Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8749 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
R.G.N. 12700/19
C.C. 20/3/2024
Vendita -Preliminare -Mancanza della destinazione abitativa -Risoluzione sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel cui studio in INDIRIZZO, INDIRIZZO, hanno eletto domicilio;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di ex socio unico e liquidatore della estinta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente –
e
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di ex socio unico della estinta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1543/2019, pubblicata il 27 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 5 giugno 2007, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano, davanti al Tribunale di Roma, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, per sentire dichiarare la nullità per impossibilità dell’oggetto del contratto preliminare di vendita concluso in data 8 giugno 2006, avente ad oggetto l’appartamento sito in Roma, INDIRIZZO, int. 1, in quanto privo della destinazione ad uso abitativo, in relazione RAGIONE_SOCIALE quale erano state presentate domande di sanatoria, il cui rigetto era stato oggetto di procedimento pendente dinanzi al Tar Lazio, con la condanna della promittente alienante RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE restituzione, in favore degli attori, della somma di euro 150.000,00, versata a titolo di caparra confirmatoria; o, in subordine, per sentire pronunciare la risoluzione del preliminare per grave inadempimento della promittente alienante, con la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE restituzione della caparra confirmatoria versata, oltre al risarcimento dei danni, e con la condanna della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE restituzione della provvigione
corrisposta di euro 20.000,00 e non dovuta, in quanto non iscritta nel ruolo degli agenti in affari di mediazione.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava le pretese avversarie e, per l’effetto, concludeva per il rigetto delle spiegate domande e, in via riconvenzionale, per l’accertamento dell’intervenuta risoluzione negoziale e della legittima ritenzione della caparra confirmatoria.
Rimaneva contumace la RAGIONE_SOCIALE
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 23065/2011, depositata il 24 novembre 2011, pronunciava la risoluzione del contratto preliminare dell’8 giugno 2006, sottoscritto da COGNOME e dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per grave inadempimento della promittente venditrice nella consegna di un valido certificato di abitabilità, in difetto di alcuna prova che l’immobile promesso in vendita presentasse tutte le caratteristiche necessarie per l’uso proprio e per la difformità edilizia acclarata; quindi, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 150.000,00, oltre interessi legali, a titolo di restituzione della caparra confirmatoria versata, e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 20.000,00, oltre interessi legali, a titolo di restituzione della provvigione corrisposta; rigettava le ulteriori domande formulate, disattendendo altresì le domande proposte da COGNOME NOME per il suo difetto di legittimazione attiva.
2. -Con atto di citazione notificato il 19 ottobre 2012, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado la RAGIONE_SOCIALE, la quale lamentava: 1) l’erronea applicazione dei principi in materia di risoluzione del preliminare di vendita per
omessa consegna del certificato di abitabilità; 2) l’omesso esame degli artt. 2, 3 e 7 del preliminare di vendita, con l’erronea applicazione dei criteri ermeneutici del negozio, e l’omessa valutazione dei documenti prodotti, con precipuo riferimento all’impugnativa avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono e, all’esito, del giudizio intrapreso davanti al Tar Lazio; 3) il mancato riferimento RAGIONE_SOCIALE previsione del preliminare con cui si dava atto della carenza, allo stato, del certificato di abitabilità, senza che la pratica per il suo ottenimento fosse indicata quale condizione risolutiva e senza che fosse stata contemplata la sua consegna entro la data pattuita per la stipulazione del definitivo.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali instavano per il rigetto del gravame, contestando, in via incidentale, la declaratoria di difetto di legittimazione attiva del COGNOME.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di risoluzione del preliminare di vendita dell’8 giugno 2006 proposta dRAGIONE_SOCIALE promissaria acquirente e di restituzione della caparra confirmatoria, condannando COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE restituzione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 173.060,17, oltre interessi legali, versata in attuazione della sentenza di primo grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, al momento in cui era stata fissata la stipula del definitivo, ossia RAGIONE_SOCIALE data del 30 ottobre 2006, la promittente venditrice non era in grado di
consegnare il certificato di agibilità, né esso era stato rilasciato nel corso del giudizio; b ) che, tuttavia, all’art. 2 del preliminare era stato stabilito che, in caso di esito negativo del giudizio, pendente dinanzi al Tar, di annullamento dei provvedimenti amministrativi di rigetto delle istanze di sanatoria, la promittente alienante si impegnava a restituire, in favore della promissaria acquirente, le somme nel frattempo versate; c ) che, pertanto, le parti avevano inteso subordinare la risoluzione del preliminare RAGIONE_SOCIALE mancata positiva conclusione del giudizio amministrativo; d ) che, con sentenza n. 7270/2010, depositata il 16 aprile 2010, il Tar Lazio, rilevato che la RAGIONE_SOCIALE non era stata messa in grado di fornire un principio di prova circa la realizzazione dell’opera entro il termine ultimo di legge, aveva annullato il provvedimento del Comune di Roma di rigetto delle istanze di condono, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di rinnovare la procedura istruttoria; e ) che nessun termine essenziale era stato stabilito per la consegna del certificato di abitabilità entro la data pattuita per la stipula del definitivo.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, COGNOME NOME, in qualità di ex socio unico e liquidatore della estinta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
È rimasta intimata COGNOME NOME, in qualità di ex socio unico della estinta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
4. -I ricorrenti e il controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per il sopraggiunto difetto di capacità processuale e di legittimazione a seguito di estinzione della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente inammissibilità della domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME per sopraggiunta carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.
Obiettano gli istanti che, con verbale di assemblea ordinaria del 6 novembre 2017, depositato in giudizio ai sensi dell’art. 372 c.p.c., COGNOME NOME, quale socio unico e liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, aveva approvato il rendiconto di gestione senza alcuna indicazione di un residuo attivo da ripartire, dichiarando di rinunciare ai termini di legge per l’opposizione RAGIONE_SOCIALE chiusura della società e deliberando la cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta il 23 novembre 2017, come da visura allegata, senza che la causa interruttiva del processo fosse stata dichiarata nel corso del giudizio di gravame.
Evidenziano ancora i ricorrenti che solo dopo la pronuncia d’appello, con comunicazione del 14 marzo 2019, NOME, quale ex socio unico e liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, aveva richiesto che la restituzione della somma versata in esecuzione della sentenza di primo grado avvenisse in suo favore, in ragione del mandato ad incassare ricevuto.
Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, in pendenza del giudizio volto ad accertare la fondatezza della pretesa azionata in via riconvenzionale dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in ordine all’accertamento del suo
diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta, in ragione del legittimo esercizio del recesso, pretesa in ordine RAGIONE_SOCIALE quale la RAGIONE_SOCIALE aveva interposto appello, la cancellazione volontaria della società intervenuta nelle more avrebbe determinato la tacita rinuncia a tale pretesa e ai relativi crediti connessi, ancora incerti, non compresi nel bilancio, con la conseguente impossibilità per il COGNOME di avvantaggiarsi della pronuncia favorevole e senza che questi potesse invocare un’eventuale mancanza di conoscenza del credito sociale controverso, rivestendo il COGNOME, oltre che il ruolo di liquidatore, anche la qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE.
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, nella fattispecie, l’estinzione della società per cancellazione volontaria dal registro delle imprese, avvenuta nel corso del giudizio d’appello e non dichiarata, non ha inciso sull’efficacia esecutiva del titolo giurisdizionale emesso in favore della società all’esito della definizione di tale giudizio impugnatorio, con la condanna della promissaria acquirente a restituire la somma ricevuta in attuazione della sentenza di prime cure, in ragione del rigetto della domanda di risoluzione del preliminare spiegata da quest’ultima e del sotteso accertamento del legittimo esercizio del recesso e del correlato diritto a trattenere la caparra confirmatoria corrisposta, diritto che può essere fatto valere dRAGIONE_SOCIALE persona fisica nei cui confronti è integrato il fenomeno successorio derivante dall’estinzione.
Ora, la presunzione di rinuncia RAGIONE_SOCIALE pretesa creditoria in corso di accertamento, per effetto della cancellazione volontaria, non può in tal caso operare, poiché, a fronte di una pendenza non
ancora definita, collegata ad una pretesa creditoria ancora incerta, non può ritenersi che l’ex socio unico e liquidatore COGNOME NOME ne avesse ragionevolmente contezza.
E tanto perché, come analiticamente argomentato e comprovato in via documentale dal controricorrente, il giudizio d’appello è stato promosso dal precedente amministratore della RAGIONE_SOCIALE NOME con atto di citazione notificato il 19 ottobre 2012, senza che in quel frangente storico COGNOME NOME fosse ancora socio della RAGIONE_SOCIALE. Per converso, solo con la scrittura privata autenticata di cessione di quote del 12 ottobre 2016, registrata il 17 ottobre 2016, i soci della RAGIONE_SOCIALE NOME e COGNOME NOME hanno ceduto, in favore di COGNOME NOME, l’intera loro quota di partecipazione, sicché il COGNOME è divenuto socio unico e amministratore unico della predetta società solo a giudizio di gravame in corso. All’esito, ha posto in liquidazione la società il 17 ottobre 2017, senza che sia emerso alcun elemento circa la sua conoscenza o conoscibilità della pendenza del procedimento d’appello. Quindi, ha presentato domanda di cancellazione conclusasi con l’effettiva cancellazione della società dal registro delle imprese il 23 novembre 2017.
Dunque, a fronte del subentro del socio unico nella compagine sociale a giudizio di gravame pendente, la presunzione di rinuncia RAGIONE_SOCIALE pretesa creditoria incerta deve ritenersi superata, senza che peraltro gli odierni ricorrenti abbiano addotto alcun elemento di riscontro circa l’effettiva conoscenza o conoscibilità del giudizio pendente a cura del socio unico cessionario sopravvenuto, anche ove si aderisca RAGIONE_SOCIALE ricostruzione a mente della quale la cancellazione, specie se
volontaria, di una società di capitali dal registro delle imprese, in pendenza del giudizio volto ad accertare un credito sociale non appostato in bilancio, giustifica l’inferenza, evidentemente iuris tantum , sull’integrazione di una tacita rinuncia o abdicazione a far valere la pretesa accertanda (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24246 del 09/08/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 21071 del 18/07/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 8521 del 25/03/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 19302 del 19/07/2018; Sez. 1, Sentenza n. 23269 del 15/11/2016; Sez. 1, Sentenza n. 25974 del 24/12/2015; contra Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 30075 del 31/12/2020, Sez. 3, Ordinanza n. 28439 del 14/12/2020; Sez. 1, Sentenza n. 9464 del 22/05/2020; Sez. 1, Sentenza n. 8582 del 06/04/2018). Presunzione, nella fattispecie, vinta dRAGIONE_SOCIALE sopravvenienza della cessione delle quote.
Ne consegue, in virtù del fenomeno successorio in favore dell’ex socio unico, la sua legittimazione processuale e il relativo interesse a resistere in giudizio (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5605 del 02/03/2021; Sez. 5, Sentenza n. 22014 del 13/10/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 15637 del 11/06/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17492 del 04/07/2018; Sez. L, Sentenza n. 19580 del 04/08/2017; Sez. L, Sentenza n. 13183 del 25/05/2017; Sez. 5, Sentenza n. 23574 del 05/11/2014).
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1453, 1460 e 1477, terzo comma, c.c. nonché dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente applicato la disciplina sulla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, in relazione RAGIONE_SOCIALE mancanza della licenza di agibilità (ex abitabilità),
una volta trascorsi tredici anni dal compromesso e in assoluta carenza di alcuna dimostrazione, a cura della società promittente venditrice, della regolarità della sanatoria e della perdurante possibilità di ottenere il detto certificato.
Osservano gli istanti che, a fronte delle determine dirigenziali del Comune di Roma -che avevano accertato la realizzazione di abusi edilizi in INDIRIZZO, consistenti, con specifico riferimento all’immobile oggetto del preliminare, nella variazione ( recte nel mutamento) di destinazione d’uso da servizi comuni (palestre e piscina) in superfici abitative per mq. 213 di superficie utile residenziale, con il conseguente rigetto delle istanze di sanatoria -, la Corte d’appello avrebbe impropriamente fatto riferimento all’art. 2 del contratto concluso l’8 giugno 2006, desumendo dal suo tenore che le parti avessero inteso subordinare la risoluzione dello stesso RAGIONE_SOCIALE sola ipotesi dell’esito negativo del giudizio amministrativo pendente di impugnativa del rigetto delle istanze di condono, ai fini della caducazione degli effetti negoziali.
Sicché la sentenza del Tar Lazio n. 7270/2010, depositata il 16 aprile 2010, avrebbe implicato la persistente facoltà di ottenere la certificazione invocata, senza però tenere conto del fatto che l’accoglimento dell’azione giudiziaria amministrativa sarebbe avvenuto esclusivamente sotto il profilo procedurale ed avrebbe innestato una nuova istruttoria, senza che essa potesse comunque approdare al mutamento di destinazione, stante che, a seguito di scissione parziale del 26 luglio 2006 (documento regolarment e depositato nel giudizio d’appello), la RAGIONE_SOCIALE aveva
ceduto la proprietà dell’immobile oggetto del preliminare in favore della RAGIONE_SOCIALE
Con l’effetto che la società promittente alienante, peraltro nelle more cessata, non avrebbe avuto più titolo per partecipare RAGIONE_SOCIALE nuova istruttoria delle pratiche di condono e non avrebbe potuto più fornire alcuna prova nel giudizio di merito in ordine RAGIONE_SOCIALE riattivazione delle pratiche di sanatoria.
Da tale ricostruzione i ricorrenti desumono che la sentenza impugnata sarebbe censurabile nella parte in cui non avrebbe ritenuto insanabile la carenza relativa al difetto della certificazione di agibilità per l’abusivo mutamento di destinazione d’uso, benché RAGIONE_SOCIALE data fissata per la conclusione del rogito definitivo del 30 ottobre 2006 -i presupposti per il suo rilascio non fossero stati integrati, né essi sarebbero esistiti RAGIONE_SOCIALE data della pronunzia di primo grado, con la conseguenza che la preclusione in ordine ai requisiti di sicurezza, salubrità, risparmio energetico degli edifici sarebbe divenuta definitiva e, comunque, non più tollerabile per superamento dei tempi accettabili sull’ottenimento della regolarità edilizia e dell’agibilità, nonostante la natura non essenziale del termine fissato per la stipula del definitivo, con la correlata integrazione di un inadempimento grave, non avendo la società promittente venditrice dimostrato la perdurante possibilità di procurare tale certificato.
2.1. -Il motivo è fondato nei termini che seguono.
E ciò perché la sentenza d’appello ha argomentato il rigetto della domanda di scioglimento del contratto preliminare per inadempimento grave imputabile RAGIONE_SOCIALE promittente alienante su un
artificioso automatismo tra carenza del presupposto affinché potesse operare la condizione risolutiva di cui all’art. 2 del compromesso dell’8 giugno 2006 (con il conseguente scioglimento del preliminare) e difetto dei requisiti per ottenere la pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c.
Ed invero, il fatto che non ricorressero le condizioni stabilite da tale art. 2 -secondo cui il contratto si sarebbe inteso sciolto nell’ipotesi di esito negativo del giudizio amministrativo non implicava che, per effetto dell’accoglimento della domanda giudiziale di annullamento del rigetto delle istanze di sanatoria (e, in particolare, della determinazione dirigenziale n. 107 del 30 marzo 2005 di rigetto dell’istanza di condono del 10 giugno 2004, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO), RAGIONE_SOCIALE luce della sentenza del Tar Lazio n. 7270/2010 del 16 aprile 2010 (con la connessa possibilità di riaprire l’istruttoria), fosse per ciò solo esclusa l’integrazione di un grave inadempimento imputabile RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel rilascio della certificazione di agibilità per l’uso abitativo contemplato in contratto, rispetto ad un’abusiva variazione di destinazione d’uso, di cui avrebbe dovuto essere accertata la sanabilità RAGIONE_SOCIALE stregua della situazione fattuale in concreto determinatasi.
Nessun dubbio ricorre sul fatto che l’effetto solutorio connesso al mancato ottenimento, entro una determinata scadenza temporale, di un provvedimento amministrativo per ragioni non ascrivibili al comportamento dei contraenti, fosse riconducibile RAGIONE_SOCIALE mancata verificazione di un evento futuro ed incerto e, conseguentemente, dovesse qualificarsi come condizione risolutiva negativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20854
del 02/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).
Nondimeno, l’azione giudiziale proposta non era mirata all’accertamento della verificazione di tale condizione, il cui mancato avveramento avrebbe dovuto escludere che il preliminare fosse privo di effetti ab origine , senza alcuna ulteriore statuizione.
Infatti, gli originari attori COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano agito in giudizio per chiedere, in via principale, l’accertamento della nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto ovvero, in via subordinata, la pronuncia costitutiva di risoluzione del preliminare per gravi inadempienze ascrivibili esclusivamente RAGIONE_SOCIALE promittente venditrice.
E la stessa pronuncia impugnata ha dato atto che, al momento in cui era stata fissata la stipula del definitivo, ossia RAGIONE_SOCIALE data del 30 ottobre 2006, la promittente venditrice non era in grado di consegnare il certificato di agibilità, né esso era stato rilasciato nel corso del giudizio.
Ne discende che, una volta accertato che l’evento futuro e incerto contemplato nella condizione risolutiva non si era verificato, la Corte d’appello non avrebbe potuto farne derivare, in via automatica, il rigetto della domanda di risoluzione rispetto agli inadempimenti puntualmente dedotti, ma avrebbe dovuto, invece, verificare l’incidenza qualitativa e subiettiva di tali inadempimenti ai fini della declaratoria di risoluzione.
In proposito, nei contratti con prestazioni corrispettive, ove sottoposti a condizione risolutiva, la rilevanza del comportamento dei contraenti con riguardo all’inadempimento delle prestazioni a
carico di ciascuno di essi e al conseguente diritto della parte adempiente ad ottenere in giudizio la risoluzione del contratto medesimo, resta subordinata al mancato verificarsi dell’evento condizionante, con la conseguenza che, solo allorché si avveri tale evento, il venir meno ex tunc dell’efficacia interinalmente prodotta dal contratto preclude al giudice di prendere in considerazione le imputate inadempienze ai fini della domanda di risoluzione e di pronunciarsi sulla stessa, ancorché la domanda di accertamento dell’avveramento della condizione risolutiva apposta al contratto sia stata avanzata in giudizio subordinatamente rispetto a quelle di risoluzione per inadempimento (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25061 del 10/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 8465 del 13/06/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3942 del 18/03/2002; Sez. 2, Sentenza n. 7875 del 04/08/1990).
Ma ove tale evento futuro e incerto non si avveri, come nella specie, il giudice di merito è tenuto a ponderare la gravità e imputabilità dell’inadempimento posto a fondamento della spiegata domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. e non può disattendere la domanda di scioglimento quale mera conseguenza del mancato avveramento della condizione risolutiva.
E ciò sulla scorta dell’ontologica eterogeneità tra l’evento futuro e incerto contemplato in condizione e il fatto di inadempimento evocato quale causa petendi della domanda di risoluzione.
E tanto similmente a quanto accade nel caso di previsione di una clausola risolutiva espressa, la quale non implica che il
contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa importanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23879 del 03/09/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 22725 del 11/08/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 32681 del 12/12/2019; Sez. 3, Sentenza n. 23624 del 20/12/2012; Sez. 3, Sentenza n. 8730 del 31/05/2012; Sez. L, Sentenza n. 4369 del 16/05/1997).
2.2. -Sicché l’indagine avrebbe dovuto essere estesa RAGIONE_SOCIALE verifica della gravità e imputabilità dell’inadempimento dedotto, nonostante la mancata integrazione dei presupposti contemplati nell’art. 2 del preliminare, che contrariamente all’assunto della sentenza impugnata -non poteva assumere un rilievo assorbente nel rigetto della domanda di risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c.
Al riguardo, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di vendita di aliud pro alio , qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l’ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione
della relativa pratica amministrativa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5963 del 05/03/2024; Sez. 2, Sentenza n. 23605 del 02/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 23604 del 02/08/2023).
Con l’effetto che, in applicazione di tale criterio distintivo, allorché l’immobile presenti ‘insanabili’ violazioni di disposizioni urbanistiche, incidenti eziologicamente sulle condizioni di igiene, salubrità e sicurezza, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera del compratore, si realizza un inadempimento qualificato che può dar luogo RAGIONE_SOCIALE risoluzione del contratto, siccome conseguente RAGIONE_SOCIALE vendita di aliud pro alio datum (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14900 del 29/05/2023; Sez. 2, Sentenza n. 39369 del 10/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 4826 del 19/02/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 3851 del 15/02/2008; Sez. 2, Sentenza n. 17140 del 27/07/2006; Sez. 2, Sentenza n. 1391 del 11/02/1998).
Tale insanabilità nella fattispecie doveva essere accertata RAGIONE_SOCIALE luce del quadro probatorio (documentale) offerto, con precipuo riferimento allo stato in concreto della pratica amministrativa volta ad ottenere l’istanza di sanatoria dell’abusiva variazione di destinazione d’uso da servizi comuni (palestre e piscina) in superfici abitative per mq. 213 di superficie utile residenziale, anche all’esito della pronuncia del Tar Lazio n. 7270/2010 del 16 aprile 2010, tenuto conto, al contempo, dell’intervenuta ce ssione della proprietà immobiliare dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad una società risultante dRAGIONE_SOCIALE sua scissione parziale e del lungo lasso di tempo decorso
rispetto RAGIONE_SOCIALE data fissata nel preliminare per la stipula del definitivo.
In proposito, nella valutazione della gravit à ex art. 1455 c.c., sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell’inadempimento dedotto (ossia in ordine RAGIONE_SOCIALE carenza dei requisiti per ottenere la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso da servizi comuni a superficie abitativa), avrebbe dovuto tenersi conto dell’iter della pratica amministrativa (e segnatamente del suo eventuale avvio all’esito della pronuncia giudiziale evocata), dovendo ponderarsi, in difetto di riscontri, se fosse stata esclusa, in modo significativo, l’oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative del promissario acquirente, essendo il cespite oggettivamente inadeguato ad assolvere RAGIONE_SOCIALE sua funzione economico-sociale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017).
Tenuto conto altresì che, nel caso di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, sono integrati gli estremi di un inadempimento ex se idoneo RAGIONE_SOCIALE risoluzione della compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle concrete esigenze del promissario compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell’immobile.
E senza che la mancata integrazione della condizione di cui all’art. 2 del preliminare inibisse ex se un’autonoma valutazione della gravità dell’inadempimento eccepito ai fini della pronuncia della risoluzione giudiziale.
In ragione di siffatte direttrici, le carenze sostanziali acclarate non avrebbero potuto ricondursi al mero rilievo formale del difetto della consegna del certificato.
Ebbene, solo quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che ne avrebbero giustificato il rilascio -il che non è nella fattispecie -non può darsi luogo RAGIONE_SOCIALE risoluzione del contratto, in quanto tale deficienza non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.
Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti, in concreto, i requisiti richiesti dRAGIONE_SOCIALE legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8220 del 24/03/2021; Sez. 2, Sentenza n. 15052 del 11/06/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 4022 del 20/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10995 del 27/05/2015; Sez. 3, Sentenza n. 22346 del 22/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 7281 del 27/03/2014).
Il che non è, per quanto anzidetto, nel caso di specie.
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte distrettuale adottato una motivazione apparente, con intrinseca incongruità e contraddittorietà degli argomenti utilizzati, tanto da inficiare il procedimento inferenziale ed il risultato cui la pronuncia è pervenuta per escludere la corretta applicazione della normativa codicistica sulla risoluzione del contratto per inadempimento.
Deducono gli istanti che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che la certificazione di abitabilità non fosse stata rilasciata neanche nel corso del giudizio, né la Corte avrebbe discriminato tra le ipotesi di risoluzione di diritto e le ipotesi di risoluzione giudiziale per inadempimento, così escludendo la risoluzione giudiziale ai sensi dell’art. 7 del preliminare, che non menzionava la mancata consegna del certificato di abitabilità per la data fissata ai fini della stipula del definitivo, quale inadempimento idoneo a risolvere il contratto.
D’altronde, ad avviso dei ricorrenti, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del superamento di ogni ragionevole limite di tolleranza nel mancato rilascio di detta certificazione.
4. -Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte del gravame pretermesso qualsiasi considerazione in ordine RAGIONE_SOCIALE circostanza decisiva, ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento e della violazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto, della sospensione della pratica di mutuo richiesto dRAGIONE_SOCIALE promissaria acquirente per la mancanza di documentazione attestante la regolarità urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare.
Espongono i ricorrenti che, con il preliminare dell’8 giugno 2006, NOME si era impegnata RAGIONE_SOCIALE corresponsione del residuo importo di euro 615.000,00 contestualmente al rogito, di cui il massimo di euro 450.000,00 avrebbe potuto essere versato
mediante accensione di un mutuo presso un istituto bancario di fiducia della parte acquirente.
Senonché la sentenza d’appello non avrebbe tenuto conto che, pur a fronte dell’attivazione della promissaria acquirente per la richiesta del mutuo ipotecario in data 2 agosto 2006, in mancanza di alcuna documentazione offerta, relativa alle domande di condono e RAGIONE_SOCIALE procedura giudiziaria pendente, nonostante la lettera raccomandata a.r. del 7 agosto 2006, con cui formalmente erano stati richiesti tali documenti, la Banca Popolare di Sondrio, con lettera del 20 ottobre 2006, aveva formalmente richiesto detta documentazione e, all’esito, la pratica per il rilascio del mutuo era rimasta sospesa proprio a causa di tale difetto di documentazione.
5. -Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della violazione dell’art. 287 c.p.c., in ragione dell’errata statuizione sulle spese legali liquidate in primo grado in solido tra i ricorrenti e già considerate nella somma di euro 173.060,17, versata dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in virtù della sentenza di primo grado, ed oggetto di condanna RAGIONE_SOCIALE restituzione.
Sicché assumono gli istanti che, comprendendo tale somma da restituire anche le spese legali liquidate per il giudizio di primo grado, l’ulteriore condanna RAGIONE_SOCIALE refusione di tali spese avrebbe determinato un’illegittima duplicazione.
6. -Il terzo, quarto e quinto motivo sono assorbiti in senso proprio, in quanto dipendenti dal secondo motivo accolto, postulando la fondatezza della censura assorbente la superfluità
delle doglianze assorbite, con la conseguente sopravvenuta carenza di interesse.
7. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre il primo motivo va respinto e i rimanenti motivi sono assorbiti.
La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche RAGIONE_SOCIALE pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
‘ Allorché non si avveri l’ evento futuro e incerto contemplato in una condizione risolutiva, il giudice deve prendere in considerazione le imputate inadempienze ai fini della domanda di risoluzione e pronunciarsi sulla stessa ‘.
‘ A fronte della proposizione di una domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare per inadempimento del promittente alienante all’obbligo di sanare l’abuso correlato RAGIONE_SOCIALE variazione della destinazione d’uso del bene, è necessario verificare, in base alle circostanze concrete desumibili dal quadro probatorio offerto, che le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili ‘.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti
motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello di Roma, in diversa