Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18680 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18680 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21932/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difes o dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente
–
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 370/2021 del la Corte d’appello di Catania , depositata il 18.02.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione la RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Tribunale di Siracusa NOME COGNOME proponendo opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti a favore del COGNOME (ex socio della società opponente), chiedendo di revocare il decreto opposto a titolo di rimborso di somma versata per finanziamento, dovendosi ritenere postergato il credito vantato ai sensi dell’art. 2467 c.c.
Il convenuto, costituendosi in giudizio, contestava la domanda deducendo che al momento della concessione del finanziamento infruttifero la società opponente non versava in nessuna delle ipotesi di difficoltà finanziaria o grave squilibrio.
Il giudice di primo grado con sentenza n. 570/2017, pubblicata il 10.5.2017, rigettava l’opposizione e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo, osservando che: non sussistevano i presupposti oggettivi per la postergazione del credito azionato dall’opposto non avendo parte opponente provato che il finanziamento oggetto della domanda di ripetizione fosse stato concesso in una situazione di squilibrio economico finanziario della società, essendo irrilevante ai fini dell’art. 2467 c.c. la situazione ec onomica finanziaria non florida della società opposta (come risultante dal successivo verbale di assemblea straordinaria dell’11.10.2012).
Avverso tale sentenza veniva proposto appello dalla RAGIONE_SOCIALE Con sentenza depositata il 18.2.2021, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo, osservando che: sussistevano tutti i presupposti alla presenza dei quali il credito del socio non poteva essere pagato in quanto da postergare, atteso che lo stesso appellato aveva prodotto copia del bilancio della RAGIONE_SOCIALE al 31.12.2011 in cui erano registrate perdite per €. 112.820
che avevano comportato il totale azzeramento del capitale sociale ed un patrimonio netto negativo per €. 58.804, a fronte del quale erano stati annotati debiti per complessivi € 403.963 , considerando che, sempre secondo quanto allegato dall’appellato, il finanziamento di cui lo stesso aveva chiesto la restituzione era stato erogato nell’anno 2011; nel momento in cui era stato presentato il decreto ingiuntivo, le condizioni della società erano rimaste immutate, se non addirittura peggiorate, atteso che malgrado il ripianamento delle perdite registrate fino all’esercizio 2011, negli esercizi successivi, fatta eccezione per il 2012, il capitale, una volta ricostituito, era stato nuovamente eroso dalle perdite accumulate; infatti, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi; le condizioni previste dall’art. 2467 c.c. non soltanto erano presenti al momento in cui il finanziamento fu effettuato, ma si erano protratte fino alla richiesta di restituzione da parte del socio.
NOME COGNOME ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza d’appello, con due motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia mancata applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, e omessa pronuncia sull’eccezione preliminare del Belluardo in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine alla mancata osservanza, da parte della RAGIONE_SOCIALE, dell’ onere di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum
appellatum , circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2467 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Al riguardo, il ricorrente assume: di essere stato socio della RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione e successivamente, in data 18.12.2014, con atto notarile, aveva ceduto e venduto la propria quota di compartecipazione, così cessando di essere socio della stessa; di aver versato alla società, a titolo di finanziamenti infruttiferi, la complessiva somma di 47.187,11; in seguito, con verbale di assemblea ordinaria dell’11.10.2012, la RAGIONE_SOCIALE aveva stabilito la restituzione ai soci dei finanziamenti infruttiferi residui, risultanti dalle scritture contabili, dopo l’utilizzo effettuato ai fini della copertura delle perdite ed il reintegro del capitale, quantificando il rimborso nella complessiva s omma di €. 39.550,00 e decidendo, a far data dal mese di novembre 2012, il pagamento a favore dell’istante di quote costanti mensili dell’importo pari ad €. 744,00 ciascuna; tale delibera assembleare era stata adottata con l’intervento e l’approvazione dell’amministratore unico – il quale aveva confermato il credito – e del l’altro unico socio che aveva aderito richiedendo il rimborso della sua quota di finanziamento; il credito suindicato, per altro, risultava confermato dai bilanci depositati alla C.C.I.A.A. di Ragusa relativi agli anni 2011, 2012 e 2013; da quel momento in poi la RAGIONE_SOCIALE aveva restituito al socio richiedente solamente la somma di €. 1.488,00, interrompendo l’esecuzione della predetta delibera assembleare; in tema di postergazione dei
finanziamenti soci, ai fini della valutazione circa la sussistenza delle condizioni di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c. (‘ eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto’ e ‘situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento ‘) contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello, rilevava unicamente il tempo in cui il finanziamento era stato concesso ; al riguardo, l’indebitamento sarebbe stato da reputare eccessivo quando avesse posto la società a rischio di insolvenza, e di conseguenza il finanziamento del socio sarebbe stato postergato quando, nel momento della relativa concessione, fosse stato considerato altamente probabile che la società, rimborsandolo, non avrebbe potuto soddisfare regolarmente gli altri creditori; pertanto, ai fini in questione, era da utilizzabile un giudizio di prognosi postuma, purché relativo alla situazione patrimoniale e finanziaria della società al momento in cui il prestito fu concesso e non certo sulla base di sopravvenienze passive la cui causa fosse rinvenibile in un momento antecedente al prestito, ma contabilmente emerse solo in un secondo momento; ne derivava che, ai fini della postergazione non rilevano i successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società; si trattava quindi di valutare la volontà negoziale delle parti tenendo conto della finalità pratiche perseguite, degli interessi implicati e della reale intenzione dei soggetti tra i quali il rapporto si era instaurato; nel caso in esame il RAGIONE_SOCIALE aveva versato alla RAGIONE_SOCIALE a titolo di finanziamenti infruttiferi la complessiva somma di 47.187,11 prima della chiusura del bilancio del 31.12.2011, e detto finanziamento era stata inserito nel passivo del bilancio alla voce prevista dall’art. 2424 lett. D) n. 3 per ‘debiti verso soci per finanziamenti’ e annotato alla voce della nota integrativa al bilancio prevista dall’art. 2427 n. 19 -bis ; il bilancio del 2011 era stato approvato in data 11.10.2012 registrando
un risultato negativo di €. 112.820; le perdite registrare nel 2011 erano state causate dalla chiusura dell’attività per alcuni mesi disposta da un’ordinanza della Questura di Ragusa del 27.11.2011 come riportato nella nota integrativa al bilancio del 31.12.20; nel momento del versamento della somma a titolo di finanziamenti infruttiferi, il COGNOME non era a conoscenza delle perdite registrate dalla società e non poteva prevedere la chiusura del locale per alcuni mesi alla fine 2011, anzi, era emerso che la società nel 2010 aveva registrato ricavi per la complessiva somma di €. 252.887,00 e, quind i, nel momento della concessione del finanziamento era altamente probabile che la società, rimborsandolo, sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori; pertanto, la RAGIONE_SOCIALE, in data 11.10.2012, aveva deliberato la restituzione dei finanziamenti infruttiferi residui ( dopo l’utilizzo effettuato ai fini della copertura delle perdite e il reintegro del capitale), che alla data del 11.10.2012 ammontavano ad €. 39.550,00 per il socio COGNOME; pertanto, era evidente che non sussistevano entrambi i presupposti per l’applicazione dell’art. 2467 c.c., ovvero l’eccessivo indebitamento della società e la ragionevolezza del conferimento in luogo del finanziamento nel momento dell’erogazione del finanziamento stesso ; detta circostanza non era stata mai messa in discussione dalla Tika, la quale in appello si era limitata a ribadire l’impossibilità di restituire il residuo dei finanziamenti effettuati dal Belluardo alla luce del bilancio della società del 31.12.2014 che evidenziava perdite per €. 398.868,00; la Corte di Appello ha accolto l’appello della società, in violazione dell’art. 2467 c.c., sostenendo che nel momento in cui il finanziamento era stato effettuato era ragionevole effettuare un conferimento sia perché il capitale sociale era stato azzerato nel 2012 -con utilizzo solo di una parte dei finanziamenti- sia perché il patrimonio netto aveva assunto
valore negativo, senza indicare la presenza del presupposto di legge di sproporzione nel rapporto indebitamento/patrimonio e senza spiegare le ragioni che rendevano necessario un conferimento da parte dei soci, mentre il capitale sociale, una volta ricostituito, era stato eroso e, quindi, sussistevano le condizioni previste dall’art. 2467 c.c.; era dunque evidente l’errore di diritto commesso dalla Corte di Appello di Catania, la quale ha considerato erroneamente anche il momento della richiesta del rimborso quale momento per valutare il presupposto della postergazione nel credito, non valutando invece il momento del conferimento del credito stesso nel 2011, prima che il socio venisse a conoscenza del bilancio del 31.12.2011.
Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente non si è limitato a denunciare l’omessa pronuncia su ll’ eccezione processuale (che in quanto tale sarebbe inammissibile), ma ha anche denunciato la violazione dell’art. 342 cpc non assolvendo però l’onere processuale di cui all’art. 366 n. 6 cpc .
Invero, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c., integrante “error in procedendo”, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione
nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass 3612/22; n. 22880/2017).
Nella specie, il ricorrente , nel lamentare che l’appello non aveva ben indicato le parti della sentenza impugnata, e le ragioni per le quali l ‘errore di diritto denunciato aveva determinato una decisione che, al contrario, sarebbe stata differente- essendosi, a suo dire, la RAGIONE_SOCIALE limitata semplicemente ad estrapolare dei pezzi della sentenza impugnata dandone una ricostruzione e interpretazione distorta degli stessi e stravolgendo il significato del ragionamento addotto dal giudice di primo grado- non ha indicato in modo specifico e circostanziato il contenuto dell’atto, né comunque ne ha riassunto il contenuto in modo tale da soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione (Cass., n. 6769/2022; v. anche SU, n. 8950/2022 che, nell’affermare che il principio di autosufficienza non debba essere interpretato in maniera eccessivamente formalistica, ha evidenziato comunque che esso richieda che nel ricorso per cassazione sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile per inerenza al giudizio di fatto in ordine ai presupposti applicativi dell’art. 2467 cc, con riferimento al momento in cui fu effettuato il finanziamento.
Va poi rammentato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di azione giudiziale del socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società, il giudice del merito deve verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c. (eccessivo squilibrio nell’indebitamento o situazione finanziaria in cui sarebbe
stato ragionevole un conferimento) sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, anche a quello della decisione, trattandosi di fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento rilevabile dal giudice d’ufficio, in quanto oggetto di un’eccezione in senso lato, sempre che la situazione di crisi risulti provata “ex actis”, secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio. La postergazione disposta dall’art. 2467 c.c., operando già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, integra una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria, con conseguente responsabilità degli amministratori della società, poi fallita, che abbiano restituito ai soci somme in violazione della norma predetta (Cass., n. 15196/2024; n. 12994/2019).
Ciò premesso in linea generale, nel caso di specie la Corte territoriale non ha detto che le condizioni previste dalla norma debbano ricorrere anche al momento della richiesta di rimborso, come lamentato dal ricorrente, ma ha soltanto affermato, per corroborare il giudizio di gravità della situazione finanziaria al momento del finanziamento, che tale situazione si era protratta fino al momento della richiesta di restituzione. Sotto questo aspetto, la censura resta altresì estranea alla ratio decidendi , e pertanto priva di decisività.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 4.200,00 di cui 200,00 per
esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2025.