Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32216 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32216 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13686/2019 R.G. proposto
da
COMUNE DI PRAIA A MARE , in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ ECONOMIA E DELLE FINANZE , in persona del Ministro pro tempore
–
TABLE
R.G.N. 13686/2019
Ud. 05/12/2024 CC
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , entrambi domiciliati ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2137/2018 depositata il 05/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2137/2018, depositata in data 5 dicembre 2018, la Corte d’appello di Catanzaro, pronunciandosi nella regolare costituzione degli appellati MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DEL DEMANIO sull’appello proposto dal COMUNE DI PRAIA A MARE avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Catanzaro n. 887/2011 e la sentenza definitiva del medesimo Tribunale n. 748/2015, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione sia alla domanda principale del COMUNE DI PRAIA A MARE di accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione di un’area appartenente al patrimonio disponibile dello Stato sia alla domanda riconvenzionale di rilascio dell’area medesima proposta dalle Amministrazioni convenute, respingendo nel resto il gravame.
Il COMUNE DI PRAIA A MARE, infatti, aveva agito per sentir accertare il proprio acquisto di un’area appartenente al patrimonio dello Stato, per averla irreversibilmente trasformata fin dal 1964 mediante la costruzione di Case Comunali Popolari.
Costituitesi le Amministrazioni convenute formulando domanda riconvenzionale, il giudizio di prime cure era stato definito dapprima con una sentenza parziale, che aveva rigettato la domanda principale di accertamento dell’acquisto del terreno per usucapione -avendo il Tribunale affermato l’appartenenza del terreno medesimo al demanio marittimo, come tale non usucapibile -e poi con sentenza definitiva che aveva accolto le domande riconvenzionali di rilascio dell’area con obbligo di demolizione delle costruzioni ivi realizzate e di condanna del COMUNE al risarcimento dei danni da occupazione senza titolo.
Pronunciandosi sull’appello del COMUNE DI PRAIA A MARE, la Corte territoriale ha, in primo luogo, dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alle domande riconvenzionali delle Amministrazioni aventi ad oggetto il rilascio dell’are a e la demolizione dei manufatti ivi realizzati -essendo nelle more intervenuto il trasferimento dell’area ex art. 56 -bis , D.L. n. 69/2013.
La Corte d’appello, quindi, ha proceduto all’esame del solo motivo di appello con il quale il COMUNE DI PRAIA A MARE impugnava la propria condanna al risarcimento dei danni da occupazione abusiva.
A tal fine, la Corte territoriale ha dovuto prima esaminare la contestazione che lo stesso Comune appellante aveva mosso in ordine alla sussistenza dei presupposti per procedere alla declaratoria di cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di accertamento dell’ acquisto del terreno per usucapione, domanda in relazione alla quale il medesimo appellante sosteneva di conservare un persistente interesse.
Al riguardo, la Corte d’appello ha rilevato una incompatibilità logica tra tale profilo e quello dell’intervenuto acquisto a titolo derivativo ex art. 56bis, D.L. n. 69/2013, escludendo in ogni caso la configurabilità di un acquisto per usucapione in quanto, pur dovendosi ritenere che il
terreno appartenesse al patrimonio disponibile dello Stato -e non al demanio marittimo come opinato dal giudice di prime cure -nondimeno l’appellante non aveva né allegato né dimostrato di aver mai mutato la detenzione del terreno in possesso ad usucapionem .,
Esaminando, poi, direttamente il profilo del risarcimento del danno da occupazione, la Corte d’appello ha confermato la valutazione del giudice di prime cure, affermando che la natura pubblica del terreno consentiva di presumere detto danno, riconducibile all’impossibilità per lo Stato di impiegare in modo redditizio l’area.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre il COMUNE DI PRAIA A MARE.
Resistono con controricorso il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DEL DEMANIO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 segg., 2697, 1164 c.c.;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omesso esame e/o omessa motivazione di un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto dl discussione tra le parti’ .
Il COMUNE censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa, dopo avere affermato che l’area oggetto di occupazione non rientrava nel demanio marittimo bensì tra i beni del patrimonio disponibile dello Stato, ha tuttavia escluso la sussistenza sia di
adeguata prova di un animus possidendi in capo al ricorrente sia, conseguente, di un possesso ad usucapionem .
A tale affermazione il ricorrente oppone la circostanza del proprio utilizzo esclusivo, pacifico ed ininterrotto per circa cinquant’anni dell’area, costituito dalla realizzazione di case popolari nell’inerzia degli odierni controricorrenti.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 c.c.
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omesso esame e/o omessa motivazione di un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto dl discussione tra le parti’ .
Il COMUNE ricorrente impugna ulteriormente la decisione della Corte d’appello di Catanzaro, deducendo che la stessa avrebbe erroneamente ritenuto sussistente un danno da occupazione del terreno, pur non avendo gli odierni controricorrenti provato la sussistenza di un qualsivoglia pregiudizio ed in particolare di non aver potuto locare o diversamente utilizzare il bene.
Deduce, quindi, il ricorrente che la Corte territoriale sarebbe pervenuta ad affermare la sussistenza del danno in via meramente presuntiva.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La decisione impugnata, infatti, dopo aver opportunamente evidenziato che l’iniziale disponibilità dell’area in capo all’odierna ricorrente derivava da un provvedimento amministrativo che autorizzava l’occupazione del suolo e la realizzazione dei manufatti in pendenza del perfezionamento della cessione del suolo medesimo da parte dello Stato, e dopo aver quindi correttamente qualificato tale disponibilità come mera detenzione -e non possesso -si è pienamente
conformata al principio già enunciato da questa Corte, a mente del quale, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione -in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p.u., decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -al fine di conseguire l’accertamento dell’acquisto per usucapione del bene occupato, è necessario che la P.A. occupante alleghi e provi il previo mutamento della detenzione in possesso utile ad usucapionem , ex art. 1141, secondo comma, c.c., cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (così Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 10289 del 27/04/2018, ma si veda anche Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 18361 del 07/06/2022).
Operato il corretto richiamo a tale principio, la Corte territoriale, con valutazione in fatto ad essa riservata, coerentemente motivata e non adeguatamente impugnata nella presente sede (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27521 del 19/12/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016) , ha concluso nel senso dell’assenza di idonea prova e, prima ancora, di idonea allegazione -in ordine alla sussistenza di condotte idonee a mutare l’originaria detenzione dell’odierna ricorrente in vero e proprio possesso.
Tali conclusioni -va aggiunto – non possono essere modificate in virtù delle allegazioni della ricorrente in ordine alla valenza che, ai fini dell’accertamento di una situazione pienamente possessoria, sarebbe stata rivestita dalla modifica dei luoghi mediante la realizzazione dei manufatti.
Infatti, se è vero che, ai fini della valutazione della sussistenza del mutamento di detenzione in possesso, è possibile valorizzare anche il compimento di attività materiali, qualora esse abbiano manifestato in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto l’esercizio di un potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio (Sez. 2 – Ordinanza n. 23458 del 26/08/2021), è tuttavia parimenti vero che nella specie, essendo l’occupazione iniziata a titolo di mera detenzione ed in virtù di un provvedimento amministrativo col quale il dominus titolare del suolo -lo Stato -veniva anche ad autorizzare la realizzazione dei fabbricati, è inevitabile concludere che anche detta realizzazione non poteva essere intesa come atto idoneo ad esprimere un animus possidendi e conseguentemente a mutare la detenzione in possesso.
Quanto, infine, alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. – pure formulata nella rubrica del motivo ma sostanzialmente non argomentata nel suo sviluppo argomentativo -è sufficiente evidenziare che -anche a non voler ritenere sussistente la preclusione di cui al l’art. 348 -ter c.p.c., in virtù del diverso esito formale delle dedizioni di primo grado e di appello, tuttavia del tutto convergenti per quanto attiene lo specifico punto in esame -il motivo non viene in concreto a dedurre l’omesso esame di un fatto storico, ma solo l’inadeguata valutazione delle risultanze istruttorie, sollecitando un inammissibile sindacato di legittimità sulla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, fermo il principio per cui l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Inammissibile, invece, è il secondo motivo di ricorso.
Il motivo di ricorso, infatti, non intercetta correttamente la ratio posta alla base della decisione impugnata, la quale, invece, ha statuito in modo conforme ai principi enunciati da questa Corte (Cass. Sez. U Sentenza n. 33645 del 15/11/2022).
La Corte territoriale, infatti, diversamente da quanto dedotto dal Comune ricorrente, non ha riconosciuto un danno in re ipsa bensì, una volta accertato l’evento danno so costituito da ll’occupazione illegittima dell’area, è poi giunta a presumere -sulla scorta di un argomentato ragionamento -la sussistenza di un danno conseguenza, tenendo conto della natura dell’area – ritenuta ‘bene di intrinseco e rilevante valore economico, strutturalmente destinato a garantire una significativa redditività (…)’ – e della sua originaria destinazione a finalità pubblico-sociali e ad uso, diretto o indiretto, della collettività.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del Comune ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima