Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28129 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28129 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23936/2020 R.G. proposto da:
NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, c.f. 00123490716, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
contro
ricorrente
nonché contro
NOME;
intimato
avverso la sentenza n. 934/2020 della Corte d’ appello di Bari, depositata il 10-6-2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24-62025 dal consigliere NOME COGNOME.
OGGETTO:
contratto di prestazione d’opera professionale con l’avvocato concluso da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
RG. NUMERO_DOCUMENTO
C.C. 24-6-2025
FATTI DI CAUSA
1. La sentenza impugnata n. 934/2020 depositata il 10-6-2020 della Corte d’appello di Bari, per quanto ancora interessa, ha rigettato l’appello d e ll’AVV_NOTAIO alla sentenza n. 1861/2015 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva già rigettato la domanda proposta dall’AVV_NOTAIO nei confronti del RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE amminis trativa. L’AVV_NOTAIO aveva chiesto il pagamento dell’importo di Euro 1.640.160,00 , oltre interessi e rivalutazione, a titolo di corrispettivo per l’attività professionale svolta a favore del RAGIONE_SOCIALE in forza di mandato del Commissario Governativo Liquidatore in un procedimento avanti la Corte d’appello di Bari avente a oggetto l’appello avverso sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva respinto la proposta di concordato ex art. 214 L.F.; si era costituito il RAGIONE_SOCIALE, dichiarando che gli incarichi erano stati conferiti dal Commissario Liquidatore NOME COGNOME senza potere e in assenza di delibera di incarico, per cui ne aveva chiesto la chiamata in causa e NOME COGNOME si era a sua volta costituito sostenendo la regolarità del proprio operato.
La sentenza della Corte d’appello ha dichiarato che l’AVV_NOTAIO aveva proposto per la prima volta nell’atto di appello la domanda di indebito arricchimento e perciò la domanda era nuova e inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. La sentenza ha, altresì, considerato che l’attività professionale era stata prestata dall’AVV_NOTAIO, così come dall’AVV_NOTAIO (la cui domanda è stata pure rigettata con pronuncia non oggetto di ricorso per cassazione), in forza di mandato conferito da NOME COGNOME a margine della comparsa di costituzione di data 11-10-2002; nella comparsa era stato eseguito espresso riferimento alla circostanza che la costituzione era eseguita in sostituzione degli AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO
COGNOME e NOME COGNOME; la precedente costituzione in giudizio era avvenuta su espressa autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE in data 31-12-2001, che non risultava avesse conferito a COGNOME il potere di provvedere autonomamente alla sostituzione dei difensori, di proposizione dell’appello , mentre la sostituzione dei difensori era da ritenere atto di straordinaria amministrazione e mancava una delibera del commissario liquidatore sottoposta all’autorizzazione degli organi di vigilanza, per cui il mandato era stato conferito agli avvocati senza il rispetto RAGIONE_SOCIALE procedure previste dalla circolare ministeriale 70393 e dalle note del RAGIONE_SOCIALE del 5-7-1995, del 18-3-1996 e del 29-7-1996.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
È rimasto intimato NOME COGNOME, al quale la notificazione del ricorso è stata eseguita a mezzo pec al l’indirizzo del difensore EMAIL.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 24-6-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente la Corte osserva che il giudizio di primo grado, ancorché relativo a controversia soggetta al rito di cui all’art. 14 d.lgs. n. 150/2011 ratione temporis vigente, si è svolto interamente con le forme del giudizio ordinario, deciso dal Tribunale monocraticamente. Posto questo dato, si deve dare continuità all’indirizzo costante secondo il quale, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14 d.lgs. n. 150/2011, al fine di stabilire il regime di impugnazione del
provvedimento con il quale si liquidano i compensi dovuti dal cliente al suo difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice (Cass. Sez. 2, 4-9-2024 n. 23740; Cass. Sez. 6-2, 17-10-2019 n. 26347; Cass. Sez. 6-2, 1-3-2018 n. 4904).
Nella fattispecie si deve ritenere che il giudice di primo grado abbia optato in maniera consapevole, sia pure erroneamente, per le forme ordinarie e che, di riflesso e in applicazione del principio di apparenza, l’impugnazione della relativa pronuncia sia stata proposta con le forme dell’appello e non del ricorso per Cassazione. Poiché né con l’appello né con il presente ricorso per cassazione sono state formulate censure sul rito adottato in primo grado, per cui nulla ostacola l’esame dei motivi di ricorso.
2. Con il primo motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 116 c.p.c. e dell’art. 2041 c.c. nonché difetto di motivazione per illogicità manifesta nel ritener la domanda di indebito arricchimento inammissibile in quanto nuova’, il ricorrente lamenta che sia stata dichiarata inammissibile la domanda di indebito arricchimento. Evidenzia che già il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE nella sentenza di primo grado aveva dichiarat o che ‘degli oneri legati all’attività professionale svolta dagli attori non potrebbe rispondere il CAP neppure a titolo di indebito arricchimento…non essendo univocamente dimostrata la sussistenza di un concreto beneficio al convenuto stante la contestuale attività difensiva svolta nel parallelo appello proposto dal Commissario AVV_NOTAIO in nome del RAGIONE_SOCIALE; quindi sostiene che tale decisione esclud a che la questione potesse dirsi introdotta solo in grado di appello e aggiunge che comunque la domanda di arricchimento senza causa poteva essere proposta anche in appello, in quanto caratterizzata da tutti gli elementi costitutivi della domanda di inadempimento contrattuale presentata in primo grado.
2.1. Il motivo, diversamente da quanto eccepito dal controricorrente, è ammissibile, in quanto la circostanza che siano cumulate nel medesimo motivo le diverse ipotesi di cui all’art. 360 , co. 1 cod. proc. civ. non preclude l’individuazione RAGIONE_SOCIALE questioni poste dal ricorrente. Infatti, il motivo è da qualificare esattamente (nell’esercizio del relativo potere della Suprema Corte, cfr. Cass., Sez. U, 24-7-2013 n. 17931) come proposto per violazione, ex art. 360, co. 1 n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 112 cod . proc. civ. e per violazione ex art. 360, co. 1 n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 2041 cod. proc. civ. , e risulta infondato.
In primo luogo, non ha alcun rilievo la circostanza che il giudice di primo grado si fosse chiesto se il RAGIONE_SOCIALE fosse tenuto a rispondere dell’attività professionale a titolo di arricchimento senza causa. L’esame della questione che il Tribunale aveva ritenuto di approfondire non comportava che la domanda di arricchimento senza causa potesse trovare ingresso in quel modo nel giudizio, perché non si era nell’ambito di mera qualificazione della domanda, che il giudicante potesse autonomamente eseguire; si trattava di domande diverse, per cui soltanto la parte interessata poteva proporle in causa e nella fattispecie il professionista ha formulato la domanda di arricchimento senza causa in modo inammissibile solo nell’atto di appello .
S econdo l’indirizzo RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambi diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, in primo luogo quanto alla causa petendi, perché esclusivamente nella seconda azione rilevano come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione; inoltre, le azioni si differenziano anche quanto al petitum, per la prima azione pagamento del corrispettivo e nella seconda indennizzo (Cass. Sez. U 27-12-2010 n. 26128 Rv. 615487-01, Cass. Sez. U 22-5-1996 n. 4712 Rv. 497727-01). Su
questo solco è stato più volte enunciato il principio secondo il quale la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova e, come tale, inammissibile se proposta per la prima volta in appello, ostandovi l’espresso divieto dell’art. 345 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 1 6-6-2022 n. 18145 Rv. 664950-01, Cass. Sez. 1 9-22021 n. 3058 Rv. 660579-01, Cass. Sez. 1 19-10-2016 n.21190 Rv. 642053-02). Come esattamente rilevato da Cass. 18145/2022, l’apparente diverso principio posto d ai precedenti secondo i quali anche in appello può essere proposta per la prima volta domanda di arricchimento senza causa, purché prospettata sulla base RAGIONE_SOCIALE medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado, va inteso alla luce de ll’avvertenza declinata nella prima pronuncia che lo ha affermato di Cass. Sez. 3 30-6-1998 n. 6409 (Rv. 516827-01); anche in questa pronuncia si legge che la proposizione per la prima volta in appello d ell’azione di arricchimento senza causa è inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., quando in primo grado sia stata proposta azione contrattuale, in quanto le due azioni sono diverse sia per causa petendi, basandosi l’azione contrattuale sull’obbligazione assunta e l’azione di arricchimento sull’assenza di vincolo contrattuale, sia per petitum, avendo l’azione contrattuale a oggetto il corrispettivo pattuito e l’azione di ingiustificato arricchimento la corresponsione di indennizzo equivalente alla diminuzione patrimoniale subita, cui corrisponda (e che non superi l’arricchimento non causalmente giustificato dell’altro soggetto ). Non adduce alcun concreto argomento a favore del ricorrente neppure il precedente di Cass. Sez. U 23284/2010 da lui richiamato, in quanto questa sentenza (cfr. pag. 4) ha confermato il principio posto da Cass. Sez. U 4712/1996 in ordine alla diversità RAGIONE_SOCIALE due azioni per causa petendi e petitum, ma ha deciso un caso nel quale il giudice di merito aveva accertato che erano
presenti ab inizio in giudizio tutti gli elementi anche dell’altra fattispecie e tale accertamento non era stato opposto dalla parte interessata. Nella fattispecie il ricorrente non allega e dimostra, nei modi specifici richiesti dall’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ., che causa petendi e petitum dell’azione di arricchimento senza causa, da individuare nei termini sopra esposti, fossero già compresi nelle allegazioni da lui tempestivamente svolte in primo grado prima della proposizione della domanda in appello.
3.Il secondo motivo è intitolato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione ai rilievi sulla pretesa insussistenza dell’obbligazione di pagamento per irregolarità nel conferimento del mandato e l’inopponibilità al RAGIONE_SOCIALE -stridente difetto di motivazione e illo gicità manifesta’; il ricorrente sostiene che l’incarico conferito agli avvocati COGNOME era legittimo e non doveva essere sorretto da alcuna delibera o autorizzazione, essendo sufficiente il conferimento del mandato a margine dei ricorsi introduttivi nei quali gli avvocati avevano difeso il RAGIONE_SOCIALE. Richiama in tal senso Cass. Sez. U 6772/2003, Cass. 20002/2013, Cass. 24908/2008, Cass. 2223/1993, Cass. 985/1889 in materia di soppressione e messa in RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, quali precedenti affermanti il principio che il commissario liquidatore cumula le funzioni deliberative e quelle di amministratore e non necessita di autorizzazione a stare in giudizio; sostiene altresì che ai fini della validità del contratto d’opera professionale sia sufficiente la prova del mandato ad litem e quindi sostiene che tali principi non potessero esseri disattesi dal richiamo ad atti di prassi, quali la circolare ministeriale n. 70393 e la nota 132030 del 5-7-1995 del RAGIONE_SOCIALE.
4 .Il terzo motivo è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e segg. c.p.c. nonché dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. Stridente difetto di motivazione e illogicità
manifesta’ ; con esso il ricorrente chiede che, in ragione dell’accoglimento dei precedenti motivi, la sentenza impugnata sia cassata anche con riguardo al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio.
5. Il secondo motivo è evidentemente proposto e da esaminare esclusivamente con riferimento alle domande dell’AVV_NOTAIO, unico ricorrente, nonostante tutte le argomentazioni facciano riferimento anche all’incarico conferito all’AVV_NOTAIO; il motivo è ammissibile, laddove formulato ex art. 360, co. 1 n. 3 cod. proc. civ., ed è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Secondo la ricostruzione della disciplina della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE eseguita già da Cass. Sez. 1, 23-2-1993 n. 2223, valevole nella fattispecie ratione temporis, al commissario liquidatore competono gli stessi poteri del curatore (ex art. 201, co. 2 r.d. 16 marzo 1942 n. 267), compreso quello di rappresentare in giudizio l’impresa nelle controversie correlate alla RAGIONE_SOCIALE (combinato disposto degli artt. 201, co. 2 e 31, co. 2 r.d. n. 267/1942), nonché nelle controversie anche in corso relative a rapporti patrimoniali dell’impresa (art. 200 , co. 2). L’esercizio dei poteri da parte del commissario liquidatore è disciplinato dall’art. 206 , co. 2 L.F.; infatti, l’art. 206 , co. 1, in quanto contempla una ipotesi particolare di azione giudiziaria, e cioè l’azione di responsabilità prevista dagli artt. 2393 e 2394 cod. civ. e subordina il suo esercizio all’autorizzazione dell’autorità di vigilanza, costituisce previsione che, per la sua specificità, non consente di essere interpretata quale implicita disciplina dei casi diversi da quelli ai quali si riferisce. L’art. 206 , co. 2 subordina all’autorizzazione solo il compimento degli atti previsti da ll’art. 35 , in quanto siano di valore indeterminato o superiore a lire due milioni e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa (riduzione di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizione di diritti di terzi, cancellazione di ipoteche, restituzione di pegni, svincolo
di cauzioni, accettazione di eredità e donazioni di valore indeterminato o superiore a lire diecimila, nella formulazione della disposizione fino al 16-7-2007, prima della modifica disposta dal d.lgs. n. 5/2006). Se il legislatore, dopo avere attribuito al commissario liquidatore gli stessi poteri che competono al curatore fallimentare, ha poi disciplinato questi poteri non con un rinvio generalizzato all’esercizio dei poteri del curatore fallimentare ma con un rinvio all’esercizio, da parte di costui, di poteri singoli e predeterminati, questo rinvio deve essere interpretato nel senso che si tratti di rinvio esaustivo; cioè, tale rinvio comprende le sole ipotesi nelle quali i poteri del commissario liquidatore sono subordinati alle stesse condizioni previste per l’esercizio degli stessi poteri da parte del curatore fallimentare; con la conseguenza che nessun condizionamento deve ritenersi previsto per l’esercizio, da parte del co mmissario liquidatore, di poteri diversi da quelli per i quali è stato disposto il rinvio de quo. Pertanto, l’esercizio, da parte del commissario liquidatore, dei poteri che gli competono deve ritenersi subordinato all’autorizzazione solo allorché consista nel compimento degli atti contemplati dal secondo comma dell’art. 35, essendo la disciplina dell’ esercizio dei poteri del commissario liquidatore esaustiva e tale da escludere l’applicabilità analogica di norme non richiamate. Tali principi posti da Cass. 2223/1993 sono stati confermati da Cass. Sez. 1, 3-3-1995 n. 2454, Cass. Sez. 1, 10-102008 n. 24908, Cass. Sez. 1, 10-5-2016 n. 9453; specificamente, Cass. 24908/2008, nel solco non solo di Cass. 2223/1993 ma anche di Cass. Sez. 1, 19-6-1972 n. 1935 e di Cass. Sez. 1, 22-6-1990 n. 6278, ha escluso che i poteri del commissario liquidatore in materia giudiziale debbano essere integrati dall’autorizzazione dell’autorità RAGIONE_SOCIALE che esercita la vigilanza sulla RAGIONE_SOCIALE anche al fine di proporre impugnazione avverso sentenza in materia di azione di responsabilità degli amministratori e dei sindaci. Del resto,
l’autorizzazione dell’autorità RAGIONE_SOCIALE, non richiesta per conferire la procura alle liti al difensore, non può essere necessaria per la conclusione del contratto di patrocinio con l’avvocato , per il fatto che tale contratto è da qualificare come atto di straordinaria amministrazione, come pare avere ritenuto la sentenza impugnata; ciò perché, si ripete, è l’art. 206 , co. 2 legge fallimentare che individua gli atti per i quali il commissario liquidatore deve chiedere l’auto rizzazione, e tra questi non sono comprese né la decisione di proporre impugnazione avverso sentenza che abbia visto parte il RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE né la conclusione del relativo contratto di patrocinio con il difensore.
Nella fattispecie si deve, altresì, considerare che l’incarico conferito dal commissario liquidatore all’AVV_NOTAIO ha avuto ad oggetto la difesa del RAGIONE_SOCIALE nella causa di appello avverso la sentenza che aveva rigettato la proposta di concordato preventivo. Quindi, al fine di verificare se il commissario liquidatore avesse il potere di proporre l’appello, concludendo il contratto di patrocinio e conferendo la procura alle liti al difensore, rileva l’art. 214 r.d. n. 267/1942, ratione temporis nella formulazione originaria in vigore fino al 31-12-2007, prima della modifica disposta dall’art. 17 d.l. n. 179/2012 conv. con mod. dalla legge n. 221/2012 ; l’articolo al primo comma disponeva che l’autorità che vigila sulla RAGIONE_SOCIALE potesse autorizzare l’impresa in RAGIONE_SOCIALE a proporre al tribunale il concordato e al penultimo comma prevedeva che «Contro la sentenza, che approva o respinge il concordato, l’impresa in RAGIONE_SOCIALE, il commissario liquidatore e gli opponenti possono appellare». Quindi, la disposizione era nel senso della necessità dell’autorizzazione dell’autorità che vigila sulla RAGIONE_SOCIALE per proporre il concordato, ma non richiedeva ulteriore autorizzazione anche per impugnare la sentenza che avesse respinto il
concordato; dalle ragioni già esposte, in ordine alla natura esaustiva della disciplina dei poteri del commissario liquidatore e a ll’esclusione dell’applicazione analogica di altre disposizioni, risulta confermato che non era necessaria l’autorizzazione al commissario liquidatore per proporre appello.
Inoltre, la sentenza impugnata ha anche dato atto che l’appello avverso la sentenza che aveva rigettato la proposta di concordato ex art. 214 legge fallimentare interposto dal commissario liquidatore era avvenuta in forza di autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE. Poiché tale autorizzazione non era neppure necessaria, non vi era alcun ostacolo giuridico neppure a che il commissario liquidatore provvedesse alla sostituzione dei difensori già nominati e nominasse l’AVV_NOTAIO; ciò in quanto ha agito in qualità di rappresentante del RAGIONE_SOCIALE e perciò concludendo con il professionista il contratto di patrocinio, ha obbligato il RAGIONE_SOCIALE nei confronti del professionista medesimo. Erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto dirimenti il mancato rispetto della circolare e RAGIONE_SOCIALE note ministeriali che ha richiamato, in quanto si tratta di atti amministrativi evidentemente inidonei a derogare alla disciplina della legge fallimentare e rilevanti esclusivamente al fine di valutare la conformità della condotta del commissario liquidatore alle direttive ricevute.
La fondatezza del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del terzo motivo, a prescindere da ogni rilievo sul suo contenuto, in quanto il giudice del rinvio dovrà procedere anche a una nuova statuizione sulle spese del grado conclusosi con la sentenza cassata, limitatamente al rapporto tra l’AVV_NOTAIO e il RAGIONE_SOCIALE.
In conclusione, la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Bari , in diversa
composizione, che deciderà nuovamente la vicenda facendo applicazione dei principi esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari , in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24-6-2025.
La Presidente
NOME COGNOME