Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9390/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 156/2024 depositata il 25/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I l Tribunale di Ragusa rigettava l’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo n. 549/2013 emesso in data 30 luglio 2013 su ricorso della RAGIONE_SOCIALE col quale veniva ingiunto il pagamento della somma di € 12.448,20, rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla parte opponente e regolava le spese secondo il principio della soccombenza.
Secondo il primo giudice non vi era alcun inadempimento della società opposta in quanto era risultato accertato dallo stesso CTU che le porte realizzate, fornite e montate all’interno della struttura ricettivo -alberghiera della società opponente erano perfettamente conformi alle caratteristiche originariamente richieste e indicate nell’allegato 1, come da preventivo del 18 febbraio 2011, mentre in esso e nella corrispondenza successivamente intercorsa tra le parti non si faceva alcun riferimento alla richiesta di certificazioni o omologazioni delle porte fornite.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE interponeva appello.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.
La Corte di Appello riteneva fondato l’appello ed in riforma della sentenza gravata accoglieva l’opposizione a decreto ingiuntivo n. 549/2013 emesso dal Tribunale di Ragusa in data 30 luglio 2013 e, per l’effetto, revoca va il suddetto provvedimento monitorio.
Per quel che rileva la Corte evidenziava che il decreto 21 giugno 2004 del Ministero dell’Interno recante ‘Norme tecniche e procedurali per la classificazione di resistenza al fuoco ed omologazione di porte ed altri elementi di chiusura’, regola va le norme tecniche e procedurali per la classificazione di resistenza al
fuoco ed omologazione delle porte. Il suddetto decreto prevedeva l’omologazione delle porte anti ncendio consistente nell’atto conclusivo attestante il corretto espletamento della procedura tecnico-amministrativa, illustrata nel decreto, finalizzata al riconoscimento dei requisiti certificati delle porte resistenti al fuoco. Con tale riconoscimento si autorizzava la riproduzione del prototipo e la connessa immissione in commercio di porte resistenti al fuoco omologate ….’. L’art. 3 del citato decreto ministe riale prescriveva, altresì, quale fosse ‘La documentazione da disporre per la immissione in commercio di porte resistenti al fuoco: a) copia dell’atto di omologazione della porta; b) dichiarazione di conformità alla porta omologata; c) libretto di installazione, uso e manutenzione’ . Nel DM 21 giugno 2004 erano, inoltre, precisati gli obblighi e le responsabilità cui è soggetto il produttore delle porte resistenti al fuoco. Segnatamente, l’art. 7, titolato ‘Obblighi e responsabilità per il produttore’, stabili va che ‘1. Il produttore della porta resistente al fuoco è tenuto alla osservanza dei seguenti adempimenti: a) emettere, per ogni porta resistente al fuoco, la dichiarazione di conformità; b) rilasciare, per ogni porta resistente al fuoco, copia dell’atto di omologazione cui fa riferimento la dichiarazione di conformità; c) fornire a corredo di ogni esemplare di porta, il libretto di installazione, uso e manutenzione; d) applicare sulla porta il marchio di conformità (in forma permanente ed indelebile); e) consentire l’accesso ai locali di deposito, fornire tutte le informazioni necessarie alla verifica della conformità dei prodotti stessi e consentire il prelievo di quanto necessario alle operazioni di controllo’ .
Così delineato il quadro normativo di riferimento ed essendo stato accertato che sebbene le porte collocate nell’Hotel della RAGIONE_SOCIALE fossero state realizzate con materiali singolarmente certificati REI 30 ‘…. le porte, anche se perfettamente funzionanti e probabilmente compatibili con una REI 30, non avevano tuttavia le certificazioni di legge e non potevano, perciò, considerarsi a norma’ . Dunque, doveva ritenersi inesatto l’ adempimento della RAGIONE_SOCIALE, la quale era obbligata ex lege ad accompagnare la fornitura delle porte REI 30 commissionate dalla RAGIONE_SOCIALE dalla certificazione prescritta dall’art. 7 del decreto 21 giugno 2004 del Ministero dell’Interno.
Si appalesava , quindi, fondata l’eccezione di inesatto adempimento sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, non essendo stata fornita alcuna prova dalla RAGIONE_SOCIALE di aver regolarmente adempiuto.
Osservava, infatti, la Corte che la RAGIONE_SOCIALE, a cagione della irregolarità della fornitura eseguita dalla RAGIONE_SOCIALE, benché le porte fossero ‘perfettamente funzionanti’, risulta va seriamente esposta a procedimenti sanzionatori per violazione delle disposizioni in materia di prevenzione antincendio. Ricorreva, inoltre, ai fini della fondatezza della eccezione di inesatto adempimento, il presupposto della proporzionalità in relazione all’inadempimento della controparte, da valutarsi non già in rapporto alla rappresentazione soggettiva della parte bensì in termini oggettivi, con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede (Cass. n. 58 del 07/01/2004). Dovendosi, pertanto, ritenere fondatamente invocata dalla RAGIONE_SOCIALE l’eccezione di inesatto adempimento, merita va di essere disattesa la pretesa creditoria monitoriamente azionata
dalla RAGIONE_SOCIALE, discendendone l’accoglimento della proposta opposizione a decreto ingiuntivo.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso
La ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 1372, 1374, 1375, 1492 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, c.p.c., e disapplicazione dei principi sanciti dalla Suprema Corte in materia di eccezione di inadempimento contrattuale, per avere, la Corte Territoriale, ritenuta fondata l’eccezione di inesatto adempimento sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, e peraltro, con motivazione solo apparente e senza ritenere e valutare che la Pief Contract RAGIONE_SOCIALE aveva fornito la documentazione relativa alle caratteristiche REI 30 delle porte, che la richiesta dell ‘omologazione delle porte era stata formulata dalla RAGIONE_SOCIALE solo dopo la consegna e il loro montaggio e che la RAGIONE_SOCIALE aveva sempre utilizzato e continuato ad utilizzare tutte le porte che le erano state fornite.
La c ensura riguarda l’eccezione di inade mpimento.
La decisione della Corte territoriale non sarebbe corretta in diritto, alla luce della giurisprudenza di legittimità, e non sarebbe corretta sul piano logico, essendo basata su una valutazione delle risultanze probatorie né puntuale né congrua. Infatti, come correttamente evidenziato dal Tribunale nella sentenza di primo grado, sarebbe risultato pacificamente accertato e confermato dallo
stesso c.t.u., Ing. NOME COGNOME nominato nell’ambito del giudizio di primo grado: – che le porte realizzate, fornite e montate all’interno della struttura della società RAGIONE_SOCIALE erano perfettamente conformi alle caratteristiche originariamente richie ste e indicate nell’allegato 1, come da preventivo del 18.02.2011, mentre in esso e nella corrispondenza successivamente intercorsa tra le parti non si faceva alcun riferimento alla richiesta di certificazioni o omologazioni; – che, in particolare, in tale preventivo del febbraio 2011 si faceva riferimento alla realizzazione delle porte ‘come da campione già realizzato e da Voi approvato, e come descritto nell’allegato 1’, allegato in cui si faceva espresso riferimento alle porte REI 30, costruite con elementi certificati con funzione REI 30; – che a tale preventivo era seguita una lettera di conferma del 23.02.2011; che la RAGIONE_SOCIALE, soddisfatta del prodotto precedentemente fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, alla fine di ottobre dello stesso anno 2011 aveva richiesto, sempre alla stessa PIEF, una seconda fornitura di porte, con le medesime caratteristiche di quelle oggetto della prima fornitura, senza richiedere, anche in questo caso, alcuna certificazione o omologazione del prodotto del quale erano state fornite le certificazioni riguardanti i singoli elementi delle porte REI 30; che soltanto con lettera del 14.12.2011 l’Amministratore della Same aveva richiesto alla PIEF le targhette di certificazione REI 30, per le porte già fornite e montate; – che le porte fornite e montate dalla PIEF erano state di fatto sempre utilizzate all’interno della struttura alberghiera a far data dal loro montaggio, come riscontrato personalmente dal c.t.u. a seguito di sopralluogo da questi effettuato presso la struttura in questione; – che il c.t.u.
aveva potuto appurare che le porte montate presso la struttura della RAGIONE_SOCIALE, seppure non omologate, erano tuttavia perfettamente funzionanti ed erano state realizzate utilizzando dei materiali singolarmente certificati REI 30, mentre il prodotto finito, derivante dall’assemblaggio di prodotti certificati, non risultava omologato .
Alla luce di tali risultanze istruttorie acquisite al processo, la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere la fondatezza dell’eccezione di inesatto adempimento della società RAGIONE_SOCIALE, ma avrebbe dovuto ritenere che la dedotta inesatta prestazione dell’odierna ricorrente non aveva inciso in maniera determinante sul sinallagma contrattuale al punto tale da giustificare l’inadempimento da parte della RAGIONE_SOCIALE alla propria obbligazione pecuniaria, come ben evidenziato dal Tribunale nella motivazione della sentenza di primo grado, tenuto conto, in particolare, del fatto che essa RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto le omologazioni non al momento dell’ordinativo della merce, ma solo dopo le forniture e il montaggio di tutte le porte, e tenuto conto del fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato sin dal loro montaggio le porte fornitegli dalla RAGIONE_SOCIALE, che aveva continuato ad utilizzare durante il giudizio di primo grado (circostanza accertata dal c.t.u.) e ancora durante il giudizio di secondo grado (circostanza mai contestata)
Infatti, come ha insegnato la Suprema Corte, l’istituto previsto dall’art. 1460 c.c. è soggetto alla condizione che il rifiuto di adempiere, opposto da chi solleva l’eccezione di inadempimento, non sia contrario a buona fede ‘avuto riguardo alle circostanze’, laddove il concetto di buona fede deve essere inteso in senso oggettivo, cioè deve trattarsi di una condotta qualificabile come corretta alla stregua dell’ idem sentire comune.
Nel ritenere fondata l’eccezione di inadempimento, la Corte di merito non ha svolto nessuna indagine sull’equilibrio sinallagmatico in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, non ha verificato se la condotta dell’eccipiente fosse conforme a buona fe de ed ha omesso di valutare la sproporzione tra il dedotto inesatto adempimento della PIEF e l’inadempimento della committente RAGIONE_SOCIALE che non ha adempiuto all’obbligo di pagamento di quanto dovuto alla PIEF per la fornitura e il montaggio delle porte che pure essa SAME aveva da sempre utilizzato.
1.1 Il motivo di ricorso è infondato.
Parte ricorrente ammette che le porte fornite alla controparte non sono omologate ma ritiene che l’omologazione non sia tra gli obblighi previsti in contratto e che non possa esserle addebitato alcun inadempimento in quanto le porte sono comunque sostanzialmente rispondenti alle prescrizioni di legge e, inoltre, eccepisce che il comportamento della controparte sia contrario a buona fede contrattuale.
La questione principale che pone il ricorrente, pertanto, è quella di stabilire se possa ritenersi inadempiente agli obblighi derivanti dal contratto avente ad oggetto la fornitura di porte antincendio la parte che fornisca porte non omologate ma idonee all’uso per il quale sono destinate.
La Corte d’Appello ha fornito una risposta conforme alla giurisprudenza di legittimità rispetto alla suddetta questione richiamando il decreto 21 giugno 2004 del Ministero dell’Interno recante ‘Norme tecniche e procedurali per la classificazione di resistenza al fuoco ed omologazione di porte ed altri elementi di chiusura ‘ ed evidenziando che la mancata omologazione delle porte
anti incendio oggetto del contratto ha determinato una sostanziale inidoneità del bene compravenduto ad assolvere la funzione sua propria di garantire la sicurezza e di consentire alla controparte di essere in regola con la normativa che impone in alcuni luoghi, tra i quali gli alberghi, di installare porte antincendio essenziali per garantire la sicurezza degli ambienti. Tali porte, infatti, devono essere progettate per resistere al fuoco e rallentare la propagazione delle fiamme, g razie all’uso di particolari materiali in modo da limitare l’apporto di ossigeno, riducendo la diffusione del calore e del fumo tossico.
In altri termini, si tratta di presidi di sicurezza obbligatori per gli edifici adibiti ad ospitalità alberghiera e che devono rispettare rigorosi standard di sicurezza. A tal fine, la normativa di settore s tabilisce l’ obbligo di omologazione prima del loro utilizzo. Come evidenziato dalla Corte d ‘ Appello solo con una dotazione di porte antincendio omologate il gestore dell’alber go può garantire il rispetto della disciplina in materia ed essere esente dalle sanzioni che possono perfino avere natura penale.
Risulta, pertanto, del tutto infondata la tesi della parte ricorrente secondo cui il proprio inadempimento non giustifica il mancato pagamento della fornitura così come risulta del tutto infondata la dedotta violazione degli obblighi di buona fede in capo alla controparte.
Deve in questa sede ribadirsi che: In tema di inadempimento nelle obbligazioni, l’onere della prova gravante sul creditore che chiede l’adempimento riguarda esclusivamente il fatto costitutivo del diritto fatto volere, ossia l’esistenza dell’obbligazione che si assume inadempiuta, tuttavia se, in ipotesi di obbligazioni
corrispettive, la parte convenuta eccepisca l’inadempimento dell’attore alla propria obbligazione, quest’ultimo deve altresì provare di aver adempiuto all’obbligazione di cui l’altra parte è creditrice, prova che presuppone (e comprende) l’individuazione dell’obbligo da adempiere (Cass. Sez. L., 16/07/1999, n. 7553, Rv. 528688 – 01).
D’altra parte, il giudice deve valutare la gravità dell’inadempimento tenendo conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e nella specie, per quanto si è detto, la mancanza di omologazione impediva in concreto l’utilizzazione delle porte come presidi di sicurezza, né può assumere rilevanza al fine di tale valutazione complessiva la condotta dell’altra parte che aveva chiesto la consegna di un’ulteriore fornitura .
Peraltro, la valutazione circa la proporzionalità degli inadempimenti rispetto al complessivo rapporto contrattuale è un giudizio di fatto rimesso al giudice del merito e sottratto al sindacato di legittimità.
Infine, deve ribadirsi anche che tra gli obblighi del venditore ex art. 1477 cod. civ. vi è anche quello della consegna dei documenti relativi all’uso della cosa venduta.
A tal proposito deve osservarsi come nella specie non sia stata resa esplicita la qualificazione del contratto intercorso tra le parti come vendita o come appalto. Nella casistica, infatti, non è agevole distinguere se una determinata operazione possa rientrare nello schema del contratto d’appalto d’opera o della fornitura con posa in opera. Oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare) che può concretarsi sia nel
compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo, mentre oggetto del contratto di vendita è il trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare, cioè, l’obbligazione di mettere in opera il bene venduto. In altri termini, nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. Pertanto, sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi (Sez. 2, Sentenza n. 872 del 2014).
Il contratto in esame, che prevedeva la fornitura e installazione delle porte antincendio, rientra dunque in tale ultima ipotesi e di conseguenza trova applicazione anche l’art. 1477 , terzo comma, cod. civ. che pone a carico del venditore l’obbligazione di consegnare al compratore i titoli e i documenti relativi alla proprietà ed all’uso della cosa venduta. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che tale locuzione significa che i documenti, alla cui consegna il venditore è tenuto, vanno considerati non soltanto nella loro materiale esistenza e nel loro contenuto formale, ma anche e soprattutto nella loro idoneità ad assicurare al compratore l’esercizio dei poteri di godimento e di scambio, dei quali e divenuto titolare (Cass. Sez. 3, 03/03/1971, n. 542, Rv. 350233 – 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2200, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione