Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17761 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17761 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19658/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (GRGPQL70A20F913E)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in Nocera Inferiore INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (GNVLRD54P09F912D)
che li
e
-controricorrenti- nonchè contro RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ARAGONESE, COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 726/2021 depositata il 18/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
La Corte di appello di Salerno, con sentenza nr 726/2021, rigettava , per gli aspetti che qui rilevano l’appello principale proposto da NOME COGNOME avverso la decisione del Tribunale di Salerno con
cui era stata dichiarata l’inefficacia dell’atto pubblico del 22/10/2002 limitatamente alle quote cedute in proprietà ( piena o nuda) in favore di COGNOME NOME nei confronti dei proprietari delle quote della società RAGIONE_SOCIALE
Il Giudice del merito rilevava che l’appellante principale aveva censurato fra le altre anche la statuizione di rigetto della domanda di riscatto, deducendo che la dottrina più accreditata e la giurisprudenza di merito e di legittimità ( richiamando sotto quest’ultimo profilo Cass. n. 2763/1973 e Cass. n. 93/1989) sostenevano che, qualora una quota di RAGIONE_SOCIALE fosse stata ceduta senza rispettare il diritto di prelazione dei soci, il socio prelazionario poteva esercitare il diritto di riscatto.
Osservava sul punto che la censura doveva considerarsi infondata avendo il Tribunale fatto corretta applicazione del principio di diritto in forza del quale la violazione della clausola contenuta nello statuto di una sRAGIONE_SOCIALEr.lRAGIONE_SOCIALE contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità nei confronti della società, dei soci titolari del diritto di prelazione della cessione e del terzo acquirente della partecipazione societaria, ed eventualmente il rimedio risarcitorio (qualora cioè un danno sia stato allegato e provato) ma non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente.
In particolare la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che il patto di prelazione, concluso tra i soci di una società, per la stessa funzione che gli è propria, è idoneo a generare obblighi e diritti reciproci per le parti che lo abbiano stipulato; da una parte, sussiste l’obbligo, a carico del socio (o dei soci) che intenda trasferire la partecipazione sociale, cui la prelazione si riferisce, di darne comunicazione agli altri e di preferirli ad ogni altro possibile
acquirente, a parità di condizioni; dall’altra, si pone il diritto, in capo agli altri soci, di ricevere tale comunicazione e di essere preferiti nell’acquisto.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui hanno resistito con distinti controricorso la soc. RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 12 disp. prel. cod. civ., 2479 cod. civ. nel testo anteriforma 2003 e 2469 cod. civ., nella formulazione attuale, 1362, 1363, 1366 e 2932 cod. civ., 132 e 118 disp. att. cod. proc. civ. per non avere la Corte di appello applicato l’istituto del riscatto nell’ipotesi di un patto di prelazione avente efficacia reale.
Si sostiene che la mancata previsione di un diritto di riscatto nell’ipotesi di inadempimento di una obbligazione che trovi la fonte in un contratto non è, poi, argomento di decisivo ostacolo ai fini del suo riconoscimento nella predetta ipotesi.
Si osserva che il silenzio del legislatore, sul punto, non può essere considerato come espressione di volontà negativa, ed è necessario verificare se, nel caso in esame, è consentito il ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 delle preleggi.
Analogia, che non sarebbe preclusa dalla diversità della fonte (legale o volontaria) stante il carattere unitario dell’istituto costituisce, infatti, un principio di carattere generale e dalla eadem ratio che lega le due fattispecie
Si rileva poi che escludere una tutela a favore di chi faccia valere in giudizio un diritto, la cui esistenza non è contestata dalle parti che non hanno osservato il patto di prelazione, come nella specie -significa violare, in modo del tutto ingiustificato ( rectius : arbitrario) la libertà di iniziativa economica ( art 41 ) e di autodeterminazione della propria controparte imponendole un sacrificio ingiusto in quanto non sorretto dalla soddisfazione di un apprezzabile contro interesse e si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali quello del dovere di solidarietà sociale (art. 2).
Con un secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 12 disp. prel. cod. civ., 2479 cod. civ. nel testo anteriforma 2003 e 2469 cod. civ. nella formulazione attuale, 2932 cod. civ.. L’eccezione di illegittimità costituzionale .
Si afferma che la lettura restrittiva dell’art. 2469 cod. civ., nella formulazione ante riforma il diritto societario, e dell’art. 2470 cod. civ. nella sua attuale formulazione sarebbe irragionevole in quanto non consente al socio, illecitamente pretermesso, l’esercizio del diritto di riscatto nell’ipotesi di violazione del patto di prelazione e non sarebbe coerente con l’attuale sistema normativo.
Il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art 360 bis in quanto la decisione impugnata e conforma agli indirizzi espressi da questa Corte con due pronunce n. 12370/2014 e Cass. n. 24559/2015 ed il ricorrente non offre argomenti per mutare l’indirizzo.
In entrambe le decisioni si è affermato che la violazione della clausola contenuta nello statuto di RAGIONE_SOCIALE contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della
partecipazione sociale conclusa in violazione delle disposizioni statutarie cui si aggiunge – alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni – l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto dalla violazione stessa, mentre è stato escluso il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente.
Tale diritto non costituisce invero rimedio generale in caso di violazione di obbligazioni contrattuali, bensì una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge nel conformare i diritti spettanti ai titolari di diritti di prelazione che essa stessa prevede. Non vi è dunque spazio per ricorrere ad un’applicazione analogica, nella fattispecie in esame, del diritto di riscatto previsto dall’art. 732 c.c., a favore dei coeredi: ciò anche in considerazione del fatto che, oltre i confini oggettivi stabiliti dalla convenzione statutaria limitativa, opera la regola generale, posta dall’art. 2479 c.c., della libera trasferibilità della quota sociale.
L’evidente carattere pattizio della prelazione comporta che il contratto ha – in via di principio – effetto solo tra le parti, con la conseguenza che le posizioni soggettive scaturenti dall’accordo negoziale non possono riflettersi sui terzi. Le pattuizioni contenute in tale accordo hanno, in altri termini, carattere obbligatorio e non reale.
Questa Corte ha efficacemente rimarcato la differenze esistente fra la prelazione convenzionale e quella legale avendo l’una efficacia obbligatoria, vincolante per i soli contraenti e non per i terzi estranei, l’altra reale.
Diversa natura che inevitabilmente si riverbera sugli effetti giuridici che derivano dalla violazione dell’obbligo convenzionale rispetto a quello previsto dalla legge.
Principi questi sono, peraltro, applicabili anche al caso in cui – come è accaduto nella fattispecie in esame – il patto di prelazione sia stato inserito, mediante apposita clausola, nell’atto costitutivo o nello statuto di una società.
Inefficacia reale” di tale patto – che non cessa di rivestire la natura convenzionale attribuibile ai patti parasociali – se comporta, infatti, l’opponibilità del medesimo ai terzi, in essi compreso l’acquirente della partecipazione sociale, non vale, invece, a radicare il fondamento di un’azione di retratto, finalizzata all’esercizio di un preteso diritto di riscatto del bene in questione.
La ragione risiede (anche, ma non solo) nella qualificazione giuridica del patto di prelazione.
Esso non costituisce una clausola che trasferisce diritti reali (nell’accezione di negozio ad effetti reali di cui all’art. 1376 c.c.), ma non rappresenta neppure una promessa a stipulare (o meglio, a trasferire) suscettibile di esecuzione in forma specifica (si pensi al rimedio di cui all’art. 2932 c.c.).
La ratio della prelazione, al contrario, si sostanzia in un mero obbligo di denuntiatio , peraltro con facoltà del denunziante di non accettare la proposta dell’oblato e, in definitiva, di non procedere ad alcuna vendita.
Ed è (anche) questo il motivo per cui non può riconoscersi al socio pretermesso (che non gode di un diritto ‘perfetto’ a vedersi trasferite le azioni del socio che intende alienare) alcun potere di riscatto sulle azioni medesime. Difetta infatti, in radice, un diritto di proprietà (o meglio, un diritto a vedersi trasferita la proprietà) del soggetto pretermesso sulle azioni traferite.
La ratio della prelazione, al contrario, si sostanzia in un mero obbligo di denuntiatio , peraltro con facoltà del denunziante di non
accettare la proposta dell’oblato e, in definitiva, di non procedere ad alcuna vendita.
Ed è (anche) questo il motivo per cui non può riconoscersi al socio pretermesso (che non gode di un diritto ‘perfetto’ a vedersi trasferite le azioni del socio che intende alienare) alcun potere di riscatto sulle azioni medesime.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile
La censura è infatti formulata in termini di eccezione di illegittimità costituzionale sulla base di un astratto richiamo al principio di ragionevolezza e senza radicarlo nel sistema normativo se non attraverso il richiamo al mero dato dell’evoluzione legislativa senza porre l’attenzione sul diverso effetto erga omnes che è presente nella prelazione legale e che invece manca in quella convenzionale.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6000,00, oltre a € 200,00 per esborsi e a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, 20.06.2025