Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17685 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17685 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 952-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 153/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 16/06/2020 R.G.N. 407/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO che
Oggetto
R.G.N. 952/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
1.Con sentenza del 16 giugno 2020 , la Corte d’Appello di Reggio Calabria, ha confermato la decisione del locale Tribunale che, in accoglimento dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore di NOME COGNOME e, in accoglimento parziale della domanda riconvenzionale proposta dalla società, aveva condannato il Crea al pagamento, in favore della stessa, della somma di euro 16.122,10, oltre interessi legali dalla data del singolo ammanco sino al soddisfo, in relazione ad illecite sottrazioni perpetrate dal lavoratore, responsabile del Magazzino, nei confronti della società.
La Corte, condividendo l’ iter decisorio del primo giudice, ha, in primo luogo, ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale, nonostante la tardività dell’opposizione avanzata dalla società, nonché l’assenza di pregiudizialità del giudizio penale rispetto a quello civile ed ha, infine, reputato accertati in giudizio i fatti ascritti al dipendente e gli stessi disciplinarmente rilevanti nei suoi confronti.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
2.1. Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione de ll’art. 295 cod. proc. civ., allegandosi l’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra il giudizio penale e quello civile.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 421 cod. proc. civ. per essere del tutto
insufficiente e contraddittoria la prova circa la sussistenza degli addebiti mossi al Crea.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Va preliminarmente rilevato che, come noto, il codice del 1988 ha abolito la cd. pregiudiziale penale automatica prevista dal previgente art. 3, commi 2 e 4, del cod. proc. pen. (nel testo anteriore alla riforma del 1988-89) ed ha limitato i casi di pregiudizialità penale alle sole ipotesi disciplinate dall’art. 75, comma 3, cod. proc. pen. e dall’art. 211 disp. att. cod. proc. pen., introducendo la sindacabilità, mediante regolamento di competenza di cui all’art. 42 cod. proc. civ. (come sostituito dall’ar t. 6 della legge n. 353 del 1990), dei provvedimenti di sospensione emessi ex art. 295 cod. proc. civ..
I limiti rispetto a tale disposizione si riscontrano nell ‘ efficacia riservata ai soli fatti materiali, intesi come modifica prodotta nella realtà fisica, in conseguenza di un’azione od omissione (sussistenza del fatto, conseguenze dannose; concorso di colpa), anziché ai fatti giuridici, che sono stati oggetto del giudizio penale e sono comprensivi della condotta, dell’evento, del rapporto di causalità e di ogni altro accertamento contenuto nella motivazione della decisione.
Come è stato osservato da questa Corte (Cfr., Cass. n. 2700 del 2024), i n ragione della circostanza che ne fa un’eccezione ai principi generali, trattasi di norma che deve sottostare alla regola di una stretta interpretazione: in presenza di una coincidenza soggettiva tra i due giudizi, l’efficacia, dal punto di vista oggettivo, deve ritenersi limitata agli accertamenti relativi a circostanze specifiche costituenti oggetto dell ‘ imputazione, senza estendersi ad aspetti valutativi, ancorché riguardanti elementi costitutivi del reato contestato.
1. 2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha effettuato una corretta applicazione della norma considerata e, con essa, del disposto di cui all’art. 295 cod. proc. civ., offrendone una interpretazione in piena consonanza con quella della nomofilachia.
Infatti, si legge nella motivazione che non si verteva in situazione di pregiudizialità necessaria dell’accertamento oggetto del giudizio penale essendo stato lo stesso avviato su denuncia dell’amministratore unico della società nei confronti di un dipendente per fatti di appropriazione indebita al medesimo addebitati ed essendo, invece, il giudizio civile afferente al risarcimento del danno conseguente alla descritta condotta appropriativa sia in termini di rimborso dell’ammanco che di danno all’immagine.
Essendo, quindi, le ipotesi di sospensione necessaria limitate ai casi in cui l’azione civile sia proposta in sede penale, e non risultando agli atti la costituzione di parte civile della società, la Corte ha escluso sussistesse la pretesa obbligatorietà della sospensione.
2. Il secondo motivo è inammissibile.
Con riferimento alla dedotta violazione de ll’art. 116 cod. proc. civ., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
Nel caso di specie, del tutto inconferente deve reputarsi il richiamo alla disposizione considerata, atteso che parte ricorrente lamenta esclusivamente una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, meramente contrapponendo alla motivazione della Corte la propria diversa interpretazione, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.
La Corte, infatti, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite e mediante un corretto uso dei poteri conferitile dall’art. 421 cod. proc. civ., ha ritenuto, in base ad una valutazione sottratta al sindacato di legittimità, che fossero state adeguatamente dimostrate le condotte di appropriazione indebita disciplinarmente rilevante.
3. Appare evidente che tutte le censure, veicolate per il tramite dell’art. 360 co. 1, n. 3, cod. proc. civ., in realtà, corrono lungo i binari della censura fattuale, in quanto mirano ad una difforme ricostruzione della fattispecie, oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.
Conclusivamente, parte ricorrente, nel propugnare una diversa interpretazione delle risultanze probatorie, oblitera quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve, quindi, essere respinto.
4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese di lite, che liquida in euro 3000,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nell’Adunanza camerale del 7 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME