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Piano del consumatore: la malafede blocca l’omologa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un debitore il cui piano del consumatore era stato revocato per malafede. Il soggetto aveva omesso di dichiarare finanziamenti preesistenti alla banca erogante. La Corte ha stabilito che la condotta decettiva del consumatore impedisce l’accesso alla procedura di sovraindebitamento, rendendo irrilevante l’eventuale mancata diligenza della banca nella valutazione del merito creditizio. Questa decisione sottolinea l’importanza della buona fede come requisito fondamentale per l’approvazione di un piano del consumatore.

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Piano del consumatore: la malafede blocca l’omologa

L’accesso alle procedure di sovraindebitamento, come il piano del consumatore, rappresenta un’ancora di salvezza per molti, ma si fonda su un presupposto imprescindibile: la buona fede del debitore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con forza questo principio, stabilendo che la condotta omissiva e ingannevole di chi nasconde i propri debiti per ottenerne di nuovi preclude la possibilità di beneficiare della ristrutturazione del debito. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un consumatore di omologare un piano per la ristrutturazione dei propri debiti. Inizialmente, il Tribunale di Palermo aveva accolto la richiesta, omologando il piano. Tuttavia, un istituto di credito creditore ha proposto reclamo, sostenendo che il debitore avesse agito con colpa grave e malafede.

Nello specifico, la banca lamentava che il consumatore, al momento di richiedere un nuovo finanziamento, avesse deliberatamente omesso di dichiarare nel questionario sul merito creditizio l’esistenza di altri finanziamenti in corso. Questa omissione aveva impedito alla banca una valutazione trasparente e corretta della sostenibilità della nuova rata e del rischio di credito.

Il Tribunale, in sede di reclamo, ha dato ragione alla banca. Ha ritenuto che le condotte del debitore fossero connotate non solo da colpa grave, ma anche da malafede, revocando di conseguenza il decreto di omologa e dichiarando inammissibile la proposta di piano del consumatore.

Contro questa decisione, il consumatore ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la banca avesse violato i propri obblighi di valutazione del merito creditizio, in quanto non si sarebbe dovuta limitare alle dichiarazioni del cliente ma avrebbe dovuto consultare le banche dati pertinenti.

La Decisione della Cassazione e la malafede nel piano del consumatore

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del debitore inammissibile, confermando di fatto la decisione del Tribunale. Gli Ermellini hanno chiarito che il tentativo del ricorrente di attribuire la responsabilità all’istituto di credito per non aver svolto controlli più approfonditi rappresenta una richiesta di rivisitazione dei fatti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Il punto centrale della decisione è che la condotta decettiva del consumatore è la causa primaria che ha viziato il processo di valutazione. Il Tribunale aveva già accertato che il debitore aveva indotto in errore gli enti finanziatori e che, a fronte di tali omissioni, non si poteva imputare alla banca una mancanza di diligenza. La doglianza del consumatore, secondo cui la banca avrebbe dovuto comunque accedere alle banche dati, è stata giudicata un tentativo di sovvertire l’accertamento di fatto già compiuto dal giudice di merito.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha basato la sua decisione su alcuni pilastri giuridici fondamentali. In primo luogo, ha evidenziato come la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) preveda esplicitamente che il piano sia inammissibile quando il debitore ha determinato la situazione di indebitamento con colpa grave, malafede o frode.

Nel caso specifico, l’aver taciuto l’esistenza di altri finanziamenti, impedendo una corretta valutazione del merito creditizio, è stato qualificato come un comportamento in malafede che rientra a pieno titolo in questa causa ostativa. La Corte ha spiegato che il comportamento del debitore ha reso impossibile per la banca compiere un controllo appropriato, e la sua argomentazione in Cassazione non era altro che una “diversa lettura dei fatti di causa” finalizzata a neutralizzare gli effetti del proprio agire scorretto.

Inoltre, la Corte ha rilevato un vizio procedurale nel ricorso: la questione specifica secondo cui la banca avrebbe dovuto insospettirsi e fare ulteriori verifiche (poiché tra i debiti omessi ve n’erano anche con la stessa banca) non era stata adeguatamente sollevata e discussa in sede di reclamo. L’introduzione di tale argomento per la prima volta in Cassazione costituisce una “novità della censura”, che per consolidato principio è inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un insegnamento cruciale per chiunque intenda avvalersi delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. La trasparenza e la correttezza sono requisiti non negoziabili. Un debitore non può pretendere di beneficiare di uno strumento pensato per risolvere situazioni di difficoltà incolpevole se egli stesso ha contribuito a crearle o aggravarle con dolo o colpa grave.

La decisione rafforza il principio secondo cui la responsabilità del debitore nelle proprie dichiarazioni è prioritaria. Non è possibile scaricare interamente sul creditore l’onere di scoprire informazioni che il debitore ha deliberatamente nascosto. La malafede, una volta accertata, chiude le porte all’omologazione del piano del consumatore, confermando che l’accesso a tali procedure è un beneficio riservato a chi agisce con lealtà e onestà.

Un consumatore che ha nascosto dei debiti può comunque ottenere l’omologazione del piano del consumatore?
No. Secondo la Corte, aver agito con malafede e colpa grave, omettendo di dichiarare finanziamenti preesistenti, costituisce una causa ostativa che rende la proposta di piano inammissibile ai sensi della legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012).

La banca è sempre responsabile se non consulta le banche dati prima di concedere un finanziamento?
Non necessariamente. In questo caso, la Corte ha stabilito che la condotta decettiva del consumatore, che ha impedito una trasparente valutazione del merito creditizio, è stata determinante. Pertanto, non poteva essere imputata alla banca reclamante l’assenza di diligenza nel concedere il finanziamento.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la mancata consultazione delle banche dati da parte della banca?
No. La Corte ha ritenuto inammissibile tale argomentazione in quanto rappresentava una “novità della censura”. Le questioni che comportano accertamenti di fatto devono essere sollevate e discusse nei precedenti gradi di giudizio e non possono essere introdotte per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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