Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14949 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14949 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38273/2019 R.G. proposto da: MODICA NOME, MODICA NOME, MODICA NOME, COGNOME NOME, MODICA NOME, MODICA NOME, MODICA NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CATANIA n. 1750/2019 depositata il 17/07/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME conveniva in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME dinanzi al Tribunale di Catania per sentire pronunziare la risoluzione, per inadempimento dei convenuti, del contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato tra le parti in data 11.04.2003, avente ad oggetto l’acquisto di un immobile sito in C atania al prezzo di €12.911,42. L’attrice chiedeva, altresì, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni e alla restituzione della somma di €20.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata.
1.1. Costituitisi, i convenuti deducevano la risoluzione di diritto del preliminare di vendita avvenuta per responsabilità d ell’attrice , in quanto nella scrittura privata erano state espressamente pattuite alcune condizioni contrattuali determinanti – tra cui l’impegno a stipulare il rogito di compravendita entro e non oltre l’11.04.2006 palesemente violate dalla promissaria acquirente. Spiegavano, altresì, i convenuti domanda riconvenzionale chiedendo il risarcimento e/o indennizzo per la mancata disponibilità dell’immobile conferito in comodato d’uso gratuito all’attrice a far data dal febbraio 2002, nonché per l’illegittima occupazione da parte di soggetti terzi che avrebbero occupato il predetto immobile dal 2006 (anno in cui l’attrice avrebbe abbandonato l’appartamento) fino al 27.12.2017.
1.2. Il Tribunale di Catania rigettava la domanda attorea dichiarando risolto il contratto preliminare per scadenza del termine essenziale, ai sensi dell’art. 1457 cod. civ. Accoglieva la domanda
riconvenzionale proposta dai convenuti, condannando la COGNOME all’immediato rilascio dell’immobile, al pagamento di €21.000,00 per la sua illegittima occupazione, rigettava la domanda riconvenzionale avente ad oggetto il diritto dei promittenti venditori di ritenere la caparra.
La pronuncia veniva impugnata da NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Catania che, con sentenza n. 1750/2019, in accoglimento del gravame, condannava i promittenti venditori al pagamento della somma di €20.000,00 in favore della promissaria acquirente, corrispondente al doppio della caparra da questa versata.
Per quel che qui ancora rileva, a sostegno della sua decisione osservava la Corte che:
-con riguardo alla questione fondamentale della natura essenziale o no del termine dei tre anni per la stipulazione del contratto definitivo, nel preliminare – al di là dell’espressione «non oltre» – le parti nulla avevano aggiunto che potesse far ritenere l’essenzialità del termine, né alcuna conseguenza si leggeva nel caso di mancato rispetto di esso;
esclusa, quindi, la natura essenziale del termine, tenuto conto della risposta negativa alla richiesta dell’appellante del 20.11.2012 fornita dagli appellati con lettera del 12.12.2012 in ordine alla stipulazione del contratto definitivo, tenuto conto soprattutto della circostanza non contestata che la scrittura non era stata sottoscritta da tre dei comproprietari dell’immobile promesso in vendita, e posto che incombeva sui promittenti venditori procurare il consenso anche dei tre non sottoscrittori, il Collegio concludeva che il preliminare si era risolto per responsabilità dei promittenti venditori i quali erano tenuti, pertanto, a restituire alla controparte il doppio della caparra;
nulla avrebbe dovuto l’appellante a titolo di utilizzo del bene, poiché trattandosi di risoluzione del contratto per inadempimento doveva tenersi conto che l’art. 1458 cod. civ. fa salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, come il comodato collegato al preliminare di vendita, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
Avverso detta pronuncia proponevano ricorso per cassazione NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME, affidandolo a sei motivi.
Si difendeva depositando controricorso NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. -Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1457 e 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. – Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa fatti decisivi della controversia Motivazione apparente. I ricorrenti lamentano l’omesso esame di due fatti decisivi, da essi dedotti sia in sede di domanda riconvenzionale in primo grado, sia nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di appello. Innanzitutto, l’immobile oggetto del preliminare era stato ceduto dalla promissaria acquirente a soggetti terzi, i quali vi risiedevano stabilmente dal 2008 in palese violazione del contratto preliminare, come documentato in atti dal certificato di residenza dell’occupante, e come ammesso dalla stessa controparte. Un secondo fatto storico decisivo consisteva nei numerosi inadempimenti della COGNOME, ai quali pure la promissaria acquirente era tenuta in virtù del contratto preliminare (in particolare: il
mancato pagamento della tassa dei rifiuti urbani), ed a causa dei quali i promittenti venditori avevano manifestato la volontà di recedere con lettera del 12.12.2012.
1.1. Il primo motivo di ricorso si rivela inammissibile, in quanto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di omessa, insufficiente contraddittoria motivazione e di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in realtà cela l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione ( ex multis : Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2019, n. 33373; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
1.1.1. La complessiva censura travalica il modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi . La Corte d’Appello ha dedotto il grave inadempimento dei promittenti venditori sia dalla loro risposta alla richiesta di sottoscrivere il contratto definitivo inviata dalla promissaria acquirente ai promittenti venditori in data 20.11.2012, sia, soprattutto, dalla circostanza, non contestata, che la scrittura non era stata sottoscritta da tre dei comproprietari, così facendo buon governo dei principi di diritto affermati da questa Corte a partire dal 1993, in virtù dei quali la promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una
di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare – escludendosi, peraltro, in toto la possibilità del promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari promittenti – sull’assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli rimasti estranei (Cass. Sez. U, n. 7481/1993, Rv. 483048 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11358 del 30/12/1994, Rv. 489489 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 715 del 26/01/1998, Rv. 511922 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8796 del 28/06/2000, Rv. 538128 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11008 del 26/07/2002, Rv. 556250 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6308 del 10/03/2008, Rv. 602526 -01; Cass. Sez. 6 2, Ordinanza n. 21286 del 08/10/2014, Rv. 632332 -01; Cass. Sez. 2, n. 12938/2018, Rv. 650079 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2110 del 29/01/2021, Rv. 660355 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22011 del 12/07/2022, Rv. 665378 -01).
2. Con il secondo motivo, si deduce violazione falsa applicazione degli artt. 1453 e 1457 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) sotto altro profilo. I ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello di Catania ha riformato la sentenza del giudice di prime cure argomentando sulla natura non essenziale del termine per la stipulazione del contratto definitivo. Secondo i ricorrenti, è stata trascurata dal giudice di seconde cure la volontà dei contraenti, la natura e l’oggetto del contratto, posto che i promittenti venditori avrebbero subíto notevoli pregiudizi sul piano economico a causa della mancata stipulazione dell’atto definitivo, a dimostrazione dell’utilità economica avuta presente al momento della sottoscrizione del preliminare e intervenuta per effetto dell’inutile decorso del termine. Inoltre, anche in difetto di termine essenziale,
l’inosservanza del termine potrebbe costituire inadempimento di non scarsa importanza in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, quindi causa di risoluzione del contratto, quando il ritardo ecceda ogni limite di tollerabilità. In altre parole, l’inessenzialità del termine contrattuale non implica l’irrilevanza di qualsiasi ritardo ai fini della gravità dell’inadempimento, tanto che la stessa Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui in caso di ritardo intollerabile sussiste un diritto quesito del creditore alla risoluzione (Cass. Sez. u, n. 5086 del 1997). La Corte d’Appello, invece, avrebbe incentrato la sua attenzione solo sulla presunta mancata sottoscrizione del preliminare da parte di tre comproprietari, senza alcuna indagine circa l’esistenza e l’entità del ritardo in relazione all’interesse di parte promittente venditrice, o meglio senza analizzare la reciproca posizione giuridica dei contraenti anteriormente alla proposizione della domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento.
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Innanzitutto, i ricorrenti ripropongono in questa sede la valutazione dell’essenzialità del termine: questione di fatto, inammissibile in sede di legittimità (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 10353 del 01/06/2020, Rv. 657818 -01, che conferma: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7450 del 26/03/2018, Rv. 647868 -01, richiamata in sentenza).
2.2. Quanto alla rilevanza del ritardo a i fini dell’inadempimento del preliminare, la Corte d’Appello ha indagato sulla responsabilità del mancato adempimento della scrittura e -per le ragioni sopra riportate (punto 1.1.1.) -è pervenuta al convincimento dell’imputabilità dell’inadempimento del contratto preliminare a carico dei promittenti venditori. Deve, dunque, ribadirsi un principio
consolidato espresso da questa Corte per cui, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5) cod. proc. civ. qualsiasi contestazione volta a criticare il convincimento che il giudice di merito si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti e delle prove da parte della Corte di legittimità ( ex multis : Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021, Rv. 661628 -01).
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto, e in particolare degli artt. 1453, 1478 e 1457 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui aveva dedotto l’inadempimento dei promittenti venditori dalla circostanza che la scrittura privata non era stata sottoscritta da ben tre comproprietari, così lasciando intendere che l’inadempimento dovesse essere rinvenuto nel fatto stesso di aver promesso la vendita di un bene in tutto o in parte di proprietà di terzi. Dal contratto preliminare versato in atti risulta incontrovertibilmente documentato che COGNOME NOME e COGNOME Annunziata avevano sottoscritto il preliminare in un momento successivo, ossia in data 12.09.2003. In ogni caso, i germani sottoscrittori avevano ricevuto apposito incarico scritto dai congiunti assenti al momento della sottoscrizione; né la promissaria acquirente aveva mai sollevato alcuna contestazione sul punto, riconoscendo pertanto la validità della scrittura privata. La Corte d’Appello avrebbe fatto un cattivo uso degli artt. 1478 e ss. cod. civ. con riferimento alle modalità di adempimento delle obbligazioni assunte dal promittente venditore di una cosa parzialmente altrui: ai sensi delle norme citate, infatti, il
venditore è obbligato a procurare l’acquisto al compratore: pertanto, prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo il promissario acquirente non può contestare alcun inadempimento al promittente venditore.
3.1. Il motivo è infondato: in sentenza, circostanze non contestate sono -diversamente da quanto asserito nel mezzo di gravame – la mancata sottoscrizione della scrittura privata da parte di tre dei proprietari (v. sentenza p. 7, 3° rigo), nonché la mancanza del consenso di NOME e NOME alla conclusione del preliminare (v. sentenza p. 7, 1° capoverso): tanto basta a sostenere il convincimento del giudice distrettuale in merito all’inadempimento dei promittenti venditori . Né è consentito a questo giudice verificare la veridicità dei presupposti a fondamento del convincimento del giudice, posto che è stato dedotto dai ricorrenti un error in iudicando .
Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza per motivazione meramente apparente, e comunque al di sotto del c.d. minimo costituzionale, in violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. I ricorrenti deducono l’illogicità della pronuncia, mancando completamente le premesse del sillogismo sulla questione di fatto e di diritto inerente all’essenzialità del termine per la stipulazione del contratto definitivo. A giudizio dei ricorrenti, se il termine per la conclusione del contratto definitivo non era essenziale, come ritenuto dalla Corte, non poteva nemmeno dirsi ancora scaduto e, di conseguenza, non era possibile contestare l’adempimento alla parte promittente-alienante, che bene avrebbe potuto adempiere mediante stipula del contratto definitivo. Con una diversa censura i ricorrenti lamentano, altresì, che non risulterebbe da nessuna parte
della sentenza attraverso quali elementi di prova la Corte sia giunta alla conclusione di ritenere l’inadempimento di parte promittentealienante: avrebbe, invece, dovuto spiegare in base a quale ragionamento non aveva dato alcun rilievo alle risultanze documentali che dimostravano l’inadempimento dell’acquirente.
4.1. Il quarto motivo è inammissibile: per le ragioni sopra esposte, la pronuncia si pone al di sopra del minimo costituzionale, né può dirsi apparente.
4.2. Nella riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134) è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico»., nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (per tutte: Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
4.2.1. Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorra allorquando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi
lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01).
4.3. Nel caso che ci occupa non è rilevabile alcuna illogicità nel ragionamento della Corte distrettuale che, una volta esclusa l’essenzialità del termine, ha lasciato cadere la questione del ritardo nella stipulazione del contratto definitivo, fondando il suo convincimento su diverse ragioni di responsabilità attribuibili ai promittenti venditori, più volte ricordate (v. supra , punto 1.1.1.), rispetto alle quali non è possibile in questa sede sindacare l’attendibilità, e neanche la scelta e selezione tra le risultanze istruttorie oggetto di valutazione quelle utilizzabili per sostenere la propria tesi ( ex multis , di recente: Cass. n. 9507 del 06.04.2023).
5 . Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., e dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1453 e 1455 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. I ricorrenti denunciano l’errore di percezione in cui sarebbe caduta la Corte d’Appello sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova che investe una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti: il riferimento è alla mancata considerazione delle allegazioni in fatto riguardanti l’occupazione dell’immobile da parte di terzi, quantomeno dal 2008.
5.1. La censura non ha fondamento.
Con riguardo alla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., l a doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso il richiamo fatto all’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come già ricordato, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Punto di diritto, questo, che ha trovato conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023), in virtù dei quali in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
6. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 1453, 1455 e 1458 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Error in procedendo – Violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. La Corte territoriale, riformando la sentenza del giudice di prime cure, avrebbe escluso la corresponsione delle somme illegittimamente percepite a titolo di occupazione sulla base dell’art. 1458 cod. civ., che fa salvi i contratti ad esecuzione continuata come il comodato collegato al preliminare di vendita riguardo all’effetto retro attivo
rispetto alle prestazioni già eseguite. A giudizio dei ricorrenti, questa interpretazione e applicazione della norma non sarebbe conforme neanche a quanto stabilito dalla Corte di legittimità, intanto perché l’ iter logico giuridico compiuto dal giudice d’appello non consente di comprendere per quale ragione il contratto di comodato possa essere considerato, nel caso di specie, un contratto ad esecuzione periodica o continuativa, posto che non era stata prevista alcuna reciproca prestazione periodica a carico delle parti. Inoltre, quanto agli effetti restitutori derivanti da pronuncia di risoluzione del preliminare con consegna anticipata dell’immobile, anche alla luce degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, la Corte d’Appello avrebbe dovuto a ccogliere sia la domanda di risarcimento conseguente all’illegittima occupazione dell’immobile sin dalla stipula del preliminare, sia quella diretta all’incameramento della caparra versata.
6.1. Il sesto motivo è infondato, in quanto basato sull’erroneo presupposto dell’insussistenza della respon sabilità dei promittenti venditori: come emerge dai punti 1.1.1., 2.2., 3.1., la Corte distrettuale ha accertato l ‘inadempimento dei venditori rispetto alla mancata stipulazione del contratto definitivo: tanto basta ad escludere il risarcimento per illegittima occupazione dell’immobile.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda