Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26989 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26989 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10750/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale come per legge
-ricorrente – contro
CAPPONI LIVIA
-intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 7449/2022, pubblicata in data 18 novembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, RAGIONE_SOCIALE chiedendo che venisse accertato che nulla doveva, a titolo di corrispettivo, per il consumo di energia elettrica relativo al periodo antecedente al 14 maggio 2015 in relazione all’immobile sito in Roma, INDIRIZZO; in subordine che nulla doveva per il medesimo immobile per il periodo antecedente al 2 maggio 2014.
All’esito della costituzione della società convenuta, che, in via riconvenzionale, chiedeva il pagamento della somma di euro 44.367,46, facendo rilevare che, al momento dell’accertamento del prelievo abusivo, nell’immobile era presente la sola attrice e che mai era stato concluso un contratto con la RAGIONE_SOCIALE, società che la COGNOME asseriva avesse avuto la disponibilità dell’immobile in forza di contratto di locazione, il Tribunale di Roma accertava che la COGNOME non era tenuta al pagamento della somma reclamata da RAGIONE_SOCIALE, dal momento che la fattura azionata si riferiva a prelievi di energia elettrica effettuati nel periodo 7 novembre 2010 -13 maggio 2015 durante il quale non era stata offerta prova che la fornitura fosse intestata all’attrice.
La Corte d’appello di Roma, investita del gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato l’appello, osservando che, benché la COGNOME avesse mantenuto il possesso formale dell’immobile, pur stipulando il contratto di locazione con RAGIONE_SOCIALE, che era divenuta detentrice dell’immobile, l’allaccio abusivo alla rete elettrica postulava un rapporto di custodia con l’immobile riferibile al conduttore e non al locator e; inoltre, l’appellata aveva dato prova della propria estraneità al prelievo
abusivo, esibendo il contratto di locazione registrato, a nulla rilevando che la stessa non avesse chiesto di chiamare in causa la conduttrice, né che la stessa fosse presente nell’immobile al momento della verifica che aveva fatto riscontrare l’abusivo prelievo di energia elettrica.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con tre motivi.
NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Ragioni della decisione
Con il terzo motivo, che va per primo esaminato in quanto logicamente prioritario, la ricorrente denunzia omessa pronuncia ovvero, in subordine, omessa motivazione sulla richiesta di ammissione della prova testimoniale formulata nell’atto di appello, nonché violazione dell’art. 112 c od. proc. civ. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’app ello non si sarebbe espressamente pronunciata sulle richieste istruttorie avanzate, che, ove adeguatamente valutate, avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione.
Il motivo è inammissibile.
4.1. Manca, invero, nella doglianza la illustrazione della decisività della prova testimoniale -i cui capitoli sono stati ritrascritti in ricorso (pag. 26) -di cui si lamenta la mancata ammissione.
Giova, al riguardo, rammentare che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è, in astratto, censurabile, o per inosservanza di norme processuali o per vizio di motivazione, ma in tale secondo caso solo nei ristretti limiti nei quali è oggi deducibile secondo il paradigma di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. .
Non può, in via di principio, essere posto in dubbio il rilievo che il
diritto alla prova assume quale strumento di un effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6, § 1, CEDU), di guisa che la sua violazione è certamente censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; una tale violazione è, però, configurabile allorquando il giudice del merito rilevi decadenze o preclusioni insussistenti ovvero affermi tout court l’inammissibilità del mezzo di prova richiesto per motivi che prescindano da una valutazione, di merito, della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite; ove invece la decisione del giudice di merito si risolva pur sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, non viene in rilievo una regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, ma piuttosto «il potere (del giudice) di operare nel processo scelte discrezionali, che, pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta» (Cass., sez. U, 22/05/2012, n. 8077; Cass., sez. 6 -1, 17/06/2019, n. 16214; Cass., sez. 3, 06/11/2023, n. 30810; Cass., sez. L, 01/07/2024, n. 18072). In tal caso, la mancata ammissione della prova pone solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può, pertanto, essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass., sez. L, 14/10/2015, n. 20693; Cass., sez. L, 08/01/2015, n. 66; Cass., sez. 1, 07/03/2011, n. 5377; Cass., sez. L, 29/04/1999, n. 4369).
4.2. Nelle argomentazioni con cui la pronuncia impugnata ha risolto il merito della lite è implicita la conferma del giudizio di irrilevanza delle prove ai fini della decisione (Cass., sez. L,
02/04/2004, n. 6570; Cass., sez. 3, 12/07/2005, n. 14611; Cass., sez. 2, 08/05/2017, n. 11176; Cass., sez. 2, 08/01/2019, n. 18025); tanto esclude la ravvisabilità non solo del vizio di motivazione, ma anche del vizio di omessa pronuncia.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2697, 112, 115 e 116 cod. proc. civ. e sostiene che, anche a voler ammettere che RAGIONE_SOCIALE avesse avuto la detenzione dell’immobile, la stessa aveva prelevato l’energia dalla data di efficacia del contratto di locazione concluso con la COGNOME, ossia dal 2 maggio 2014, ma non anche nel periodo precedente, dal 17 novembre 2010 al 1° maggio 2014, durante il quale l’immo bile era rimasto nella disponibilità della COGNOME, la quale era, pertanto, tenuta al pagamento dei relativi consumi.
Rimarca che la RAGIONE_SOCIALE non era stata mai intestataria di un contratto di somministrazione e che la presenza della sola COGNOME al momento dell’accertamento della manomissione, come pure l’intervenuto pagamento, da parte della stessa COGNOME, di altre fatture emesse, avvaloravano la conclusione che i consumi fossero alla stessa riferibili.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., la ricorrente denunzia travisamento della prova; lamenta che, quand’anche le si ritenesse opponibile il contratto di locazione, avente efficacia dal 2 maggio 2014 al 14 maggio 2015, controparte dovrebbe ritenersi comunque tenuta al pagamento dei consumi del periodo precedente compreso tra il 17 novembre 2010 ed il 1° maggio 2014.
Si duole che l’errore del giudice sia caduto non sulla valutazione della prova ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della stessa, con conseguente impossibilità di ricavarne i contenuti informativi che
da essi il giudice d’appello aveva ritenuto di trarne.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono inammissibili.
S otto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge essi in realtà sono sostanzialmente volti a sollecitare un riesame della vicenda fattuale ed una diversa valutazione delle prove raccolte, che costituisce attività riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.
Va al riguardo ribadito che «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., sez. 26/10/2021, n. 30042; Cass., sez. 5, 22/11/2023, n. 32505).
Peraltro, non sussiste la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395) e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in
sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.); né la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è stata svolta in conformità ai criteri indicati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20867 del 2020.
Neppure la ricorrente deduce e chiarisce le ragioni per le quali la Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.
Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in assenza di attività difensiva da parte di NOME COGNOME che è rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 4 luglio 2025
IL PRESIDENTE NOME COGNOME