Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7525 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
Oggetto: prelazione agraria -preliminare di vendita – invalido esercizio della prelazione da parte dell’affittuario -conseguenze -facoltà del promittente venditore di vendere a persona diversa dal promissario acquirente, senza rinnovare la denuntiatio – esclusione.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 3542/21 proposto da:
-) COGNOME NOME e COGNOME NOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
-) COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , COGNOME NOME (volontariamente rappresentata da COGNOME NOME), domiciliati ex lege all’indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO , difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia 27 ottobre 2020 n. 1149; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME nel 2019 convennero dinanzi al Tribunale di Brescia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponendo che:
-) NOME COGNOME era sia affittuario del fondo denominato ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘, esteso nel territorio dei Comuni di Orzivecchi e Comezzano; sia coltivatore diretto di un fondo confinante;
-) il fondo ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘ era coltivato dall’affittuario e dalla sua famiglia, ivi compreso il figlio NOME COGNOME;
-) nel 2016 le tre comproprietarie del fondo (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) lo avevano promesso in vendita a tale ‘COGNOME‘ (così indicato a p. 6 del ricorso) , e con lettera del 20.4.2016 ne diedero comunicazione a NOME COGNOME;
-) ricevuta la prescritta comunicazione della stipula del preliminare, NOME COGNOME sia in proprio che congiuntamente al figlio NOME ‘ in qualità di componente della famiglia coltivatrice’ dichiarò alle tre comproprietarie di volere esercitare il diritto di prelazione di cui all’art. 8 della l. 590/65;
-) pochi mesi dopo, il 21.10.2016, NOME COGNOME e NOME COGNOME alle tre comproprietarie del fondo il rimborso delle migliorie apportate al fondo durante il tempo dell’affitto, quantifica te in circa 1,5 milioni di euro;
-) le proprietarie del fondo rifiutarono la stipula del contratto definitivo con i due COGNOME, contestando loro l’insussistenza del diritto al rimborso delle spese per miglioramenti, nonché la decadenza dell’affittuario dal diritto di prelazione per tardivo pagamento del prezzo nel termine di legge;
-) le proprietarie del fondo, infine, il 28.12.2017 lo avevano venduto a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME senza previamente offrirlo all’affittuario NOME COGNOME.
1.1. I due attori conclusero pertanto chiedendo:
la pronuncia d’una sentenza traslativa della proprietà del fondo, ex art. 2932 c.c., previo accertamento del valido esercizio del diritto di prelazione;
l’accertamento dell’esistenza d’un credito degli attori nei confronti delle convenute per le migliorie apportate al fondo;
in subordine, l’accertamento dell’avvenuto valido esercizio del diritto di riscatto da parte dei due attori o di NOME COGNOME;
d) infine, la condanna delle sorelle COGNOME al risarcimento del danno ad essi causato omettendo di consegnar loro documenti necessari per ottenere l’erogazione d’un mutuo finalizzato all’acquisto del fondo.
1.2. Tutti i convenuti si costituirono, eccependo:
-) l’incompetenza ratione materiae del Tribunale ordinario sulla domanda di pagamento delle spese per miglioramenti;
-) il difetto in capo a NOME COGNOME dei requisiti soggettivi per esercitare la prelazione;
-) la tardività dell’offerta di pagamento del prezzo;
-) l’inefficacia della dichiarazione di esercizio della prelazione, in quanto compiuta congiuntamente da NOME e NOME COGNOME;
-) l’inefficacia della dichiarazione di prelazione e di quella di riscatto, in quanto i due attori avevano offerto di compensare il prezzo dovuto con il (preteso) credito per miglioramenti.
Con sentenza 29.3.2019 n. 890 il Tribunale di Brescia rigettò tutte le domande. In particolare il Tribunale:
-) dichiarò la propria incompetenza ratione materiae rispetto alla domanda di pagamento dei miglioramenti;
-) rigettò la domanda di accertamento del valido esercizio del diritto di prelazione, ritenendo che essa fosse stata formulata congiuntamente da NOME e NOME COGNOME, e che la proprietà del fondo non poteva essere assegnata congiuntamente anche a chi fosse privo, come NOME COGNOME, dei requisiti di legge per l’esercizio della prelazione;
-) per la stessa ragione appena indicata il Tribunale rigettò anche la domanda di riscatto;
-) rigettò la domanda di risarcimento del danno ritenendo non sussistere né la colpa, né un pregiudizio per gli attori. La sentenza fu appellata dai soccombenti.
Con sentenza 27.10.2020 n. 1149 la Corte d’appello di Brescia rigettò il gravame.
La Corte territoriale in primo luogo ritenne che correttamente il Tribunale aveva separato dalle altre la domanda di rimborso del valore dei miglioramenti, dichiarandosi incompetente ratione materiae e rimettendone l’esame alla sezione specializzata agraria.
Osservò la Corte d’appello che non era possibile devolvere l’intero giustizio alla Sezione specializzata agraria sia perché le modificazioni della competenza per ragione di connessione ‘ non sono possibili quando la modificazione dovrebbe riguardare una competenza c.d. forte, cioè per materia o per territorio inderogabile o funzionale’ ; sia perché la controversia non riguardava l’accertamento della sussistenza d’un rapporto agrario (pp. 35 -3.6 della sentenza impugnata).
3.1. Nel merito, la Corte territoriale fondò la propria decisione di rigetto su varie rationes decidendi, e cioè:
con l’atto di citazione i due attori avevano esercitato congiuntamente sia il diritto di prelazione che quello di riscatto; pertanto l’accoglimento di tali domande esigeva che tutti e due gli attori possedessero i requisiti soggettivi per l’esercizio de l diritto di prelazione; di tali requisiti tuttavia NOME COGNOME non aveva dimostrato il possesso (pp. 37-40);
gli attori non avevano rispettato il termine di cui all’art. 8 l. 590/65 per il versamento del prezzo (e cioè sei mesi decorrenti dal 30° giorno successivo alla notifica della denuntiatio da parte del venditore, anche tenendo conto della sospensione di un anno di cui all’art. 8 l. 590/65; tale termine nel caso di specie era scaduto il 20.11.2017 (p. 40);
era ‘pretestuosa’ l’allegazione attorea , secondo cui il ritardo nel pagamento del prezzo fu dovuto all’ostruzionismo delle venditrici, che non consegnarono loro i documenti necessari per la richiesta di un mutuo: infatti anche dinanzi a tale ostacolo gli attori avrebbero potuto ‘ esperire gli strumenti previsti dall’ordinamento per ottenere la documentazione richiesta ‘ (p. 41);
(d) gli attori avevano manifestato l’intenzione di acquistare il fondo solo previa detrazione dal prezzo di vendita del controcredito da essi vantato per migliorie, richiesta non consentita dalla legge;
(e) prima di stipulare il contratto di vendita del fondo (stipulato il 28.12.2017) le tre comproprietarie non avevano l’obbligo di compiere una nuova denuntiatio di tale intenzione a NOME COGNOME. La Corte d’appello motivò questa statuizione in modo così riassumibile: NOME COGNOME aveva esercitato il diritto di prelazione quando gli venne comunicata dalle proprietarie la notizia dell’avvenuta stipula d’un contratto preliminare di vendita, nel quale il prezzo del fondo era fissato in tre milioni di euro; NOME COGNOME esercitò invalidamente la prelazione con riferimento quel prezzo; le proprietarie vendettero in seguito l’immobile ad altri acquirenti per il maggior prezzo di 3,1 milioni; poiché NOME COGNOME non aveva esercitato la prelazione quando il prezzo del fondo era indicato in 3 milioni, a fortiori doveva ritenersi che non l’avrebbe esercitata per un prezzo maggiore; di conseguenza né le proprietarie avevano l’obbligo di una nuova denuntiatio , né egli poteva dolersi di non averla ricevuta.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da NOME e NOME COGNOME con ricorso fondato su otto motivi ed illustrato da memoria. Le COGNOME e gli COGNOME hanno resistito con controricorso. Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Premessa.
Va esaminato per primo, ai sensi dell’art. 276, comma secondo, c.p.c., il quarto motivo di ricorso. Esso infatti sottopone al giudizio di questa Corte una questione di competenza ratione materiae , che in quanto tale ha carattere pregiudiziale.
2. Il quarto motivo di ricorso.
Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 40, comma 3, c.p.c..
Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di spogliarsi della sola causa di accertamento del valore delle migliorie apportate dagli affittuari.
Sostiene che quella domanda, in quanto connessa alle altre, come queste si sarebbe dovuta trattare col rito speciale, ai sensi dell’art. 40, comma 3, c.p.c..
1.1. Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale separò le domande proposte dagli attori, decidendo nel merito quelle concernenti prelazione e riscatto, e declinando la propria competenza su quella di accertamento del valore delle migliorie.
Ebbene, nell’ipotesi di unico giudizio con pluralità di domande, ‘ la sentenza di primo grado che, pur in difetto di un esplicito provvedimento di separazione, declini la propria competenza o dichiari la litispendenza per una delle domande proposte e decida nel merito le altre e distinte domande, è solo formalmente unica, atteso che contiene diverse decisioni ciascuna relativa alle varie domande proposte.
Pertanto il capo di sentenza relativo alla pronuncia sulla competenza o sulla litispendenza – essendo autonomo dagli altri – a norma dell’art. 42 cod. proc. civ., deve essere impugnato col regolamento necessario di competenza e che pertanto è inammissibile l’appello eventualmente proposto ‘ (Sez. 2, Sentenza n. 12607 del 28/08/2002, Rv. 557164 -01; Sez. 3, Sentenza n. 1803 del 14/04/1989, Rv. 462496 -01; Sez. 1, Sentenza n. 881 del 05/04/1966, Rv. 321751 – 01).
La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame, anziché rigettarlo. Da ciò consegue la carenza di interesse del ricorrente all’impugnazione d’una sentenza che sarebbe stata comunque per lui sfavorevole, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini sopra indicati (correzione, è bene ricordare, consentita ed anzi imposta a questa Corte dal principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il quale impedisce al giudice di adottare decisioni che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, comportino l’inutile allungamento dei tempi del giudizio: ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 16379 del 04/08/2005, Rv. 585524 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16379 del 04/08/2005, Rv. 585524 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21985 del 24/10/2011, Rv. 620245 – 01).
3. Il primo motivo di ricorso.
Il primo motivo di ricorso contiene tre distinte censure:
3.1. La prima censura (riferibile al solo NOME COGNOME) è così riassumibile:
NOME COGNOME aveva dedotto nell’atto di citazione in primo grado di essere, oltre che affittuario del fondo ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘ anche proprietario e coltivatore diretto di un fondo confinante;
aveva perciò esercitato il diritto di riscatto nella duplice veste tanto di affittuario, quanto di proprietario confinante, lamentando di non avere mai, in tale ultima veste, ricevuto la denuntiatio prescritta dalla legge;
il Tribunale aveva provveduto solo sulla domanda di riscatto proposta nella veste di affittuario, e taciuto sulla domanda di riscatto proposta nella veste di proprietario confinante;
aveva perciò denunciato in appello l’omessa pronuncia da parte del primo giudice;
la Corte d’appello aveva omesso di pronunciare su questo motivo di gravame (pp. 59-65 del ricorso).
3.1.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
E’ inammissibile nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda intesa a far valere il mancato invio di una regolare denuntiatio venditionis a NOME COGNOME quale proprietario d’un fondo confinante con quello oggetto della vendita.
Dall’esame dell’atto di citazione, consentita dalla natura del vizio denunciato, emerge infatti che tale censura non fu tempestivamente prospettata in primo grado (cfr. p. 34 della citazione introduttiva).
3.1.2. Il motivo è comunque manifestamente infondato nel merito, in quanto la sentenza impugnata ha dichiarato di rigettare la domanda di riscatto proposta ‘ da NOME COGNOME anche in proprio ‘ (p. 43), assumendo che questi avesse offerto in pagamento un prezzo inferiore di quello richiesto dalle venditrici, pretendendo di decurtarlo del proprio controcredito per le migliorie apportate al fondo (p. 44).
La domanda di riscatto quale coltivatore diretto non fu dunque trascurata, ma rigettata implicitamente, dal momento che l’accoglimento di essa sarebbe stato incompatibile con la ritenuta insufficienza del prezzo offerto.
3.1.3. Infine reputa il Collegio doveroso rilevare, anche a fronte di talune disinvolte affermazioni rivolte dai ricorrenti ai Giudicanti di merito, che la domanda di riscatto proposta da NOME COGNOME nella qualità di proprietario coltivatore d’un fondo confinante non fu affat to trascurata dal Tribunale, ma fu esaminata e rigettata a p. 13, ultimo capoverso, della sentenza di primo grado.
3.2. Con una seconda censura (illustrata alle pp. 71-82 del ricorso) NOME COGNOME sostiene che la Corte d’appello ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, attribuendo agli attori una domanda da essi mai formulata.
Deduce che l a Corte d’appello ha ritenuto che i due attori avessero esercitato il diritto di prelazione e, in subordine, quello di riscatto, subordinando il pagamento del prezzo al diffalco del controvalore delle migliorie da essi apportate al fondo. Gli attori tuttavia – prosegue il ricorso – non avevano mai subordinato l’offerta di pagamento del prezzo al diffalco del controcredito. Avevano semplicemente da un lato offerto il pagamento del prezzo integrale, dall’altro chiesto che si accertasse il loro con trocredito per migliorie, eventualmente disponendo le opportune compensazioni.
3.2.1. Prima di esaminare il merito di questa censura, va ricordato che il tipo di vizio prospettato (in pratica, l’erronea interpretazione dell’atto di citazione) consente a questa C orte l’esame diretto degli atti . Se, infatti, si afferma che la Corte di cassazione è giudice del fatto processuale, ‘ non si può allora non dedurne che le compete percepire direttamente e pienamente quel fatto, apprezzarne la portata ed individuarne il significato e la concreta idoneità a produrre effetti nel processo, perché solo in tal modo è possibile vagliarne la conformità al modello legale ‘ (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).
3.2.2. Quanto al merito, la censura è fondata.
La sentenza impugnata ha rigettato sia la domanda di accertamento del valido esercizio del diritto di prelazione, sia la domanda di riscatto, osservando:
-) quanto alla domanda di accertamento del valido esercizio del diritto di prelazione, che ambedue gli attori avevano inteso esercitare tale diritto offrendo un prezzo inferiore a quello di vendita, pari alla differenza tra quest’ultimo e l’importo da essi preteso a titolo di rimborso delle migliorie apportate alla ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘;
-) quanto alla domanda di riscatto, che NOME COGNOME aveva offerto di pagare il prezzo di tre milioni di euro ‘previo’ accertamento del proprio controcredito per migliorie, e dunque in violazione del divieto di subordinare l’offerta di pagamento a condizioni.
Secondo la sentenza impugnata, in sostanza, con l’atto introduttivo del presente giudizio gli attori intesero esercitare la prelazione o, in subordine, il riscatto, pagando soltanto la metà del prezzo richiesto dalle venditrici.
3.2.3. L’interpretazione che la Corte d’appello ha adottato dell’atto di citazione non può condividersi, in quanto contrasta col chiaro tenore letterale di quell’atto.
Sia nell’atto di citazione in primo grado, sia n ell’atto d’appello, sono formulate quattro domande:
una domanda principale di trasferimento della proprietà ex 2932 c.c., fondata sul presupposto che, con l’esercizio del diritto di prelazione, gli attori si erano sostituiti al promissario acquirente;
una domanda subordinata di riscatto;
una domanda principale di accertamento dell’ammontare del credito per migliorie;
una domanda principale di compensazione del debito avente ad oggetto il pagamento del prezzo di vendita col controcredito avente ad oggetto il rimborso delle migliorie.
3.2.4. Tra le domande sub (a) e (b) da un lato, e quelle sub (c) e (d) dall’altro , nell’atto di citazione non fu istituita alcuna subordinazione.
Non solo, infatti, manca qualunque chiara espressione in tal senso, ma al contrario le espressioni utilizzate dagli attori deponevano in senso esattamente opposto. Infatti:
gli attori dichiararono con la citazione (p. 38) di formulare ‘ offerta formale di versamento del prezzo come dichiarato nell’atto notarile’ , senza ulteriori condizioni;
tanto la domanda di accertamento dell’esercizio del diritto di prelazione, quanto la domanda di rimborso delle migliorie, furono formulate ‘ in via principale’ . Questa formula (di stile), valorizzata dalla Corte d’appello per ritenere che il prezzo offerto dal prelazionario non fu pari a quello di vendita, in realtà non consentiva affatto quell’approdo. Se, infatti, due domande sono formulate ambedue in via principale e non in via alternativa né subordinata, esse sono semplicemente delle domande cumulate ex art. 103 c.p.c.: con la conseguenza che l’attore, nel formularle, non pone al giudice condizioni di sorta circa la loro decisione contestuale, ed accetta per ciò solo l’eventualità che possa essere accolta l’una e rigettata l’altra, o viceversa;
infine, quel che più rileva, gli attori avevano espressamente concluso l’atto di citazione dichiarando di ‘ fare salvi ‘ i provvedimenti ritenuti dal giudice ‘ opportuni in ordine al cumulo delle stesse’ : e così espressamente mostrando di non pretendere né che il credito per migliorie ed il debito del prezzo fossero giudicati contestualmente, né che l’accertamento dell’uno fosse subordinato all’accertamento dell’altro.
3.2.4. Oltre la rilevata incoerenza tra il contenuto oggettivo dell’atto di citazione e l’interpretazione che la Corte d’appello ne ha dato, esistono ulteriori ragioni che rendono non conforme a diritto la sentenza impugnata.
3.2.5. In primo luogo, se è vero che il valido esercizio del diritto di prelazione agraria non consente al prelazionario di subordinare il pagamento del prezzo a termini e condizioni, non è men vero che nulla impedisce al prelazionario,
il quale vanti un credito nei confronti del venditore, di chiederne l’accertamento nel medesimo giudizio nel quale ha domandato accertarsi il valido esercizio del diritto di prelazione.
Un conto, infatti, è offrire da parte del prelazionario un prezzo minore di quello chiesto dal venditore al terzo; ben altra cosa è offrire di pagare il prezzo richiesto, e contestualmente formulare una domanda di condanna o di accertamento d’un controcredito a carico del venditore.
Nel primo caso la prelazione sarà invalida, perché il diritto di prelazione legale non consente trattative di sorta: o si accetta di pagare il prezzo richiesto, o si perde il diritto di essere preferiti nell’acquisto. La ratio di tale principio è porre tanto il prelazionario, quanto il terzo, in condizioni di parità.
Nel secondo caso, invece, la prelazione sarà legittimamente esercitata, perché la circostanza che il prelazionario vanti un controcredito nei confronti del venditore non altera la parità di condizioni tra questi e il terzo. Anche il terzo, del resto, potrebbe vantare un controcredito nei confronti del venditore e chiederne il diffalco dal prezzo, ma questa circostanza sarebbe irrilevante rispetto al prelazionario.
Allo stesso modo, e converso , irrilevante rispetto al terzo dovrà essere la circostanza che il prelazionario abbia un credito nei confronti del venditore, ferma restando ovviamente la facoltà del giudice di separare dalle altre la domanda di accertamento del controcredito invocato dal prelazionario (in tal senso si veda già Sez. 3, Sentenza n. 11551 del 17/11/1998, la quale ha rigettato la pretesa del prelazionario che aveva offerto un prezzo inferiore a quello di acquisto, chiarendo però che rispetto a tale ipotesi era ‘ altra questione’ quella in cui il prelazionario, nello stesso processo, proponga contestualmente tanto la domanda di accertamento del diritto di prelazione, quanto la domanda di accertamento d’un proprio controcredito nei confronti del venditore).
3.2.6. In secondo luogo, quel che appare dirimente , la Corte d’appello provvide sulle domande aventi ad oggetto la prelazione ed il riscatto dopo avere rigettato il motivo di gravame rivolto avverso la decisione del Tribunale
di separazione tali domande da quella di accertamento del controcredito per migliorie.
Per effetto di tale decisione, pertanto, in grado di appello la causa non aveva più ad oggetto la domanda di accertamento del suddetto controcredito, e la circostanza che gli appellanti avessero nondimeno coltivato le restanti domande dimostracìva di per sé, anche amente dell’art. 115 c.p.c., che la pretesa domanda ‘condizionante’ non era tale, e nulla impediva alla Corte d’appello di giudicare su quell e residue.
3.2.7. In terzo luogo la seconda censura del primo motivo è fondata perché gli attori, assumendo la veste di retraenti, avevano l’obbligo di versamento del prezzo nei confronti dell’acquirente retrattato, non certo del venditore, perché è al retrattato che il retraente subentra con effetto ex tunc (Sez. 3 – , Ordinanza n. 34929 del 28/11/2022).
Sarebbe stata, pertanto, giuridicamente impossibile la pretesa del retraente di subordinare il pagamento del prezzo all’accertamento d’un controcredito nei confronti del venditore. Quel credito, infatti, a tutto concedere sussisteva nei confronti di persona diversa dal retrattato.
Sicché la Corte d’appello, anche ad ammettere per mera ipotesi che l’atto di citazione presentasse una ambiguità lessicale, avrebbe dovuto interpretarla in modo che avesse un senso, in virtù del generale principio di conservazione dell’atto (art. 1367 c.c.), piuttosto che attribuirle un significato giuridicamente inintelligibile.
3.3. Con una terza censura (pp. 82-84) i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 104 disp. att. c.p.c., di fatto negando agli attori la facoltà di proporre congiuntamente la domanda di prelazione (o riscatto), e quella di accertamento del credito per migliorie.
3.3. La terza censura è inammissibile per difetto di interesse.
Infatti le domande proposte dagli attori (accertamento del credito e riscatto) sono state separate con statuizione su cui si è formato il giudicato per effetto
del rigetto del quarto motivo di ricorso, sicché una volta venuto meno il cumulo, non è neanche prospettabile una violazione dell’art. 104 c.p.c..
4. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano il vizio di extrapetizione.
Sostengono una tesi così riassumibile:
-) il Tribunale rigettò la domanda di accertamento dell’avvenuto esercizio della prelazione e la domanda di riscatto sul presupposto che essa era stata formulata ‘congiuntamente’ da due soggetti, uno solo dei quali titolare del diritto di prelazione;
-) tale statuizione era stata impugnata;
-) la Corte d’appello rigettò il gravame sulla base di un diverso rilievo, e cioè l’avere gli attori offerto di pagare un prezzo ridotto, pretendendo di defalcare da esso il proprio controcredito per migliorie;
-) tale ultima questione fu inammissibilmente rilevata d’ufficio dalla Corte d’appello.
4.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento della seconda censura del primo motivo di ricorso.
4. Il terzo motivo di ricorso .
Col terzo motivo i ricorrenti censurano , formalmente invocando l’art. 360 n. 5 c.p.c., la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che le comproprietarie, prima di stipulare l’atto di vendita del 28.12.2017, non fossero tenute a inviare la denuntiatio a NOME COGNOME.
Deducono i ricorrenti che le comproprietarie del fondo, dopo averlo promesso in vendita a tale COGNOME, lo vendettero agli COGNOME ad un prezzo maggiore rispetto a quello indicato nel preliminare rimasto senza sèguito: il contratto di vendita era dunque diverso per termine, per soggetti e per prezzo rispetto a quello preliminare. La diversità di tali atti imponeva dunque alle venditrici di rinnovare la denuntiatio , e la Corte d’appello trascurò questo principio di diritto, senza darne spiegazione.
4.1. In merito a tale motivo rileva il Collegio, preliminarmente, che la sua illustrazione non è coerente con la sua intitolazione.
Nell’illustrazione del motivo, infatti, viene dedotto non un vizio di omesso esame del fatto, ma una violazione di legge (v. in particolare p. 91, secondo capoverso, del ricorso).
Chiedono infatti i ricorrenti a questa Corte di stabilire una questione di puro diritto: ovvero se il proprietario del fondo debba rinnovare la denuntiatio all’affittuario (o al confinante) se, dopo aver promesso in vendita il fondo a NOME d in assenza d’un valido esercizio della prelazione legale , lo venda poi a NOME per un prezzo diverso e maggiore.
4.2. Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del secondo motivo di ricorso.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. ‘vizio di sussunzione’ (e cioè erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, come accennato, l’illustrazione contenuta nelle pp. 90-94 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 8 della l. 590/65.
4.3. Così qualificato ed interpretato, il terzo motivo di ricorso è fondato.
La vendita a soggetto diverso dal promissario acquirente è un contratto che non costituisce esecuzione del preliminare, ed imponeva l’invio di una nuova denuntiatio al prelazionario.
Giuridicamente irrilevante, invece, è la circostanza di fatto valorizzata dalla Corte d’appello. Questa infatti ha fatto ricorso in sostanza all’ argomento dell’ a fortiori : poiché afferma la sentenza d’appello – NOME COGNOME non aveva acquistato il fondo ad un certo prezzo, a fortiori non avrebbe potuto acquistarlo ad un prezzo maggiore.
L’argomento tuttavia è giuridicamente erroneo. L’invio della denuntiatio è un onere imposto dalla legge al proprietario, da assolvere ogni volta che intenda alienare a terzi il fondo agricolo oggetto di affitto. E l’onere di notificare una proposta contrattuale, in quanto imposto dalla legge, non viene meno sol perché sia prevedibile che il destinatario di quell’offerta non l’accetterà. A seguire il ragionamento della sentenza impugnata, del resto, si perverrebbe ad autentici paradossi: ad esempio, che la costituzione in mora (art. 1219 c.c.) o la diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) divengano superflue quando il debitore sia indigente.
5. Il quinto motivo di ricorso.
Col quinto motivo la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto che NOME COGNOME fosse privo dei requisiti soggettivi per esercitare il diritto di prelazione.
5.1. Il motivo, per quanto si dirà, resta assorbito dal rigetto del motivo concernente la scusabilità del tardivo pagamento del prezzo della prelazione. Infatti, una volta stabilto dalla Corte d’appello, con statuizione che resiste alle censure proposte in questa sede, che la prelazione non fu validamente esercitata a causa del tardivo pagamento del prezzo, e che il ritardo non fu causato dall’ostruzionism o delle venditrici, dienta irrielvante stabilire se NOME COGNOME fosseo o non fosse coltivatore diretto della RAGIONE_SOCIALE.
6. Il sesto motivo di ricorso.
Col sesto motivo i ricorrenti prospettano -formalmente -la violazione degli artt. 2721 e 2724 c.c., oltre che il vizio di motivazione.
Nella illustrazione del motivo deducono che la Corte d’appello avrebbe ‘violato la legge’ e comunque omesso l’esame d’un fatto decisivo , per avere dapprima rigettato le prove intese a provare che NOME COGNOME era un coltivatore diretto (anche) del fondo confinante con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e poi rigettato la domanda per difetto di prova di tale circostanza.
6.1. Anche questo motivo, come il quinto, presenta una intitolazione non coerente con la sua illustrazione.
In quest’ultima, infatti, è chiaramente dedotto che deve ritenersi viziata per contraddittorietà intrinseca una sentenza la quale dapprima rigetti le prove offerte a dimostrazione dei fatti costituivi della domanda, e poi rigetti la domanda perché non provata.
Anche in questo caso, pertanto, in virtù dei princìpi già esposti supra , al precedente § 4.2, deve essere qualificato ex officio , in virtù del principio jura novit curia , come denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., consistit a nell’ avere il giudice di merito rigettato la domanda senza previamente consentire alle parti di dimostrare in facto i rispettivi assunti.
6.2. Così qualificato il motivo, se ne deve rilevare la parziale fondatezza.
Questa Corte già da tempo ha affermato, e costantemente ribadito, il principio per cui ‘ il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda e poi negarle la prova offerta ‘ (così Sez. U, Sentenza n. 789 del 29/03/1963, Rv. 261080 -01 e Sez. 3, Sentenza n. 2631 del 20/10/1964, Rv. 303958 – 01; nello stesso senso, più di recente ma ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 12111 del 08/05/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 2904 del 8.2.2021; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17981 del 28.8.2020; Sez. 6 3, Ordinanza n. 14155 dell’8.7.2020).
6.3. Nel caso di specie la Corte d’appello ha rigettato le prove orali richieste dagli odierni ricorrenti ed intese a dimostrare – secondo la prospettazione attorea – che NOME e NOME avevano costituito una impresa familiare e coltivavano congiuntamente il fondo che si assume confinante a quello oggetto del contendere, e di proprietà di NOME COGNOME.
Lo ha fatto sul presupposto che dalle prove come capitolate non fosse possibile ‘ accertare se e da quando il COGNOME NOME coadiuvasse il padre ‘.
6.4. Rileva tuttavia il Collegio che le prove articolate dagli attori e reiterate in appello, per come trascritte nella stessa sentenza impugnata (pp. 9-26), includevano i seguenti capitoli:
-) capitolo 47: ‘ vero che il sig. COGNOME NOME è coltivatore diretto e proprietario (…) dei terreni agricoli situati a Orzivecchi, contraddistinti al foglio 3, particella 39, e al foglio 3, mappale 97, che conduce unitamente al figlio NOME da oltre 5 anni ‘ ;
-) capitolo 49 : ‘ confermo che la planimetria e le riproduzioni fotografiche che mi si rammostrano rappresentano il terreno di proprietà e condotto dal signor COGNOME NOME e COGNOME NOME ‘ .
Non è dunque coerente con gli atti processuali l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui dai capitoli come articolati non era ‘ possibile accertare se e da quando il NOME NOME coadiuvasse il padre ‘ .
7. Il settimo motivo.
Col settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 8 l. 590/65. Il motivo censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che i prelazionari, dopo avere ricevuto la denuntiatio dell’avvenuta stipula del preliminare di vendita e dopo avere manifestato la volontà di esercitare la prelazione non avevano rispettato il termine di versamento del prezzo.
7.1. Nell’illustrazione del motivo i ricorrenti ammettono di non avere rispettato il termine di versamento del prezzo di cui all’art. 8 l. 590/65, ma sostengono di non esservi tenuti, sviluppando una tesi così riassumibile:
-) il contratto preliminare stipulato dalle tre comproprietarie nel 2016 con tale COGNOME prevedeva termini di pagamento del prezzo più favorevoli di quello trimestrale previsto dall’art. 8 l. 590/65;
-) i due prelazionari, manifestando la volontà di esercitare la prelazione, erano subentrati ipso iure nella posizione del promissario acquirente;
-) essi pertanto avevano diritto di beneficiare del più lungo termine di pagamento previsto nel preliminare;
-) il mancato versamento del prezzo pertanto non poteva comportare la decadenza dal diritto di prelazione, ma al più poteva costituire inadempimento del contratto preliminare, inadempimento che le promittenti venditrici non avevano fatto valere chiedendo la risoluzione del contratto preliminare o l’esecuzione in forma sp ecifica.
7.2. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., perché non viene nel ricorso trascritto né riassunto il contenuto del contratto preliminare, In ogni caso esso sarebbe manifestamente infondato nel merito, ove del merito si fosse potuto discorrere, poiché l’esercizio del diritto di prelazione agraria non comporta alcun ‘subentro’ nel contratto preliminare.
La prelazione agraria non è una cessione di contratto preliminare, ma una modalità di stipula d’un negozio traslativo e non obbligatorio. Prova ne sia che essa sarebbe validamente esercitata anche se il preliminare, in tesi, fosse viziato.
8 . L’o ttavo motivo di ricorso.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di motivazione e di omesso esame del fatto.
Il motivo impugna la sentenza d’appello nella parte in cui (con motivazione ad abundantiam ) ha negato che potesse ravvisarsi in capo alle tre comproprietarie una condotta colposa, consistita nel non avere fornito all’affittuario i documenti necessari per ottenere un finanziamento e, con quello, pagare il prezzo dell’esercitata prelazione.
Sostengono i ricorrenti che la sentenza sarebbe, su questo punto, nulla, perché non consente di stabilire se la colpa delle proprietarie sia stata esclusa sul presupposto che i due attori avrebbero potuto agire contro le affittanti per ottenere i suddetti documenti; oppure sul presupposto che gli attori avrebbero potuto agire nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per ottenere i suddetti documenti.
9.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c., perché in nessun punto del ricorso si chiarisce quali sarebbero i ‘documenti’ la cui mancata acquisizione impedì ai ricorrenti l’accesso al finanziamento per l’acquisto del fondo.
In secondo luogo è inammissibile perché a tutto concedere la motivazione sarebbe su questo punto insufficiente, non inesistente, e l’insufficienza non è
più (dal 2012) vizio censurabile in sede di legittimità, per effetto della riforma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. .
In terzo luogo la denuncia di omesso esame del fatto è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., essendovi stata una doppia decisione conforme nei gradi di merito.
In conclusione vanno accolti la seconda censura del primo motivo; il terzo ed il sesto motivo di ricorso.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in differente composizione, la quale nell’ esaminare ex novo l’appello proposto da NOME e NOME COGNOME:
-) considererà che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado non può essere interpretato nel senso che in esso sia stato subordinato il pagamento del prezzo di riscatto alla compensazione del controcredito per migliorie;
-) applicherà il seguente principio di diritto: ‘ il proprietario del fondo agricolo che, dopo avere stipulato un contratto preliminare di vendita ed in assenza d’un valid o esercizio del diritto di prelazione, decida di venderlo a persona diversa dal promissario acquirente ed a prezzo maggiorato, ha l’onere di reiterare la denuntiatio al titolare del diritto di prelazione, a prescindere dall’atteggiamento da questi serbato in precedenza ‘ ;
-) considererà che i capp. 1, 2, 47 e 49 come articolati dagli appellanti erano astrattamente rilevanti ai fini dell’esame del merito della domanda di riscatto, fermo restando il potere-dovere del giudice di merito – di valutarne ex novo ammissibilità e rilevanza sotto ogni altro profilo, questione estranea al presente giudizio di legittimità.
10.1. Per effetto della presente sentenza rileva questa Corte – al fine di prevenire ulteriori discussioni tra le parti – che si è formato il giudicato interno:
-) sulla legittimità della separazione delle domande;
-) sulla invalidità dell’esercizio del diritto di prelazione per tardivo pagamento del prezzo.
Resta, dunque, sub iudice il solo accertamento della fondatezza della domanda di riscatto formulata congiuntamente da NOME e NOME COGNOME e, in subordine, della domanda di riscatto formulata dal solo NOME COGNOME.
Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.q.m.
(-) accoglie la seconda censura del primo motivo di ricorso; nonché il terzo ed il sesto motivo, nei limiti di cui in motivazione;
(-) dichiara assorbito il secondo motivo; rigetta il primo; dichiara inammissibili i restanti motivi;
(-)cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della