Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5647 Anno 2025
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di NAPOLI n. 196/2021 depositata il 21/01/2021.
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5647 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8463/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende, domiciliazione telematica in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende, domiciliazione telematica in atti
– controricorrente –
nonché contro
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 7/11/2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE società per azioni, dopo avere esperito un accertamento tecnico preventivo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE società a responsabilità limitata, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli la RAGIONE_SOCIALE quale appaltatrice, in forza di contratto stipulato il 26/11/2010 e l’architetto NOME COGNOME quale direttore dei lavori, per ottenere il risarcimento del danno causato sia dalla difformità, rispetto a quanto pattuito, dovuta a negligenza e imperizia, imputabile ai convenuti, dei lavori eseguiti per adibire un immobile sito in Roccaspide ad ambulatorio di nefrologia ed emodialisi, sia dei danni causatile dall’inadempimento degli obblighi relativi all’incarico di progettazione e direzione lavori, nonché per ottenere la restituzione di quanto percepito indebitamente dai convenuti.
Si costituirono, con atti di costituzione distinti e con diversi difensori, sia la RAGIONE_SOCIALE che l’architetto NOME COGNOME resistendo alle domande e la seconda contestando anche l’utilizzabilità nei suoi confronti delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo svolto prima dell’instaurazione della causa .
Il Tribunale di Napoli, previa acquisizione ed esame dell’accertamento tecnico preventivo espletato ante causam , e disposta ed espletata, in corso di causa, una consulenza tecnica di ufficio, con sentenza n. 6665 del 8/06/2017, accolse parzialmente la domanda, condannando le convenute, in solido, al risarcimento dei danni, liquidati in complessivi 126.002,83 euro, oltre IVA.
Avverso la sentenza di primo grado proposero separati appelli la RAGIONE_SOCIALE e l’architetto NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Napoli, riunite le due impugnazioni separatamente proposte, in quanto rivolte avverso la stessa sentenza, ha, con la sentenza n. 196 del 21/01/2021, accolto
integralmente il gravame proposto da NOME COGNOME ed ha quindi rigettato integralmente la domanda risarcitoria proposta in primo grado dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della direttrice dei lavoro; ha accolto, altresì, parzialmente il gravame proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e, in riforma della sentenza impugnata, ha ridotto alla metà la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni, quantificandola in euro 72.000,00, , oltre IVA, ponendone la corresponsione a carico della sola Asti RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi di impugnazione.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
NOME COGNOME ha depositato memoria per l’adunanza camerale del 7/11/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso proposti dalla società ricorrente sono i seguenti.
Nullità della sentenza per violazione degli artt. 133, 136 c.p.c., degli artt. 118, 119, disp. att. c.p.c., nonché dell’art. 17 del Regolamento sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile del 26/01/2001 per omessa sottoscrizione del giudice e registrazione da parte del cancelliere, la ricorrente lamenta la mancata apposizione della ‘coccarda’ sulla sentenza, dalla quale si desume l’apposizione della firma dei magistrati Presidente e Relatore) nonché quella del cancelliere.
II) Violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., nonché degli artt. 3, 24, 111 della Costituzione e 6 della CEDU, omessa valutazione di fatti e prove, con riferimento in particolare alle prove offerte relative alla nullità del contratto, causata sia dal difetto di
rappresentanza dell’ amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva sottoscritto autonomamente e non congiuntamente al direttore operativo il contratto di appalto, come risultava dal verbale tempestivamente depositato in atti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, sia con riferimento al verbale di collaudo, contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte d’appello riteneva insussistenti i profili di responsabilità professionale a carico del direttore dei lavori sulla base degli stessi atti per i quali li aveva ritenuti sussistenti nei suoi confronti.
III) Violazione di legge, omessa valutazione di prove, contraddittorietà della motivazione, violazione degli artt. 112, 115, 116, 196 c.p.c., 2697 c.c., nonché degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione e 6 della CEDU, laddove dalla sentenza non si comprende quale consulenza tecnica di ufficio la Corte d ‘appello abbia posto al fondamento delle sue statuizioni (se a quella effettuata ante causam o a quella svolta in corso di giudizio). La ricorrente rileva, inoltre, che qualora la Corte d ‘appello avesse deciso sulla base della consulenza d’ ufficio svolta in corso di giudizio, avrebbe posto alla base delle sue statuizioni una perizia viziata dal rilevato inadempimento del consulente, evidenziato anche dal giudice di primo grado, con ordinanza impropriamente definita, a parere della ricorrente, ‘rinnovazione’ della consulenza, stante la sostituzione del consulente per gravi motivi. Lamenta, altresì, la violazione del contraddittorio, già eccepita con note a verbale di udienza del 21/01/ 2016, nell’espletamento dell e operazioni di consulenza.
IV) Omessa motivazione, violazione del principio del contraddittorio, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 195, 2697 c.c., nonché degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione e 6 della CEDU per vizio da mancata trasmissione, al difensore della RAGIONE_SOCIALE, della bozza della prima consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado in violazione
delle regole del contradditorio, nonché per l’incompletezza della medesima consulenza tecnica di ufficio che aveva determinato la sua rinnovazione nonché la sostituzione del consulente.
I.1.) Il primo motivo è del tutto infondato: dalla copia in atti della sentenza della Corte d’appello di Napoli si rileva agevolmente che essa risulta munita di rituale «coccarda» e del cd glifo e risulta, altresì, inequivocabilmente firmata in via telematica, dal presidente del collegio e dal giudice estensore, nonché dal cancelliere.
Dovendosi ritenere, sulla base delle previsioni del codice di rito civile e segnatamente dell’art. 369, comma primo, che la copia presente negli atti regolamentari sia quella prodotta e depositata dalla RAGIONE_SOCIALE non si ravvisa alcun fondamento nella prospettazione del detto motivo di ricorso, che appare ai limiti della temerarietà. Peraltro, ove si fossero riscontrate le carenze denunciate nel ricorso relative alla mancanza dei dati identificativi della sentenza avrebbe dovuto supplire, secondo quanto di recente affermato da questa Corte (Cass. n. 12971 del 13/05/2024 Rv. 671148 -01), lo stesso Ufficio giudiziario investito dell’impugnazione.
II.1) Il secondo motivo è infondato e in parte inammissibile: la Corte d’appello ha , con ragionamento logico e condivisibile, affermato che la carenza di poteri in capo all ‘ amministratore della RAGIONE_SOCIALE nella stipula del contratto di appalto per 181.000,00 , per eccedenza dell’importo massimo del valore del contratto, fissato nella delibera del consiglio di amministrazione della detta società in data 10/05/2010 nell’importo di 130.000,00 euro, non poteva essere fatto rilevare dalla Asti RAGIONE_SOCIALE e, comunque, con il pagamento della detta somma di 181.000,00 vi era stata ratifica dell’operato dell’amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE
Va osservato che, al riguardo, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione, del principio che il Collegio condivide,
secondo cui il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto non è affetto da nullità, atteso che la norma di cui all’art. 2384 cod. civ. secondo comma, nel testo applicabile alla fattispecie “ratione temporis”, prevede soltanto l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni suddette, salvo che costoro abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente (Cass. n. 22669 del 02/12/2004 Rv. 578317 -01; v. anche Cass. n. 24547 del l’ 1/12/2016 Rv. 642662 02).
Giova, inoltre, ribadire che questa Corte ha, con riferimento alla distinzione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, affermato che (Cass. n. 18536 del 10/07/2019 Rv. 654659 – 01) le limitazioni dei poteri di rappresentanza degli amministratori di società di capitali, risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto, ai sensi dell’art. 2384, comma 2, cod. civ., non sono opponibili ai terzi di buona fede, non solo quando si tratti di limitazioni alla rappresentanza processuale, ma anche per le limitazioni alla rappresentanza sostanziale, poiché la norma, che si riferisce ai poteri degli amministratori in via generale, prendendo in esame gli effetti della buona fede della controparte, si attaglia più appropriatamente all’ambito della rappresentanza negoziale.
È, altresì opportuno, per completezza espositiva, richiamare la giurisprudenza, risalente oramai di oltre un ventennio, resa a seguito della modifica dell’art. 2384 c.c. operata dall’art. 5 del d.P.R. n. 1127 del 29/12/1969, che pure, con l’art. 6, introdusse nel codice civile l’art. 2384 bis , secondo la quale (Cass. n. 14509 del l’ 8/11/2000 Rv. 541480 – 01) ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384, comma secondo, c.c., nel testo novellato dall’art. 5 del d.P.R. n. 1127 del 1969, richiede non
già la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento, o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società.
Le argomentazioni che precedono assorbono ogni altra questione, pure proposta, in ordine al tempo in cui è stata sollevata l’eccezione di nullità del contratto di appalto del 26 novembre 2010.
Quanto alla doglianza circa ‘ la genuinità del mandato ad litem reso in favore della NEPRHOCARE dal solo Ing. NOME COGNOME sia in sed di Ricorso ex art. 696 cpc, sia in sede di atti successivi’ , la stessa risulta inammissibile per difetto di specificità, non essendo stati riportati nel motivo testualmente tali mandati.
Le ulteriori censure, contenute nell’esposizione del secondo motivo di ricorso, e incentrate sul verbale di collaudo delle opere realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE, si rilevano inammissibili, posto che, nella prima parte, si riferiscono a questioni fattuali e a valutazioni del giudice di merito non censurabili in cassazione e, peraltro, lamentandosene la non sussistente illogicità e contraddittorietà, e, nel resto, ammettendosi nel motivo che la presentazione della querela di falso avverso detto verbale di collaudo non era stata ritualmente ammessa, in quanto priva di firma del legale rappresentante della parte proponente la querela, si risolvono nella contestazione della valutazione del materiale istruttorio, nella specie di carattere documentale e sono, pertanto, come già pure evidenziato, inammissibili. Inoltre deve rilevarsi che, sulla base di quanto affermato alla pag. 8 della sentenza impugnata, la querela di falso proposta in data 21/01/2016 dall’amministratore unico e direttore responsabile della RAGIONE_SOCIALE, ingegnere NOME COGNOME avverso il verbale di collaudo non aveva avuto rituale seguito, poiché non erano state
allegate le prove a sostegno, e l’ordinanza del giudice istruttore che la negava non era stata in alcun modo contestata.
III.1) I motivi terzo e quarto sono entrambi privi, nell’intestazione, di un parametro identificativo adeguato tra quelli dell’art. 360, comma 1, c.p.c. Essi possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi incentrati sulla consulenza tecnica di ufficio e sulle operazioni peritali.
I due motivi sono infondati, in quanto la Corte territoriale ha coerentemente alle risultanze di causa affermato che : l’ordinanza del Tribunale con la quale veniva disposta la rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio espletata in corso di causa non aveva avuto seguito ed era, quindi, stata revocata e il giudice istruttore aveva fissato la causa per la decisione e l’aveva, quindi, esitata con affermazione di responsabilità solidale di entrambe le convenute.
L a Corte d’appello ha , inoltre deciso la causa nei confronti della società attuale ricorrente sulla base della consulenza espletata in corso di causa nonché dell’elaborato redatto in sede di ATP (cui l’attuale ricorrente aveva partecipato) , affermando, in particolare, con ragionamento logico e coerente, c he l’elaborato peritale redatto in corso di causa non era mai stato dichiarato nullo ed era pienamente valutabile nei confronti della RAGIONE_SOCIALE posto che la società aveva avuto ampie possibilità di presentare note all’elaborato peritale, dopo che l’istruttore di primo grado aveva revocato l’ ordinanza di rinnovazione della consulenza – e ciò anche in sede di note di discussione ex art. 281sexies c.p.c. – e la difesa della società non si era avvalsa della facoltà di nominare propri consulenti, così come fatto dalle controparti processuali, né risulta se e in quali termini avesse dissentito dall’ ordinanza di revoca della rinnovazione della consulenza. Peraltro, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente (v. p. 44 del ricorso), la Corte di merito ha accertato la rituale acquisizione in
primo grado del fascicolo d’ufficio relativo all’A.T.P. (v. sentenza impugnata p. 6).
I due motivi si incentrano, inoltre, su contestazioni generiche del l’operato de l giudice d’appello in ordine a gli incombenti istruttorii e alla mancata ammissione delle prove. Sul punto è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte che, invero, afferma costantemente (Cass. n. 20553 del 19/07/2021 Rv. 661734 – 01): la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Il terzo e il quarto motivo vanno, quindi, disattesi.
IV) Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, in relazione al valore della controversia e dell’attività professionale necessaria, come in dispositivo.
VI) Deve, infine, attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 30/05/2002.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di