Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14431 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14431 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. r.g. 14307/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE P. IVA P_IVA, con sede legale in Carpi (MO) alla INDIRIZZO in persona del suo legale rappresentante e amministratore COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO n. 130/2019 F.GRAGIONE_SOCIALE in persona del curatore Dott. NOME COGNOME C.F. DNNSNT68H05C336V
nonche’ contro
RAGIONE_SOCIALE C.F. e P.IVA P_IVA, in persona del l.r.p.t., con sede in Curtatone
–
intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna depositata in data 13/5/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte d ‘a ppello di Bologna, decidendo sul reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE a norma degli artt. 392 cod. proc. civ. e 18 l. fall., ha rigettato l’impugnazione così proposta e ha confermato integralmente la sentenza n. 133/2019, con cui il Tribunale di Modena, in data 25/11/2019, aveva dichiarato il fallimento della suddetta società reclamante.
Su ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, quale creditrice, il Tribunale di Modena, con la predetta sentenza, aveva infatti dichiarato il fallimento della debitrice RAGIONE_SOCIALE rilevando lo stato di insolvenza di quest’ultima e, in difetto di prova contraria, il superamento dei limiti di fallibilità previsti dagli artt. 1, comma 2 e 15 u.c. comma l. fall..
Avverso la suddetta sentenza, la società RAGIONE_SOCIALE aveva proposto, ex art. 18 l. fall. , reclamo innanzi alla Corte d’ appello di Bologna, deducendo, quali motivi di gravame, tra l’altro e per quanto qui ancora di interesse, la nullità della notifica dell’istanza di fallimento e del relativo decreto di fissazione di udienza, con conseguente violazione del contraddittorio e, nel merito, il mancato superamento dei limiti di fallibilità di cui all’art. 1 , comma 2, l. fall., nel triennio antecedente il deposito dell’istanza di fallimento e di quello di cui all’art. 15 , u.c., l. fall
Con la sopra ricordata sentenza n. 1143/2020 la Corte d ‘a ppello di Bologna ha rigettato il reclamo e, per l’effetto, conferma to l’impugnata declaratoria di fallimento. Più in particolare, la Corte, previa reiezione dei motivi di reclamo afferenti la notifica dell ‘ istanza di fallimento (in quanto la stessa era stata ritualmente comunicata ai sensi dell’art. 15 l. fall.), ha rilevato l ‘ assenza della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità, stante la non attendibilità della documentazione prodotta dalla reclamante e, peraltro, almeno in parte, concernente vicende successive alla dichiarazione di fallimento.
Avverso la suddetta sentenza, la società RAGIONE_SOCIALE proponeva dunque un primo ricorso avanti alla Corte di legittimità, chiedendo la cassazione, con rinvio, dell’impugnata decisione per nullità della notifica dell’istanza di fallimento e insussistenza dei requisiti, soggettivi e oggettivi, di fallibilità.
Con ordinanza resa in data 26/6/2023, pubblicata il 09/11/2023 e sempre nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Cassazione, in accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso (in ordine alla prova dei limiti di fallibilità) e rigettando il primo con assorbimento del quarto, cassava l’impugnata sentenza, rinviando la causa innanzi alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame della controversia. Più in particolare, la Corte di legittimità – dopo aver rilevato che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’ appello, in sede di reclamo – era stato prodotto il verbale dell’11/11/2019, da cui risultava l’avvenuta consegna delle fatture di acquisto e di vendita relative agli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, 2018 e 2019 – ribadiva, in conformità alla propria giurisprudenza, il principio secondo il quale, in tema di fallimento, il debitore può fornire la prova della non fallibilità ex art. 1, c. 2, l. fall., anche con strumenti probatori alternativi ai bilanci degli ultimi tre esercizi previsti dall’art. 15, comma quarto, l. fall., i quali non assurgono a prova legale, potendosi avvalere così delle scritture contabili dell’impresa, come di qualunque altro documento, formato da terzi o dalla parte stessa, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa.
Con tempestivo ricorso ex art. 392 cod. proc. civ., la società RAGIONE_SOCIALE riassumeva il predetto giudizio innanzi all’intestata Corte d’ appello, chiedendo, in accoglimento dei motivi esposti nel reclamo, la revoca dell ‘ impugnata sentenza dichiarativa di fallimento sulla base del principio di diritto affermato dalla Cassazione. Nel giudizio di rinvio si costituiva la società RAGIONE_SOCIALE deducendo, della reclamante di ulteriori debiti di natura erariale e non, per oltre 500 mila euro, relativi ad annualità antecedenti la declaratoria di fallimento ed i cui
sulla scorta dell’allegata documentazione, l’esistenza a carico corrispondenti crediti erano stati ammessi al passivo fallimentare.
La Corte territoriale ha rilevato ed osservato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) in merito alla data in cui si sarebbe perfezionata la costituzione in giudizio della società reclamata (20 aprile 2024 ovvero 22 aprile 2024) e alla relativa istanza di remissione nei termini , l’esigenza e l’interesse sottesi all’istanza in esame presuppon evano che la parte fosse incorsa, incolpevolmente, in decadenza in conseguenza del mancato rispetto del termine, a tal fine assegnatole dalla Corte con il decreto di fissazione di udienza; (ii) tuttavia il presupposto da cui muoveva l’istanza in esame era del tutto erroneo, in quanto sia il termine previsto dall’art. 18 , settimo comma, l. fall., sia, a fortiori , quello assegnato dalla Corte con il decreto di fissazione di udienza non avevano carattere perentorio, ma meramente ordinatorio e organizzativo del processo, sicchè, in assenza di preclusioni assertive e istruttorie previste espressamente da specifiche disposizioni di legge, la loro eventuale inosservanza non poteva costituire causa di decadenza, potendo la parte reclamata costituirsi in giudizio persino in sede di udienza; (iii) la costituzione nel presente giudizio così come effettuata dalla reclamata, con memoria depositata quantomeno in data 22 aprile 2024, era, in ogni caso, rituale ed ammissibile; (iv) le ulteriori questioni agitate dalle parti in ordine all ‘ammissibil ità e, dunque, al l’utilizzabilità della documentazione allegata dalla reclamata alla memoria di costituzione in giudizio risultavano, ancora una volta, in concreto, irrilevanti; (v) la documentazione prodotta dalla reclamata era infatti costituita dalla domanda presentata dall’Agenzia delle Entrate di insinuazione tardiva al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE nonché dallo stato passivo relativo alle insinuazioni, tempestive e tardive, della medesima procedura concorsuale e dalla relazione del curatore ex art. 33 l. fall.; (vi) si trattava, cioè, d i ‘documenti’ e d atti facenti ‘ufficialmente’ parte del fascicolo della procedura che il giudice del reclamo ex art. 18 l. fall., in virtù dei poteri istruttori ed inquisitori riconosciutigli dalla legge, poteva, ex officio, acquisire al processo e, dunque, porre a fondamento della propria decisione, indipendentemente dall’iniziativa di parte ; (vii) inoltre, nella fattispecie in commento doveva rilevarsi che dalla documentazione versata in atti dalla società reclamata (come detto: domanda di insinuazione tardiva, stato passivo delle ‘tempestive’ e stato passivo delle ‘tardive’, relazione ex
art. 33 l. fall.), come tale suscettibile di acquisizione officiosa, era emerso inconfutabilmente che, anche a seguito di domanda presentata dall’Agenzia delle Entrate di insinuazione tardiva al passivo del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per un complessivo importo di € 622.642,08, lo stato passivo della suddetta procedura concorsuale contemplava crediti tempestivamente ammessi, in privilegio, per € 826,08, e, in chirografo, per € 29.676,12, mentre il successivo stato passivo delle c.d. tardive, indicava in € 500.462,85 i crediti ammessi in privilegio, e in € 158,32 quelli ammessi in via chirografaria; (viii) la documentazione esaminata consentiva, perciò, di ritenere infondato l’assunto svolto dalla società reclamante circa il mancato superamento delle soglie di fallibilità; (ix) risultava, infatti, oggettivamente, in modo non controvertibile, che la soglia di c.d. non fallibilità di cui alla lettera c) dell’art. 1 , comma 2, l. fall. era stata superata; (x) inoltre, trattandosi di crediti ammessi allo stato passivo e, dunque, scaduti e non pagati, per un complessivo importo superiore a € 500.000, nel caso di spec ie ricorreva anche l’ulteriore presupposto di cui dall’art. 15 , u.c., l. fall., che esclude la procedibilità della domanda di fallimento solo in presenza di debiti scaduti e non pagati per un ammontare inferiore a € 30.000,00 ; (xi) non poteva neanche riconoscersi giuridico fondamento all’ulteriore assunto svolto dalla reclamante circa un asserito giudicato implicito/interno che, a suo dire, si sarebbe formato in relazione al mancato superamento del limite dimensionale di cui alla lett. c, dell’art. 1 , c. 2, l. fall.; (xii) l’allegazione difensiva avente ad oggetto il mancato superamento del suddetto limite dimensionale di fallibilità costituiva, infatti, una delle questioni rimesse al giudice di rinvio e la stessa non poteva, comunque, in quella sede, essere in alcun modo smentita dalla resistente, in quanto la relativa contraria documentazione, formatasi, peraltro, in epoca successiva alla definizione del primo giudizio di reclamo, non era, ope legis , producibile in sede di giudizio di legittimità; (xiii) tali considerazioni rendevano del tutto ininfluente o comunque priva di valenza probatoria, ai fini della decisione, la documentazione prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE e non valutata nel corso del primo giudizio di reclamo, nonché irrilevanti le istanze istruttorie reiterate dalla reclamante.
La sentenza, pubblicata il 13/5/2024, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE intimate, non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione ‘ dell’art. 18 comma 7 l.f. in combinato disposto con gli artt. 392-394 c.p.c. – natura perentoria del termine – inammissibilità di allegazioni e produzioni nuove in violazione dell’art. 345 c.p.c. ‘
1.1 Si evidenzia da parte della ricorrente che la sentenza impugnata aveva ritenuto che il termine di cui all’art. 18 , comma 7, l. fall., inerente alla costituzione della parte reclamata, avesse natura ordinatoria e non perentoria, potendo sia il curatore fallimentare che il creditore procedente costituirsi fino all’udienza e, quindi, ancorché la costituzione della reclamata RAGIONE_SOCIALE, creditore istante, fosse avvenuta oltre il termine prescritto nel decreto in data 22/4/2024, la stessa era da ritenersi regolare ed erano ammissibili le asserzioni e le produzioni dedotte con la comparsa di costituzione.
1.2 Osserva però la ricorrente, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, che la natura perentoria del termine di cui all’art. 18 , comma 7, l. fall. non poteva essere contestato. Secondo la ricorrente, le parti resistenti possono anche costituirsi oltre il termine per opporsi al reclamo, intervenendo nel relativo procedimento, non potendo tuttavia allegare nuovi fatti ovvero nuovi documenti, e ciò a fortiori quando si tratta di giudizio riassunto a seguito di ordinanza della Corte di Cassazione. Ne consegue che, essendosi costituita oltre il termine prescritto nel decreto in violazione dell’art. 18, comma 7, l. fall., la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto inserire nuovi fatti e nuovi documenti nel giudizio in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., fatti e documenti che invero erano poi risultati determinanti per la decisione adottata dalla Corte d’Appello.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ dell’art. 18 commi 8 e 10 l.f. in combinato disposto con l’art. 1 comma 2 l.f. e con gli artt. 345 e 115 c.p.c’.
2.1 Osserva la ricorrente che il potere istruttorio del giudice del reclamo non può spingersi tuttavia oltre le allegazioni regolarmente introdotte nel giudizio dalle parti, ai sensi del comma 8 dell’art. 18 l. fall..
Più in particolare, non si poteva fondare la decisione su fatti nuovi che non erano stati regolarmente introitati nel giudizio a mezzo di una regolare costituzione.
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, le preclusioni assertive ed istruttorie sarebbero derivate direttamente dal combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’art. 18 l. fall., con la conseguenza che il giudice, in base a un’esatta interpretazione dell’art. 18 , comma, 10 l. fall., anche costituzionalmente orientata, non avrebbe potuto valutare d’ufficio la ricorrenza dei presupposti della fallibilità che non fossero stati oggetto di contestazione tra le parti.
2.2 Deduce sul punto la ricorrente che nel primo giudizio di reclamo il presupposto di fallibilità di cui alla lett. c) art. 1, comma 2, L.F. era stato ritenuto completamente insussistente, in quanto i debiti scaduti contemplati nell’istanza di fallimento e ribaditi nella sentenza dichiarativa di fallimento n. 133/2019 del Tribunale di Modena, nonché nel reclamo presentato avverso quest’ultima sentenza (fatto incontestato dalla reclamata nella comparsa di costituzione nel primo reclamo e, quindi, da ritenersi provato ex art. 115 cod. proc. civ.) e nella stessa sentenza n. 1143/2020 della Corte d’ appello di Bologna, ammontavano complessivamente ad € 49.572,94.
Secondo la ricorrente, il fatto nuovo e la nuova documentazione dedotti dalla RAGIONE_SOCIALE con costituzione tardiva nel giudizio di riassunzione della Corte d’ appello di Bologna, da un lato erano inammissibili ex art. 345 cod. proc. civ., anche in combinato disposto con l’art. 18 , commi 7 e 8, l. fall., e dall’altro, diversamente da come opinato dalla Corte territoriale, non si presentavano ‘ irrilevanti ‘ rispetto alla decisione, atteso che il potere esercitato dal Tribunale non si configurava come legittimo, stante la mancata
contestazione del fatto da parte della reclamata a mezzo di una regolare costituzione e trattandosi di termine perentorio.
2.3 I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni trattate – sono infondati.
2.3.1 Sul punto, va osservato che – al di là della qualificazione errata contenuta nella sentenza impugnata della natura del termine previsto dall’art. 18, settimo comma, l. fall. (che determina la necessità della parziale correzione della motivazione in parte qua ) – le argomentazioni spese dalla Corte territoriale sono in realtà condivisibili.
Ed invero, quanto alla natura del predetto termine, la giurisprudenza di questa Corte ha in effetti chiarito che ‘n el giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quale disciplinato dall’art. 18 legge fall. (nel testo novellato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il termine per la costituzione della parte (nella specie, la resistente curatela fallimentare) è perentorio, anche in mancanza di un’espressa dichiarazione normativa, senza che tuttavia il suo mancato rispetto implichi decadenza della parte che vi sia incorsa dal diritto di opporsi al predetto reclamo, potendo dunque essa intervenire nel relativo procedimento con le limitazioni che la tardività determina per la formulazione di determinate difese ‘ (così espressamente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12986 del 05/06/2009; v. anche più recentemente Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2235 del 30/01/2017).
2.3.2 Occorre però sottolineare che – come correttamente ritenuto anche dalla stessa Corte territoriale l’ inosservanza del termine di cui al settimo comma dell’art. 18 l. fall. non determina, tuttavia, per chi vi sia incorso, decadenza dal diritto di opporsi al predetto reclamo, potendo lo stesso intervenire nel relativo procedimento e contestare le avverse difese.
Ed è ciò che ha fatto proprio la società RAGIONE_SOCIALE che, costituendosi nel giudizio di reclamo, ha contestato anche il profilo della mancata prova da parte della società attinta dall’istanza di fallimento, a ciò onerata ex art. 1, comma 2, l. fall., del mancato superamento delle soglie di fallibilità previste dalla norma da ultimo citata.
Sul punto le conclusioni del provvedimento impugnato, in ordine all’esercizio del potere di integrazione istruttoria officiosa da parte della Corte di merito,
sono del tutto condivisibili, essendo peraltro conformi ai principi già affermati da questa Corte di legittimità e superando, di fatto, tutte le obiezioni in ordine alla denunciata tardività della costituzione della parte reclamata nel giudizio di rinvio e dunque in ordine all’ulteriore e contestato profilo della acquisibilità dei documenti sopra indicati ( domanda dell’Agenzia delle Entrate di insinuazione ‘tardiva’; stato passivo relativo alle insinuazioni, tempestive e tardive, e relazione del curatore ex art. 33 l. fall.).
In realtà, il profilo di indagine dei requisi ti soggettivi di fallibilità di cui all’art. 1, secondo comma, l. fall. (compreso anche quello previsto dalla lett. c del medesimo comma) rientrava con tutta evidenza (come si spiegherà meglio, infra, § 3.4) nel thema decidendum del giudizio di rinvio in sede di reclamo, dopo la cassazione della precedente sentenza della Corte distrettuale, con la conseguenza che deve ritenersi legittimamente esercitato (da parte della Corte di merito) il potere officioso di acquisizione dei documenti, previsto espressament e dal decimo comma dell’art. 18 l. fall., e dunque anche di quelli probanti il superamento della soglia di fallibilità indicata, per i debiti ‘anche non scaduti’, dalla lett. c del sopra menzionato art. 1, secondo comma.
Correttamente dunque la Corte territoriale ha ritenuto acquisibili i documenti in parola e fruibili ai fini del decidere.
2.4.3 Sul punto, non può essere inoltre dimenticato, in ordine al perimetro di giudizio del reclamo ex art. 18 l. fall., che, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo interpretativo espresso da questa Corte di legittimità (v. Cass. 12964/2016 ; Cass. 26332/2016), ‘ il giudice del merito investito del reclamo è tenuto ad esaminare, anche con l’esercizio dei poteri officiosi ex art.18, co.10, l.f., tutti i temi di indagine oggetto di doglianza, benché attinenti a fatti (anteriori) non allegati nel corso del procedimento di primo grado o a nuove eccezioni in senso proprio, ed altresì quando il reclamante si limiti a riproporre le tesi difensive già addotte, senza contrastare altrimenti le motivazioni in base alle quali il tribunale le ha respinte. Il solo limite che detto giudice incontra è quello di non potersi spingere sino al punto di valutare d’ufficio la ricorrenza di quei soli presupposti, oggettivi o soggettivi, della fallibilità che non siano in contestazione tra le parti e, anche per tale via, possano comunque dirsi positivamente sussistenti. La selettività delle
soluzioni concorsuali di cui all’art. 1, comma 1, l. fall. non permette peraltro, quale limite di sistema, di far discendere dal principio della domanda di parte una regola decisoria che, valorizzando la mera non contestazione in giudizio, faccia entrare in una delle procedure ivi previste soggetti che vi sono programmaticamente estranei, a questa stregua operando requisiti fondativi anticipati di inammissibilità anche rilevabili d’ufficio ‘ (così, espressamente, Cass 26332/2016, cit. supra .; v. anche Cass. 21272/2015; cfr., anche più recentemente: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 35423 del 19/12/2023; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11216 del 28/04/2021).
Ne consegue che correttamente la Corte di merito, in sede di giudizio di rinvio, ha esaminato tutte le questioni devolute dal provvedimento di questa Corte, tra le quali rientravano, nella prospettiva indicata dalla cassazione, le nuove indagini documentali in ordine al superamento o meno delle soglie di fallibilità, profilo quest’ultimo in relazione al quale la Corte territoriale ha acquisito officiosamente anche la documentazione già versata nel fascicolo fallimentare, e ciò proprio in ragione delle contestazioni sollevate sul punto da parte della RAGIONE_SOCIALE sebbene costituitasi quest’ultima, nel giudizio di reclamo, tardivamente.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato per ‘ erronea o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 392-394 c.p.c. anche in combinato disposto con l’art. 345 c.p.c. ‘.
3.1 Parte ricorrente ricorda che la Corte territoriale aveva ritenuto che il fatto nuovo introdotto dalla reclamata nel giudizio di rinvio -costituito dall’insinuazione al passivo dell’Agenzia delle Entrate nel febbraio 2021, a mezzo degli avvisi di accertamento indicati in atti, ammessa al passivo nel settembre 2021 per un credito pari ad € 499.587,46 per IRES, IRAP ed IVA e relative sanzioni per i periodi d’imposta 2015/2016 – non configurasse una violazione dell’art. 345 c od. proc. civ. perché il relativo fatto ed il documento posto a suo fondamento non potevano essere dedotti dalla stessa reclamata in sede di primo reclamo, essendo emerso il fatto medesimo solo successivamente, ovvero nel febbraio 2021 (epoca dell’insinuazione al passivo).
3.2 Si evidenzia ancora che nel corso delle difese esplicate nel corso del giudizio di reclamo di rinvio aveva rilevato l’inammissibilità del fatto nuovo dedotto, unitamente alla documentazione prodotta, in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., caratterizzandosi il procedimento di rinvio come giudizio ad istruzione chiusa, ai sensi degli artt. 392 e 394, medesimo codice di rito. La Corte territoriale su tale contestazione avrebbe totalmente ‘soprasseduto’, non fornendo alcuna motivazione. Ciò avrebbe integrato la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 392-394 cod. proc. civ. 3.3 Sostiene, infatti, la ricorrente che la parte reclamata avrebbe dovuto e potuto sollevare la contestazione e, dunque, assolvere al potere di allegazione, nonché di produzione del documento con la propria memoria ex art. 380-bis n. 1 c.p.c..
Sottolinea ancora che, essendo il giudizio di rinvio a struttura chiusa con cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali, il ‘ fatto nuovo ‘ avrebbe potuto legittimamente accedere nel giudizio di rinvio sempre che il suo avveramento fosse stato successivo al giudizio di legittimità, perché, diversamente, si sarebbe configurata la violazione delle predette norme processuali.
3.4 Anche il terzo motivo è infondato.
Occorre infatti ricordare ancora una volta che la cassazione con rinvio della prima sentenza emessa dalla Corte territoriale era stata disposta proprio per la rivalutazione dei requisiti soggettivi di fallibilità, e ciò non solo sulla base dei bilanci e dell’altra documentazione contabile già acquisita, ma anche sulla base dell’altra documentazione acquisibile nel giudizio di rinvio , come, poi, correttamente avvenuto da parte della Corte di merito.
Deve infatti essere precisato che la Corte di cassazione con l ‘ ordinanza del 26.6.2023, accogliendo il vizio di violazione di legge (nella specie, dell’art. 1, 2 comma, l. fall.), ha ‘ reimpostato ‘ il thema decidendum , sostenendo che erano verificabili i profili di soggettiva fallibilità anche sulla base di altra documentazione e non solo sulla base dei bilanci, e ha così ‘riap erto ‘ di fatto l ‘ istruttoria del giudizio di rinvio.
Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha, anche in questo snodo decisionale, ammesso le ulteriori prove acquisite nel corso del giudizio di rinvio.
Sul punto, giova ricordare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ‘n el giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 394, terzo comma, cod. proc. civ., non sono ammesse nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio; tuttavia, nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perché ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ .’ (così espressamente Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16180 del 26/06/2013; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9768 del 18/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27823 del 31/10/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11178 del 23/04/2019).
Il quarto motivo denuncia la ‘ erronea o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 1 comma 2 e 18 comma 10 l.f. in combinato disposto con gli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e 392-394 e 345 c.p.c. ‘ .
4.1 Ricorda la ricorrente che la Corte territoriale, premettendo giustamente che ai fini del superamento delle soglie di fallibilità di cui all’art. 1 , comma 2, l. fall. è sufficiente anche la non sussistenza di uno soltanto dei limiti prescritti dalla norma, aveva ritenuto che nella vicenda in esame non si fosse integrato l ‘elemento di cui alla lett. c) dell’art. 1 , comma 2, L.F., soprassedendo, in tal modo, sulla sussistenza o meno degli elementi di cui alle lett. a) e b), (ricavi ed utili dell’ultimo triennio ), che avrebbero dovuto essere invece oggetto di accertamento sulla base della rievocazione dei fatti e del principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3433/2023.
4.2 Si evidenzia inoltre che nel primo giudizio di reclamo innanzi alla Corte d’ appello di Bologna era stato considerato un ammontare dei debiti scaduti pari ad € 49.572,94, ovvero quello indicato dalla parte reclamata, e cioè il
creditore istante, nell’udienza prefallimentare e ribadito nella sentenza dichiarativa di fallimento. Sostiene che, avendo riguardato il reclamo, per quanto concerneva i limiti dimensionali, solo i ricavi e gli utili dell’ultimo triennio sulla base delle fatture di acquisto e di vendita prodotte, ed avendo allegato nello stesso atto di gravame che, in ordine ai debiti scaduti, non era stato superato il limite per quanto emerso ed allegato in sede di udienza prefallimentare ed incontestato nel giudizio, era di tutta evidenza che la Corte d’ appello, come già il Tribunale di Modena, avessero considerato non assolto l’onere probatorio incombente sulla reclamante, in merito ai limiti dimensionali, solo ed esclusivamente con riguardo ai ricavi di cui alla lett. a) ed agli utili di cui alla lett. b), con la conseguenza che si sarebbe formato il giudicato interno implicito relativamente alla lett. c), ovvero sul profilo dei debiti scaduti.
4.3 Il motivo è infondato.
Occorre infatti ricordare che il ‘ giudicato implicito ‘ postula che tra la questione decisa e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, che determini l’assoluta inutilità di decidere la seconda questione e, pertanto, non si configura quando la questione non decisa abbia una propria autonomia ed individualità per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto, nel quale caso il giudice è tenuto a pronunciarsi su di essa, ai fini della esatta corrispondenza tra “decisum” e “petitum” (Cass. Sez. 3, 02/04/2002).
Ciò posto, va evidenziato che, nel caso di specie, non vi è mai stato un accertamento espresso, né si può ritenere che vi sia mai stato un accertamento tacito, perché i requisiti di cui a ll’art. 1, comma 2, l . fall. sono autonomi fra loro e devono sussistere tutti.
In realtà, si è solamente escluso che risultassero provati ricavi lordi ed attivo patrimoniale , ma questa statuizione non si estendeva in alcun modo all’altro requisito , e cioè a quello dell’indebitamento complessivo.
5. La ricorrente propone inoltre un quinto motivo con cui denuncia ‘ omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 – assoluta contraddittorietà ed incongruenza tra i documenti ritenuti utilizzabili dalla corte di cassazione e l’insinuazione al passivo dell’agenzia delle entrate –
erroneità dell’insinuazione sul calcolo dell’iva al 22% anziché al 4%, come dovuta ai sensi del d.p.r. 633/1972-non applicabilità delle sanzioni in riferimento ai debiti anche non scaduti di cui alla lett. c) dell’art.1 comma 2 l.f. ‘ .
5.1 Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso qualsivoglia esame in merito ad alcune censure sollevate dalla reclamante nelle note scritte per l’udienza del 3/5/2024 , relativamente ai documenti depositati tardivamente dalla reclamata RAGIONE_SOCIALE in ordine ai debiti scaduti di cui all’insinuazione al passivo dell’Agenzia delle Entrate , censure queste ultime che da sole erano idonee a risolvere ogni assunto motivazionale dedotto in sentenza e ad escludere in toto il superamento del limite dimensionale dei debiti scaduti, fattore fondante la decisione della Corte d’ appello nella sentenza qui impugnata.
5.2 La doglianza, così proposta, è all ‘evidenza inammissibile.
Sul punto non può essere dimenticato che la censura, declinabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riguarda un ‘ fatto storiconaturalistico ‘ e non questioni o argomentazioni difensive (Cass. Sez. Un. n. 8054/2013). Nel caso in esame, il ‘ fatto storico ‘, di cui si lamenta l’omesso esame, era costituito invero dal l’avvenuta insinuazione al passivo dell’Agenzia delle entrate e questo è stato valutato per come era accaduto. Nel resto, le doglianze attingono il ‘merito’ degli apprezzamenti già svolti dai giudici delle precedenti fasi, come tale non sindacabile in cassazione.
Il sesto mezzo è articolato invece come ‘ erronea o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 15 ult. comma l.f. e di conseguenza la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2704, 2730, 2735 e ss. c.c. nonché ai sensi dell’art. 360 n. 5 per vizio di motivazione per omiss ione e/o insufficienza, conseguente al mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, equivalente al mancato esame in riferimento agli artt. 15 co. 6 e 18 co. 10 l.f. ‘.
6.1 Sostiene la ricorrente che la decisione impugnata sarebbe in palese contrasto con l’art. 15 ult. co. L.F., laddove viene prescritto che ‘ non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente
inferiore a euro trentamila’. Si evidenzia ancora che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, per accertare il superamento della superiore soglia di € 30.000, ostativa alla dichiarazione di fallimento, si dovrebbe aver riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare e accertati alla data in cui il tribunale decide sull’istanza di fallimento . Risulterebbe, pertanto, evidente la violazione di legge e/o la falsa e/o erronea applicazione d ell’art. 15 ult. co. L. fall. nella sentenza della Corte territoriale, atteso che per la sussistenza del presupposto prescritto dalla norma sarebbe stato considerato non un debito emerso in base agli atti dell’istruttoria prefallimentare, bensì un debito dedotto per la prima volta in sede di rinvio sulla base di un documento prodotto sempre in tale sede, peraltro tardivamente.
6.2 Aggiunge la ricorrente che, in riferimento alle dichiarazioni liberatorie, diversamente da come dedotto dalla Corte territoriale, nel primo ricorso per cassazione si faceva rilevare che esse erano a tutti gli effetti utilizzabili trattandosi di ‘confessioni stragiudiziali’ ai sensi dell’art. 2730 c.c., in quanto contenevano parti sfavorevoli a coloro che le avevano sottoscritte e non già opinioni o giudizi. Nel caso di specie, la Corte territoriale, invece, aveva rigettato il reclamo e non aveva fornito alcuna motivazione sulle ragioni per le quali le dichiarazioni liberatorie sarebbero state inattendibili ovvero non rilevanti ai fini de l superamento della soglia del limite minimo di € 30.000, limitandosi la sentenza impugnata a definire generiche le dichiarazioni liberatorie.
6. Il sesto motivo è infondato.
Non possono che essere ripetute anche qui le argomentazioni già spese in relazione al rigetto del terzo motivo di ricorso. Ed invero, il provvedimento emesso da questa Corte di cassazione con rinvio (n. 3433/2023) ha riaperto gli apprezzamenti della Corte di merito, in sede di giudizio di rinvio, sulla sussistenza dei requisiti di fallibilità, con la conseguenza che la dedotta violazione dell’art. 15, u.c., l. fall. risulta destituita di ogni fondamento.
Per il resto le doglianze proposte dalla parte ricorrente cercano di sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuovo apprezzamento dei fatti di causa,
tramite la rilettura degli atti istruttori, scrutinio che tuttavia è inibito al giudice di legittimità.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa delle parti intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2025