Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28229 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
R.G.N. 21445/23
C.C. 15/10/2025
Vendita -Preliminare -Inadempimento del promissario acquirente -Risoluzione per inadempimento -Restituzione -Risarcimento per detenzione anticipata
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del suo liquidatore e legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi PEC dei difensori;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1572/2023, pubblicata il 18 luglio 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 ottobre 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
vista l’opposizione tempestivamente spiegata dal ricorrente avverso la proposta di definizione accelerata del giudizio ex art. 380bis c.p.c.;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 20 dicembre 2016, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Prato, COGNOME NOME, al fine di sentire pronunciare la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di due immobili siti in Prato (alla INDIRIZZO) sottoscritto dalle parti nell’anno 1997 per grave inadempimento del promissario acquirente convenuto, con il conseguente accertamento della insussistenza del diritto del medesimo a detenere l’immobile e con la condanna all’immediato rilascio del cespite, al rimborso degli oneri condominiali anticipati pari ad euro 10.955,3, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, nonché al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità dell’immobile in misura pari al valore locativo dello stesso o nella misura determinata in corso di causa.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio volta a ricostruire il valore figurativo del bene oggetto del preliminare.
Si costituiva in giudizio tardivamente COGNOME NOME, il quale concludeva per il rigetto delle domande avversarie, alla stregua
degli accordi intervenuti tra le parti originarie sull’acquisizione della detenzione del cespite sin dalla stipula del preliminare.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 202/2020, depositata il 28 aprile 2020, notificata il 12 maggio 2020, pronunciava la risoluzione del preliminare di vendita immobiliare per inadempimento del promissario acquirente e lo condannava alla restituzione dell’immobile oggetto della promessa, al pagamento della somma pari ad euro 10.955,03, a titolo di oneri condominiali versati, oltre interessi legali dalla costituzione in mora al soddisfo, nonché al pagamento della somma di euro 110.460,00, a titolo di indennizzo per la detenzione dell’immobile, oltre interessi legali dalla sentenza fino al soddisfo, e della somma di ulteriori euro 900,00 al mese fino all’effettivo rilascio.
2. -Con atto di citazione notificato il 10 giugno 2020, COGNOME NOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’insussistenza dell’inadempimento dedotto dal promissario acquirente, poiché, in forza di diversi accordi intercorsi ab origine tra le parti, questi era stato, da subito, immesso nella detenzione dell’immobile con il consenso del promittente alienante, sicché la sua condotta era legittima; 2) la violazione dei criteri di interpretazione del contratto, non essendosi tenuto conto del comportamento complessivo delle parti, anteriore e successivo alla stipulazione del preliminare, da cui sarebbe emersa la legittima detenzione dell’immobile in favore del promissario acquirente, con l’affidamento legittimamente ingenerato in forza dell’intesa raggiunta tra le parti; 3) la non ricorrenza dei presupposti per la pronuncia di risoluzione del contratto, in quanto, in ragione dei mutamenti organici e
strutturali subiti dall’originaria promittente venditrice NOME, di cui alle modificazioni societarie indicate, il promissario acquirente aveva perso i propri referenti ed era stato impossibilitato ad effettuare eventuali esborsi, né aveva ricevuto tempestive, formali e/o rituali comunicazioni o diffide al riguardo, e ciò con riflessi anche sull’individuazione del momento della costituzione in mora e sui criteri utilizzati per la quantificazione del danno, in assenza di alcun elemento istruttorio; 4) l’insussistenza di un’adeguata motivazione a supporto dell’accoglimento delle domande proposte.
Si costituiva nel giudizio di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE, la quale instava per la declaratoria di inammissibilità del gravame ovvero per il suo rigetto, con la conseguente conferma della pronuncia appellata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la prima censura sollevata dall’appellante era meramente astratta, in quanto reiterava le scarne allegazioni già operate in prime cure e, di fatto, ometteva di indicare quando, con quale contenuto, tra quali specifici soggetti e in quali termini fosse intercorso un accordo tra le parti che potesse consentire al COGNOME di entrare nel possesso degli immobili senza procedere al pagamento dei ratei del prezzo, come stabilito nel contratto; b ) che l’appellante aveva sovrapposto, in effetti, il piano dell’immediata entrata in possesso degli immobili con quello correlato al mancato pagamento del
prezzo, secondo la scansione di cui all’art. 6 del preliminare, sicché, quand’anche vi fosse stato un accordo in ordine all’immediata immissione nel possesso del bene in esame, ciò nulla comportava di per sé in ordine al mancato pagamento del prezzo; c ) che, del resto, la tardiva costituzione in giudizio del COGNOME nel corso del giudizio di primo grado, pur rappresentando un’opzione processuale legittima, aveva precluso a quest’ultimo, a monte, di addurre ritualmente allegazioni in ordine all’esistenza di altri e diversi accordi idonei ad incidere sul contenuto del preliminare oggetto di causa e, a valle, di chiedere la dimostrazione di tali allegazioni; d ) che anche la seconda censura era infondata, poiché l’appellante aveva posto nuovamente in essere una sorta di petizione di principio, postulando l’esistenza di altri e diversi accordi intervenuti tra le parti, di cui era stata omessa qualsivoglia dettagliata descrizione, né l’appellante aveva indicato in quale modo tali accordi avessero inciso, sul piano interpretativo, quanto all’obbligo di pagamento del prezzo, in ordine al quale non erano state sollevate allegazioni o contestazioni di sorta; e ) che le deduzioni dell’appellante di cui al terzo motivo, secondo cui, in esito ai mutamenti dell’originaria promittente venditrice, il promissario acquirente avrebbe perso i propri referenti e sarebbe risultato impossibilitato ad effettuare eventuali esborsi, si presentavano con connotati talmente apodittici da rendere l’allegazione in questione sostanzialmente priva di qualsivoglia rilievo ai fini della decisione, a tacere dell’inesistenza di riscontri di sorta, né il COGNOME aveva contestato il momento della costituzione in mora, ai fini della retrodatazione, a tale momento, dell’effetto restitutorio.
3. -Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, l’intimata RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE.
4. -All’esito, è stata formulata proposta di definizione del giudizio del 22 novembre 2024, depositata il 6 dicembre 2024, comunicata il 9 dicembre 2024, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., alla stregua della ritenuta manifesta infondatezza del ricorso.
Con atto depositato il 15 gennaio 2025, COGNOME NOME ha spiegato opposizione avverso la proposta di definizione anticipata del giudizio.
5. -Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Preliminarmente si rileva che il ricorso è procedibile ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21349 del 06/07/2022; Sez. L, Sentenza n. 3466 del 12/02/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 19695 del 22/07/2019; Sez. 5, Sentenza n. 1295 del 19/01/2018), benché non risulti depositata, entro il termine di cui all’art. 369, primo comma, c.p.c., la copia notificata della sentenza impugnata (cui si riferisce il ricorrente nell’epigrafe del ricorso), posto che, a fronte della pubblicazione della pronuncia impugnata il 18 luglio 2023, il ricorso di legittimità è stato notificato a mezzo PEC il 17 ottobre 2023, ossia entro il termine breve di 60 giorni dal deposito, che scadeva proprio il 17 ottobre 2023 (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 7/06/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 11386 del
30/04/2019; Sez. 6-3, Ordinanza n. 18645 del 22/09/2015; Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013).
2. -Tanto premesso, con l’unico motivo articolato il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte di merito interpretato il contratto dedotto in controversia dando esclusivo rilievo al senso letterale delle parole ivi adoperate, senza considerare il comportamento complessivo delle parti successivo a tale stipulazione ai fini di ricavarne la comune intenzione, in quanto il promissario acquirente -contrariamente a quanto previsto nel preliminare -era stato immesso nella detenzione degli immobili sin dall’anno 1997, perdurando tale detenzione per quasi vent’anni fino al 2016, senza alcuna eccezione e/o azione formulata in questo intervallo temporale dalla promittente venditrice.
Da ciò, quindi, sarebbe emersa, in modo palese, l’incompatibilità della condotta delle parti con il mero contenuto letterale del contratto, il quale prevedeva la consegna al momento del pagamento del saldo del prezzo.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, nessuna violazione dei canoni ermeneutici risulta essersi configurata secondo le argomentazioni offerte dalla sentenza impugnata, da cui emerge che, pur ipotizzando che dal comportamento delle parti si potesse desumere che il promittente alienante avesse consentito l’anticipata acquisizione della detenzione degli immobili in favore del promissario acquirente prima della stipula del definitivo e del saldo del prezzo, ciò non avrebbe certamente giustificato il definitivo esonero del
promissario acquirente dall’obbligo di stipulare il definitivo e di corrispondere tale saldo, il cui difetto ha legittimato la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento del promissario acquirente.
Pertanto, la Corte territoriale ha tenuto conto di tale anticipata detenzione acquisita in favore del promissario compratore sin dalla stipula della promessa di vendita e, proprio in ragione di tale fatto (non contemplato nel preliminare), è stata accolta la domanda volta ad ottenere l’indennità per il mantenimento di tale disponibilità dalla costituzione in mora.
Né è stato dimostrato che tali ulteriori accordi, sottesi alla consentita detenzione anticipata del cespite, esonerassero il promissario acquirente dall’obbligo di concludere il definitivo e di corrispondere il saldo del prezzo secondo le modalità convenute nel preliminare.
In altri termini, il consenso prestato dal promittente alienante all’anticipata detenzione de gli immobili -come desumibile dalla disamina del contegno complessivo assunto dalle parti, di cui si è debitamente tenuto conto -doveva pur sempre ritenersi funzionale, in mancanza di elementi probatori di segno contrario, al completamento del programma negoziale concordato, ossia alla stipula del definitivo di vendita e al pagamento del saldo del corrispettivo.
In mancanza di tali adempimenti, è venuto meno ( recte si è caducato) il titolo che legittimava il promissario acquirente a detenere gli immobili.
Ora, l’efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare comporta
l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente, che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita, debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso. Ne consegue che, nel caso di occupazione di un immobile, fondata su di un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale del contratto, va esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10145 del 17/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 35280 del 30/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 28381 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6575 del 14/03/2017; Sez. 2, Sentenza n. 16629 del 03/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 550 del 18/01/2002).
Ciò è quanto accaduto nel caso di specie, posto che è stata confermata la statuizione di primo grado sulla restituzione dei cespiti detenuti dal promissario acquirente in favore del promittente venditore, con la condanna del promissario al pagamento del valore figurativo del cespite in ragione della sua mantenuta disponibilità, divenuta illegittima in conseguenza del mancato rispetto degli obblighi assunti con il preliminare, in esito alla correlata pronuncia di risoluzione del preliminare per inadempimento grave del promissario acquirente, avente efficacia retroattiva.
E tanto sebbene impropriamente si sia fatto riferimento alla qualificazione quale ‘risarcimento del danno’, anziché alla
ripetizione dell’indebito con la restituzione dei frutti, pervenendo comunque al medesimo esito (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10555 del 23/04/2025).
Pertanto, all’obbligo di restituire la prestazione ricevuta si associa, nel caso in cui questa abbia avuto per oggetto una cosa fruttifera, l’obbligo di restituire i relativi frutti, naturali o civili, ovvero, qualora di essi non sia possibile la restituzione, di corrispondere l’equivalente in danaro, dal giorno dell’ottenuta disponibilità.
Invero, è il godimento in sé del cespite -rivelatosi illegittimo con efficacia retroattiva all’esito della declaratoria di risoluzione del preliminare di vendita -a giustificare che alla restituzione del bene si accompagni il riconoscimento dei frutti civili indebitamente percepiti.
-In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché, all’esito dell’opposizione alla proposta di definizione anticipata o accelerata del giudizio, ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il giudizio è stato definito in conformità alla proposta, deve essere applicato l’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c., con la conseguente condanna ulteriore del ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge;
condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma equitativamente determinata in euro 2.500,00 , ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 1.500,00 , ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. .
In applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 15 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME