Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25412 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25412 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
Oggetto
CONTROVERSIE AGRARIE
Prelazione agraria Contiguità dei fondi – Precostituzione di una situazione di fatto volta artificiosamente ad escluderla Condizioni
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 30/05/2024
sul ricorso 19683-2021 proposto da:
Adunanza camerale
PATELLA SEVERO, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica dei propri difensori, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende unitamente agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME, NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
215, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME, rappresentati e dife si dall’AVV_NOTAIO COGNOME ;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 122/2021 della Corte d’appello di Venezia, depositata in data 26/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 30/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 122/21, del 26 gennaio 2021, della Corte d’appello di Venezia, che accogliendo il gravame esperito da NOME, NOME e NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1273/18, del l’8 giugno 2018, del Tribunale di Padova ha rigettato la domanda di retratto agrario, proposta dal COGNOME ai sensi dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, in relazione ai terreni censiti, al foglio 1 del Nuovo Catasto Terreni del Comune di Brugine, come mappali 330, 331 e 27 . L’iniziativa era assunta sul presupposto che di due dei tre mappali (per l’esattezza, il 330 e il 27) i predetti NOME, NOME e NOME COGNOME avevano acquistato la proprietà da NOME COGNOME, nonché da NOME e NOME COGNOME, il terzo (mappale 331), invece, essendo stato fatto oggetto di un contratto di affitto, sempre intercorso tra le stesse parti.
Riferisce , in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere proprietario di un terreno confinante con quello -in origine contrassegnato come mappale 19, di proprietà dei COGNOMECOGNOME -da costoro, poi, frazionato negli attuali mappali 330 e 331, il primo dei quali, con atto di compravendita del 3 luglio 2012 (di un mese, peral tro, posteriore all’avvenuto frazionamento),
veniva alienato, unitamente al mappale 27, sempre di loro proprietà, ai predetti COGNOME. In favore di costoro veniva pure concluso, il successivo 16 luglio, un contratto di affitto agrario, relativo al mappale 331, atto del quale il COGNOME assumeva il carattere simulato, essendo destinato ad occultare, a suo dire, un trasferimento di proprietà.
Ritenendo che la complessiva operazione negoziale fosse stata realizzata per eludere il suo diritto di prelazione (atteso che, all’esito del disposto frazionamento, il fondo rimasto in proprietà dei COGNOME -ovvero, il mappale 331 -risultava essere una lunga e stretta fascia di terreno, posta lungo tutto il confine con la sua proprietà, di modo da separarla artatamente dai mappali 330 e 27), il COGNOME conveniva in giudizio sia i COGNOME che i COGNOME, perché fosse accertato il suo diritto di prelazione, nonché per esercitare il diritto di retratto.
Istruita la causa anche attraverso una consulenza tecnica d’ufficio, l’esito del primo grado di giudizio consisteva nell’accoglimento parziale della domanda, relativamente ai terreni contrassegnati come mappali 330 e 27, con condanna dei COGNOME, nei confronti dei quali i COGNOME avevano fatto valere -in via di subordine, rispetto al rigetto della domanda del COGNOME -la garanzia per evizione, a restituire, a costoro, il prezzo d’acquisto dei due terreni.
Esperito gravame dai COGNOME per contestare la sussistenza dei presupposti sia del diritto di prelazione vantato dal COGNOME, sia per l’esercizio del diritto di retratto (analoga iniziativa essendo stata assunta, in via incidentale, pure dai COGNOME, i quali impugnavano -sebbene condizionatamente al rigetto dei motivi d’appello con i quali si associavano alle doglianze de gli appellanti principali -la loro condanna alla restituzione, agli acquirenti, del prezzo della compravendita), il giudice di seconde cure riformava
integralmente la sentenza impugnata, rigettando ‘ in toto ‘ la domanda dell’odierno ricorrente.
Esito al quale perveniva sul rilievo che il terreno costituente il mappale 331 ‘possiede obiettive caratteristiche fisiche ed agronomiche’ che secondo quanto emerso dall’espletata CTU ‘lo rendono assolutamente agevole per mettere in atto qualsiasi coltura agricola e per le quali può essergli senz’altro riconosciuta autonomia strutturale e funzionale’ . E ciò sebbene fosse stato accertato (sempre in base alla valutazione dell’ausiliario , recepita dal giudice d’appello ) che affinché un agricoltore possa ottenere da una superficie di così ridotte dimensioni un reddito dignitoso, risulti ‘necessario effettuare specifiche coltivazioni ad alto reddito: florovivaismo, fungaie, coltivazioni di orticole da seme e poche altre’.
Avverso la sentenza della Corte lagunare ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di sei motivi.
3.1. Il primo motivo, proposto ‘in riferimento alla tipologia di coltura’, denuncia ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., per ‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico circa la valutazione in merito all’autonomia strutturale e funzionale del mapp. 331’.
Viene, altresì, denunciata -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e
116 cod. proc. civ. ‘in tema di valutazione delle prove, con particolare riferimento alla valutazione della CTU’, che ha accertato ‘la destinazione di coltivazione a mais del mappale 331 e la perdita dei titoli PAC’, e, quindi, ‘la mancanza di autonomia strutturale, funzionale e reddituale, e la mancanza di obiettiva utilità per gli attuali proprietari di detto fondo’.
Infine, è denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -il ‘vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia’, e ciò ‘essendo stata trattata e discussa tra le parti la tipologia di coltivazione’.
Si censura la sentenza impugnata per aver omesso ‘un esame integrale dell’elaborato peritale nei suoi contenuti’ (e nelle risposte fornite ai singoli consulenti di parte), essendosi limitata ad affermare che il CTU ‘ha accertato che il terreno in questione possiede obiettive caratteristiche fisiche ed agronomiche che lo rendono assolutamente agevole per mettere in atto qualsiasi coltura agricola e per le quali può essergli senz’altro riconosciuta autonomia strutturale e funzionale’, e ciò malgrado l’ausilia rio abbia sottolineato che, affinché un agricoltore possa ottenere da una superficie di così ridotte dimensioni un reddito dignitoso, ‘sarebbe necessario effettuare specifiche coltivazioni ad alto reddito: florovivaismo, fungaie, coltivazioni di orticole da seme e poche altre’.
Orbene, se tale è il ragionamento della Corte lagunare, ‘non potrà sfuggire’ sottolinea il ricorrente -‘come, in caso di colture estensive (come ad esempio mais e granturco)’, quali sono proprio quelle praticate sul mappale 331, peraltro tipiche del ter ritorio in questione, ‘non può assolutamente sussistere alcuna ipotesi di autonomia strutturale e funzionale’ dello stesso rispetto ai terreni, contrassegnati come mappali 330 e 27, venduti ai COGNOME, che sugli stessi praticano quella medesima coltura.
D’altra parte, la Corte veneziana avrebbe omesso di considerare che, secondo quanto si legge, nuovamente, nell’espletata CTU, ‘la coltivazione di superfici di modesta dimensione (come quella del mappale in oggetto), ha determinato, in questi ultimi anni, perdite economiche per il coltivatore soprattutto se, come nel caso in esame, siano stati persi i diritti economici previsti dagli aiuti comunitari legati alla coltivazione dei terreni’ (ovvero, i c.d. ‘PAC’).
In ogni caso, sussisterebbe anche violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, giacché la Corte territoriale, ‘alla luce di quanto sopra esposto, avrebbe dovuto accertare la nullità del trasferimento a terzi, in quanto l’esclusione dalla vendita e, quindi, dal suo oggetto materiale, di strisce o fasce confinarie con il fondo del vicino non corrisponde ad utilità alcuna, vanificando, in danno del vicino medesimo, una delle condizioni oggettive (la contiguità fisica dei suoli) per l’investitura di quel diritto potestativo’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., per ‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico circa la valutazione in merito all’utilità anche economica di possedere terreni di simili dimensioni ‘.
Viene, altresì, denunciata -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre a violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e
116 cod. proc. civ. ‘in tema di valutazione delle prove, con particolare riferimento alla valutazione della CTU’, che ha accertato ‘la mancanza di convenienza anche economica di condurre o acquistare terreni di dimensioni simili al mapp. 331’.
Infine, è denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -il ‘vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia’, e ciò ‘essendo stata la disamina della CTU trattata e discussa tra le parti anche in riferimento alla mancanza di utilità economica nel possedere ed acquistare fondi di simili dimensioni’.
Si addebita alla Corte veneziana di essersi ‘limitata ad esaminare solo parzialmente le conclusioni del CTU, senza alcuno sforzo di disamina dell’intero contenuto della relazione peritale’ e, soprattutto, ‘senza aver minimamente dato rilievo’ alle controdeduzioni del c onsulente d’ufficio ‘alle osservazioni dei singoli consulenti di parte’, rendendo ‘una pronuncia errata e comunque insufficiente dal punto di vista motivazionale, per una lettura parziale degli atti di causa, in violazione anche di un prudente apprezzamento degli elementi di prova ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.’.
In particolare, in risposta alle osservazioni del consulente tecnico di parte dei COGNOME -che aveva segnalato l’esistenza, nel medesimo foglio catastale, di molteplici terreni ‘con larghezza simile a quella del mappale n. 331’ l’ausiliario del giudice av eva affermato essere ‘estremamente improbabile (se non addirittura impossibile) che uno di questi appezzamenti sia stato acquistato specificatamente per svolgere l’attività agricola; si fa ovviamente riferimento al singolo mappale e ad un soggetto che non abbia già di per sé un attività agricola che intende espandere’. Risulterebbe, pertanto, confermato dal consulente tecnico d’ufficio come la coltivazione di un singolo appezzamento di terreno delle dimensioni di quello oggetto di causa (ovvero, il
mappale 331) ‘abbia poco o nullo se non negativo riscontro economico da parte dei proprietari’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., per ‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico circa la valutazione in merito alla conduzione unitaria dei tre mappali ‘ .
Viene, altresì, denunciata -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre a violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ‘in tema di valutazione delle prove’, in relazione ‘al contratto di affitto sottoscritto dalle parti al fine di condurre il map. 331 in modo unitario ai mapp. 27 e 330’.
Da ultimo, è denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -il ‘vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia, per omesso esame in merito alla conduzione unitaria dei mappali n. 331, 27 e 330 oggetto di discussione tra le parti e allo stesso affitto del map. 331’.
Sottolinea il ricorrente che ‘il fatto stesso che, immediatamente dopo la compravendita dei mapp. 27 e 330 da parte dei COGNOMECOGNOME in favore dei COGNOME‘, sia stato concesso a questi ultimi, ‘per le medesime colture, anche l’affitto del map. 331’ , sarebbe ‘sintomatico del fatto che tale terreno, dal punto di vista strutturale e funzionale, è del tutto privo di autonomia’, secondo quanto ‘già argomentato dal Tribunale di Padova’ all’esito del primo grado di giudizio.
D’altra parte, come sopra evidenziato, lo stesso CTU avrebbe chiarito -insiste il ricorrente -che ‘la dimensione del map. 331 se coltivata in via autonoma avrebbe poco o nullo se non negativo riscontro economico da parte dei proprietari’, come attestereb be anche il fatto ‘che i COGNOME dal 2009 in poi non hanno più coltivato tale appezzamento di terreno, lasciandolo del tutto sterile ed incolto’, tanto da aver ‘perduto anche i titoli PAC’ per il triennio 2010-2012.
Quanto, poi, specificamente al dedotto vizio di omesso esame di un fatto decisivo, esso concernerebbe la circostanza che i convenuti NOME e NOME COGNOME, ‘interrogati sul capitolo H) attoreo’ della prova per interpello, avrebbero affermato che l’intero fondo, oggi identificato con i mappali 27, 330 e 331, ‘è sempre stato coltivato in modo omogeneo ed unitario, come un’unica unità, da tempo immemore e fino al 2008’, così rendendo dichiarazioni ‘con chiara valenza confessoria’.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., per ‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico circa l’irrazionalità del frazionamento eseguito per realizzare il map. 331 e la mancanza di autonomia reddituale derivante anche dalla perdita dei titoli PAC’.
Viene, poi, denunciata -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre a violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ‘in tema di valutazione delle prove, con
particolare riferimento alla valutazione della CTU circa l’irrazionalità del frazionamento eseguito per realizzare il map. 331 e la mancanza di autonomia reddituale derivante anche dalla perdita dei titoli PAC’.
Viene, altresì, denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -il ‘vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia’, sempre ‘circa l’irrazionalità del frazionamento eseguito per realizzare il map. 331 e la mancanza di autonomia reddituale derivante anche dalla perdita dei titoli PAC’.
Infine, viene denunciata -nuovamente ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1344 cod. civ. (contratto in frode alla legge) e/o dell’art. 1345 (motivo illecito) e/o dell’art. 1343 (causa illecita), in combinato disposto all’art. 1418 cod. civ. (cause di nullità del contratto)’, il tutto con riferimento all’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e all’art. 7 della legge n. 817 del 1971.
Si ribadisce che ‘il frazionamento, così come eseguito pochi giorni prima della compravendita’ è ‘da considerarsi un espediente per aggirare, attraverso la separazione artificiosa, l’obbligo di prelazione nei confronti del confinante’, come ‘risulta evidente non solo dal fatto che lo stesso map. 331, come giustamente rilevato dal Tribunale di Padova, sia stato concesso poi in affitto agli stessi signori COGNOME per una conduzione unitaria insieme ai mapp. 27 e 330′, ma dalla stessa ‘conformazione (guarda caso) molto allungata del map. 331, in modo da poter separare, lungo tutto il confine, la proprietà COGNOME da quella oggetto di compravendita in favore dei COGNOME.
La compravendita dei mappali 330 e 27 ‘rappresenta quindi all’evidenza un contratto in frode alla legge (art. 1344 cod. civ.), con il quale è stato chiaramente eluso e violato il diritto di prelazione dell’odierno ricorrente, quale proprietario e confinant e
coltivatore diretto’. Difatti, è noto che ‘l’alienante che si riservi una striscia di terreno tale da interrompere la continuità e contiguità fisica tra i due fondi, senza alcuna reale utilità economica (utilità economica che nella fattispecie non si ravvisa) ma con l’unico scopo di vanificare la prelazione del confinante, compie in sé un’attività in frode alla legge’.
Del tutto irrazionale è, pertanto che ‘i COGNOME (già proprietari del map. 18) invece che riservarsi un appezzamento di terreno sulla direttrice nord in modo da avere un fondo di forma quadrata e, quindi, più razionale da sfruttare in ambito agricolo, abbiano preferito riservarsi il map. 331 costituendo quindi per loro un fondo ad L’.
Sul punto -si assume -vi è ‘completa omissione di motivazione’.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. per ‘vizio di motivazione conseguente ad omessa o comunque carente o contraddittoria motivazione e valutazione in merito a quelle che sono le risultanze della CTU’.
Si censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui è ‘indubbia, come riconosciuto dal CTU, l’utilizzabilità a scopi agricoli della superficie’, essendo ‘dotata di una propria autonomia e funzionalità’, dato che essa -lamenta il ricorrente -‘risulta del tutto priva di spiegazione e motivazione anche in riferimento a quanto emerge dalla stessa consulenza d’ufficio’. Difatti, l’ausiliario del giudice ebbe a rispondere negativamente al rilievo del consulente dei COGNOME–COGNOME,
circa una ‘obiettiva, effettiva e palmare utilità economica di detto mappale, sia reddituale che patrimoniale’, in capo ad essi.
Secondo il consulente, infatti, se è vero ‘che una superficie di poco più di mq. 7.000 possa essere suscettibile di un reddito dignitoso’, ciò ‘non garantisce che il reddito ottenibile dalla sua coltivazione sia tale da raggiungere un concreto livello di sostentamento per chi lo conduce ‘, apparendo, inoltre, ‘tecnicamente poco credibile che un qualsiasi soggetto (che non sia confinante o già in possesso di terreni agricoli vedi vivaisti in cerca di superfici agricole da turnare) possa essere interessato all ‘acquisto o alla coltivazione del mappale n. 331 (o di qualsiasi fondo di dimensioni analoghe) per iniziare un’attività agricola’.
3.6. Infine, il sesto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -il ‘vizio di omessa motivazione in riferimento ad un punto decisivo della controversia’, in ‘riferimento all’interclusione del map. 331’.
Si censura la sentenza impugnata perché la Corte territoriale ha ‘omesso di esaminare completamente un aspetto fondamentale che è quello dell’interclusione del map. 331 e, quindi, della sua mancanza di autonomia in quanto inaccessibile per qualsiasi soggetto che non conduca al contempo i fondi confinanti’, come esposto nella memoria di replica.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con distinti controricorsi, i COGNOME, da un lato, e i COGNOME, dall’altro, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente e i controricorrenti COGNOME hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
In via preliminare, deve essere segnalato che tutti i motivi di ricorso, con la sola eccezione del sesto (e parzialmente del quarto, che reca una censura ulteriore, circa il carattere ‘illecito/in frode alla legge’ del contratto per cui è causa, che si ipotizza concluso in spregio del diritto di prelazione del ricorrente), sono articolati nello stesso modo.
Si denuncia, innanzitutto, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., un ‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico’ di talune affermazioni contenute in sentenza, in particolare in relazione:
‘all’autonomia strutturale e funzionale del mapp. 331’ (primo motivo);
‘all’utilità anche economica di possedere terreni di simili dimensioni’, cioè quelle proprie sempre del mappale 331 (secondo motivo);
‘alla conduzione unitaria dei tre mappali’ (terzo motivo);
alla ‘irrazionalità del frazionamento’ del fondo in origine unitario (quarto motivo);
‘a quelle che sono le risultanze della CTU’, in particolare in risposta al rilievo del consulente di parte COGNOME,
circa una ‘obiettiva, effettiva e palmare utilità economica’, del mappale 331, ‘sia reddituale che patrimoniale’ (quinto motivo).
Ciascuna di tali doglienze risulta, poi, ‘doppiata’ per ognuno dei primi cinque motivi di ricorso -da una censura di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ‘in tema di valutazione delle prove’ (quarto motivo), ovvero ‘co n particolare riferimento alla valutazione della CTU’ (motivi primo, secondo, terzo e quinto).
Inoltre, in relazione alle medesime circostanze sopra meglio elencate, vi è, nell’ambito dei motivi suddetti (tranne il quinto) la deduzione -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -pure del ‘vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia’.
Infine, viene pure formulata -ancorché, formalmente, in esergo della rubrica di ciascuno dei prime cinque motivi -una censura di violazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971.
9.1. Ciò detto, tutte queste censure -come pure quella di ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1344 cod. civ. (contratto in frode alla legge) e/o dell’art. 1345 (motivo illecito) e/o dell’art. 1343 (causa illecita), in combinato disposto all’art. 1418 cod. civ. (cause di nullità del contratto)’, il tutto con riferimento all’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e all’art. 7 della legge n. 817 del 1971′ , censura che caratterizza, ‘aggiuntivamente’, il quinto motivo (un discorso diverso andrà fatto, invece, per il sesto motivo) -sono inammissibili.
10.2. In via generale, infatti, va osservato che esse mirano a mettere in discussione l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte lagunare, non a caso sollecitando -in vario modo -un rinnovato apprezzamento delle risultanze istruttorie, che si tratti
sia di quanto emergerebbe dalla relazione redatta dal CTU, sia della documentazione attestante la mancata percezione dei ‘PAC’, da parte dei COGNOME, nel triennio anteriore al disposto affitto, in favore dei COGNOME, del mappale 331.
Il giudice d’appello, infatti, ribaltando la decisione assunta in prime cure, ha ritenuto che il fondo -il suddetto mappale 331 -risultato all’esito del frazionamento del più ampio terreno già interamente di proprietà dei COGNOME (e comprensivo pure dei mappali 330 e 27, alienati ai COGNOME), possegga ‘ obiettive caratteristiche fisiche ed agronomiche’ che ‘lo rendono assolutamente agevole per mettere in atto qualsiasi coltura agricola e per le quali può essergli senz’altro riconosciuta autonomia strutturale e funzionale’ (come affermato dalla CTU). E ciò quantunque si sottolinei -sempre sulla scorta della relazione redatta dall’ausiliario che, al fine di permettere ad un agricoltore di ‘ottenere da una superficie di così ridotte dimensioni un r eddito dignitoso’, risult i , comunque, ‘necessario effettuare specifiche coltivazioni ad alto reddito: florovivaismo, fungaie, coltivazioni di orticole da seme e poche altre’.
Su tali basi, pertanto, la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione di escludere ‘che la porzione non ceduta’ (ma poi affittata agli stessi COGNOME) sia ‘priva di qualsiasi utilità per l’alienante’, negando rilievo alla circostanza ‘che i proprietari nei tre anni precedenti’ il disposto affitto ‘non abbiano coltivato la superficie insistente sul mappale n. 331’.
Orbene, così pronunciandosi, la sentenza impugnata si è conformata al principio di diritto, ancora di recente ribadito da questa Corte (come non mancano di sottolineare i controricorrenti COGNOME), secondo cui, perché possa affermarsi che il ‘frazionamento’ di un fondo agricolo -e la vendita solo di alcune sue partizioni -non sia stato posto in essere allo scopo di creare un ‘artificioso diaframma’ rispetto al fondo di proprietà del
coltivatore confinante, ‘non è sufficiente che una porzione di fondo sia stata riservata alla parte alienante esclusivamente al fine di evitare il sorgere del diritto di prelazione o che lo sfruttamento dei fondi, risultanti dalla divisione, sia meno razio nale che non la conduzione dell’intero, originario, complesso, ma è indispensabile che la porzione costituente la fascia confinaria, per le sue caratteristiche, sia destinata a rimanere sterile e incolta o sia, comunque, inidonea a qualsiasi sfruttamento coltivo autonomo, sì che possa concludersi che la porzione non ceduta è priva di qualsiasi utilità per l’alienante’ (Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13368, non massimata).
Nella specie, come si è visto, la Corte veneziana ha escluso che il mappale 331 possa ritenersi desinato a rimanere sterile o incolto, affermando che esso ‘possiede obiettive caratteristiche fisiche ed agronomiche’ che ‘lo rendono assolutamente agevole per mettere in atto qualsiasi coltura agricola’, sebbene precisi che, al fine di produrre un ‘reddito dignitoso’, risulti, comunque, ‘necessario effettuare specifiche coltivazioni ad alto reddito: florovivaismo, fungaie, coltivazioni di orticole da seme e poche altre’. Circostanza, quest’ultima, non rilevante , come invece pretende di affermare il ricorrente, in particolare enfatizzando l’attuale destinazione agricola ‘comune’ di tale mappale a quelli (330 e 27) alienati ai COGNOME, se è vero che, per poter affermare il carattere artificioso del frazionamento, non è sufficiente dimostrare che ‘lo sfruttamento dei fondi, risultanti dalla divisione, sia meno razionale che non la conduzione dell’intero, originario, complesso’.
Orbene, tali conclusioni, il COGNOME pretende di contestare attraverso le censure sopra meglio delineate, le quali sono, però, articolate -per ragioni specifiche, proprie a ciascuna di essa, di cui si dirà appena di seguito -in modo inammissibile, nonché, tutte in generale, contravvenendo al principio per cui il ricorrente
per cassazione ‘non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 22 novembre 2023, n. 32505, Rv. 669412-01).
Ciò detto, le doglianze prospettate dai primi cinque motivi di ricorso, come sopra riassunte, sono tutte inammissibili.
9.2.1. Così, in primo luogo, quelle che prospettano -in relazione alle circostanze sopra meglio indicate da a) ad e) -‘vizio di motivazione conseguente a carenza ed insanabile contraddittorietà sul piano logico’, giacché tale censura è sempre formulata attraverso un confronto con le risultanze istruttorie, in particolare quelle evincibili dalla CTU. In questo modo, tuttavia, si contravviene al principio per cui il vizio di motivazione -dopo la modifica apportata all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. c iv. dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) ha, ormai, carattere solo ‘testuale’ (come rammenta, da ultimo, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, in particolare al § 10.9.), ovvero deve emergere ‘immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (cfr. Cass.
Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata, nonché, più di recente, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).
9.2.2. Parimenti inammissibile, poi, è la pretesa di sindacare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, operato dalla Corte lagunare, sub specie di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Difatti, neppure astrattamente ipotizzabile è la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide ‘ iuxta alligata et probata partium ‘ -giacché essa ‘può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma dispos te di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 65903701).
Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disatt enda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre
‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il si ndacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), limiti di cui si è già detto.
9.2.3. Sono formulate, nuovamente, in termini inammissibili le censure proposte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 ), cod. proc. civ., giacché prospettano un vizio -la ‘omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento a punti decisivi della controversia’ non più contemplato da tale norma (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. n. 7090 del 2022, cit .).
9.2.4. Né, infine, può ritenere ammissibile la censura di violazione dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 (oltre che -in relazione al quinto motivo -degli artt. 1344, 1345, 1343, in combinato disposto con l’art. 1418 cod. civ.), giacché, nuovamente, formulata sul presupposto di un errato/carente accertamento dei presupposti di fatto per la loro applicazione, e dunque mettendo lo stesso in discussione.
Così formulate, dunque, tali censure fuoriescono dal paradigma del vizio di violazione di legge, se è vero che esso ‘consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (cfr. ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13
ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione ‘postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il ‘discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442).
9.3. Quanto, infine, al sesto motivo, l’inammissibilità discend e dal fatto che il tema dell’interclusione del fondo risulta essere stato introdotto -per stessa ammissione del ricorrente -solo con la ‘memoria di replica in appello’.
Pertanto, a ragion veduta -atteso che la sua trattazione sarebbe avvenuta in violazione del divieto di ‘ nova ‘, ex art. 345 cod. proc. civ. -della stessa non vi sia menzione nella sentenza impugnata.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
11. A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per i primi due, in complessivi € 4.000,00, nonché, per i restanti tre, in € 3.000,00, più -per tutti -€ 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della