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Potere sanzionatorio Consob: i termini per agire

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza che aveva cancellato una sanzione a un ex direttore di banca. Il caso riguarda il potere sanzionatorio Consob e la decorrenza dei termini per la contestazione. La Suprema Corte ha stabilito che il termine non decorre dalla semplice conoscenza generica di un problema, ma dal momento in cui l’Autorità completa l’istruttoria necessaria a verificare la specifica violazione, distinguendo tra ‘constatazione’ e ‘accertamento’ del fatto.

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Potere sanzionatorio Consob: quando scatta il termine per la contestazione?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali sul potere sanzionatorio Consob, in particolare su quando inizi a decorrere il termine perentorio per la contestazione degli illeciti. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale tra la semplice conoscenza di un fatto e il suo completo accertamento, rafforzando la discrezionalità dell’autorità di vigilanza nella gestione delle indagini. Questo principio è fondamentale per garantire l’efficacia della vigilanza sui mercati finanziari, evitando che procedimenti complessi vengano invalidati per un’interpretazione troppo restrittiva dei termini procedurali.

I fatti del caso: dalla sanzione all’annullamento in Appello

La vicenda trae origine da una sanzione pecuniaria di 50.000 euro inflitta dall’autorità di vigilanza a un ex direttore generale di un noto istituto di credito. La contestazione riguardava la violazione delle norme sulla prestazione dei servizi di investimento, in particolare per la mancata adozione di iniziative idonee a garantire una corretta mappatura della rischiosità delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca stessa.

L’ex dirigente aveva impugnato la sanzione, eccependo in via preliminare la decadenza dell’autorità dal suo potere sanzionatorio. A suo dire, l’autorità era a conoscenza dei fatti problematici relativi alla banca già dal 2013 o al più tardi dall’inizio del 2014, ma aveva avviato il procedimento sanzionatorio solo nell’ottobre 2016, ben oltre il termine di 180 giorni previsto dalla legge.

La Corte d’Appello aveva accolto questa tesi, annullando la sanzione. Secondo i giudici di merito, le comunicazioni intercorse tra l’autorità di vigilanza e la Banca d’Italia, nonché le relazioni della stessa banca, erano sufficientemente allarmanti da imporre l’avvio di un’indagine ispettiva molto prima del 2016. La protratta inerzia dell’autorità era stata quindi ritenuta una violazione dei termini di legge.

Il ricorso in Cassazione e il potere sanzionatorio Consob

L’autorità di vigilanza ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su più fronti. Il motivo centrale del ricorso era l’errata applicazione delle norme sui termini per l’esercizio del potere sanzionatorio Consob. L’autorità ha sostenuto che la Corte d’Appello aveva commesso un errore fondamentale: confondere la conoscenza di una generica e grave situazione della banca (legata a un’operazione di aumento di capitale) con l’acquisizione degli elementi specifici necessari a comprovare la violazione delle regole di comportamento nella vendita di strumenti finanziari ai clienti.

In sostanza, secondo la ricorrente, una cosa è la vigilanza sulla trasparenza dei prospetti informativi per un aumento di capitale, un’altra è la vigilanza sulla correttezza delle procedure di profilatura della clientela nella vendita di obbligazioni. I giudici di merito avrebbero erroneamente considerato le informazioni relative alla prima attività come sufficienti a far scattare il termine per contestare illeciti relativi alla seconda.

Le motivazioni della Suprema Corte: ‘Constatazione’ e ‘Accertamento’ non sono la stessa cosa

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi principali del ricorso, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il cuore della motivazione risiede nella netta distinzione tra due concetti: la ‘constatazione del fatto’ e l”accertamento del fatto’.

La Corte ha chiarito che il termine di 180 giorni per la contestazione non decorre dal momento in cui l’autorità acquisisce il fatto nella sua ‘materialità’ (ad esempio, venendo a conoscenza di una generica criticità), ma da quando completa l’attività istruttoria necessaria a verificare la sussistenza dell’infrazione. L’accertamento è un processo complesso che richiede la raccolta e la valutazione di elementi specifici, e non può essere identificato con la semplice ricezione di una segnalazione.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito un principio cardine: spetta all’autorità amministrativa, e non al giudice, decidere se, come e quando avviare un’attività di indagine. Il giudice può solo verificare ex post se il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato in un tempo ragionevole, ma non può sostituirsi all’autorità nella valutazione ex ante della necessità di un’indagine. La Corte d’Appello, stabilendo che l’autorità avrebbe dovuto attivarsi entro una certa data (febbraio/marzo 2014), ha invaso la sfera di discrezionalità amministrativa, confondendo il proprio ruolo con quello dell’organo di vigilanza.

Le conclusioni: i principi di diritto e l’impatto pratico

In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello dovrà riesaminare la questione della tempestività della contestazione attenendosi ai seguenti principi:

1. Distinzione tra conoscenza e accertamento: Il dies a quo per il termine di contestazione coincide con il completamento dell’istruttoria e non con la mera acquisizione della notizia di un possibile illecito.
2. Discrezionalità dell’autorità: La scelta dei tempi e dei modi dell’indagine spetta all’autorità di vigilanza, e il sindacato del giudice è limitato alla ragionevolezza del tempo impiegato, non alla decisione stessa di avviare l’indagine.
3. Specificità dell’illecito: La conoscenza di irregolarità in un settore (es. trasparenza sull’aumento di capitale) non implica automaticamente la conoscenza di illeciti in un altro settore (es. adeguatezza nella vendita di prodotti finanziari).

Questa ordinanza consolida l’autonomia e la discrezionalità delle autorità di vigilanza, proteggendole da annullamenti basati su una visione formalistica dei termini procedurali. Si garantisce così che possano svolgere indagini complesse senza la pressione di una ‘clessidra’ che scatta al primo, e spesso vago, segnale di allarme.

Da quando inizia a decorrere il termine di 180 giorni per la contestazione di una violazione da parte dell’autorità di vigilanza?
Il termine non inizia dalla semplice acquisizione del fatto nella sua materialità, ma dal momento in cui l’autorità ha completato l’attività istruttoria finalizzata a verificare la sussistenza o meno dell’infrazione. In altre parole, decorre dal momento dell’ ‘accertamento’ e non della mera ‘constatazione’ del fatto.

La conoscenza di una generica situazione di difficoltà di una banca obbliga l’autorità di vigilanza ad avviare immediatamente un’indagine ispettiva su tutti i fronti?
No. La Corte ha chiarito che la conoscenza di problemi relativi a un’area di vigilanza (come la trasparenza su un aumento di capitale) non fa scattare automaticamente l’obbligo di indagine né il decorso dei termini per illeciti relativi a un’altra area (come la correttezza nella vendita di prodotti finanziari).

Un giudice può sostituirsi all’autorità di vigilanza nel decidere quando e come avviare un’indagine?
No. Spetta esclusivamente all’autorità amministrativa decidere se e quando avviare un’indagine. Il giudice ha il compito di controllare ex post se il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato in un tempo ragionevole, ma non può imporre ex ante i tempi e i modi dell’attività ispettiva, invadendo la discrezionalità dell’autorità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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