Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20526 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Controversie
agrarie –
Prelazione
agraria – Retratto
ad. 13.5.2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8246/2022 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME e dall’ avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
contro
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente per la cassazione della sentenza n. 33/2022 della CORTE d’APPELLO di Genova pubblicata il 12.1.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Genova, con sentenza pubblicata il 31.8.2018, rigettava le domande svolte nella controversia promossa, con atto di citazione del 31 gennaio 2013, da NOME COGNOME per sentire accertare, nei confronti di Fondiaria Sai s.p.a. (ora Unipolsai Assicurazioni s.p.a.) ed NOME COGNOME, l’esistenza dei requisiti di cui agli artt. 8 l. 590/1965 e 7 l. 817/1971 e, quindi, la sua titolarità all’esercizio della prelazione e del riscatto agrario dei terreni già di proprietà di Fondiaria Sai s.p.a. ceduti al COGNOME con atto del 4.10.2012, dando atto del suo diritto al subentro nella qualità di acquirente di detti terreni, nonché per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal comportamento, caratterizzato da mala fede, tenuto dai convenuti.
Sulla premessa che NOME COGNOME, proprietaria di alcuni terreni in Santa Margherita Ligure, lamentava la violazione da parte di Fondiaria Sai s.p.a. del suo diritto alla prelazione per l’intervenuta vendita (a seguito della comunicazione della stipula di un preliminare di vendita) di un appezzamento di terreno confinante con i suoi fondi, il Tribunale di Genova, -dinanzi al quale la controversia era trasmigrata a seguito della soppressione del Tribunale di Chiavari (davanti al quale era stata introdotta) ed era stata poi riassunta, dopo parziale dichiarazione di litispendenza e sospensione, adottata dal tribunale della Lanterna con ordinanza dell’11 novembre 2014, rispetto ad altro procedimento radicato dalla prima contro la venditrice dinanzi al Tribunale di Torino – pur ritenendo sussistenti in capo all’attrice i requisiti soggettivi ex artt. 8 e 31 l. 590/1965 e art. 7 l. 817/1971, escludeva -per quanto in questa sede interessa – la ricorrenza di quelli oggettivi della contiguità tra fondi e della coltivazione nel biennio anteriore del fondo contiguo a quello oggetto di riscatto.
La Corte d’Appello di Genova con sentenza pubblicata il 12.1.2002 rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME gravandola delle spese del grado in favore di ciascuna parte appellata.
La Corte d’appello osservava preliminarmente che non era tardiva la produzione effettuata in primo grado dal COGNOME (unitamente alla comparsa di costituzione a seguito di riassunzione 1.3.2016) della relazione tecnica paesaggistica relativa al ‘ Progetto di ristrutturazione con ampliamento di edificio parzialmente diruto sito in INDIRIZZO, documento che risaliva al 2015 ed era quindi di formazione successiva rispetto ai termini per il deposito delle memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. (scaduti il 10.3.2014, quanto alla seconda memoria, ed il 31.3.2014, quanto alla memoria di replica).
Premesso che d etto documento non era stato contestato dall’attrice , in particolare nella parte in cui si leggeva che l’immobile contiguo a quello oggetto del progetto (ossia quello di proprietà del padre della COGNOME) era ad uso residenziale, la Corte d’appello rilevava che il dato più pregnante era che l’art. 8 l. 590/1965 prevede che ‘La prelazione non è consentita … quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica”. Il dato normativo è costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che esso considera ogni strumento di pianificazione che presenti attitudine a disciplinare l’uso del territorio da parte dei privati, prevedendone una destinazione diversa da quella agricola. Pertanto, era irrilevante che al momento della vendita tra Fondiaria Sai s.p.a. e il COGNOME la destinazione dell’immobile fosse ancora quella agricola, perché ad escludere il diritto di prelazione era l’astratta possibilità , in base agli strumenti urbanistici vigenti, di destinare a residenza l’immobile, pur in presenza di un precedente utilizzo agricolo.
Aggiungeva la corte che la legge regionale 49/2009 (c.d. «piano casa»), che nell’interpretazione sostenuta dall’appellante avrebbe precluso qualsiasi possibilità di esercizio del diritto di prelazione sull’intero territorio
regionale, non prevedeva generiche facoltà di cambio di destinazione d’uso, ma era intesa a favorire, anche concedendo aumenti di volumetria, la ricostruzione di edifici preesistenti.
Quanto alla censura rivolta alla sentenza per aver il Tribunale affermato essere l’edificio di proprietà del padre dell’appellante (inizialmente costituente un unicum con il fabbricato «diruto» acquistato da COGNOME) adibito a un non provato uso residenziale, notava la Corte d’appello che, se è vero che l’avere censito al catasto urbano l’immobile in oggetto di per sé non è indice di effettiva destinazione residenziale, trattandosi di adempimento imposto dal D.M. 28/1998, dalle fotografie prodotte era possibile desumere l’ utilizzo abitativo, e non quale ricovero di attrezzature agricole, data la presenza di una finestra a doppia anta nella parte superiore del fabbricato. Evidenziava altresì la corte territoriale che quanto detto a tale riguardo dal Tribunale era una argomentazione a mero supporto di quella in precedenza esaminata (quella basata sull’esistenza di un piano urbanistico implicante la destinazione non agricola) di per sé sufficiente a fondare la decisione impugnata.
Del pari inconferente e non correlata alla motivazione della sentenza era la doglianza relativa all’assenza di contiguità tra il mappale 634 con il fondo di proprietà dell’appellante. Il Tribunale aveva valorizzato la circostanza che ‘ i mappali 635 e 638 fossero stati accatastati all’urbano in quanto destinati a pertinenza dell’abitazione insistente sul mappale 1967 e che il mappale 636 non fosse ancora, all’epoca della compravendita tra Fondiaria Sai e Campagnoli, di proprietà di COGNOME ‘ .
In relazione alla doglianza relativa al requisito della coltivazione biennale del fondo contiguo ai mappali 635 e 638 del Campagnoli, premesso che nel corso dell’udienza del 19.10.2016 il Tribunale nel contradditorio delle parti aveva scaricato dal sito internet del Comune di Santa Margherita Ligure un estratto di mappa relativo al mappale 639, la Corte d’appello rimarcava come l’appellante non avesse censurato la sentenza , là dove si riferiva che nessuna contestazione fosse stata svolta dall’attrice , e non
avesse considerato (l’appellante) che il primo giudice aveva ben presente che l’estratto era riferito ad un o stato esistente quattro anni dopo la vendita, ma aveva valorizzato l’evidenza del fatto che il mappale 639 era boschivo e soltanto l’attiguo mappale 641 era a coltura. Ad ogni modo, notava ancora la Corte d’appello che ‘Le immagini sono infatti quelle di un bosco molto fitto e composto in gran parte da alberi ad alto fusto, che non può avere assunto tali caratteristiche in pochi anni e che certamente le presentava già al momento dell’atto di compravendita di cui si discute. L’evidenza delle immagini (non solo, ripetesi, quella tratte dal SIT all’udienza del 19 ottobre 2016, ma anche quelle prodotte dal COGNOME, per certo riproducenti lo stato dei luoghi in epoca assai prossima alla compravendita) priva di attendibilità la deposizione del teste COGNOME, marito dell’attrice, secondo cui la coltivazione a fasce non sarebbe visibile nelle immagini tratte dal SIT e persuade circa la correttezza di quanto argomentato dal Tribunale in ordine all’avere il teste COGNOME equivocato circa il mappale del quale si discuteva ‘ . Tali documenti, inoltre, consentivano di evidenziare che era boschiva anche buona parte del mappale 641 nel tratto confinante con il mappale 639, ‘ il che priva di pregio le osservazioni dell’appellante relative al fatto che ad essere preso in considerazione dovesse essere l’intero fondo (e non il solo mappale) confinante’.
In relazione al requisito della contiguità dei fondi, quanto al mappale 630 acquistato dal COGNOME, per l’esistenza di una strada vicinale , aspetto per il quale era stata disposta una C.T.U., la Corte d’appello osservava che l’appellante aveva estrapolat o in modo decontestualizzato alcuni passi della relazione, ma ‘ l’esame dell’elaborato nella sua completezza nonché l’osservazione delle planimetrie e, soprattutto, delle immagini fotografiche che la corredano chiariscono che l’esistenza del passo interpoderale tra il mappale 630 di proprietà COGNOME e il mappale 1785 di proprietà COGNOME è affermabile con certezza, sia sulla scorta dello stato di fatto dei luoghi (in cui non è riscontrabile soltanto, come allegato dall’appellante, ‘una lieve differenza cromatica dell’erba’, bensi un vero e
proprio sentiero con fondo naturale -cfr. pagg. 10 e 11 CTU), sia perché l’esistenza del passaggio avente caratteristiche di passo interpoderale è stata certificata dal Comune di Santa Margherita Ligure, che ne ha addirittura imposto il ripristino alle condizioni originarie (cfr. doc. 40 fascicolo primo grado COGNOME) ‘. L’appellante, inoltre, aveva omesso di confrontarsi con il rilievo svolto dal primo giudice secondo cui la contiguità fra i fondi, ai fini della prelazione, deve essere esclusa anche in presenza di una «stradella» e senza la necessità di prova di effettiva costituzione di una comunione su di essa.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di otto motivi. Rispondono con controricorso NOME COGNOME e Unipolsai RAGIONE_SOCIALE.p.a.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex degli artt. 167, 183, 184 e 345 cod. proc. civ.
La ricorrente si duole per aver la Corte d’appello fondato la sua decisione su due documenti prodotti dal COGNOME in primo grado in occasione del deposito della comparsa in sede di riassunzione, assumendo che si trattava di documentazione formatasi successivamente allo spirare del termine per la formazione delle preclusioni probatorie. La Corte d’appello, pertanto, senza che la parte avesse formulato istanza di rimessione in termini aveva consentito alla parte di produrre della documentazione nonostante essa ne fosse decaduta.
La ricorrente, inoltre, lamenta l’avvenuta produzione in appello di due ulteriori documenti in concomitanza con il primo deposito delle comparse
conclusionali (richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica del 23.10.2015; autorizzazione paesaggistica del 4.4.2018). Tali documenti seppur non menzionati nella sentenza impugnata , ‘nondimeno essi risultano in rilevante misura considerati, giacché su di essi si fondano le argomentazioni difensive del concludente COGNOME (anche in sede di repliche ex art. 190 cod. proc. civ.) che la sentenza riporta testualmente, talvolta con un autentico lavoro di «copia-e-incolla» degli atti defensionali persino nei m inuti errori di battitura’ .
1.1. Il motivo è infondato.
Il motivo, in via preliminare, quanto alla deduzione della mancanza di istanza di rimessione in termini, ove effettivamente questa fosse stata necessaria, sarebbe inammissibile, in quanto la questione della necessità di detta rimessione si sarebbe dovuta prospettare fino al momento ultimo utile del giudizio di primo grado: vertendosi, ipoteticamente, in tema di preclusioni rilevabili d’ufficio parte ricorrente avrebbe potuto eccepire l’ipotetica necessità dell’istanza di rimessione in termini fino al deposi to della memoria di replica in funzione della decisione, dato che il potere del giudice di primo grado di far luogo al rilievo d’ufficio durava fino alla decisione.
Infatti, è stato affermato da questa Corte che ‘ a regola dettata dall’art. 157, 3° comma, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo ‘ (v. Cass., sez. III, 30 agosto 2018, n. 21381, il cui principio di diritto è stato applicato per l’ipotesi delle
preclusioni da Cass., sez. III, 21 luglio 2021, n. 21529). Parte ricorrente non dice d i averlo fatto ed anzi nemmeno di averlo sostenuto con l’appello. Nemmeno dice di avere prospettato la questione dell’assenza di istanza di rimessione con l’appello ed il giudice di appello non se n e occupa, sicché la questione è nuova.
In secondo luogo, dev ‘esser e rilevato che sulla questione della documentazione prodotta dal COGNOME in sede di riassunzione la ricorrente, come già detto, non ha svolto uno specifico motivo di appello, il cui contenuto non ha riprodotto in questa sede, ma riferisce genericamente di una ‘ doglianza ‘ (v. pagina 9 del ricorso, secondo capoverso). Nondimeno la Corte d’appello ha ritenuto non tardiva la produzione da parte del COGNOME della relazione tecnica paesaggistica relativa al ‘ Progetto di ristrutturazione con ampliamento di edificio parzialmente diruto sito in località INDIRIZZO in sede di riassunzione sul rilievo che essa, risalendo al 2015, era successiva allo spirare dei termini per il deposito delle memorie a prova diretta e contraria ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ.
La Corte d’appello, oltre a quanto sopra evidenziato, non è incorsa nella lamentata violazione delle norme indicate in intestazione, posto che ‘La produzione di un documento formato dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie istruttorie non incorre nella decadenza di cui all’art. 183 c.p.c., 6° comma (stante l’impossibilità di produrlo nell’anzidetto termine) e non richiede -in difetto di una maturata decadenza -alcuna preventiva istanza di rimessione in termini ‘ (v. Cass., sez. III, 13 giugno 2019, n. 15879).
Del tutto inconferente, inoltre, è la seconda censura relativa alla documentazione prodotta in sede appello da parte del COGNOME, poiché dal tenore della sentenza non emerge in alcun modo che la Corte d’appello abbia fondato su di essi la sua decisione, tant’è che la stessa ricorrente h a dichiarato che tali documentati non sono stati menzionati dalla corte, ma ha ipotizzato che essi siano stati presi in considerazione dal giudice
dell’appello. Ipotesi, quest’ultima, basata su una mera congettura . I documenti in questione non sono stati richiamati dalla Corte d’appello .
Con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 258, 261 e 213 cod. proc. civ.
La ricorrente lamenta che all’udienza del 19.10.2016 fissata per raccogliere il giuramento del C.T.U. l’istruttore scaricò dal sito internet del Comune di Santa Margherita Ligure un estratto di mappa relativo al mappale 634 . Sennonché, l’iniziativa del giudice del primo grado, non riconducibile all’ispezione ex art. 258 cod. proc. civ. o all’ effettuazione di riproduzioni, copie o esperimenti ex art. 261 cod. proc. civ., o, ancora, alla richiesta di informazioni alla PA ex art. 213 cod. proc. civ., sarebbe irrituale poiché non preceduta dall’adozione di un provvedimento reso nel contraddittorio tra le parti.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la ricorrente non solo non ha svolto uno specifico motivo di impugnazione in sede di appello, ma, a monte, nemmeno sostiene di avere prospettato la doglianza in udienza all’atto dell’affidamento della c.t.u., sicché ogni possibilità di un rilievo successivo della ipotizzata criticità dell’operato del giudice di primo grado, rimase preclusa, vertendosi questa volta in tema di eccezioni di rito rilevabili ad istanza di parte.
La pretestuosità del motivo -ferma l’assorbenza di quanto rilevato -si evidenzia anche perché parte ricorrente quest’oggi si limita a spiegare cosa non sia l’attività di download di un estratto di mappa dal sito internet del Comune di Santa Margherita Ligure, senza nemmeno svolgere (anche nell’ottica dell’art. 360 -bis n. 2 cod. proc. civ.) una censura pertinente in relazione al preteso vulnus al suo diritto di difesa, tanto più che la stessa attività debitamente l’avrebbe potuta svolgere il C.T.U. nel ris petto del contraddittorio con i consulenti di parte. Contradditorio, comunque, assicurato dal Tribunale in occasione dell’udienza del 19.10.2016.
Con il terzo motivo si denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 8 l. 590/1965 e dell’art. 7 l. 871/1971.
La ricorrente censura la sentenza quanto all’applicazione delle norme in tema di prelazione e riscatto agrari per aver il Tribunale, e successivamente la Corte d’appello , fatto riferimento alla nozione di «mappale» e non a quello di «fondo» o «terreno» impiegati dal legislatore. La domanda sarebbe stata rigettata sugli erronei presupposti: ‘1) della mancata confinanza di tutti i mappali e 2) della mancata coltivazione del mappale confinante con quello oggetto di riscatto ‘, mentre ‘l’elemento oggettivo da prendersi in considerazione, al fine di soddisfare la condizione per l’esercizio del riscatto, doveva essere 1) la confinanza del fondo oggetto di riscatto, non del mappale; e 2) la coltivazione del terreno confinante, non del mappale ‘.
La Corte d’appello invece di far riferimento alla nozione di unità poderale , che avrebbe permesso di riconoscere l’unitarietà sia del fondo oggetto di retratto, sia di quello del retraente, avrebbe operato un frazionamento ricercando la contemporanea sussistenza dei requisiti oggettivi con riferimento ai singoli mappali, ‘arrivando in questo modo a negare l’esercitabilità del diritto: in un caso (mapp. 634) affermando la natura residenziale del mappale; in un secondo caso (mapp. 635 e 638), affermando la non dimostrata coltivazione del fondo confinante; in un terzo caso, affermando la nonconfinanza (mapp. 630)’.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente, nonostante la lunga e complessa articolazione del motivo in esame (da pagina 15 a pagina 20 del ricorso), ha omesso in primo luogo di indicare chiaramente la motivazione criticanda.
Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali
comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).
La ricorrente ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbero riferirsi le numerose doglianze esposte, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
Dev ‘ essere, altresì, rimarcato come la ricorrente nel delineare il preteso errore di sussunzione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nella valutazione dei requisiti oggettivi per l’esercizio del retratto pone una serie di profili eterogenei, riferiti alla natura residenziale del mappale 634, alla non dimostrata coltivazione del fondo confinante quanto ai mappali 635 e 638 ed alla «non-confinanza» del mappale 630, che attengono squisitamente alla valutazione del fatto affidata in via esclusiva al giudice del merito. Il motivo per come formulato, fermo quanto detto a proposito della mancata identificazione della motivazione oggetto di critica, è inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sarebbe incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 comma primo, n. 5, cod. proc. civ., ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.
Il Collegio rileva, comunque, che anche in questo caso parte ricorrente omette di evidenziare se e dove ed in che termini aveva prospettato al
giudice di primo grado e soprattutto a quello di appello la questione che svolge nel motivo, come si è detto del tutto irriducibile, peraltro, a mera quaestio iuris : sicché il motivo non potrebbe sfuggire ad una valutazione di inammissibilità per novità della questione prospettata.
In fine, là dove fa riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado non potrebbe sfuggire ad una valutazione negativa ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., atteso che (come lamenta, del resto, pure il resistente COGNOME evocando il c.d. principio di autosufficienza) la motivazione di quella sentenza non viene riprodotta e ciò né direttamente né indirettamente, con rinvio in questo secondo caso alla parte riprodotta.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
La ricorrente si duole per essere stato affermato che il mappale n. 634, oggetto dell’azione di retratto , non abbia natura agricola e conseguentemente rigettata la domanda in relazione al detto mappale. La Corte d’appello, ‘ha fondato il proprio convincimento su un’errata interpretazione della Legge Regione Liguria 49/2009 (cosiddetto ‘Piano Casa’: allegato 07 al ‘fascicoletto’), ritenendo che questa permetta indiscriminatamente la facoltà di cambio di destinazione urbanistica a qualsivoglia manufatto, e che anche nella fattispecie l’« appezzamento di terreno non edificabile con sovrastante rudere (di seguito indicato come fabbricato diruto) sul mappale 634 » … potesse automaticamente beneficiare di tale effetto «trasmutativo» della propria destinazione d’uso’.
La Corte d’appello a pagina 11 (penultimo capoverso), secondo la ricorrente, sarebbe incorsa in un’aporia , poiché ‘dapprincipio sembra esser dato per compreso il fatto che la legge regionale non rende automaticamente mutabile la destinazione urbanistica di qualsiasi manufatto (questo il senso, verosimilmente, dell’espressione «lungi dal prevedere generiche facoltà di cambio di destinazione urbanistica»), ma subito dopo viene considerato acquisito e provato un fatto che non è provato
né acquisito, e cioè che il mappale n. 634 abbia una potenziale destinazione non agricola, e per la precisione residenziale ‘. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe considerato che il terreno oggetto del trasferimento era non edificabile e soggetto a vincolo idrogeologico, fattispecie rientranti tra i casi esclusi della legge regionale ligure 49/2009 ( c.d. ‘Piano casa’ ).
Il ragionamento della corte secondo cui la legge regionale consentirebbe la ricostruzione di edifici residenziali preesistenti, e che conseguentemente l’edificio diruto giacente sul fondo compravenduto avrebbe potenziale natura residenziale sarebbe viziato, perché ‘ al sillogismo manca la seconda delle due necessarie premesse, e cioè che l’edificio in questione fosse stato in passato residenziale, cosa inveritiera e del tutto indimostrata ‘. Così decidendo la corte sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 2697 cod. civ., il cui onere gravava sul retrattato, il quale si era limitato a prospettare la sua mera aspirazione ad imprimere al bene una destinazione residenziale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente ha censurato solo la motivazione resa dalla Corte d’appello a pagina 11 (ultimo capoverso), peraltro travisando il senso di quanto affermato a proposito della doglianza relativa alla portata della legge regionale 49/2009 (c.d. ‘Piano casa’) , ma non ha censurato l’intera ratio decidendi espressa da pagina 10 (ultimo capoverso) a pagina 12 (terzo capoverso) dal giudice dell’appello.
In particolare, la Corte d’appello sulla relazione tecnica paesaggistica relativa al ‘ Progetto di ristrutturazione con ampliamento di edificio parzialmente diruto sito in località Dolcina ‘ si è così espressa: ‘ Il contenuto del documento non è stato contestato da COGNOME, in particolare nella parte in cui affermava che l’immobile contiguo a quello oggetto del progetto (ovverosia l’immobile di proprietà del padre dell’odierna appellante) era ad uso residenziale ‘ (pagina 10, primo periodo dell’ultimo capoverso). La Corte d’appello, inoltre, ha sottolineato che: ‘ ma in ogni caso ciò che maggiormente rileva, e che è dirimente, è che l’art. 8 della legge n. 590 del
1965, laddove prevede che «La prelazione non è consentita … quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica» è costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che abbia riguardo ad ogni strumento di pianificazione che presenti attitudine a disciplinare l’uso del territorio da parte dei privati, prevedendone una destinazione diversa da quella agricola . Contrariamente a quanto opinato da COGNOMEche sotto questo profilo non attinge alla reale argomentazione della decisione impugnata) non ha pertanto alcuna rilevanza che, al momento della compravendita tra Fondiaria Sai e Campagnoli, la destinazione dell’immobile fosse ancora quella agricola, perché ad escludere il diritto di prelazione è sufficiente, come ben evidenziato dal primo Giudice (cfr., in particolare, pag. 15 primo paragrafo della decisione impugnata), che sia astrattamente possibile, in base agli strumenti urbanistici vigenti, destinare a residenza l’immobile, pur in presenza di un precedente utilizzo agricolo ‘ (da pagina 10, secondo periodo dell’ultimo capoverso fino a pagina 11 secondo capoverso).
La Corte d’appello ha ulteriormente scritto che: ‘Quanto alle censure rivolte alle argomentazioni che il Giudice di prime cure ha tratto dall’essere l’edificio di proprietà del padre dell’odierna appellante (inizialmente costituente un unicum con il fabbricato diruto acquistata da COGNOME) adibito a un non provato (ad avviso di COGNOME) uso residenziale, se è vero che l’avere censito al catasto urbano l’immobile in oggetto di per sé non è indice di effettiva destinazione residenziale (l’accatastamento dei fabbricati rurali essendo stato imposto dal DM n. 28/1998), anche questa Corte ritiene che, dalle fotografie versate in atti (allegati a doc. 2 prodotto comparsa di costituzione e risposta COGNOME 1 marzo 2016), sia lecito desumere l’utilizzo abitativo, piuttosto che di ricovero per attrezzature agricole, e ciò soprattutto per la presenza di una finestra a doppia anta nella parte superiore del fabbricato. In ogni caso, comunque, la valutazione del primo Giudice relativa alla destinazione urbanistica e all’utilizzo del fabbricato
adiacente a quello acquistato da COGNOME è svolta unicamente a supporto delle precedenti argomentazioni, da sole sufficienti a fondare la decisione impugnata, che può pertanto essere confermata anche nell’ipotesi in cui tale valutazione si rivelasse non corretta. Infine rileva la Corte che anche la doglianza relativa all’avere il primo Giudice rigettato la domanda attorea in ragione della non confinanza del mappale 634 con quello di proprietà COGNOME è priva di correlazione con la reale motivazione con la decisione impugnata, che ha sul punto valorizzato la circostanza che i mappali 635 e 638 fossero stati accatastati all’urbano in quanto destinati a pertinenza dell’abitazione insistente sul mappale 1967 e che il mappale 636 non fosse ancora, all’epoca della compravendita tra Fondiaria Sai e Campagnoli, di proprietà di COGNOME.
Deve essere notato conclusivamente che la ricorrente nella parte finale del motivo , a proposito della pretesa violazione dell’art. 2697 cod. civ., ha espresso solamente un dubbio in ordine alla ragione della decisione, là dove ha riferito che, non potendo immaginare che la corte abbia potuto ritenere che la destinazione residenziale poggiava sul progetto stilato dal COGNOME (quello relativo all’ampliamento dell’edificio diruto insistente sul terreno acquistato), ha ipotizzato che secondo la corte fosse il retraente gravato dall’onere della destinazione non agricola del bene.
La prospettazione meramente dubitativa assunta dal motivo, tale da denotare una perplessità nella sua articolazione, non considera che la Corte d’appello ha ritenuto, invece, che proprio il retrattato avesse ottemperato all’onere della prova circa la natura non agricola del mappale 634 sulla base di un documento ritualmente prodotto, così saldando la sua valutazione con l’interpretazione resa dell’art. 8 l. 590/1965, tale da impedire la prelazione quando i terreni in base ai piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica, per poi ribadire l’astratta possibilità, in base agli strumenti urbanistici vigenti , di destinare a residenza l’immobile, ‘pur in presenza di un precedente utilizzo agricolo’ (v. pagina 11 della sentenza, secondo capoverso).
La dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., se non fosse condizionata da quanto appena riferito, sarebbe, comunque, inammissibile, perché non è stata dedotta in maniera conforme al consolidato principio di diritto espresso da questa Corte in tema di regolazione dell’onere della prova secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (v., Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressamente; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769.; Cass., sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., sez. V, 15 ottobre 2024, n. 26739).
Con il quinto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 2702 cod. civ.
La ricorrente deduce la violazione dell’art. 2702 cod. civ. per aver trascurato la Corte d’appello che la natura agricola del terreno emergeva «confessoriamente» dal preliminare e dalla vendita intervenuti tra Fondiaria Sai s.p.a. e il Campagnoli. Dato confermato dalla relazione catastale, allegata all ‘atto di vendita, con riferimento all’immobile diruto e dal certificato di destinazione urbanistica . La Corte d’appello, pertanto, ha errato nell’inferire la natura non agricola del terreno censito al mapp. 634 del foglio 3 per aver basato il proprio convincimento su elementi estranei, riferiti a epoca largamente successiva all’esercizio dell’azione di retratto e dedotti dal COGNOME oltre lo spirare dei termini processuali.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Nuovamente viene in rilievo il sopra riferito principio di diritto enunciato dalla citata Cass. 11 novembre 2005, n. 359. La ricorrente ha ancora una volta omesso di indicare la motivazione oggetto di critica, così nuovamente rimettendo a questa Corte il compito di individuare a cosa la censura debba essere riferita.
In ogni caso, la Corte d’appello nella motivazione espressa da pagina 10 a pagina 12 ha valorizzato il tenore dell’art. 8 l. 590/1965 per poi giungere alla conclusione che al fine di escludere la prelazione è sufficiente
che sia astrattamente possibile, in base agli urbanistici vigenti, destinare alla residenza l’immobile, pur in presenza di un utilizzo agricolo.
La Corte d’appello, inoltre, ha poi spiegato : il rilievo attribuito alla legge regionale ligure 49/2009 (c.d. ‘Piano casa’) , come strumento che, non è diretto a prevedere generiche facoltà di cambio di destinazione d’uso, ma è inteso principalmente a favorire, anche concedendo aumenti di volumetria, la ricostruzione di edifici preesistenti; per l’edificio di proprietà del padre della COGNOME , inizialmente costituente un unicum con il fabbricato diruto acquistato dal COGNOME, sulla base delle fotografie in atti ha ‘desunto’ l’uso abitativo , e non la destinazione a ricovero di attrezzi agricoli, per la presenza di una finestra a doppia anta nella parte superiore del fabbricato.
Infondato, dunque, risulta il rilievo, peraltro del tutto generico, dato che si rinvia al documento senza specificare il contenuto rilevante, così delegando la Corte ad individuarlo, che la corte di merito non si sarebbe occupata del ‘rilievo’ svolto alle pagg. 1314 dell’atto di appello.
Comunque, il motivo si risolve -considerato in thesi – non già nell’articolazione della violazione o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., ma in una sollecitazione a rivalutare il contento dei documenti evocati.
Con il sesto motivo è denunciat a, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 342, 346, 359 e 277 cod. proc. civ.
La ricorrente censura la sentenza nella parte in cui si legge che le fotografie prodotte dal COGNOME, asseritamente riproducenti il mappale 639, ‘sono per certo riproducenti lo stato dei luoghi in epoca assai prossima alla compravendita’ , mentre l’ing. COGNOME autore delle immagini su incarico del COGNOME, sentito quale teste, aveva riferito di averle effettuate immaginando la possibile localizzazione del mappale ma senza fare dei rilievi precisi . La Corte d’appello, pertanto, aveva abdicato al suo ruolo omettendo di pronunciarsi sugli specifici motivi di appello, ivi comprese le questioni: a) della non sovrapponibilità delle nozioni di fondo,
terreno e mappale; b) della pretesa separazione tra il mappale 630 (oggetto di retratto) ed il mappale 1785 (della retraente) per la presenza di una «stradella».
6.1. Il motivo è palesemente inammissibile, perché non enuncia alcuna censura in ordine alla pretesa inosservanza delle numerose norme processuali in dicate nell’ intestazione, ma si limita ad esplicare una generica doglianza relativa al governo delle risultanze istruttorie.
La ricorrente lamenta un vizio di omessa pronuncia sui motivi di appello, che non enuncia e non riproduce nel loro tenore, del tutto incompatibile con il preteso errore di valutazione del materiale istruttorio, giacché, ammesso che tale errore si sia verificato, esso è frontalmente in contraddizione con la pretesa omessa pronuncia.
La doglianza riportata a pagina 27 del ricorso a proposito delle fotografie prodotte dal COGNOME, là dove si assume che esse non rappresenterebbero lo stato dei luoghi, al più avrebbero consentito un rilievo in termini di omesso esame di un fatto rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. Sennonché, il tenore del motivo non si presta in alcun modo ad un tale scrutinio, perché non si indica di quale fatto decisivo sarebbe stato omesso l’esame.
La lamentela riportata a pagina 29 del ricorso, riguardo alla pretesa assenza di contiguità tra i fondi per la presenza di quella che è indicata come «stradella» sulla base della svolta C.T.U., neppure attinge la specifica motivazione spesa dalla Corte d’appello da pagina 16 (ultimo capoverso) a pagina 17 (primo capoverso) : ‘ L’appellante estrapola passi della CTU decontestualizzandoli, ma l’esame dell’elaborato nella sua completezza nonché l’osservazione delle planimetrie e, soprattutto, delle immagini fotografiche che la corredano chiariscono che l’esistenza del passo interpoderale tra il mappale 630 di proprietà COGNOME e il mappale 1785 di proprietà COGNOME è affermabile con certezza, sia sulla scorta dello stato di fatto dei luoghi (in cui non è riscontrabile soltanto, come allegato dall’appellante, ‘una lieve differenza cromatica dell’erba’, bensi un vero e
proprio sentiero con fondo naturale -cfr. pagg. 10 e 11 CTU), sia perché l’esistenza del passaggio avente caratteristiche di passo interpoderale è stata certificata dal Comune di Santa Margherita Ligure, che ne ha addirittura imposto il ripristino alle condizioni le condizioni originarie (cfr. doc. 40 fascicolo primo grado COGNOME). L’appellante omette poi del tutto di confrontarsi con il rilievo del Tribunale in ordine al fatto che è principio costantemente affermato dal Supremo Collegio quello secondo cui la contiguità tra i fondi, ai fini della valutazione circa la sussistenza del diritto di prelazione agraria, va esclusa anche in presenza di una semplice stradella e senza che sia necessaria la prova rigorosa dell’effettiva costituzione di comunione su tale strada’ .
Con il settimo motivo viene denunciat a, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ.
La COGNOME denuncia la violazione dell’art. 2729 cod. civ. da parte della Corte d’appello, là dove è stato affermato che l’edificio diru to, presente sul terreno oggetto di retratto, avesse natura residenziale, sebbene assenti i requisiti di gravità, precisione e concordanza. In particolare, si lamenta il ricorso ad un triplice presunzione: a) è stato presunto che l’adiacente fabbricato, di proprietà del padre della appellante COGNOME, avesse natura residenziale (sulla base della relazione tardivamente prodotta dal COGNOME in sede di riassunzione e per la presenza di una finestra a doppia anta nella parte superiore del fabbricato); b) sulla base di questa prima presunzione è stata poi instaurata una presunzione di secondo grado, ossia che originariamente i due edifici costituissero un unicum ; c) con una presunzione di terzo grado, è stato rite nuto che la destinazione d’uso del fabbricato in questione si fosse trasferita all’edificio diruto compravenduto con esso confinante.
7.1. Il motivo è inammissibile e gradatamente infondato.
È inammissibile, in quanto deduce la violazione dell’art. 2729 c.c. senza rispettare il criterio di eduzione indicato da Cass., Sez. Un., 24 gennaio 2018, n. 1785 nei paragrafi 4 e ss., alle cui considerazioni si rinvia.
È, comunque, lo si osserva ad abundantiam , privo di fondamento, perché, d i là dall’erroneo inquadramento del vizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. e non dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto quello denunciato sottende un error in iudicando , l a Corte d’appello non ha fatto ricorso allo strumento delle presunzioni, poiché quanto al bene oggetto del retratto ha fatto leva sulla relazione allegata al ‘ Progetto di ristrutturazione con ampliamento di edificio parzialmente diruto sito in località INDIRIZZO , su cui poi si è innestato il dato normativo dell’art. 8 l. 590/1965, nell’interpretazione resa dal diritto vivente, in base al quale per escludere il diritto di prelazione è sufficiente che sia astrattamente possibile, in base agli strumenti urbanistici vigenti, destinare a residenza l’immobile , pur in presenza di un precedente uso agricolo (pagina 11, secondo capoverso).
Quanto all’immobile già di proprietà del padre della COGNOME, la Corte d’appello , ancorché si sia espressa in termini di inferenza (‘sia lecito desumere l’utilizzo abitativo’ ), ha valorizzato in termini di prova diretta la presenza nella parte superiore del fabbricato di una finestra a doppia anta incompatibile con la riferita destinazione a ricovero di attrezzature agricole, salvo poi sottolineare che quanto espresso dal Tribunale non conteneva una ratio decidendi , ma che ‘la valutazione del primo Giudice relativa alla destinazione urbanistica e all’utilizzo del fabbricato adiacente a quello acquistato da COGNOME è svolta unicamente a supporto delle precedenti argomentazioni, da sole sufficienti a fondare la decisione impugnata, che può pertanto essere confermata anche nell’ipotesi in cui tale valutazione si rivelasse non corretta’.
Con l’ottavo motivo è denunciat a, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
La ricorrente contesta la disposta condanna alla rifusione delle spese dell’appello anche in favore di Unipolsai Assicurazioni s.p.a., nonostante la notifica nei suoi confronti fosse stata fatta a soli fini di litis denuntiatio per aver prestato acquiescenza al capo della sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno per la violazione del diritto di prelazione. Né a ciò ostava la proposizione da parte di Unipolsai Assicurazioni s.p.a. dell’appello incidentale condizionato , rispetto al quale la ricorre nte non aveva contraddetto e la Corte d’appello non si era pronunciata sul punto.
8.1. Il motivo prospetta una doglianza che giustifica solo la correzione della motivazione della sentenza, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ.
Invero, parte ricorrente, convenendo in giudizio anche la Fondiaria S.a.iRAGIONE_SOCIALE ora Unipolsai Assicurazioni aveva svolto la domanda di accertamento delle condizioni di riscatto coinvolgendola, ancorché essa non fosse litisconsorte necessaria, anche ai fini di tale accertamento e non solo ai fini dell’ulteriore domanda risarcitoria. Tanto che la Fondiaria aveva contestato anche la domanda di riscatto chiedendone il rigetto, come emerge dalle conclusioni evocate sia dal COGNOME che da essa stessa.
Ne segue che la rinuncia all’azione risarcitoria, non concernendo anche la domanda di riscatto, attribuiva alla Unipolsai la qualità di soggetto destinatario dell’appello ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. Da qui la giustificazione dell’appello condizionato in merito alla sussistenza del diritto alla prelazione ed al conseguente diritto di riscatto, che altrimenti non avrebbe potuto proporsi. La condanna alle spese era giustificata per essere l’appello diretto in realtà anche contro Unipolsai quanto alle doglianze sulla domanda di riscatto, di cui essa era stata destinataria per scelta della ricorrente.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida per ciascuno in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.200,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della