Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23767 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19911/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1055/2020, depositata il 05/03/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di una rituale costituzione in mora rimasta inevasa, la RAGIONE_SOCIALE otteneva dal Tribunale di Napoli un ‘ ingiunzione di pagamento nei confronti del Dott. NOME COGNOME titolare di farmacia, per il pagamento degli interessi moratori ex d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) maturati per il ritardo di pagamenti di forniture farmaceutiche nel periodo tra il maggio del 2004 e il febbrai o del 2009, per un importo pari a €. 17.948,35, oltre agli interessi legali dalla domanda.
1.1. NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto ingiuntivo rilevando la non debenza delle somme pretese; proponeva, altresì, innanzi al Tribunale di Benevento autonoma domanda di accertamento dell’inesistenza del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, sostenendo -tra l’altro – che, in virtù di una prassi pluriennale (espressamente concordata tra le parti e negli anni sempre osservata), il pagamento veniva legittimamente eseguito presso il proprio domicilio, a richiesta della società creditrice e in occasione di visite periodiche di un incaricato della società creditrice, di norma alla scadenza dei termini di pagamento.
Insorto conflitto di competenza, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 28706/2013 dichiarava la competenza del Tribunale di Napoli, il quale -pronunciandosi sull’opposizione e sulla domanda di accertamento elevata da COGNOME – revocava il decreto ingiuntivo e rigettava la domanda della società opposta, rilevando che l’accertata prassi di pagamento delle forniture dei farmaci su richiesta della creditrice ingenerasse nel farmacista debitore un legittimo affidamento di poter effettuare il pagamento anche oltre i termini pattuiti.
La pronuncia veniva impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che rigettava il gravame sostenendo che:
-dall’istruttoria orale emerge che il pagamento delle forniture è stato sistematicamente eseguito nelle mani di un incaricato appositamente inviato dalla società creditrice presso la sede della farmacia, tramite assegni bancari senza data, trasmessi a Napoli, firmati dall’amministratore della società creditrice e versati all’incasso; emerge, altresì, che i pagamenti sono costantemente avvenuti, salvo sporadiche eccezioni, a distanza di pochi giorni o al massimo 2-3 settimane dal termine di scadenza previsto in fattura;
si tratta, dunque, di un atteggiamento non di mera tolleranza della società creditrice rispetto ai ritardi del debitore, bensì di una prassi derivante dalla collaborazione della creditrice evidentemente derivata da un accordo concluso tra le parti verbalmente o per facta concludentia ;
-trova applicazione al caso di specie la versione dell’art. 4 d.lgs. n. 231/2002 vigente prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 192/2012 (applicabile alle transazioni commerciali stipulate dopo il 01.01.2013), che non imponeva nessun requisito formale, né ad substantiam né ad probationem per la pattuizione del termine di pagamento superiore ai trenta giorni imposti dal comma 2 del medesimo articolo;
-la nullità dell’accordo orale ex art. 7 d.lgs. n. 231/2002 potrebbe eventualmente ipotizzarsi solo per la dilazione da 120 a 150 giorni: tuttavia, nel caso di specie essa trova giustificazione -ai sensi della norma citata -nella natura della merce, per lo più erogata dalla farmacia in regime di assistenza pubblica e, pertanto, non immediatamente pagata dai fruitori, ma oggetto di rimborso successivo da parte dell’azienda sanitaria locale;
-pertanto, concludeva il giudice d’appello, il nucleo essenziale dell’accordo invocato da COGNOME riguardante l’intero arco temporale cui
si riferiva la pretesa creditoria della società atteneva essenzialmente al luogo di adempimento dell’obbligazione pecuniaria, ossia il domicilio del debitore, in deroga all’art. 1498, ultimo comma, cod. civ., in conformità al principio generale ex art. 1182, ultimo comma, cod. civ. In altri termini, le modalità di pagamento costantemente utilizzate tra le parti in causa, unitamente alla circostanza del consolidato regolare ritiro dei titoli, consentivano di ritenere provato il regime convenzionale di deroga alle disposizioni sulla natura portable del debito pecuniario del compratore e, dunque, di escludere la mora ex re e la conseguente decorrenza automatica degli interessi moratori invocati dalla creditrice a partire dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento.
Propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi e illustrandolo con memoria.
Resiste NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. ; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 231/2002, in relazione all’art. 360, n. 3) cod. proc. civ. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che l’accordo verbale sul mutamento dei termini valesse per tutte le forniture e che, dunque, per nessuna di queste potesse essere riconosciuta una mora debendi . In partico lare, la Corte d’Appello ha sostenuto la validità dell’accordo concluso verbalmente nel 2007, di estensione del termine di pagamento da centoventi giorni a centocinquanta (per l’intervento dell’accordo di custodia e distribuzione di farmaci alla ASL, la qu ale a sua volta pagava il farmacista con dilazione). Pertanto, conclude la ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto riconoscere il credito per gli interessi ai sensi del d.lgs. n. 231/2002 almeno per le
forniture eseguite sino al mese di luglio 2005, il cui termine di pagamento era stato certamente convenuto in 90 giorni.
Con il secondo motivo (sotto altro profilo) si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1212 e 1362 ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3) cod. proc. civ. La società ricorrente lamenta la non corretta interpretazione della volontà delle parti derivante dalla violazione delle norme sull’esegesi contrattuale e dalla mancanza di un equo contemperamento degli interessi delle parti ex art. 1371 cod. civ., in relazione al termine di pagamento delle forniture, in quanto quella che la Corte ha considerato come una modifica dei termini legali di pagamento si risolve, al contrario, in una mera tolleranza del creditore.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. n. 231/2002, (sotto altro profilo) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., in relazione all’art. 360, n. 3) cod. proc. civ. Ad avviso della ricorrente non è ravvisabile alcuna obiettiva giustificazione sulla natura della merce per giustificare il termine di pagamento imposto: la clausola relativa al termine dell’adempimento doveva essere dichiarata nulla ai sensi dell’art. 7, d.lgs. 231/2002 per grave iniquità in danno del creditore, in quanto tutti i rischi ricadrebbero esclusivamente in capo al grossista/fornitore il quale, per ricevere il prezzo pattuito, dovrebbe attendere il rimborso da parte della ASL, ossia di un terzo, in favore del farmacista suo cliente.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1182 -1218-1498 cod. civ., (sotto altro profilo) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., in relazione all’art. 360, n. 3) cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che la prassi sviluppata dalle parti integra un’ipotesi di semplice tolleranza e non di modifica contrattuale per fatti concludenti. A sostegno di tale tesi ripropone una lettura in tal
senso prospettata in una pronuncia della Corte di Appello di Napoli (24.01.2017 n. 262).
Ritiene il Collegio di dover esaminare il quarto motivo del ricorso, la cui infondatezza -per le ragioni si seguito esposte -esclude l’esame delle restanti doglianze.
5.1. L a Corte d’Appello, a valle dell’ analisi delle complessive pattuizioni negoziali, ha valorizzato il nucleo essenziale dell’accordo, peraltro relativamente all’intero arco temporale cui si riferisce la pretesa creditoria (2004-2009), rappresentato dal luogo dell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
In deroga, quindi, all’art . 1418, ultimo comma, cod. civ., e al principio generale di cui all’art . 1182, comma 3 cod. civ. (in virtù del quale: «L’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza») il giudice di seconde cure ha ritenuto provato il regime convenzionale in deroga alle disposizioni sulla natura portable del debito pecuniario del compratore. Tanto avuto riguardo alle modalità di pagamento costantemente utilizzate (assegno bancario), unitamente alla circostanza del consueto e regolare ritiro dei titoli presso la farmacia del debitore, da parte di un incaricato della società creditrice.
5.2. Il Collegio condivide l’approdo cui è giunta la Corte territoriale, ossia che tale prassi (o accordo orale intercorso tra le parti a far data dal 2004, relativo all a definizione di un’obbligazione quérable ) esclude la mora ex re , dalla quale deriva la pretesa creditoria della ricorrente e, di conseguenza, esclude la decorrenza automatica degli interessi a norma del d.lgs. n. 231 del 2002.
Risulta, dunque, inconferente il riferimento, prospettato in memoria dal controricorrente, a Cass. n. 31319 del 06.12. 2024: la
fattispecie decisa nella suddetta pronuncia, sebbene coinvolgesse la stessa società RAGIONE_SOCIALE e contratti di forniture farmaceutiche assimilabili a quelle di cui è causa, era stata tuttavia affrontata diversamente dai giudici del merito, i quali avevano ricondotto dette forniture ad un rapporto commerciale risalente al 1986, qualificandolo come contratto di durata ad esecuzione periodica. Tanto bastava ad escludere l’applicazione del d.lgs. n. 231/2002, che per espressa previsione dell’art. 10 esclude l’ap plicabilità delle disposizioni del decreto ai contratti conclusi prima dell’8.10.2002. Diversamente nel caso che ci occupa, ove le forniture di cui si discute risalgono ad una data successiva a quella di entrata in vigore del decreto legislativo di cui si discute.
5.3. Inoltre, sebbene solo con riferimento al successivo accordo orale (risalente al 2007) – con il quale le parti avevano ulteriormente dilazionato il pagamento (fino a 150 giorni) a causa dei ritardi nei rimborsi del costo dei farmaci, dovuti alle ASL -la Corte napoletana ha escluso la sussistenza dell’iniquità dell’accordo orale dilatorio, discendente da una prassi commerciale condivisa tra le parti, non dettata da mera tolleranza della fornitrice-creditrice bensì dalle circostanze organizzative e dalla continuità delle somministrazioni, che trovava la sua obiettiva giustificazione nella natura della merce, «per lo più erogata dalla farmacia in regime di assistenza pubblica e, pertanto, non immediatamente pagata dai fruitori, ma oggetto di rimborso successivo da parte dell’azienda sa nitaria locale» (v. sentenza p. 6, righi 19-22) e che, comunque, di fatto, si è sostanziata in pagamenti costantemente avvenuti, salvo sporadiche eccezioni, a distanza di pochi giorni o al massimo 2-3 settimane dal termine di scadenza previsto in fattura.
In altri termini: anche a voler considerare l’accordo informale del 2007 come deroga convenzionale ai termini legali di pagamento, con conseguente applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, l ‘ assenza di iniquità dell’accordo rilevata dal giudice del merito a valle dell’esame di tutte le circostanze (tra cui particolare rilievo assume la natura della merce e i soggetti coinvolti nella sua commercializzazione) esclude la sua nullità, nel rispetto del combinato disposto tra l’art. 4, ultimo comma e l’art. 7 del d.lgs. n. 231 del 2002 .
5.3.1. A tale ultimo proposito, si deve precisare che -diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata (p. 5, 4° e 5° capoverso), che pertanto deve essere rettificata sul punto -l’art. 4 , ultimo comma, d.lgs. n. 231 del 2002 già nella versione originale vigente ratione temporis prevedeva l’onere di forma scritta per la deroga convenzionale ai termini di pagamento prescritti dal comma 3 della medesima norma:
Art. 4, comma 4, d.lgs. n. 231 del 2002: « Le parti, nella propria libertà contrattuale, possono stabilire un termine superiore rispetto a quello legale di cui al comma 3 a condizione che le diverse pattuizioni siano stabilite per iscritto e rispettino i limiti concordati nell’ambito di accordi sottoscritti, presso il Ministero delle attività produttive, dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della produzione, della trasformazione e della distribuzione per categorie di prodotti deteriorabili specifici »
Dalla lettura della norma riportata, unitamente all’art. 7 , comma 1, del medesimo decreto legislativo, emerge che, per tali accordi in deroga alla disciplina legale, il legislatore non ha voluto prevedere la loro invalidità unicamente per il fatto che detti patti si discostano dalle regole legali: per giungere a tale risultato occorre, invece, l’accertamento di un elemento costitutivo ulteriore , ossia l’iniquità del
patto in danno del creditore, laddove persegua come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore senza ragioni giustificative obiettive.
Sì che il rimedio civile conseguente a tale particolare onere di forma scritta è quello della nullità qualificabile come «di protezione»: locuzione che, pur evocando la severità e perentorietà della disciplina dell’invalidità, si rimette in concreto al prudente apprezzamento del giudice del merito (Sez. U, Sentenza n. 26243 del 12/12/2014, Rv. 633565 01), che può rilevarla d’ufficio ove ne ricorrano i presupposti enumerati dalla disciplina generale (Art. 7, comma 1) ovvero esemplificati nel comma 2 della stessa norma, limitandone gli effetti all’i nvalidità parziale della sola clausola di dilazione.
Iniquità esclusa -come detto supra (punto 5.3.) -dalla Corte napoletana a valle di un’accurata valutazione di circostanze rilevanti ai sensi dell’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 231/2002.
Avendo il Collegio rigettato il quarto motivo del ricorso, i restanti si dichiarano assorbiti.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 4. 200,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda