Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26560 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26560 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17640/2022 R.G. proposto da:
FINO 1 RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 968/2022 depositata il 05/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. I fatti di causa sono come segue esposti nella sentenza impugnata:
‘RAGIONE_SOCIALE è una società operante nel settore dello smaltimento di rifiuti urbani e speciali, interamente partecipata dai Comuni di Massa e Carrara e dalla Provincia di Massa Carrara. RAGIONE_SOCIALE, oggi fallita, era una società controllata da RAGIONE_SOCIALE, che ne deteneva il 51% del capitale.
In data 29.12.2008 RAGIONE_SOCIALE ha concesso ad RAGIONE_SOCIALE un finanziamento di 16 milioni di euro finalizzato alla costruzione di un impianto su un terreno di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e concesso in locazione a RAGIONE_SOCIALE Il contratto di finanziamento, oltre che dall’istituto di credito e della mutuataria, è stato sottoscritto anche da RAGIONE_SOCIALE (rappresentata dal direttore generale COGNOME NOME ed indicata nell’atto come ‘parte datrice di ipoteca e/o proprietario e/o come socio della società mutuataria’) e da RAGIONE_SOCIALE, socia di minoranza della mutuataria. All’art. 24 del contratto di finanziamento è contemplata la costituzione di ipoteca, a garanzia delle ‘obbligazioni garantite’ (come definite dall’art. 15), su un complesso immobiliare di proprietà di RAGIONE_SOCIALE
Con lettera in pari data RAGIONE_SOCIALE, anche in questo caso rappresentata dal direttore generale COGNOME NOME, ha assunto alcuni obblighi di garanzia verso RAGIONE_SOCIALE Tra l’altro, la garante si è impegnata a ripianare la posizione debitoria della partecipata RAGIONE_SOCIALE eventualmente in essere nei confronti della banca ove la società finanziata non avesse adempiuto puntualmente alle sue obbligazioni, fossero state
instaurate a suo carico procedure concorsuali o fosse stato raggiunto un accordo tra la partecipata ed i suoi creditori.
Nel febbraio 2011 RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo. Contro il relativo decreto di omologazione è stata proposta opposizione ed il procedimento che ne è derivato si è concluso solo nel 2018 con il decreto n. 374/2018, in forza del quale la Corte d’Appello di Genova, quale giudice del rinvio, ha rigettato l’opposizione ed ha omologato il concordato preventivo.
Il 22.7.2011 è stato dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con lettera del 26.9.2011, ha intimato alla garante RAGIONE_SOCIALE il pagamento di € 15.577.748,40, pari all’esposizione complessiva di RAGIONE_SOCIALE verso la banca alla data del fallimento.
Con contratto avente efficacia dal 14.7.2017 RAGIONE_SOCIALE ha ceduto il proprio credito verso RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, la quale ha poi conferito a RAGIONE_SOCIALE la procura alla gestione e al recupero del credito.
Con citazione notificata il 2.2.2018 RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo ha convenuto RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avanti il Tribunale di Massa affinché venisse accertata la nullità, inefficacia o inopponibilità della fideiussione del 29.12.2008, in quanto rilasciata da soggetto (l’allora direttore generale dell’attrice, COGNOME NOME) privo di poteri, e venisse quindi dichiarata l’insussistenza di un obbligo personale di garanzia in capo all’attrice. In subordine RAGIONE_SOCIALE ha chiesto venisse accertato che l’ipoteca concessa nel contratto di finanziamento del 29.12.2008 non si estende all’eventuale obbligo fideiussorio riconosciuto in capo all’attrice.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita in causa a mezzo della procuratrice RAGIONE_SOCIALE eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Massa in favore di quello di Verona, indicato nel
contratto oggetto di lite come foro esclusivo. Nel merito, la convenuta ha chiesto che venissero rigettate le domande attoree e, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata la sussistenza della garanzia fideiussoria contestata -con conseguente condanna dell’attrice al pagamento di € 15.296.248,29, oltre ad interessi -nonché la natura ipotecaria del credito della convenuta per € 11.408.049,00 di cui alla linea di credito A del contratto di finanziamento.
RAGIONE_SOCIALE ha aderito all’eccezione di incompetenza per territorio e ha riassunto il giudizio avanti il Tribunale di Verona, con conseguente costituzione in tale sede di RAGIONE_SOCIALE Le parti hanno ivi confermato le conclusioni già prese.
Il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 1410/2020, ha accertato l’esistenza dell’obbligazione fideiussoria contestata da parte attrice ma ha ritenuto il relativo credito della convenuta verso RAGIONE_SOCIALE come chirografario, in quanto non assistito da garanzia ipotecaria. Il Tribunale ha quindi condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 15.296.248,29 oltre ad interessi, nonché a rifondere alla controparte la metà delle spese di lite’.
2. Avverso la sentenza del Tribunale di Verona ha proposto appello RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), per ottenere la riforma della pronuncia gravata nella parte in cui aveva disatteso la domanda riconvenzionale inerente alla natura ipotecaria del credito dell’appellante di € 11.408.049,00, di cui alla linea di credito ‘A’ del contratto di finanziamento.
Costituendosi, RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo ha chiesto il rigetto dell’appello e, in via incidentale, ha insistito per l’accoglimento delle domande già svolte in via principale in primo grado.
2.1. La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza 968/2022 del 5 maggio 2022, ha accolto l’appello incidentale formulato da RAGIONE_SOCIALE, con conseguente assorbimento dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE
In particolare, esaminando prima (per ragioni logico-giuridiche) l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE e procedendo all’interpretazione della delibera del consiglio di amministrazione di questa in data 17.12.2008, ha concluso che il direttore generale di RAGIONE_SOCIALE (tal COGNOME NOME) non era titolare di poteri rappresentativi della società riconosciutigli dallo statuto, né avrebbe potuto valersi, per atti negoziali come il contratto di finanziamento e la lettera di garanzia del 29.12.2008, della procura generale a lui conferita da RAGIONE_SOCIALE il 14.10.2005, limitata a negozi comportanti per la rappresentata un impegno di spesa non superiore ad € 100.000,00. Sicché, egli aveva sottoscritto la lettera di garanzia del 29.12.2008 nella veste di rappresentante di RAGIONE_SOCIALE pur non avendone il potere.
Propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, avente causa di RAGIONE_SOCIALE a seguito di cessione, attraverso cinque motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo, parte ricorrente (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), RAGIONE_SOCIALE censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso, con riguardo alla natura ipotecaria del credito fondato sulla fideiussione, che anche sul tema della validità ed efficacia della fideiussione fosse sceso il giudicato, dal momento che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4192/18, aveva dichiarato inammissibili i motivi del ricorso proposto contro il decreto n. 32/2013 della Corte d’Appello di Genova relativi all’autorizzazione che la società avrebbe rilasciato
alla concessione della garanzia personale. A tal proposito, la Corte di Venezia ha spiegato che ‘l’accertamento condotto in seno al giudizio di omologazione del concordato preventivo, anche ove contenga un accertamento sull’entità e sulla natura dei crediti ammessi, pur determinando un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango dei crediti e sugli altri diritti implicati nella procedura. Trattasi infatti di un accertamento di carattere delibativo e volto al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicché esso non esclude l’instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione funzionale alla verifica della sussistenza, dell’importo e del rango privilegiato o chirografario dei predetti crediti (Cass. n. 6859/95, rv. 492909; n. 12545/00, rv. 540373; n. 2104/02, rv. 552280; n. 20298/14, rv. 632470; n. 208/19; n. 6197/20)’.
La ricorrente critica questo punto della sentenza, sostenendo che il principio di diritto richiamato dalla Corte veneziana è stato espresso dalla Corte di Cassazione in relazione alle ipotesi in cui il concordato, approvato a norma dell’art. 177 l.fall., sia stato omologato dal Tribunale ai sensi dell’art. 180, comma terzo, l.fall., ossia in assenza di opposizioni; esso non si concilierebbe con casi come quello di specie, in cui, nei dieci giorni prima dell’udienza fissata a noma dell’art. 180, primo comma, l.fall., creditori dissenzienti si siano costituiti, opponendosi all’omologazione della proposta concordataria ed, al decreto emesso ai sensi del quinto comma del medesimo art. 180 l.fall., abbia fatto poi seguito il reclamo di cui all’art. 183 l.fall. Casi in cui il giudizio di omologazione mutuerebbe «elementi specifici del giudizio ordinario, soprattutto in tema di contraddittorio, facoltà di prova ed immodificabilità della decisione», sicché il decreto emesso dal tribunale ai sensi dell’art. 180, quinto comma, l.fall., avrebbe ‘carattere decisorio, in quanto emesso all’esito di un procedimento
di natura contenziosa ed è, pertanto, idoneo al giudicato, ma essendo reclamabile ex art. 183, comma 1, L.F., non è definitivo e, quindi soggetto a ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost.’.
Definitivo e, dunque, ricorribile ai sensi dell’art. 111, comma settimo, Cost., sarebbe invece il provvedimento che definisce il reclamo ex art. 183, primo comma, l.fall., senza rimettere al Tribunale per l’adozione delle statuizioni di cui agli artt. 180 ss. l.fall. 4, avente natura di sentenza, in quanto incidente su diritti soggettivi. Nel caso in esame, dunque, contrariamente a quanto affermato dal giudice del merito, sull’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello di Genova in ordine alla validità, l’efficacia e l’opponibilità alla RAGIONE_SOCIALE della lettera di patronage sottoscritta dall’allora suo direttore generale (COGNOME), nonché alla natura del credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE in virtù della stessa, contenuto nel decreto dell’11 luglio 2013, emesso all’esito del reclamo ex art. 183 l.fall. promosso dalla Banca, si sarebbe formato il giudicato sostanziale, per effetto della sentenza n. 4191 del 21 febbraio 2018 emessa dalla Corte di cassazione.
5.1.1. Il motivo è infondato.
Il principio di diritto al quale correttamente ha fatto riferimento la sentenza impugnata non trova eccezione quando -come nel caso di specie -i creditori dissenzienti si siano costituiti, opponendosi all’omologazione della proposta concordataria ed, al decreto emesso ai sensi del quinto comma del medesimo art. 180 l.fall., abbia fatto poi seguito il reclamo di cui all’art. 183 l.fall.
Non muta, infatti, il rapporto che in materia di verifica dei crediti corre tra procedura concordataria e cognizione ordinaria, nel senso che la sentenza di omologazione del concordato preventivo, per le particolari caratteristiche della procedura che ad essa conduce, determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato
sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, né sugli altri diritti implicati nella procedura stessa, presupponendone un accertamento non giurisdizionale ma meramente amministrativo, di carattere delibativo e volto al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicché non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti dell’impresa in concordato, il proprio credito ed il privilegio che lo assiste (Cass., Sez. I, 25/09/2014, n. 20298).
In altri termini, la verifica dei crediti che ha luogo in questa sede non è funzionale alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, ma risponde solo al fine di individuare quali crediti abbiano diritto al voto e di procedere, come si evince dall’art. 176, comma 2, I. fall., al calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione della proposta. La norma, laddove prevede che il giudice delegato possa ‘ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze’ rende palese che le determinazioni in tal guisa assunta hanno un’evidente efficacia la limitata e non sono in ogni caso idonee a pregiudicare in alcun modo l’accertamento in merito all’esistenza, all’entità e alla natura del credito, nel senso espressamente previsto dall’ultimo periodo del primo comma dell’articolo in parola. Né, peraltro, un diverso effetto nel senso di un riconoscimento definitivo del credito è argomentabile assumendo che il decreto di omologa rientri nel novero delle ‘pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti’, di cui è menzione nell’art. 176, comma 1, I. fall., poiché un simile provvedimento non svolge alcuna funzione di accertamento del credito, se non, come detto, ai fini del calcolo delle maggioranze e della fattibilità del piano (Cass., Sez. I, n. 6197/2020).
5.2. I motivi dal secondo al quinto del ricorso censurano tutti la sentenza impugnata per violazione dei canoni ermeneutici di cui
agli artt. 1362,1363, 1365 e 1369 c.c., nel punto in cui essa, dopo aver proceduto all’interpretazione della delibera del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE in data 17.12. 2008, ha escluso (diversamente da quanto avevano fatto sia il primo giudice, sia la Corte d’appello di Genova) che il consiglio stesso avesse riconosciuto al direttore generale, delegato ad acta, poteri pressoché incondizionati per addivenire al contratto di finanziamento, con espressa previsione che non solo avrebbe potuto rilasciare le garanzie tassativamente elencate, poi inserite nel contratto di finanziamento, ma anche le altre e diverse richieste dall’istituto bancario per addivenire al contratto del 29.12.2008.
5.2.1. I motivi sono tutti infondati.
La stessa ricorrente concorda sullo storico e consolidato principio secondo cui l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi. Perciò, nei motivi di corso in trattazione è fatto riferimento a quei canoni per criticare la conclusione alla quale è pervenuta la sentenza impugnata, sostenendosi che il giudice: si sarebbe limitato al senso letterale delle parole, senza indagare la comune intenzione delle parti; che alle clausole della deliberazione in questione non avrebbe attribuito il complessivo significato; che avrebbe dovuto estendere l’efficacia della delibera anche ai casi non espressi; che avrebbe dovuto intendere le espressioni della delibera nel senso più conveniente alla sua natura ed oggetto.
Tuttavia, le critiche non colgono nel segno, siccome il giudice ha offerto all’atto in questione una spiegazione conforme a legge, oltre che logica e razionale.
La motivazione della sentenza parte, infatti, dalle premesse della delibera, ossia: che RAGIONE_SOCIALE era in procinto di ricevere da RAGIONE_SOCIALE un finanziamento di 16 milioni di euro, della durata di 12 anni, destinato alla realizzazione di un impianto di produzione di Combustibile Da Rifiuti di Qualità (CDRQ) a Massa; che le condizioni di tale finanziamento prevedevano a carico di RAGIONE_SOCIALE la concessione di determinate garanzie e l’assunzione di determinati impegni; l’elencazione di tali garanzie e di tali impegni.
Le uniche garanzie che la società concede sono esclusivamente: l’ipoteca di primo grado sul terreno concesso in affitto ad RAGIONE_SOCIALE e destinato ad ospitare l’impianto; il pegno sul 100% delle azioni di RAGIONE_SOCIALE detenute da RAGIONE_SOCIALE Nessuna menzione è fatta alla concessione di una fideiussione a garanzia della restituzione dell’atteso finanziamento.
La sentenza impugnata rimarca, poi, che la delibera, tutto ciò premesso, stabilisce di fornire le garanzie e di assumere gli impegni elencati nelle premesse stesse, per poi autorizzare il direttore generale (il COGNOME): ad intervenire alla stipulazione dell’atto formale di concessione del finanziamento sopracitato, prendendo atto di tutti i patti e le condizioni che avrebbero dovuto assistere e disciplinare il finanziamento stesso; a stipulare e firmare gli accessori e correlativi che si sarebbero resi necessari e sarebbero stati ritenuti utili ed opportuni dall’istituto finanziatore, compreso quanto nelle premesse precisato; ‘a fare insomma anche se qui non specificato, quanto necessario senza che mai da nessuno per alcun motivo possa ad esso rappresentante opporsi od eccepirsi insufficienza o indeterminatezza di poteri che debbono intendersi latissimi per quanto sopra e conferiti con promessa fino da ora della più ampia ratifica e rilevazione’.
Tutto ciò lascia dedurre al giudice d’appello che non avrebbe avuto senso indicare con precisione quali fossero le garanzie che RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE accettava di concedere ad RAGIONE_SOCIALE in relazione al finanziamento di RAGIONE_SOCIALE se poi il consiglio avesse voluto attribuire al delegato COGNOME la facoltà di concedere qualsiasi altra garanzia richiesta dalla banca per il finanziamento; infatti, se RAGIONE_SOCIALE avesse inteso rendersi fideiubente (oltre che concedere le garanzie reali indicate nelle premesse della delibera), lo avrebbe detto con chiarezza nell’atto di delega, inserendo anche tale garanzia nell’elenco delle garanzie da accordarsi.
Continua la sentenza, con riferimento all’elenco dei poteri conferiti al direttore generale che la fideiussione: non rientrava nei ‘patti’ e nelle ‘condizioni che dovranno assistere e disciplinare il finanziamento’, giacché tali condizioni erano riportate nelle citate presse della delibera e non contemplavano il rilascio di una fideiussione; neppure essa può essere compresa tra gli ‘accessori e correlativi’ dell’operazione descritta nelle premesse, potendosi con tale espressione intendere solo gli impegni comunque necessari per rendere effettive le garanzie e gli impegni accettati da RAGIONE_SOCIALE mentre la fideiussione è una garanzia diversa ed ulteriore rispetto all’ipoteca e al pegno citati; infine, non può essere intesa come oggetto della promessa del delegante di non contestare i poteri del delegato giacché essa esorbita da tali poteri e dalla stessa decisione del consiglio di amministrazione, mentre la promessa di ‘ratifica e rilevazione’ della società viene comunque limitata agli atti compiuti dal delegato in forza di poteri che, pur ‘latissimi’, sono stati lui conferiti ‘per quanto sopra’ e cioè per l’attuazione della delega limitata nel suo oggetto dal contenuto delle premesse della delibera.
Conclude la sentenza che le espressioni della delibera volte a garantire il riconoscimento degli atti del delegato possono estendersi a tutto quanto necessario all’attuazione dell’operazione così come descritta nelle premesse della delibera e solo nei limiti di questo rapporto di strumentalità vanno intese. Il termine di
raffronto cui riferirsi per verificare l’esistenza o meno di questo nesso di strumentalità non è costituito dai desiderata dell’istituto di credito rispetto al finanziamento ma dal complesso delle condizioni di tale finanziamento come già definite dalle parti interessate nei loro tratti fondamentali. La delibera del consiglio d’amministrazione, d’altronde, non concerne solo la delega di poteri al direttore generale ma contiene anche le determinazioni dell’organo di amministrazione relative all’operazione in discorso e agli impegni di cui la società era pronta a farsi carico. Non è pensabile quindi che, essendo questo l’oggetto della delibera, non venisse esplicitato un aspetto importante come una fideiussione del valore indicato.
Nei suddetti termini, dunque, la sentenza non s’è discostata dai canoni interpretativi legali. Al contrario, ha attentamente indagato l’intenzione sottostante agli atti, ha attribuito ad essi il complessivo significato, ha sondato la possibilità di attribuire rilevanza anche al non espresso, ha inteso le espressioni della delibera nel senso più conveniente alla sua natura ed oggetto.
Questo, per quanto riguarda il campo di indagine consentito alla Corte di legittimità; tutto il resto è costituito da questioni di merito che da quel campo esulano.
6. Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo a favore delle controricorrente seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che, liquida in complessivi euro 35.200,00, di cui euro 35.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza