Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28918 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 28918 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 7577/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. e P_IVA -di seguito, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘), con sede legale in Roma, INDIRIZZO, in persona del Direttore Generale e AVV_NOTAIO speciale ProfAVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dal l’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale in calce al ricorso.
ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in INDIRIZZO (c.f. CODICE_FISCALE), società registrata presso il Maltese Business Registry (MBR) al numero C 264, in persona del Direttore e legale rappresentante Sig. NOME COGNOME
COGNOME (c.f. 541365M), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del foro di Treviso ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio in Treviso (TV).
-controricorrente –
NONCHÉ NEI CONFRONTI DI
RAGIONE_SOCIALE n. 365/2017 –RAGIONE_SOCIALE, in persona dei Curatori AVV_NOTAIO NOME COGNOME e AVV_NOTAIO Sepe Quarta.
–
intimato – avverso il decreto reso in data 1° febbraio 2023, a definizione del procedimento di reclamo ex art 36 l. fall., emesso dal Tribunale di Roma;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/11/2025 dal AVV_NOTAIO;
udito il P.M., in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;
udito, per la RAGIONE_SOCIALE ricorrente, l’AVV_NOTAIO. accogliersi il proprio ricorso;
udita, per la società controricorrente, l’AVV_NOTAIO. respingersi l’avverso ricorso.
NOME COGNOME, che ha chiesto NOME COGNOME, che ha chiesto
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (anche , ‘RAGIONE_SOCIALE‘) si era resa aggiudicataria, nella disposta vendita RAGIONE_SOCIALE, di un complesso immobiliare (che ancor prima era stato concesso in locazione dallo stesso RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE), all’esito di una gara competitiva indetta dal RAGIONE_SOCIALE dell ‘ RAGIONE_SOCIALE. Alla gara aveva partecipato anche la detta RAGIONE_SOCIALE che, prima del trasferimento dell’immobile a SGP, aveva dichiarato di esercitare il diritto di prelazione di cui all’art. 38, l. 392/1978 .
La RAGIONE_SOCIALE aveva tuttavia negato il riconoscimento dell’azionata prelazione e d era stata altresì autorizzata dal RAGIONE_SOCIALE a non riconoscere la sussistenza del detto diritto di prelazione, qui in contestazione.
Avverso la determinazione del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE proponeva reclamo ex art. 36 l. fall., accolto dal giudice delegato.
Avverso tale ultima decisione, NOME proponeva reclamo e il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, accoglieva integralmente la proposta impugnazione, negando l’esistenza del diritto di prelazione in favore di RAGIONE_SOCIALE.
Più in particolare, il Tribunale di Roma ha: (i) affermato la necessità di indagare la compatibilità tra il diritto di prelazione e la vendita coattiva muovendo dalla natura del diritto esercitato, quale, nel caso di specie, quello di prelazione legale; (ii) riscontrato un assetto giurisprudenziale e dottrinale univoco contrario all’operatività del diritto di prelazione del conduttore nelle vendite coattive in ragione del ‘tenore letterale dell’art. 38 legge 392/1978 che presuppone inequivocabilmente la natura negoziale o in ogni caso il carattere volontaristico della vendita’; (iii) reputato di dover dare seguito all ‘ insegnamento giurisprudenziale e dottrinale menzionato, individuando, segnatamente, le ragioni della predicata incompatibilità ‘nell’esigenza di tutelare il ceto RAGIONE_SOCIALEo, che assume valore prioritario rispetto alla tutela del prelazionario’; (iv) dubitato dell’applicabilità dell’art. 38 l . n. 392/1978 in una vicenda traslativa negoziale di un immobile, quale quello in esame, ove si svolge attività di tipo ospedaliero/sanitario, la quale ‘prescinde completamente dalla localizzazione in un determinato luogo ‘ ; (v) escluso, da ultimo, che dal generico richiamo alla l. n. 392/1978, contenuto nel contratto di locazione, potesse farsi derivare la volontà delle parti (i.e., della curatela e della RAGIONE_SOCIALE) di riconoscere a quest’ultima il diritto di prelazione di cui all’art. 38 della medesima legge, argomentando altresì in merito alla posizione assunta dalla curatela, la quale aveva sempre sostenuto l’incompatibilità di tale diritto con la vendita forzata concorsuale.
5.Il decreto, pubblicato il 1° febbraio 2023, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE, intimato, non ha svolto difese.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
La Procura generale, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore NOME COGNOME, ha altresì depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ante omnia , occorre esaminare il preliminare profilo dell’ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111, 7 comma, Cost. presentato dall’odierno ricorrente, trattandosi di impugnazione avverso il decreto reso ex art. 36 l. fall.
Al quesito deve darsi risposta positiva.
Invero, non vi possono essere dubbi sul fatto che il decreto impugnato incida in modo definitivo su situazioni soggettive di natura sostanziale, ed in particolare sul negato diritto di prelazione della RAGIONE_SOCIALE e, come tale, ha indubbiamente i caratteri della definitività e della decisorietà richiesti dall’art. 111, comma 7, Cost.1.
Sul punto va infatti evidenziato che il decreto oggi ricorso non si è limitato ad esercitare un controllo sull’operato del curatore, ma ha inciso a tutti gli effetti su un diritto soggettivo della RAGIONE_SOCIALE, avendo escluso la sussistenza del diritto di prelazione di quest’ultima sul complesso immobiliare (e dunque consentendone l’acquisto ad opera di un terzo ), e così negando il diritto della odierna ricorrente di rendersi acquirente del bene in forza dell’avvenuto esercizio del diritto di prelazione (in tal senso, si leggano: Cass. n. 21963/2020; Cass. n. 8768/2011; Cass. n. 1258/2001).
A ciò va aggiunto che non sono neanche condivisibili le osservazioni svolte, da ultimo sul punto qui ora in esame, da parte della società controricorrente, in relazione, da un lato, ad una presunta cessazione materia del contendere (legata al mancato effettivo esercizio del diritto di riscatto da parte del conduttore nel termine semestrale) e, dall’altro, ad una altrettanto presunta rinuncia al ricorso per cassazione, evincibile implicitamente dal contegno
negoziale della RAGIONE_SOCIALE in ordine alla continuata esecuzione del contratto di locazione nei confronti del nuovo proprietario RAGIONE_SOCIALE Osserva il Collegio che le predette circostanze, allegate peraltro tardivamente dalla controricorrente solo in sede di deposito della memoria ex art. 378 cod. proc. civ., non spostano i termini delle questioni dibattute tra le parti nell’odierno contenzioso (anche di legittimità), posto che, per un verso, il mancato esercizio del diritto di riscatto previsto in favore del prelazionario non incide in alcun modo sull’interesse della parte oggi ricorrente a vedersi affermata giudizialmente, come chiesto, l’esi stenza del suo diritto di prelazione (invece negato nel provvedimento qui impugnato) e che, per altro verso, la prosecuzione del contratto di locazione inter partes non può certo integrale gli estremi di una rinuncia al ricorso per cassazione, dovendosi ritenere che solo in presenza di una manifestazione processuale espressa si possano far derivare gli effetti dell’estinzione del giudizio.
Ciò posto il ricorso per cassazione è tuttavia infondato nel merito.
Con il primo motivo la ricorrente deduce, infatti, ‘violazione dell’art. 1374 c.c. e dell’art. 38 della legge n. 392/1978, nonché degli artt. 1362, commi 1 e 2, e 1363 c.c. per aver il Tribunale di Roma erroneamente interpretato gli artt. 1, 2 e 19 del contratto di locazione -art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ‘ .
1.1 La RAGIONE_SOCIALE contesta, cioè, il decreto impugnato, anzitutto, nella parte in cui il Tribunale aveva escluso che le parti ‘abbiano inteso riconoscere alla RAGIONE_SOCIALE la titolarità del diritto di cui all’art. 38 legge cit.’ , avendo erroneamente interpretato gli art. 1, 2 e 19 del contratto di locazione. Più in particolare, secondo la ricorrente, la curatela e la RAGIONE_SOCIALE, avendo previsto la clausola di cui all’art. 19 del citato contratto e rinviando ‘integralmente’ alla legge n. 392/1978 , avrebbero inteso riconoscere il diritto di prelazione al conduttore.
1.2 Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale, dopo aver analizzato e interpretato il contratto di locazione, ha statuito che: ‘Deve infine escludersi che attraverso il richiamo alla legge 392/1978 contenuto in varie clausole del contratto di locazione concluso dalla curatela con la RAGIONE_SOCIALE le parti abbiano inteso riconoscere alla RAGIONE_SOCIALE la titolarità del diritto di prelazione di cui all’art. 38 legge
cit. Il richiamo innanzitutto non è specifico, non essendo menzionato l’art. 38 né nel contratto di locazione né tanto meno nel regolamento di vendita dell’immobile’.
In realtà, la ricorrente, con il motivo in esame, mira ad ottenere un nuovo accertamento della volontà degli stipulanti, ma tale indagine è preclusa in sede di legittimità essendo affidata in via esclusiva al giudice di merito. Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE sta semplicemente riproponendo, in modo inammissibile, la propria interpretazione di una clausola del contratto di locazione, lamentando che sia stata privilegiata da parte del Tribunale l’ avversa interpretazione proposta dalla sua controparte processuale.
Sul punto giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare che , in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. sent. n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi anche: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010). A ciò va aggiunto che – ai fini della censura di violazione dei predetti canoni ermeneutici – non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità e autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che il ricorrente pretenda di attribuirvi (cfr. anche Sez. 3, sent. n. 10891 del 26/05/2016). In ogni caso, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità
del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. anche: sent. n. 4178 del 2007).
1.3 Deduce inoltre la ricorrente, sempre nel primo motivo di ricorso, la ‘violazione dell’art. 1374 c.c. e dell’art. 38 della legge n. 392/1978’. Ricorda la ricorrente di aver stipulato il contratto di locazione direttamente con la curatela della procedura, previa autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che il contratto dovrebbe considerarsi concluso dalla stessa massa dei RAGIONE_SOCIALE e con l ‘ulteriore corollario che tutti i diritti e gli obblighi che ne derivano – in base a quanto in esso contenuto e in base alla legge sorgerebbero direttamente in capo alla medesima massa dei RAGIONE_SOCIALE.
1.4 Si evidenzia inoltre che l’art. 19 del contratto di locazione prevedeva espressamente che ‘Per quanto non previsto dal presente contratto, le parti richiamano le disposizioni della L. 392/1978 e, in quanto applicabili, quelle del Codice Civile’ . Così dalla semplice lettura della clausola sarebbe evidente che le parti – la c uratela, da un lato, la RAGIONE_SOCIALE dell’altro – avessero inteso regolare il rapporto negoziale rinviando integralmente alla l. n. 392/1978, il cui art. 38 riconosce il diritto di prelazione al conduttore di un immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo. Nonostante ciò, il tribunale aveva erroneamente ritenuto che l’espresso rinvio alla disciplina di cui alla l. n. 392/1978 sarebbe stato ‘operato nei limiti della compatibilità delle previsioni di cui alla legge con le vicende traslative o dispositive che hanno luogo o che avrebbero avuto luogo in ambito concorsuale e da esso non può automaticamente dedursi l’applicabilità di una delle norme di cui alla legge, nemmeno esplicitamente richiamata’ .
1.4 Anche questa seconda doglianza, contenuta sempre nel motivo in esame, è inammissibile per le medesime ragioni già sopra ricordate, e cioè perché, per un verso, le relative censure tentano ancora una volta di trascinare questa Corte di legittimità sull’ inaccessibile terreno della rivalutazione dell ‘ interpretazione del contenuto del contratto di locazione, questa volta sotto il profilo dell ‘apprezzamento dell’ estensione del rinvio negoziale contenuto nel contratto stesso alla disciplina vincolistica dettata dalla l. n. 392/1978, e perché, per altro verso, le censure neanche si confrontano con la ragione principale posta alla base, nel decreto impugnato, dell’affermata
esclusione dell’applicazione del diritto di prelazione legale prevista dall’art. 38 della predetta legge, e cioè l’ontologica incompatibilità di tale prelazione con il regime forzoso della vendita RAGIONE_SOCIALE, come, a breve, si dirà.
Con il secondo mezzo si deduce proprio la ‘ violazione degli artt. 38 della legge n. 392/1978 e 115 c.p.c. per avere il Tribunale di Roma erroneamente interpretato tali norme di legge -art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ‘.
2.1 La RAGIONE_SOCIALE sostiene, cioè, che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non compatibile il diritto di prelazione con le vendite fallimentari. Assume al contrario la ricorrente che il diritto di prelazione previsto dall’art. 38 della l. n. 392/1978 dovrebbe essere rispettato anche nelle vendite forzate, in generale, ed in quelle fallimentari, in particolare.
2.2 Aggiunge la ricorrente che il regolamento, predisposto dalla curatela, all’art. 2, lett. c) prevedeva che, a pena di nullità ed esclusione dell’offerta, la stessa dovesse contenere la dichiarazione di esonero da responsabilità nel caso di esercizio del diritto di prelazione o riscatto da parte di terzi e/o di richieste di terzi in generale. Il Regolamento prevedeva altresì che gli offerenti dovessero dichiarare espressamente che ‘senza nulla poter addurre, eccepire o pretendere, la Procedura libera di riconoscere la prelazione a terzi’ (pagg. 4 e 5 del Regolamento, doc. 11 del fascicolo di parte del primo procedimento di reclamo).
Con il terzo mezzo si deduce ‘ violazione degli artt. 35 e 38 della legge n. 392/1978 e dell’art. 115 c.p.c. art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ‘ .
3.1 Secondo la RAGIONE_SOCIALE ricorrente il decreto impugnato sarebbe errato anche nella parte in cui aveva ritenuto – peraltro in modo dubitativo – che l’attività ospedaliera o vvero sanitaria svolta dalla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del presidio RAGIONE_SOCIALE fosse caratterizzata dalla prevalenza dell’ intuitus personae e del rapporto fiduciario, con la conseguenza dell ‘esclusione dell’applicazione dell’art. 38 della l. n. 392/1978.
3.2 Il secondo e terzo motivo -che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni trattate – sono infondati.
3.3 Più in particolare, con il secondo motivo di ricorso viene evidenziata la violazione dell’art. 38 della l . 392/1978 alla luce dell ‘ asserita incompatibilità
rilevata dal Tribunale tra il diritto di prelazione e le vendite fallimentari e/o coattive. Secondo la prospettiva della RAGIONE_SOCIALE, il diritto di prelazione dovrebbe essere riconosciuto anche nelle vendite forzate, poiché a partire dal 2004 (Cass. SU, n. 14083 del 27 luglio 2004) la Suprema Corte avrebbe mutato il proprio orientamento e avrebbe escluso che la prelazione in sé incida negativamente sugli interessi dei RAGIONE_SOCIALE concorsuali, a patto che si collochi in un momento successivo alla definitiva individuazione del prezzo di vendita (così richiamando: Cass., n. 1808 del 28 gennaio 2013).
3.4 La questione sottoposta allora a questo Collegio (sottesa al provvedimento di trattazione della causa in pubblica udienza) riguarda, in particolar modo, la sorte del contratto di locazione stipulato dal curatore RAGIONE_SOCIALE (con la prescritta autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE), dopo la declaratoria di fallimento, a seguito dell’aggiudicazione al terzo dell’immobile locato ad esito della procedura competitiva di liquidazione del detto immobile, e ciò con particolare riferimento alla cd. prelazione urbana, cioè al diritto del terzo prelazionario, ad esito della procedura competitiva, di essere preferito, a parità di condizioni, all’aggiudicatario.
3.5 I provvedimenti, resi ai sensi dell’art. 36 l. fall. in seno al Tribunale di Roma, per come sopra descritti in premessa, hanno seguito, invero, un diverso percorso interpretativo. Il giudice delegato ha infatti affermato la sussistenza del diritto di prelazione in favore della RAGIONE_SOCIALE, mentre il Collegio, nel provvedimento impugnato del 2 febbraio 2023, ha aderito alla tesi contraria, escludendo che la RAGIONE_SOCIALE fosse titolare di tale diritto. Più in particolare, s econdo l’impostazione seguita nel p rovvedimento impugnato, occorrerebbe attenersi esclusivamente al dato letterale dell’assenza nel contratto di locazione stipulato dal curatore di una indicazione dell’art. 38 della legge 392/1978. Tale articolo prevede espressamente il trasferimento a titolo oneroso, con inequivoco riferimento, quale presupposto di operatività, a una alienazione ‘ volontaria ‘ e con conseguente esclusione dei trasferimenti non riconducibili alla libera determinazione negoziale del proprietario e locatore dell’immobile, così avendo aderito il Tribunale capitolino ad una impostazione ermeneutica secondo la quale l’istituto della prelazione
resterebbe legato esclusivamente alla scelta volontaria di alienazione del locatore.
3.6 Ciò posto e ricordato, ritiene la Corte che il ricorso è infondato, sebbene sulla base di un ragionamento diverso da quello seguito dal Tribunale di Roma.
Occorre invero chiarire in premessa che l’istituto della prelazione legale non può essere ritenuto ontologicamente e strutturalmente incompatibile con le vendite coattive, siano esse realizzate nelle procedure esecutive individuali ovvero nella diversa sed e delle vendite competitive previste dall’art. 107 l. fall., per il sol fatto che, alla base del procedimento che innesca il meccanismo della prelazione in favore del prelazionario (nel caso in esame, del conduttore dell’immobile), vi sia una scelta volontaria del proprietario del bene, mentre nella vendita forzosa il proprietario (che coincide nella maggioranza dei casi con il debitore esecutato individualmente ovvero in concorso con tutti i RAGIONE_SOCIALE) subisce la liquidazione del bene in forza delle disposizioni di legge che presiedono l’espropriazione.
Tale incompatibilità è infatti esclusa proprio da quelle disposizioni normative che espressamente prevedono, in ipotesi particolari, l’esercizio della prelazione legale anche nell’ambito della vendita coattiva.
Così, in primo luogo, l’art. 73, l. 1-6-1939, n. 1089, richiamando l’art. 63, r.d. 30-1-1913, n. 363, prevedeva l’applicabilità della prelazione anche ” in caso di vendita agli incanti giudiziali “. Tale disposizione è stata invero confermata dal D.lgs. 22-1-2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), secondo cui: “Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero. La denuncia è effettuata entro trenta giorni (…) dall’acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata o RAGIONE_SOCIALE (…)’ (art. 59). La “denuncia” ha la funzione di consentire allo Stato, alla Regione o ad altro Ente pubblico interessato l’esercizio del diritto di prelazione.
Ed ancora, tale incompatibilità è normativamente smentita, proprio nell’ambito della procedura RAGIONE_SOCIALE, dalle previsioni dell’art. 3, comma 4, l. 23-7-1991, n. 223, che riconosceva la prelazione dell’affittuario nella
vendita dell’azienda nel fallimento e dall’abrogato art. 14, l. 27-2-1985, n. 49, che riconosceva a cooperative costituite tra lavoratori dipendenti di imprenditori falliti, di esercitare il diritto di prelazione nella vendita RAGIONE_SOCIALE dell’azienda.
Ulteriore smentita della predetta ‘incompatibilità’ tra vendita coattiva e prelazione proviene dalla previsione dell’art. 2471 c.c.: in caso di vendita RAGIONE_SOCIALE della partecipazione in una sRAGIONE_SOCIALE di socio fallito, alla società spetta infatti “di presentare un altro acquirente che offre lo stesso prezzo ‘.
3.7 Non sfugge a questo Collegio il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è registrato comunque sul tema del ‘ rapporto ‘ tra prelazione legale e vendita coattiva.
Va infatti ricordato un primo orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 3298/1984; Cass. n. 913/1988; Cass. n. 339/1994; Cass. 11225/1996; Cass. n. 7931/2012) che – facendo leva sul rilievo che la vendita in sede RAGIONE_SOCIALE e concordataria ha carattere coattivo, mentre il diritto di prelazione in discussione è applicabile soltanto alla vendita volontaria escludeva l’applicabilità della prelazione nell’ambito della liquidazione concorsuale. La giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 17523/2003, sul presupposto che la prelazione costituirebbe un limite o un ostacolo all’attività di natura pubblicistica degli organi fallimentari, aveva anche affermato che: ” Salvo esplicite deroghe in senso contrario, vi è una generale incompatibilità del diritto di prelazione con le vendite coattive, e in particolare con quelle fallimentari; tale incompatibilità vale non solo per le prelazioni legali, ma anche, a maggior ragione, per quelle di origine convenzionale ‘.
La prevalenza di esigenze pubblicistiche legate alla vendita espropriativa secondo questa prima opzione giurisprudenziale – avrebbe dunque legittimato il sacrificio di ‘ interessi di natura privata ‘ . E ciò sul confessato presupposto che il diritto di prelazione avrebbe finito per ridurre la possibilità di vendere il bene alle migliori condizioni possibili, sottraendo all’esigenza della ‘gara’ uno dei potenziali acquirenti.
Va tuttavia ricordato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 14083 del 27 luglio 2004, pronunciandosi in materia di liquidazione concordataria, hanno, invece, espressamente affermato l’efficacia del diritto di prelazione del terzo
all’acquisto di beni rientranti nella massa attiva del concordato preventivo con cessione, proprio con riferimento alla prelazione legale prevista, a favore del conduttore di immobili adibiti ad uso commerciale, dall’art. 38 della legge n. 392 del 1978. Secondo le Sezioni Unite la questione andrebbe risolta tenendo conto della varietà delle forme e discipline dei diritti di prelazione previsti dall’ordinamento e, con riferimento alla prelazione di origine convenzionale pregressa (cioè anteriore al concorso), specificamente dedotta nella fattispecie, per l’operatività della prelazione anche nella liquidazione concordataria, così esprimendo il seguente principio di diritto: ‘ In relazione alla vendita effettuata dal liquidatore in esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, è consentito l’esercizio del diritto di prelazione nell’acquisto, convenzionalmente attribuito a un terzo dal debitore prima dell’ammissione della procedura, atteso che: il rapporto di prelazione, come tutti i rapporti giuridici preesistenti, non si scioglie (mancando nella disciplina del concordato il richiamo alle disposizioni dettate dagli artt. 72-83 l. fall.) a seguito dell’apertura del concordato o della sua omologazione; non è ricavabile dal sistema l’oggettiva incompati bilità della prelazione con la fase esecutiva del concordato (sia perché la forma e le modalità della liquidazione competono al debitore cedente, che può stabilire la vendita a trattativa privata e il tribunale interviene, ai sensi dell’art. 182 l. fall., solamente se il concordato non dispone diversamente, sia perché, non rispondendo l’esclusione della prelazione nella vendita forzata a ragioni di principio, è irrilevante che il trasferimento venga attuato con atti di carattere negoziale ovvero coattivo); va escluso, infine, che la prelazione incida, di per sé, negativamente sugli interessi dei RAGIONE_SOCIALE, in quanto essa comporta il solo onere della ‘denuntiatio’ e si colloca in un momento successivo alla individuazione dell’acquirente e alla definitiva dete rminazione del prezzo ‘.
3.8 Così il diritto di prelazione è stato riconosciuto, in diverse pronunce successive, anche nella sede della liquidazione RAGIONE_SOCIALE.
Ma preme alla Corte sottolineare che tali ‘ riconoscimenti ‘ sono intervenuti solo in caso di subentro del curatore nel contratto di locazione già in essere al momento della dichiarazione di fallimento, fattispecie, tuttavia, profondamente diversa da quella oggi in esame, ove incontestabilmente si
assume che sarebbe stato il curatore a stipulare, proprio nell’ottica liquidatoria e con la previa autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, il contratto di locazione con un soggetto terzo.
N ell’arresto giurisprudenziale rappresentato da Cass. n . 1808/2013 è stato infatti affermato il seguente principio: ‘ In tema di vendita RAGIONE_SOCIALE di un immobile locato per uso alberghiero, nel cui contratto sia subentrato il curatore del fallimento del locatore ex art. 80 legge fall., riconoscendo il diritto di prelazione al conduttore, quest’ultimo può esercitare il predetto diritto non solo dopo che si sia verificata l’aggiudicazione del bene al migliore offerente all’esito del primo incanto, ma anche, qualora sia stato presentato un aumento di sesto, pure all’esito della nuova gara, perché solo a seguito di quest’ultima il prezzo di aggiudicazione è divenuto definitivo ‘.
Ed ancora, si rinviene nella giurisprudenza di legittimità ( Cass. n. 2576/2004 ) che, i n tema di vendita RAGIONE_SOCIALE, il bene immobile oggetto di un contratto di affitto di azienda, in cui il fallimento sia subentrato, ai sensi dell’art. 80 l. fall. , e che contenga una clausola di prelazione, una volta posto in vendita all’asta, ai sensi dell’art. 108 l. fall., attribuisce all’affittuario il diritto di esercitare la prelazione solo dopo che sia stata superata la fase dell’aggiudicazione, senza alcun intralcio delle altre fasi relative alla vendita, sulla base del prezzo raggiunto in via definitiva nel corso dell’asta pubblica . Dalla pronuncia ultima è stato infatti estratto il seguente principio: ‘ A seguito della scelta posta in onere dal curatore RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 80 L.F., di subentrare nel contratto ‘pendente’ di affitto di azienda munito di clausola di prelazione, la vendita del bene caduto nel fallimento, e già oggetto di tale contratto, è compatibile con l’esercizio del diritto di prelazione convenzionale ad esso inerente. Infatti, L’art. 14 della legge n. 49 del 1985 (che lo ha attribuito alle cooperative di dipendenti di imprese soggette a procedure concorsuali), e la legge n. 223 del 1991 (che lo ha garantito all’imprenditore affittuario di imprese soggette alle medesime procedure), per quanto abbiano natura di leggi speciali, confermano la piena compatibilità di tale esercizio del diritto di prelazione con le procedure liquidatore dell’attivo, in generale, e della vendita ex art. 108 L.F., in particolare ‘ .
3.9 Così l’evoluzione della giurisprudenza sopra ricordata conferma quanto affermato anche da questo Collegio in apicibus , e cioè che non si riscontra un ‘ ontologica e strutturale incompatibilità tra i due istituti qui in esame. Tuttavia, tale ‘compatibilità’ deve essere circoscritta – per quanto riguarda la fattispecie in esame di prelazione urbana ex art. 38 l. n. 292/1978 e come già anticipato – alle ipotesi di subentro nel curatore nel contratto di locazione pendente alla data della dichiarazione di fallimento, come prevede, peraltro, l’art. 80 l. fall. che statuisce proprio il subentro ex lege del curatore.
3.10 Diversa è la fattispecie qui in esame, ove il compendio immobiliare era stato locato proprio dal curatore del RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, previa autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE.
Si comprende in questo caso la peculiarità e la finalità di tale contratto di locazione che si inserisce naturaliter nella procedura di liquidazione concorsuale (così, in tema di durata del contratto di locazione, si legga anche: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20341 del 28/09/2010) e si distingue con tutta evidenza dal contratto di locazione nel quale invece sia subentrato ex lege la curatela, contratto quest’ultimo che – sebbene con le previsioni derogatorie dettate dal secondo comma dell’art. 80 l. fall. , in tema di successivo scioglimento del vincolo negoziale – obbedisce, invece, per il resto, al regime vincolistico dettato dalla l. n. 392/1978.
Sul punto, non può essere dimenticato che, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 459 del 20/01/1994), la locazione di immobile acquisito alla massa RAGIONE_SOCIALE, stipulata dal curatore del fallimento è un contratto volto ad una finalità ‘attuativa di una mera amministrazione processuale del bene’, con conseguente sua non assimilabilità ‘al contratto locativo di data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento disciplinato dall’art. 2923 cod. civ.’.
L’art. 2923, primo comma, c.c. stabilisce infatti che “le locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento”. La norma trova applicazione anche per
l’espropriazione concorsuale, sostituendosi al pignoramento la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 2576-1970).
Per contro, l’art. 560, secondo comma, c.p.c. – che qui viene in rilievo perché applicabile anche alla procedura di liquidazione RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 107, secondo comma, l. fall. – dispone che ai soggetti menzionati nel comma precedente, vale a dire “il debitore e il terzo nominato custode” (custode ex lege l’uno, e l’altro eventualmente nominato dal giudice in luogo del primo), “è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell’esecuzione” (norma, applicabile, con i debiti adattamenti, anche nel fallimento). Con la conseguenza che il curatore non può locare un immobile della massa attiva senza autorizzazione del giudice delegato (ora del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE), ai sensi e con gli effetti dell’art. 560 c.p.c..
Le due previsioni normative (art. 2923, primo comma, c.c. e art. 560 secondo comma, c.p.c.) sopra ricordate si pongono in rapporto, pertanto, di reciproca esclusione, in quanto la prima riguarda le locazioni risalenti a data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), mentre la seconda è per definizione relativa a locazioni poste in essere dopo l’instaurazione del processo esecutivo individuale o concorsuale (così, Cass. Sez. U, n. 459/1994, cit. supra ).
3.11 Così allorquando si tratti di una locazione avente data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), l’acquirente stesso subentra nel rapporto locativo, in tutte le componenti convenzionali e legali che ne rappresentano il contenuto.
Ma quando il contratto è stipulato dal custode (o dal curatore) a fini di ‘ gestione processuale ‘ del bene, allora la sua finalità è solo quella di garantire la migliore e più celere liquidazione del bene immobile, per la tutela dei superiori interessi del ceto RAGIONE_SOCIALEo. Ne consegue che, in quest’ultimo caso , il regime normativo vincolistico garantito dalla l. n. 392/1978 integra un interesse recessivo rispetto a quello della tutela degli interessi dei RAGIONE_SOCIALE concorsuali (in caso di liquidazione RAGIONE_SOCIALE).
La ratio dell’art. 38 legge 392/1978 è quella, infatti, di privilegiare l’impresa al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà in ossequio al dettato
costituzionale, mediante l’unificazione della titolarità dell’impresa con la proprietà dell’immobile condotto in locazione dall’imprenditore, ove l’attività imprenditoriale veniva esercitata.
3.12 Tale ultima esigenza potrà essere garantita – nell ‘ ipotesi di contratto ‘gestorio’ stipulato dal curatore, dopo la dichiarazione di fallimento (come nella fattispecie qui in esame) – solo allorquando la clausola di prelazione sia stata convenzionalmente e dunque espressamente pattuita tra il curatore RAGIONE_SOCIALE, a ciò autorizzato dagli organi della procedura e il terzo contraente conduttore dell’immobile, secondo il medesimo schema normativo previsto, per il contratto di ‘affitto dell’azienda o di rami d’azienda’, dall’art. 104bis, quinto comma, l. fall.
Quest’ultima norma esprime invero un principio di carattere generale, in ordine alla gestione dei beni suscettibili di vendita coattiva, immanente a tutta la fase strumentale alla più ampia liquidazione concorsuale; principio in base al quale la previsione di un così stringente vincolo alla circolazione del bene, nell’ambito della liquidazione concorsuale , come il diritto del prelazionario di prevalere sul diritto dell’aggiudicatario del bene dopo l’esperimento della procedura competitiva prevista dall’art. 107 l. fall., si può legittimare solo in presenza di una espressa manifestazione di volontà degli organi della procedura concorsuale, e cioè attraverso il potere autorizzatorio del giudice delegato e il previo parere favorevole del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, concernendo un atto di amministrazione non ordinaria. E d’ altronde, come la stessa citata disposizione sull’affitto d’azienda esplicitamente rimarca, anche l’autorizzazione dell’organo concorsuale non integra solo un prerequisito rispetto alla volontà negoziale che poi il curatore esprimerà stipulando il contratto con il terzo, ma deve dare conto che, proprio perché non si tratta di un atto liquidatorio in sé , l’affitto deve apparire ‘utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa’. La portata strumentale alla liquidazione di tutta l ‘attività contrattuale (che resta eventuale) svolta dal curatore spiega così, come evidenziato nell’istituto inter nale appena menzionato, la necessità in generale di una lettura ad essa coerente, cioè consona alla temporaneità e particolarità gestionali con cui deve essere interpretato il rapporto, scaturito da un assetto per sua natura provvisorio.
Analoga considerazione si rinviene anche nella ricordata locazione pendente, ai sensi dell’art.80 comma 2 l.fall., ove il legislatore per un verso impone la continuità, ma per altro permette al curatore di conciliare la destinazione liquidatoria che anche quell’immobile deve assumere in modo efficiente riconoscendogli la facoltà di recesso, dopo un anno dall’apertura del concorso e in caso di durata ultraquadriennale, dunque tornando a prevalere le esigenze di miglior pianificazione e indirizzo cui s’ispi ra il programma di liquidazione ex art.104ter l.fall.
Occorre pertanto affermare il seguente principio di diritto: ‘ In materia di vendita competitiva svolta ai sensi dell’art. 107 l. fall ., la stipula da parte del curatore, a ciò autorizzato dal RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, ex art. 560, 2 comma, c.p.c. e 107, 2 comma, l. fall., di un contratto di locazione non determina di per sé la spettanza in favore del conduttore altresì della prelazione legale ex art. 38 l. n. 392/78, dovendo essa, per risultare compatibile con le finalità liquidatorie della procedura, fondarsi su una previsione espressa, in favore del conduttore stesso, di una clausola di prelazione convenzionale; la natura straordinaria di tale atto necessita, secondo lo schema già delineato per il contratto di affitto d’azienda dall’art. 104 bis, 5 comma, l. fall., della previa autorizzazione degli organi della procedura, in coerenza con una norma che esprime un principio generale, in ordine alla gestione dei beni suscettibili di vendita coattiva, immanente a tale fase strumentale della più ampia liquidazione concorsuale ‘.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 20.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME