Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 674 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 674 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9440/2019 R.G. proposto da: NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Messina INDIRIZZO presso l o studio dell’avv.to NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in Sant’Agata di Militello (ME) INDIRIZZO presso lo studio dell’avv.to NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 790/2018 depositata il 17/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citava in giudizio NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME dinanzi il Tribunale ordinario di Patti chiedendo l’ esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita della proprietà dell’azienda denominata ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ avente ad oggetto l’attività di somministrazione alcolici , bevande e ristorazione esercitata con le forme dell’impresa individuale nei locali siti in Capo d’Orlando, borgo San Gregorio, iscritta al registro delle imprese di Messina con licenza per l’esercizio dell’attività rilasciata dalla competente autorità del Comune di Capo d’Orland o in data 22 a prile 2002. L’attrice chiedeva di condannare i convenuti a corrispondere la somma di euro 175.000 detratto l’acconto già corrisposto di euro 17.500 oltre interessi e rivalutazione a far data 28 febbraio 2007.
I convenuti si costituivano in giudizio e, in via riconvenzionale, chiedevano la risoluzione del contratto per inadempimento dell ‘ attrice COGNOME
Il Tribunale di Messina con sentenza in data 2 dicembre 2013 accoglieva la domanda riconvenzionale e dichiarava risolto per grave inadempimento della promittente venditrice, il suddetto contratto preliminare, sul presupposto che l’immobile su cui la licenza ricadeva era sprovvisto di concessioni edilizie e di agibilità e per essere stata l’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività di gestione del pub revocata dal Comune di Capo d’Orlando in data 8 maggio 2012.
Il Tribunale, pertanto, condannava la RAGIONE_SOCIALE a restituire ai promissari acquirenti la somma di euro 18.333,32 versata a titolo di acconto, oltre interessi a decorrere dal 3 febbraio 2007. Venivano rigettate le altre domande proposte dall’attrice per essere state formulate sul presupposto dell’adempimento del contratto preliminare.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
La C orte d’ Appello di Messina rigettava il gravame ritenendo conformemente al primo giudice che nella specie ricorresse una chiara e grave inadempienza della promittente venditrice a nulla rilevando che ella avesse reso edotti i promissari acquirenti del fatto di essere solo conduttrice e non proprietaria dell’immobile e del fatto che in relazione al suddetto immobile pendeva una pratica di sanatoria edilizia intrapresa dalle proprietarie.
Del tutto infondata era la tesi della appellante che invocava un suo legittimo affidamento sulla regolarità edilizia e commerciale del bene anche in virtù del tempo trascorso.
D’altra parte , il Giudice di primo grado aveva tenuto conto della revoca dell’autorizzazione del 23 aprile 2004 dispost a dal Comune di Capo d’Orlando in data 8 maggio 2012 sulla cui tempestiva produzione non vi era motivo di dubitare, in quanto il provvedimento era stato adottato pochi giorni prima che la causa fosse assunta in decisione ed immediatamente allegato agli atti. Tale provvedimento aveva reso impossibile l’esecuzione in forma specifica del preliminare di cessione dell’azienda in conseguenza dell’inesistenza giuridica dell’oggetto del contratto stante l’impossibilità di adibire al locale destinat o alla somministrazione al
pubblico di alimenti un immobile irregolare non solo dal punto di vista edilizio ma anche commerciale e igienico-sanitario. Del tutto infondata era anche la tesi secondo la quale i promissari acquirenti, per sciogliersi dal vincolo contrattuale, avevano sollecitato l’adozione da parte dell’amministrazione del provvedimento di revoca della licenza. Infatti, da un lato la revoca era un atto amministrativo rientrante nella determinazione del Comune e dall’altro i promissari acquirenti avevano dimostrato di voler dare esecuzione al preliminare. Ricorreva, pertanto, il grave inadempimento della parte promittente venditrice che giustificava l’accoglimento della domanda formulata dagli appellati con conseguente rigetto di quella di esecuzione del preliminare e con condanna al pagamento della penale espressamente convenuta e alla restituzione della caparra percepita.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 153 e 184 bis c.p.c.
La censura ha ad oggetto la violazione dei termini stabiliti dall’articolo 183 c.p.c. per il deposito di note, precisazione della domanda, di documenti e richieste istruttorie.
Il giudice di primo grado, in assenza della dimostrazione che la decadenza si era verificata per un fatto non imputabile alla parte, non poteva rimettere in termini i convenuti e consentire loro il deposito de l provvedimento di revoca dell’autorizzazione concessa
alla ricorrente. D’altra parte , non era stata neanche sollecitata una remissione in termini, sicché il giudice del Tribunale di Patti non poteva e non doveva rinviare la causa al fine di consentire il deposito di documenti ancora non formati, in particolare il provvedimento di revoca dell’autorizzazione della ricorrente.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La revoca dell’autorizzazione del 23 aprile 2004 è stata disposta dal Comune di Capo d’Orlando in data 8 maggio 2012, sicché correttamente il Tribunale ne ha ammesso la produzione trattandosi di un documento decisivo che non poteva essere prodotto in data antecedente il formarsi delle preclusioni processuali essendosi formato pochi giorni prima che la causa fosse assunta in decisione ed essendo stato immediatamente allegato agli atti.
Ciò premesso deve ribadirsi che: La parte può produrre i documenti probatori che si siano formati dopo lo spirare del termine assegnato dal giudice per la deduzione dei mezzi istruttori ma prima del passaggio della causa in decisione e addirittura può produrli in grado di appello (Sez. 2, Ord. n. 7977 del 11/03/2022).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del l’articolo 2555 c.c., in relazione all’oggetto della promessa di vendita intercorsa tra le parti.
La ricorrente sostiene che oggetto della vendita era l’azienda denominata ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ con i relativi beni ed arredi e, dunque, non era previsto che gli acquirenti esercitassero l’attività aziendale all’interno del locale condott o in locazione dalla titolare cedente. Pertanto, il locale all’interno del quale la ricorrente esercitava la propria attività non era oggetto del preliminare di cessione di
Ric. 2019 n. 9440 sez. S2 – ud. 19/12/2023
azienda mentre il concetto di avviamento non sarebbe limitato alla sola collocazione in un certo immobile dell’azienda.
In un contratto preliminare avente ad oggetto la cessione dell’azienda e la voltura delle autorizzazioni in possesso dell’alienante nessuna rilevanza possiede rebbe l’assenza di concessione edilizia del locale all’interno del quale questi esercita l’attività d’impresa , poiché l’immobile non rientrerebbe nell’oggetto del contratto e, pertanto, l’azienda p otrebbe essere validamente alienata all’acquirente in possesso dei requisiti di legge che a sua volta potrebbe trasferire l’azienda altrove. La ricorrente, a conferma di ciò, richiama l’articolo 2558 , comma 2, c.c. secondo cui il terzo contraente può recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento se sussiste una giusta causa salva in questo caso la responsabilità dell’alienante. Da ciò ricava che i proprietari dell’immobile all’interno della quale si trovava l’azienda denominata ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ avevano facoltà di recedere dal contratto di locazione, mentre gli acquirenti potevano ben trasferire l’azienda altrove.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte d’Appello ha evidenziato che la revoca dell’autorizzazione del 23 aprile 2004 disposta dal Comune di Capo d’Orlando in data 8 maggio 2012 ha reso impossibile l’esecuzione in forma specifica del preliminare di cessione dell’azienda in conseguenza dell’inesistenza giuridica dell’oggetto del contr atto della licenza. Il motivo non si confronta con la suddetta ratio decidendi , soffermandosi solo sul fatto che la ricorrente aveva la disponibilità de i locali dove esercitava l’attività solo in virtù di un contratto di locazione e sulla tesi che la cessione di azienda non
comporterebbe automaticamente anche la cessione dei locali dove si svolge l’attività imprenditoriale.
La censura non si confronta con tale ratio decidendi e, pertanto, è inammissibile non potendo produrre l’effetto di annullamento della sentenza sorretta dalla suddetta autonoma motivazione giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata. Deve richiamarsi in proposito il seguente principio di diritto: Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza ( ex plurimis Sez. 1, Ord. n. 18119 del 2020; Sez. 6-5, Ord. n. 9752 del 2017).
Peraltro, come evidenziato dallo stesso ricorrente, nella specie era prevista anche la cessione del contratto di locazione e risulta evidente il vincolo di collegamento strumentale tra la locazione d ell’ immobile e l’ azienda in esso esercitata come desumibile dall’inequivoca volontà dei contraenti (vedi Sez. 3, Sentenza n. 15700 del 02/07/2010, Rv. 614015 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La motivazione adottata dal giudice d’appello sarebbe insufficiente e contraddittoria.
In particolare, la censura si rivolge alla presunta volontà delle controparti di dare esecuzione al preliminare di vendita. Tale elemento sarebbe decisivo per dimostrare l’ inadempimento contrattuale dei convenuti e rispetto ad esso nessuna considerazione è stata effettuata dalla C orte d’ Appello. D ‘altra parte, nessuno dei promissari acquirenti possedeva all’epoca l’iscrizione al R.E.C. e, dunque, non poteva vedersi volturare la licenza promessa in vendita.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione è inammissibile ricorrendo ipotesi di ‘doppia conforme’. Peraltro, il ‘fatto’ in questione non solo non è stato omesso avendo la Corte d’Appello ritenuto sussistente la volontà di ottenere il trasferimento dalla azienda, ma soprattutto non ha il carattere della decisività per quanto si è detto circa la revoca dell’autorizzazione che è stata la ragione fondante la risoluzione del contratto per inadempimento della Ciraulo. La censura è inammissibile anche per il seguente ulteriore profilo: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve i ndicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello , dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a
quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 4000 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione