Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15692 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30476-2022 proposto da:
Adunanza camerale
COGNOME domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica de l proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso il decreto del Tribunale di Catania emesso in data 10/11/2022;
Oggetto
ASSICURAZIONE VITA
Amministratore di società – Indennità di fine rapporto Polizza a garanzia del credito -Natura finanziaria e non assicurativa Sindacato sull’interpretazione
R.G.N. 30476/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 28/1/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione del decreto emesso il 10 novembre 2022 dal Tribunale di Catania, con il quale -all’esito di opposizione, da esso proposta, allo stato passivo del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, della quale era stato in passato amministratore -ha rigettato la sua domanda di insinuazione/rivendica, per la somma di € 72.404,76, al rango privilegiato ex art. 2751bis , comma 1, n. 1), cod. civ., nonché in prededuzione, ai sensi dell’art. 111 legge fall., ammettendolo, invece, al chirografo.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere stato amministratore della suddetta società, poi dichiarata fallita, la quale, con delibera assembleare nel 2006, riconosceva all’amministratore alla scadenza o alla revoca del mandato -una indennità denominata di fine rapporto, pari ad un accantonamento di € 10.000,00 l’anno. A maggior garanzia dell’obbligazione contratta, la società allora ‘ in bonis ‘ si impegnava, con lo stesso verbale assembleare, a stipulare una polizza assicurativa in f avore dell’amministratore.
Cessata la carica di amministratore, in pendenza della procedura di concordato preventivo che ha preceduto la dichiarazione di fallimento, la società chiedeva il riscatto della polizza e le somme venivano incamerate dalla massa.
Dichiarata fallita RAGIONE_SOCIALE il COGNOME proponeva istanza di insinuazione al passivo per la ridetta somma di € 72.404,76, oltre interessi e rivalutazione, al privilegio
trattandosi di credito di lavoro, date le sue analogie con il TFR previsto per i lavoratori subordinati, nonché in prededuzione, in quanto il credito sarebbe sorto in un momento in cui la procedura concorsuale era già aperta e perché, in sostanza, egli vanterebbe un diritto proprio all’apprensione dei soldi che sono stati invece incamerati dalla società direttamente dalla compagnia assicurativa, nella fase del concordato. Sotto tale profilo, l’odierno ricorrente ha spiegato pure una domanda di rivendica della somma di denaro.
La Curatela si costituiva in giudizio, contestando che il contratto sottoscritto dalla società fosse un ‘ assicurazione sulla vita e che il COGNOME ne fosse indicato quale beneficiario.
Respinta l’istanza (e il reclamo su tale decisione), la proposta opposizione si concludeva con l’ammissione del credito al chirografo, sul presupposto che il contratto sottoscritto non fosse una polizza vita, ma un vero e proprio contratto di capitalizzazione finanziaria, e dunque uno strumento finanziario.
Avverso il decreto del Tribunale etneo ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 111 Cost., 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., essendo stato violato il divieto di fondare la decisione su prove reputate esistenti, ma in realtà non tali per errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove documentali, e dunque per travisamento delle prove; è inoltre denunciata motivazione apparente e nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.
Assume il ricorrente che la ‘motivazione è apparente in quanto frutto di un travisamento evidente della prova documentale’, nella specie ‘costituita innanzitutto dalla polizza’, nonché ‘dalla comunicazione della compagnia HDI del 20 ottobre 2015’, nella quale ‘NOME è chiaramente indicato come beneficiario e la polizza come TFM’.
Invero, l’esame della polizza non lascerebbe ‘adito a dubbi circa il fatto che si tratti di una polizza sulla vita adattata alla debenza del TFM’, ciò che consentirebbe ‘di superare alcune erronee conclusioni della decisione, riferendo a NOMECOGNOME benefic iario non contraente, i vantaggi dell’assicurazione, escludendoli dall’attivo del concordato e del fallimento’.
Inoltre, alla polizza risulta ‘allegato il verbale di assemblea dei soci che testualmente recita: l’assemblea all’unanimità dei presenti delibera di riconoscere allo stesso, ad avvenuta cessazione della carica per scadenza o revoca del mandato o per dimissioni, una indennità denominata di fine rapporto corrispondente ad un accantonamento annuo di € 10.000,00 circa. A maggior garanzia dell’impegno assunto, la società si impegna a stipulare una polizza assicurativa con la compagnia RAGIONE_SOCIALE a favore dell’amministratore’. Il verbale, pertanto, ‘non è un mero motivo, ma la ragione stessa dell’accensione della polizza’, essendo stata essa ‘stipulata dalla Società (contraente) allo scopo precipuo di pagare il T.F.M. in favore dell’odierno ricorrente (bene ficiario) alla cessazione dalla carica’.
Di conseguenza, avrebbe dovuto trovare applicazione il principio secondo cui il ‘curatore fallimentare non può agire contro il terzo assicuratore per ottenere il valore di riscatto di una polizza di assicurazione sulla vita stipulata dal fallito, così come le somme dovute -di regola impignorabili -nemmeno possono rientrare tra i beni compresi nell’attivo fallimentare’ (è citata Cass. Sez. Un.,
sent. 31 marzo 2008, n. 8271). Orbene, in ‘questo stato di corretta disamina documentale, ben si comprende ‘ -secondo il ricorrente -il travisamento in cui è incorso il Tribunale’.
D’altra parte, la motivazione sarebbe secondo il ricorrente -pure ‘ apparente ‘, e ciò ‘ perché il Tribunale ha pretermesso le risultanze istruttorie contrapponendo un’interpretazione illogica della natura del contratto, negata agevolmente dalle prove documentali’, essendo stata, così, ‘creata un’ipotesi di contratto finanziario stipulato dal ramo vita di una compagnia assicurativa, pur esistendo solo prove ed elementi che la negano’.
La conclusione, pertanto, è che dovevano essere ‘accolte sia la domanda di insinua che di rivendica’, per quest’ultima ‘risultando omessa pronunzia specifica sulla base di un, non meglio esplicitato, assorbimento’.
3.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1923 cod. civ. in relazione anche all’art. 46 legge fallimentare.
Sostiene il ricorrente che la ‘errata sussunzione della fattispecie astratta prevista per l’applicazione della norma (di cui al primo motivo) ha determinato la violazione e falsa applicazione della norma richiamata, non a caso, nelle condizioni di polizza, di talché la polizza rientra tra quelle da evento morte e/o sopravvivenza, attraverso la prestazione dell’assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfare l’interesse leso da tale evento; giacché in tale forma assicurativa obiettivo dell’assicurat o è di coprire il rischio del caso morte e del caso vita o sopravvivenza a una data epoca’, ragione ‘per cui è solo la indennità, nella quale si traduce la prestazione finale dell’assicuratore, a essere preservata dalla esecuzione o dalle misure cautelari e a sottrarsi quindi al fallimento, perché è questa il mezzo con cui si realizza la previdenza, alla quale mira il
risparmio formatosi attraverso l’accantonamento periodico dei premi versati’.
Orbene, ‘applicando tali chiari principi, le somme liquidate dalla Compagnia HDI non possono essere attratte al concordato e al sopravvenuto fallimento per la semplice ragione che l’evento dedotto nella polizza assicurativa, cioè la cessazione della carica di amministratore della società contraente da parte del beneficiario COGNOME a cui era ricollegata la liquidazione della polizza, si è in effetti verificato’.
3.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1920 cod. civ.
Si sostiene, in questo caso, che l ‘ errata sussunzione, ad opera del Tribunale, ‘della fattispecie astratta prevista per l’applicazione della norma (di cui al primo motivo) ha determinato altresì la violazione e falsa applicazione della norma richiamata non a caso nelle condizioni di polizza, di talché il Curatore non poteva violare il diritto proprio del beneficiario, che aveva dichiarato di volere profittare della stipulazione, di godere dei benefici e vantaggi dell’assicurazione’.
Premesso, infatti, che ‘il fallimento non produce lo scioglimento della assicurazione sulla vita, quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali) -qui adattata alla debenza del trattamento di fine mandato all’amm inistratore sotto forma di accumulo finanziario, rivalutato con rendimento minimo e capitale garantito, dei premi versati -il Curatore avrebbe dovuto prendere atto delle clausole contrattuali, tra cui quella che richiama l’art. 1920 cod. civ. che già vincolava la società poi fallita, e accogliere, quale più specifica estrinsecazione degli effetti dell’art. 1411 cod. civ., la domanda di rivendica’, così riversando a esso NOME la somma di € 72.404,76.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la curatela fallimentare, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha presentato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
9.1. L’inammissibilità del primo motivo va affermata alla stregua delle seguenti considerazioni.
9.1.1. Esso sollecita un sindacato sulla motivazione, relativa alla qualificazione giuridica del contratto, che esula dal modello contemplato dal vigente testo dell’art. 360 cod. proc. civ.
Sul punto, infatti, deve premettersi che ‘la qualificazione del contratto consta di due fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda, nell’inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza’, con l’ulteriore precisazione che ‘le operazioni ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione
dell’attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ.)’, mentre la seconda fase, ‘concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 dicembre 2017, n. 29111, Rv. 646340-01; nello stesso senso, successivamente, Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2021, n. 3115, Rv. 660347-01, nonché, anteriormente, tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 12 gennaio 2006, n. 420, Rv. 58697201; Cass. Sez. 2, sent. 3 novembre 2004, n. 21064, Rv. 57792901; Cass. Sez. 2, sent. 25 gennaio 2001, n. 1054, Rv. 54344901).
Nel caso di specie, la contestazione della qualificazione del contratto per cui è causa -operata da ambo i giudici di merito -come ‘capitalizzazione finanziaria’, piuttosto che come polizza assicurativa, lungi da prospettare la violazione di taluno dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., si risolve nella denuncia di un vizio motivazionale, in ipotesi frutto di ‘travisamento della prova’, sostanziatosi in ‘un’interpretazione illogica della natura del contratto, negata agevolmente dalle prove documentali’.
Orbene, a prescindere dalla sostanziale ‘espunzione’ che le Sezioni Unite di questa Corte hanno, di recente, operato del
‘travisamento della prova’ dalla tassinomia di cui all’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, Rv. 670391-01), il motivo in esame si presenta inammissibile perché lamenta, a ben vedere, un vizio di cattiva valutazione delle prove documentali in atti (e non di percezione del loro contenuto), come reso evidente dal fatto che il ricorrente addebita al Tribunale di aver ‘pretermesso le risultanze istruttorie contrappon endo un’interpretazione illogica della natura del contratto, ne gata agevolmente dalle prove documentali’, essendo stata, così, ‘creata un’ipotesi di contratto finanziario stipulato dal ramo vita di una compagnia assicurativa, pur esistendo solo prove ed elementi che la negano’.
Così argomentando, tuttavia, il ricorrente prospetta un vizio che -oltre a non poter neppure astrattamente rilevare come ‘travisamento della prova’ -non è idoneo a integrare neppure quello di ‘motivazione apparente’. Il travisamento, difatti, presupporrebbe -fermo quanto si è già rilevato in merito all’impossibilità di farlo valere, se non con lo strumento della revocazione (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 5972 del 2024, cit .), alle condizioni di cui all’art. 395, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -che ‘l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (« demonstrandum »), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (« demonstratum »), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre’ (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 6 aprile 2023, n. 9507, Rv. 66748901). D’altra parte, perché si abbia vizio motivazionale occorre che esso ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 62983001), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20
giugno 2018, n. 20955, non massimata, nonché Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01), avendo esso carattere solo ‘testuale’ (come rammenta, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 5792 del 2024, cit .).
In ogni caso, mette conto segnalare -conclusivamente -che essendo quella posta in essere da RAGIONE_SOCIALE con la società assicuratrice, un’operazione di capitalizzazione, il credito del COGNOME era da farsi valere nei confronti della stessa (e non della curatela fallimentare), sicché esso neppure avrebbe dovuto essere ammesso al passivo, meno che mai come credito privilegiato, tale rango non spettando ai crediti per compensi dovuti all’amministratore di società (Cass. Sez. 1, sent. 27 febbraio 2014, n. 4769, Rv. 629679-01; Cass. Sez. 1, sent. 13 giugno 2018, n. 15409, Rv. 649128-01).
9.2. I motivi secondo e terzo sono, del pari, inammissibili.
9.2.1. Essi, infatti, denunciano vizi di violazione di legge sul presupposto -persino dichiarato -che gli stessi siano conseguenza dell’errata qualificazione del contratto come strumento finanziario, atteso che, una volta riconosciutane la natura assicurativa, si sarebbe dovuta negare, secondo il ricorrente, la possibilità di ‘attrarre’ lo stesso al fallimento, pena, altrimenti, la violazione delle norme di diritto indicate nella illustrazione due motivi.
Senonché, essendo stata tale qualificazione non idoneamente censurata (come evidenziato nello scrutinare il primo motivo di ricorso), entrambi i motivi si palesano inammissibili, giacché fondate su un presupposto -vale a dire, la natura assicurativa del contratto -che è stata esclusa dal provvedimento impugnato, con statuizione non più controvertibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amminis trazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, al fallimento RAGIONE_SOCIALE le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 5.8 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulter iore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della