Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10224 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 10224 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 13228-2021 proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la sede dell’AVVOCATURA REGIONALE, rappresenta e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente – nonché contro
Oggetto
Risarcimento
rapporto privato
R.G.N.13228/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
PU
CAMERA DI RAGIONE_SOCIALE DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la SEDE DELL’AVVOCATURA COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
NOME
– intimata –
avverso la sentenza n. 2320/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/11/2020 R.G.N. 1536/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato
NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME già dipendente di RAGIONE_SOCIALE, licenziato a seguito di procedura di riduzione del personale ex artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991, aveva adito il Tribunale di Roma per ottenere, ex art. 1, commi 563-568, della
legge n. 147/2013, l’accertamento del proprio diritto alla riallocazione presso gli enti controllanti RAGIONE_SOCIALE e la condanna al risarcimento del danno subito.
Il Tribunale aveva accolto la domanda condannando gli enti convenuti (Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio, Industria, Artigiano e Agricoltura-CCIAA di Roma) alla riallocazione del lavoratore, ma aveva respinto, tuttavia, la domanda risarcitoria; successivamente, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 72320 del 6/11/2020, aveva accolto gli appelli proposti dagli enti locali e rigettato (anche) la domanda di riallocazione.
La Corte capitolina riteneva gli appelli di Regione Lazio e Roma Capitale ammissibili -perché sufficientemente specifici nell’enunciazione delle censure -e fondati, perché dette amministrazioni (appellanti principali) difettavano di legittimazione passiva, atteso che la disciplina in esame (art. 1 commi 563 e ss. della legge n. 147/2013) poteva essere invocata solo nei confronti delle amministrazioni controllanti e non di quelle munite di una partecipazione di minoranza, come Regione Lazio e Roma Capitale (titolari, rispettivamente, del 21,762% e del 9,826% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, socio unico della Fiera di Roma RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di merito, riteneva quindi unica legittimata passiva la Camera di Commercio in quanto detentrice di una quota partecipativa azionaria maggioritaria (58,538%); senonché , accoglieva l’appello incidentale di quest’ultima -ritenuto ammissibile ancorché tardivo, ed «indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza» -, e tanto alla stregua dell’assunto che non fosse stata nella specie rispettata la procedura prescritta in tema di esuberi e in particolare, quanto alle fasi di essa, che non fosse stato provato l’adempimento da parte di Fiera di Roma dell’obbligo di invio dell’informativa di cui all’art. 1 commi 563 -565 della legge n.
147/2013, condizione necessaria, ai sensi del successivo comma 566, per avviare l’eventuale ricollocamento del personale.
La Corte di merito evidenziava, inoltre, che non era contestato il fatto che il COGNOME avesse impugnato il licenziamento di Fiera di Roma, assumendone l’illegittimità, sicché tale impugnativa, che supponeva la volontà di ottenere la prosecuzione del rapporto con Fiera di Roma, era incompatibile con l’ulteriore richiesta di riallocazione presso altre società controllate dagli enti pubblici evocati in giudizio.
Contro tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione basato su dieci motivi, illustrati da memoria, cui si oppongono con controricorso Regione Lazio, Roma Capitale, CCIAA di Roma.
La Procura generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Successivamente alla camera di consiglio del giorno 18/3/2025, il Collegio, nella medesima composizione, si è riconvocato nelle forme di cui all’art. 140 -bis disp. att. c.p.c. mediante collegamento audiovisivo a distanza (applicativo Teams) il 16/4/2025, decidendo la causa nei termini di cui al dispositivo in calce.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi sette motivi di ricorso afferiscono alla posizione di Camera di Commercio di Roma, detentrice del 58,538% del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima socio unico della società datrice Fiera di Roma RAGIONE_SOCIALE; i restanti tre riguardano, invece, gli altri enti convenuti, i.e. Roma Capitale e Regione Lazio, titolari, rispettivamente, del 21,762% e del 9,826% del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE
Col primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 325, 326, 327, 329, 331, 332, 333, 334, 343 e 436 cod. proc. civ., perché la Corte territoriale non avrebbe valutato correttamente la tardività dell’appello incidentale proposto da Camera di Commercio che conteneva «censure del tutto diverse ed evidenziava un interesse a impugnare che prescindeva dall’appello principale di Roma Capitale» e sorgeva direttamente con la sentenza di primo grado.
Il secondo motivo denuncia (art. 360, co. 1, n. 4 cod. proc. civ.) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115, comma 1, e 116 cod. proc. civ., perché la Corte di merito non avrebbe fatto corretta applicazione del principio di non contestazione per averlo esteso a una valutazione processuale (cfr. p. 9 sentenza impugnata ove si legge: «nel caso di specie però – come dedotto dalla CCIAA sin dal primo grado e non specificamente contestato – manca la prova che Fiera di Roma abbia mai avviato i processi di mobilità» del comma 563 e «soprattutto che abbia mai inviato l’informativa» del comma 565) e non a un ‘fatto’ come avrebbe invece dovuto fare.
Il terzo motivo denuncia, sotto diverso profilo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ.; in particolare si osserva che la Corte territoriale aveva ritenuto non contestato un fatto mai affermato in realtà dalla Camera di Commercio, la quale non aveva dedotto che l’informativa non le fosse mai stata trasmessa dalla Fiera di Roma ma solo che non fosse ‘preventiva’ in quanto inviata in data 15.4.2015, dopo oltre un anno dall’avvio delle procedure di riduzione del personale (del gennaio 2014 e febbraio/marzo 2015).
Con il quarto motivo si contesta la nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione del principio di specificità dell’appello di cui agli artt. 342 e 434 cod. proc. civ.,
essendosi la CCIAA di Roma limitata a riportare pedissequamente quel che aveva detto in primo grado senza confutare le argomentazioni del primo giudice sull’esistenza delle informative di cui ai commi 565-566 cit.
Con il quinto motivo si contesta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale trascurato di esaminare i fatti concernenti l’invio dell’informativa e in particolare il contenuto della lettera del 15/4/2015, per l’attivazione della procedura di riallocazione, nonché della precedente missiva del 20/3/2015 con cui le OO.SS. chiedevano agli enti pubblici de quibus un incontro urgente sul «futuro di Fiera di Roma e dei suoi dipendenti».
Con il sesto si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 565 e 566, della legge n. 147/2013, per avere la Corte di merito ritenuto necessario l’invio dell’informativa preventiva per poter attivare la procedura di riallocazione benché tale opzione ermeneutica non si evincesse dal testo di legge. La Corte capitolina assume – secondo il ricorrente erroneamente -che un’informativa successiva all’apertura della procedura sarebbe tamquam non esset , quando in realtà l’aggettivo «preventivo» va logicamente riferito al momento di intimazione dei licenziamenti, sicché l’informativa di Fiera di Roma del 15/4/2015 era tempestiva perché antecedente agli stessi.
Con il settimo si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o comunque falsa applicazione dei commi 565 e ss. dell’art. 1 della legge n. 147/2013, nonché dell’art. 24 Cost. e dell’art. 2909 cod. civ.; si lamenta che la Corte di appello ha ritenuto, quasi fossero giudizi alternativi, che la proposizione
dell’impugnativa del licenziamento intimato da Fiera di Roma fosse in sé incompatibile con la domanda di riallocazione presso le società controllate dagli enti pubblici.
Il primo motivo è infondato.
9.1 Sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’appello incidentale tardivo è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale sia qualora abbia le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il detto interesse sorge dall’impugnazione principale la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale. Trattasi di indirizzo più volte affermato da questa Corte (Cass., SU, n. 24627 del 27 novembre 2007 e, negli stessi termini, Cass., SU, n. 18409 del 4 agosto 2010; Cass., Sez. 3, n. 14596 del 9 luglio 2020; Cass., Sez. 62, n. 5876 del 12 marzo 2018; Cass., Sez. L, n. 5388 del 7 marzo 2018 e Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, entrambe rese in casi analoghi a quello in esame e non massimate) e di recente ribadito dalle Sezioni Unite (Cass. SU, 28 marzo 2024, n. 8486; conf. Cass., Sez. 3, n. 31679/2024).
Queste ultime evidenziano, in particolare, che «il rischio che si vuole salvaguardare è quello che il coobbligato inerte – che abbia, nel frattempo, pagato il creditore – non riesca ad ottenere, in sede di regresso, la quota parte dovuta dal coobbligato, che, invece, abbia visto riformata in sede di impugnazione la sentenza di condanna. Ed è
in quest’ottica che, quindi, trova giustificazione (nella valorizzazione del soddisfacimento di un interesse propriamente riconducibile nell’alveo applicativo dell’art. 100 cod. proc. civ.) la legittimazione del coobbligato ad impugnare la sentenza in via incidentale tardiva: la proposizione di questo gravame, legato o anche solo condizionato all’esito di quello principale e ai motivi con esso formulati, garantirebbe in ogni caso un risultato decisorio uniforme circa l’esistenza e il modo di essere dell’obbligazione solidale, funzionale ad un corretto riparto dell’obbligazione in sede di regresso (non si tratterebbe propriamente di una controimpugnazione, ma di un’impugnazione tardiva dal contenuto adesivo). Ecco, dunque, che viene in risalto (in modo ancora una volta condivisibile) quanto è stato sostenuto nella sentenza delle Sezioni unite n. 24627 del 2007 nel passaggio logicoargomentativo centrale della motivazione, laddove si argomenta che – poiché l’unità del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, la cui intima coerenza verrebbe meno se ogni parte di esso fosse suscettibile di esame separato, con conseguente (pericolo) di difformità dei giudicati scaturenti dal medesimo rapporto, seppur tra parti diverse – «l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile a tutela della reale utilità della parte tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza».
9.2 Nel caso di specie, va indubbiamente considerata la peculiarità della statuizione che qui viene in rilievo, contenente la condanna in solido degli enti convenuti a procedere alla riallocazione, essendo evidente che l’eventuale accoglimento dell’impugnazione principale proposta da Regione Lazio e da Roma Capitale andrebbe a modificare il complessivo assetto di interessi
al quale la CCIAA aveva inizialmente prestato acquiescenza, il che giustifica la proposizione dell’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato in solido.
Il quarto motivo è del pari infondato poiché dagli stessi ampi stralci – trascritti in ricorso (p. 17) – dell’atto d’appello e della sentenza impugnata si evince che l’affermazione della Corte di merito in ordine all’esecuzione degli adempimenti preliminari è stata, in effetti, sia pure senza l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, sottoposta ad adeguata censura da parte della CCIAA con puntuali riferimenti cronologici atti a corroborare (beninteso, secondo la prospettazione dell’appellante) l’affermazione di tardività dell’informativa del 15/4/2015 (i.e., quella resa ai sensi del comma 565 dell’art. 1 della legge cit.) inviata allorché erano stati già dichiarati gli esuberi.
Il secondo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso denunciano tutti, sotto diversi – e complementari – profili, la nullità della sentenza e/o la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 565 e 566, della legge n. 147/2013 nonché l’omesso esame di fatti decisivi in special modo consistenti nell’invio dell’informativa preventiva in data 15/4/2015.
Essi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione logico-giuridica, sono fondati nei sensi di seguito precisati.
12.1 Occorre muovere da una breve ricognizione del dato normativo.
L’art. 1 legge n. 147/2013, nel testo ratione temporis vigente, prevede (comma 563) che «le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni possono, sulla base di un accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del consenso del lavoratore, processi di mobilità di personale anche in servizio alla data
di entrata in vigore della presente legge, in relazione al proprio fabbisogno e per le finalità dei commi 564 e 565, previa informativa alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato» . Si applicano i commi primo e terzo dell’articolo 2112 del codice civile. La mobilità non può comunque avvenire tra le società di cui al presente comma e le pubbliche amministrazioni».
Il comma 564 stabilisce che «gli enti che controllano le società di cui al comma 563 adottano, in relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento economicofinanziario secondo appositi piani industriali, atti di indirizzo volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane da parte delle medesime società, l’acquisizione di personale mediante le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 563».
Il comma 565 prevede, a sua volta, che «le società di cui al comma 563, che rilevino eccedenze di personale inviano alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato un’informativa preventiva in cui sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza. Tali informazioni sono comunicate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non possono essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove assunzioni .
Il comma 566 aggiunge che «Entro dieci giorni dal ricevimento dell’informativa di cui al comma 565, si procede, a cura dell’ente
controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali con le modalità previste dal comma 563 ; mentre il comma 567 precisa che «Per la gestione delle eccedenze di cui al comma 566, gli enti controllanti e le società partecipate di cui al comma 563 possono concludere accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative finalizzati alla realizzazione, ai sensi del medesimo comma 563, di forme di trasferimento in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di personale».
Il comma 567-bis chiarisce inoltre che «Le procedure di cui ai commi 566 e 567 si concludono rispettivamente entro 60 e 90 giorni dall’avvio. Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure il personale può presentare istanza alla società da cui è dipendente o all’amministrazione controllante per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società o in altra società».
Infine, il comma 568-ter prevede che: «Il personale in esubero delle società di cui al comma 563 che, dopo l’applicazione dei commi 565, 566, 567 e 568, risulti privo di occupazione ha titolo di precedenza, a parità di requisiti, per l’impiego nell’ambito di missioni afferenti a contratti di somministrazione di lavoro stipulati, per esigenze temporanee o straordinarie, proprie o di loro enti strumentali, dalle stesse pubbliche amministrazioni».
12.2 Orbene, la sentenza impugnata ha ritenuto, errando, che la mancata comunicazione dell’informativa di cui al comma 565 impedisse in nuce l’avvio della procedura di riallocazione (« Nel caso di specie però
– come ha dedotto dalla CCIAA sin dal primo grado e non specificamente contestato nemmeno nelle note depositate nel presente grado dal COGNOME, il quale nulla ha dedotto sul punto- manca la prova che la Fiera di Roma abbia mai avviato i processi di mobilità di cui al comma 563 e soprattutto chi abbia mai inviato l’informativa prevista dal comma 565 come condizione necessaria per avviare l’eventuale ricollocamento del personale da parte della Camera di Commercio »: v. p. 9, I cpv., della sentenza).
In realtà, così argomentando la Corte ha dimostrato di non tener conto di un elemento decisivo integrato dalla nota del 15/4/2015 (in atti) che era proprio diretta ad avviare la procedura di cui ai commi 563 e ss. con l’informativa alle OO.SS. e agli enti controllanti. Questi ultimi, peraltro, avendo potere di ingerenza sulla partecipata e conoscendone (presumibilmente) gli assetti organizzativi, non sono per legge i destinatari diretti dell’informativa, il cui inoltro alle OO.SS. fa comunque decorrere per essi il termine, da ritenersi sollecitatorio, del comma 566 («Entro dieci giorni dal ricevimento dell’informativa di cui al comma 565, si procede, a cura dell’ente controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza»).
La procedura di riallocazione, prodromica e strettamente collegata a quella ex lege n. 223/1991, avrebbe dovuto nella specie avviarsi, or dunque, in seguito alla informativa alle OO.SS. del 15/4/2015 cit. (l’unica contenente, ai sensi del comma 565, l’individuazione del «numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale in eccedenza») e necessariamente completarsi entro il termine ultimo costituito dalla data dei licenziamenti: evento (questo) che l’intera procedura mira innegabilmente a evitare e che ne segna indiscutibilmente l’epilogo temporale.
Infatti, dopo l’intimazione dei licenziamenti, l’iter della procedura in questione si è oramai definitivamente concluso e può, in caso di accertata inerzia dell’ente controllante in ordine alla riallocazione, residuare una pretesa risarcitoria in capo al lavoratore per perdita di chance .
Infatti, i commi della legge n. 147/2013 sopra richiamati riconoscono in capo al personale in eccedenza solo il diritto a che venga in concreto espletata la «procedura di riallocazione» e non anche, si noti, un diritto soggettivo «alla (effettiva) riallocazione totale o parziale nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali con le modalità previste dal comma 563». Ciò si evince, indirettamente ma inequivocabilmente, dal comma 568 ter, introdotto dal d.l. 6/3/2014 n. 16, conv. nella legge 2/5/2014 n. 68, il quale stabilisce per il personale che resta in eccedenza, anche dopo la procedura, la titolarità solo di un diritto di precedenza per altri impieghi con (« titolo di precedenza, a parità di requisiti, per l’impiego nell’ambito di missioni afferenti a contratti di somministrazione di lavoro stipulati, per esigenze temporanee o straordinarie, proprie o di loro enti strumentali, dalle stesse pubbliche amministrazioni»).
In definitiva, se manca (in capo al lavoratore) un vero e proprio diritto soggettivo alla ricollocazione, resta, pur tuttavia, configurabile un obbligo giuridico in capo all’ente controllante di adoperarsi per tentare di pervenire a un tale (positivo) esito, sicché, se tale adempimento non viene in concreto assolto, come nella specie, può prospettarsi una lesione della situazione soggettiva del lavoratore in termini di perdita di chance .
Tanto in ossequio al principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di pubblico impiego,
l’illegittimo diniego di una situazione di vantaggio, ancorché non qualificabile come diritto soggettivo ma in termini di interesse legittimo tutelabile ai sensi dell’art. 2907 cod. civ., comporta il diritto del dipendente al risarcimento del danno per perdita di chances , diritto che va riconosciuto, come entità patrimoniale a sé stante, ove (beninteso) sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta; il danno, in tal caso, come questa Corte non ha mancato più volte di precisare, va liquidato in via equitativa, tenuto conto cioè del grado di probabilità e della natura di danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo (cfr. Cass., Sez. L, n. 1991 del 18.2.2024; Cass., Sez. L, n. 6016 del 28.2.2023; Cass., Sez. L, n. 1884 del 21.1.2022).
12.3 Pertanto, e nei limiti sopra esposti, la sentenza impugnata dev’essere cassata; infatti, nella specie consta la (ri)proposizione, ancorché in via subordinata, di una domanda risarcitoria mediante appello incidentale da parte del Murdolo, di guisa che, in accoglimento delle sopra richiamate censure, il giudice del rinvio cui la causa va rimessa per nuovo esame dovrà valutare se la mancata (e doverosa) attivazione della procedura di ricollocazione, per inadempienza dell’ente controllante, abbia determinato, e in che misura, un concreto pregiudizio per il lavoratore in menzione.
13. Con l’ottavo motivo si prospetta la nullità (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la Corte di appello ha accolto gli appelli di Regione Lazio e Roma Capitale per la sola ragione che il regime del controllo dei detti enti era di minoranza.
14. Con il nono motivo si denuncia la nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione, per ragioni diverse da quelle dei motivi 2 e 3, dell’art. 115 comma 1, cod. proc.
civ., perché la Corte distrettuale ha fatto un uso non corretto del principio di non contestazione ritenendo ‘pacifico’ che Roma Capitale e Regione Lazio non avessero il controllo di Fiera di Roma, ma la ‘non contestazione’ deve avere ad oggetto un fatto e non una valutazione giuridica come quella in ordine al regime del controllo.
15. Con il decimo motivo si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione o comunque falsa applicazione della nozione di ‘controllo congiunto’ desumibile ratione temporis dall’art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 50/2016 e dalle Direttive 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e 201/25/UE del 26 febbraio 2014, perché la Corte di appello, nell’escludere l’ipotesi di controllo, non ha tenuto conto del controllo congiunto, possibile quando uno dei controllanti detiene la maggioranza (come in questo caso la Camera di Commercio).
16. Gli ultimi tre motivi, anch’essi da esaminare congiuntamente per ragioni di stretta connessione logico-giuridica, sono fondati.
Vero è che l’art. 5 comma 5 d.lgs. n. 50/2016 non si applica ratione temporis all’odierna fattispecie, come assume lo stesso ricorrente; del pari la direttiva 2014/24/UE non viene qui in considerazione in quanto i fatti si sono svolti prima del suo recepimento: trattasi, infatti, di direttiva non immediatamente esecutiva ma da attuarsi entro il termine di recepimento del 18 aprile 2016 (qui rispettato dallo Stato italiano con l’adozione del d.lgs. n. 50 del 2016).
Nondimeno, il giudice d’appello avrebbe comunque dovuto tener conto del fatto che la Regione Lazio con legge del 1/12/1995, n. 56, ha previsto la soppressione dell’Ente autonomo Fiera di Roma e la diretta partecipazione della Regione alla costituzione della Società Fiera di Roma sRAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE (sul punto, v. Cass. SU n. 17567 del 28/06/2019), nonché valutare, sotto diverso profilo, l’incidenza della disciplina dell’art. 2359 cod. civ., la quale impone di apprezzare non soltanto la percentuale numerica della partecipazione azionaria in capo all’ente pubblico ma
anche l’esercizio di poteri di ingerenza e condizionamento sia tramite i voti esercitati sia in virtù di particolari vincoli contrattuali. L’accertamento in questione – non formalistico ma sostanziale – è qui del tutto mancato ed avrebbe dovuto essere condotto anche mediante disamina delle clausole dello Statuto di RAGIONE_SOCIALE, detentrice del 100% di Fiera di Roma, onde valutare se fosse previsto, ancorché in via mediata, un potere di nomina dei vertici aziendali o dei componenti degli organi sociali.
Ed infatti, l’art. 11 comma 2 lettera b) del d.lgs. n. 33/2013 qualifica come «enti di diritto privato in controllo pubblico» le società e gli altri enti di diritto privato «che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ. da parte di pubbliche amministrazioni», oppure gli enti «nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi».
Non a caso, l’art. 2359 cod. civ., richiamato da tale disposizione, prevede tre distinte, e alternative, ipotesi di controllo.
La prima fa riferimento alla mera detenzione, da parte di una società, «della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria», la seconda richiede, invece, la disponibilità «di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria» e la terza riconduce, infine, il controllo alla ricorrenza di una «influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali».
Appare allora chiaro che mentre la prima fattispecie viene integrata, oggettivamente, dalla disponibilità della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (non richiedendo, invece,
per esempio, la maggioranza, assoluta o eventualmente più elevata, richiesta dallo statuto, prevista per l’assemblea straordinaria, ex art. 2368 cod. civ.), la seconda e la terza devono essere provate, alla luce delle circostanze del caso concreto, da chi intende far valere l’esistenza di una situazione di controllo che ben potrebbe atteggiarsi anche in termini di controllo congiunto; anche il controllo congiunto può dare luogo, come non si è pure mancato di affermare in dottrina, all’esercizio di un’influenza dominante (la quale coinciderebbe dunque con quella menzionata nell’art. 2359 cod. civ.): nella normalità dei casi, infatti, la coalizione di controllo tenderà alla ricerca e al raggiungimento di una soluzione unanime (cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. III, 27/04/2015, n. 2154, a proposito nell’ in house pluripartecipato).
È in definitiva mancata, da parte del giudice d’appello, quella verifica in merito alla qualificazione di Fiera di Roma come società a controllo pubblico, ovvero strumentale, in house etc., accertamento che costituiva (in definitiva) precondizione per lo sviluppo dell’analisi ulteriore sui poteri di controllo esercitati da Regione Lazio e da Roma Capitale.
Tali accertamenti risultano assenti nella sentenza impugnata la quale ha escluso, sic et simpliciter, che potesse sussistere un controllo da parte di Roma Capitale e Regione Lazio alla stregua del (non decisivo) riscontro in capo ad esse di una partecipazione azionaria di natura minoritaria (« risulta pacifico che esse non controllavano neppure indirettamente – Fiera di Roma RAGIONE_SOCIALE possedendo soltanto una partecipazione azionaria minoritaria della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE a sua volta titolare del 100% delle quote della RAGIONE_SOCIALE: così a p. 6 della sentenza impugnata).
Sicché, anche su tale specifico aspetto, la decisione dei giudici di seconde cure, che non inquadra la fattispecie nella cornice normativa anteriore alla riforma del 2016 (art. 2359 cod. civ.; art. 11 comma 2
d.lgs. n. 33/2013; art. 1 comma 2 d.lgs. n. 39/2013; cfr. anche art. 34 comma 22 d.l. n. 179/2012, con v. in l. n. 221/2012; art. 3 d.lgs. n. 333/2003) ed omette ogni qualificazione della società Fiera di Roma ai fini degli ulteriori accertamenti sulla natura di enti controllanti di Roma Capitale e Regione Lazio, non si sottrae alle censure del ricorrente e va, pertanto, cassata.
Conclusivamente, il ricorso (salvo che per i motivi primo e quarto da respingere) è nel suo complesso fondato; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio per nuovo esame alla C orte d’appello di Roma che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati provvedendo alla regolamentazione anche delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il secondo, terzo, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione