risultando da banche dati accessibili a chiunque e senza necessità di particolari abilità tecniche. Va aggiunto che le iscrizioni ipotecarie giudiziali erano necessariamente nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che non poteva non averne contezza ‘.
Risulta pertanto evidente come i ricorrenti, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., richiedono in realtà una rivalutazione del materiale istruttorio e dei fatti compiuta dai giudici del merito, scrutinio invece inibito al giudice di legittimità (v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., ez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/ 01/2019). Ed invero, viene richiesto a questa Corte -peraltro in maniera assolutamente generica, senza specifico richiamo dei fatti e dei documenti rilevanti -di rivalutare la portata e la valenza degli atti e dei documenti già correttamente scrutinati dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Roma, e ciò con particolare riferimento: (i) agli accertamenti compiuti dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel processo verbale di constatazione reso in data 28 novembre 2008, a seguito dell’apertura nei confronti della società e dell’organo amministrativo, da parte del le Procure della Repubblica presso i Tribunali di Padova e di Pordenone; (ii) agli avvisi di accertamento e RAGIONE_SOCIALE cartelle esattoriali notificate; (iii) alle iscrizioni ipotecarie degli anni 2006 e 2007.
Risulta pertanto evidente l’ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, già sopra rilevato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 38.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.3.2024