Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11225 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15107/2023 R.G. proposto da Banca di San Marino S.p.A., già Banca Impresa San Marino S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO SpoletoINDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME difesa e rappresentata da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3038/2023 del la Corte d’Appello di Roma, depositata il 3.5.2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione venne dichiarato una prima volta dal Tribunale di Roma con sentenza del 29.3.2011 che fu, in seguito, revocata dalla Corte d’Appello capitolina , in quanto la società aveva i requisiti per essere soggetta all ‘ amministrazione straordinaria.
Pronunciata quindi sentenza di accertamento della insolvenza secondo tale diversa procedura, poiché all’esito del periodo di osservazione non emersero «concrete prospettive di recupero dell ‘ equilibrio economico delle attività imprenditoriali» (art. 27, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999), la società venne nuovamente dichiarata fallita con decreto del Tribunale ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999.
Il curatore fallimentare avviò nei confronti di Banca di San Marino S.p.A. un’azione revocatoria di alcune rimesse bancarie che venne respinta dal Tribunale di Roma.
La sentenza di primo grado, impugnata dal fallimento, venne riformata dalla Corte d’Appello , che, in accoglimento della domanda, condannò Banca di San Marino S.p.A. a pagare € 172.000, oltre a interessi e spese di giudizio.
Contro la sentenza della Corte territoriale Banca di San Marino S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l ‘unico motivo di ricorso si denunciano «violazione e falsa applicazione dell’art. 67 legge fall. e degli artt. 18, 19, 27 e 30 del d.lgs. n. 270 del 1999, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c.».
La questione posta riguarda l’individuazione del periodo sospetto rilevante per l’esercizio dell’azione revocatoria : la Corte d’Appello , accogliendo la tesi del fallimento attore, lo ha individuato nel semestre anteriore alla prima dichiarazione di fallimento e ha conseguentemente revocato le rimesse solutorie in conto corrente effettuate in quel periodo; secondo la ricorrente, invece, non sarebbe possibile ravvisare quella consecuzione tra la prima dichiarazione di fallimento e la successiva vicenda regolata dal d.lgs. n. 270 del 1999 che la Corte territoriale ha posto a fondamento della retrodatazione del periodo sospetto.
La tesi della ricorrente è che la consecuzione di procedure sarebbe dovuta essere esclusa, nel caso di specie, sia dalla diversità del presupposto oggettivo tra fallimento e amministrazione straordinaria, sia dal giudicato formatosi sulla revoca della sentenza dichiarativa del primo fallimento.
2. La censura è infondata.
2.1. Quanto al presupposto oggettivo, è pienamente condivisibile l’assun to della Corte d’Appello secondo cui , nel caso in esame, i connotati della consecuzione di procedure si ravvisano con argomento a fortiori in confronto alle altre situazioni in cui essa è prevista dalla legge (art. 69 -bis , comma 2, legge fall.: domanda di concordato preventivo cui segua il fallimento) o è stata comunque affermata dalla giurisprudenza di legittimità (successione tra amministrazione controllata e
fallimento, tra diverse «procedure minori» e tra «procedure minori» e amministrazione straordinaria; fino a statuire che la consecuzione delle procedure è un fenomeno «consistente nel collegamento tra procedure di qualsiasi tipo, volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa »: ex multis , Cass nn. 13367/2022; 24632/2021; 15724/2019; 7324/2016; 8439/2012).
Nel caso in esame il presupposto oggettivo della prima dichiarazione di fallimento non può che essere stato l’insolvenza della società, per esplicita definizione legislativa (art. 5, comma 1, legge fall.). E il medesimo presupposto oggettivo è stato poi nuovamente accertato in seguito alla revoca della prima sentenza (art. 3 del d.lgs. n. 270/1999). Non si ravvisa pertanto alcuna ragione per dubitare che -per l’effettività del principio e dei valori che sono alla base della disciplina «degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori» -si renda necessario individuare il periodo sospetto in cui operano le azioni recuperatorie con decorrenza, a ritroso, dalla prima dichiarazione di fallimento.
Non ha alcun f ondamento l’affermazione della ricorrente secondo cui « l’ammissione della RAGIONE_SOCIALE alla procedura di amministrazione straordinaria ha richiesto l’accertamento di uno stato di insolvenza superabile mediante un adeguato piano di risanamento ed un ripristino dell’equilibrio economico-finanziario, che, in quanto tale, non può essere analogo a quello posto a fondamento del fallimento».
In realtà, per quanto chiaramente emerge dagli atti di parte e dalla narrativa della sentenza impugnata, RAGIONE_SOCIALE non fu mai ammessa alla procedura di
amministrazione straordinaria (art. 27 d.lgs. n. 270 del 1999), perché all’esito del periodo di osservazione non furono riscontrate «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali», sicché ne fu dichiarato nuovamente il fallimento (art. 30, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999).
In ogni caso, anche a prescindere da tale considerazione in concreto , il presupposto oggettivo della sentenza di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 270 del 1999 è semplicemente lo stato di insolvenza, che infatti è l’oggetto dell’accertamento , insieme al presupposto soggettivo, ovverosia che si tratti di impresa commerciale con i requisiti di cui all’art. 2 del medesimo d.lgs. Le prospettive di risanamento dell’impresa sono solo eventuali e non sono oggetto di indagine al momento dell’apertura della procedura, sicché nulla distingue il presupposto oggettivo di questa sentenza da quello della sentenza di fallimento.
2.2. Nemmeno il preteso passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello che revoc ò la sentenza con cui il Tribunale aveva direttamente dichiarato il fallimento dell’imprenditore può essere d’ostacolo alla retrodatazione del periodo sospetto.
La revoca, infatti, non contraddice la sussistenza dello stato di insolvenza al tempo della prima dichiarazione di fallimento, essendo stata disposta soltanto perché le dimensioni dell’impresa insolvente imponevano il ricorso alla più articolata procedura di cui al d.lgs. n. 270 del 1999, quale unica procedura di insolvenza prevista e consentita per quel tipo di impresa commerciale (art. 1: «L ‘ amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale
insolvente …») . In tal senso è esplicita la sentenza della Corte territoriale, che sul punto non è censurata dalla ricorrente («la prima sentenza di fallimento -revocata dalla Corte di appello di Roma, non per l’insussistenza di uno stato di insolvenza, bensì per la ritenuta sussistenza dei presupposti soggettivi per l’ammissione al beneficio dell’amministrazione straordinaria »).
Tant’è che, anzi, a ben vedere, quello verificatosi nel caso in esame non si può nemmeno considerare un vero e proprio fenomeno di consecuzione tra diverse procedure (o strumenti), esperibili in via alternativa tra di loro per affrontare l’insolvenza di un determinato imprenditore; bensì piuttosto una unitaria vicenda processuale attraverso la quale l’impresa venne indirizzata verso l’unica e corretta procedura ad essa riservata, in mancanza di domande e proposte alternative da parte dell’imprenditore.
L’invocato passaggio in giudicato della revoca della prima sentenza di fallimento, attenendo così ad un profilo del tutto diverso, nemmeno rappresenta un limite anche dal punto di vista processuale, cioè di organizzazione degli effetti del concorso, posto che la retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell’esercizio delle azioni recuperatorie qui in esame non è un’esecuzione della sentenza revocata. Basti pensare che la consecuzione di procedure, anche nella sua esplicita declinazione legislativa, non richiede un provvedimento giudiziale da individuare come dies a quo anticipato rispetto alla dichiarazione di fallimento (o all’accertamento dello stato di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270 del 1999), essendo sufficiente la «pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese» (art. 69 -bis , comma 2, legge fall.; né è richiesto che alla domanda segua l’ammissione al concordato preventivo).
2.4. Ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c. viene pertanto affermato il seguente principio di diritto:
« Nel caso in cui: (i) il reclamo contro la sentenza di fallimento venga accolto perché l’impresa aveva i requisiti dimensionali per l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria; (ii) alla revoca del fallimento segua quindi la dichiarazione d i insolvenza ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 270 del 1999; e (iii) a questa segua , all’esito del periodo di osservazione, una nuova dichiarazione di fallimento per l’assenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali; il dies a quo per il calcolo a ritroso del periodo sospetto rilevante ai fini delle azioni recuperatorie ex art. 64 e s. legge fall. corrisponde al giorno della pubblicazione della prima sentenza dichiarativa del fallimento ».
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge; dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio