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Perdita di chance: onere della prova e motivazione

Una dirigente pubblica fa causa all’amministrazione per non essere stata nominata a un incarico apicale, lamentando una perdita di chance. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17672/2025, chiarisce aspetti fondamentali sull’onere della prova. Stabilisce che il danneggiato deve dimostrare una seria probabilità di successo non solo rispetto a chi ha ottenuto l’incarico, ma anche rispetto a tutti gli altri candidati. La Corte distingue tra motivazione ‘mancante’ e ‘insufficiente’ dell’atto di nomina, confermando la valutazione del giudice di merito che l’aveva ritenuta insufficiente. Infine, accoglie il ricorso solo sulla parte relativa alle spese legali, affermando che un accoglimento parziale della domanda non giustifica la compensazione totale delle spese.

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Perdita di Chance nel Pubblico Impiego: Guida alla Prova e alla Motivazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il risarcimento per perdita di chance. Il caso riguarda una dirigente che, sentendosi illegittimamente esclusa da una procedura di nomina per un incarico apicale, ha intrapreso un lungo percorso legale. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali sulla ripartizione dell’onere della prova e sulla distinzione tra motivazione “mancante” e “insufficiente” negli atti della Pubblica Amministrazione, stabilendo principi importanti per la tutela dei lavoratori.

I Fatti: la Lunga Battaglia per un Incarico Dirigenziale

Una dirigente di una Regione, in servizio dal 1983, riteneva di possedere tutti i requisiti per la nomina a Segretario Generale del Consiglio Regionale. Nonostante la sua esplicita richiesta di valutazione, l’incarico veniva conferito ad un altro soggetto. La dirigente ha quindi avviato un’azione legale nel 2011, sostenendo che la nomina fosse avvenuta in violazione delle norme sulla selezione per incarichi dirigenziali apicali e senza una procedura comparativa. Chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita di chance di ottenere l’incarico e del danno non patrimoniale, morale e all’immagine.

Il percorso giudiziario è stato complesso: dopo sentenze sfavorevoli in primo e secondo grado, la Corte di Cassazione, con una prima pronuncia, aveva cassato la decisione d’appello, rinviando la causa e stabilendo importanti principi di diritto. Il giudice del rinvio aveva poi parzialmente accolto la domanda, condannando la Regione a un risarcimento limitato. È contro quest’ultima sentenza che la dirigente ha nuovamente proposto ricorso in Cassazione.

La questione della motivazione: insufficiente o mancante?

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la natura del vizio di motivazione dell’atto di nomina. La ricorrente sosteneva che la motivazione fosse “mancante o illegittima”, il che avrebbe richiesto al giudice una valutazione comparativa ex novo tra i candidati. La Corte d’Appello, invece, l’aveva qualificata come “insufficiente”, limitando la propria analisi.

La Cassazione ha respinto questo motivo, chiarendo che il giudice del rinvio aveva il potere di qualificare autonomamente il vizio. La motivazione è:
* mancante se l’amministrazione non indica alcuna ragione della scelta.
* illegittima se si basa su un criterio non utilizzabile.
* insufficiente se, pur indicando un criterio valido (in questo caso, l’aver ricoperto funzioni analoghe), omette la valutazione comparativa tra i profili dei candidati in relazione a quel criterio.

Nel caso specifico, essendo stato esplicitato un criterio, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di motivazione “insufficiente” operata dal giudice di merito.

L’onere della prova nella perdita di chance: cosa deve dimostrare il danneggiato?

La Corte ha rigettato anche i motivi relativi all’onere della prova. La ricorrente sosteneva che, una volta provato l’inadempimento della P.A. (la mancata procedura selettiva), sarebbe spettato all’amministrazione dimostrare che lei non avrebbe comunque vinto.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: nella perdita di chance, il danno non è il mancato ottenimento del bene della vita, ma la perdita della possibilità di conseguirlo. Il lavoratore che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa, ovvero:
1. L’inadempimento o l’illecito dell’amministrazione.
2. L’esistenza di una chance, intesa come una possibilità concreta, seria e apprezzabile di ottenere il risultato sperato.

Per dimostrare la serietà della chance, il ricorrente deve fornire al giudice elementi sufficienti per una valutazione prognostica. Ciò significa che non basta confrontare il proprio curriculum con quello del vincitore, ma è necessario allegare e provare la propria maggiore probabilità di successo anche rispetto a tutti gli altri potenziali candidati. La sentenza impugnata aveva correttamente rilevato una carenza di allegazione e prova su questo punto da parte della ricorrente.

La Decisione sulle Spese Legali e il Principio di Soccombenza

L’unico motivo di ricorso accolto dalla Corte riguarda la regolamentazione delle spese di lite. La Corte d’Appello aveva compensato integralmente le spese di tutti i gradi di giudizio, nonostante l’accoglimento, seppur parziale, della domanda risarcitoria della dirigente. La Cassazione ha ritenuto questa decisione errata, affermando che l’accoglimento parziale di una domanda può giustificare, al più, una compensazione parziale delle spese, ma non totale. Il principio generale è quello della soccombenza, secondo cui chi perde paga. Compensare totalmente le spese in un caso di vittoria parziale, senza una motivazione adeguata, viola questo principio.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione dei ruoli processuali. Il giudice di merito ha il compito di accertare i fatti, inclusa la qualificazione del vizio di motivazione e la valutazione della serietà della chance. La Corte di Cassazione, invece, ha un ruolo di controllo sulla corretta applicazione delle norme di diritto e dei principi processuali. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il giudice del rinvio avesse correttamente applicato i principi sull’onere della prova nella perdita di chance e avesse legittimamente esercitato il proprio potere di valutazione dei fatti nel qualificare la motivazione come “insufficiente”. L’errore è stato riscontrato solo nell’applicazione delle norme sulle spese processuali, che non seguivano il principio della soccombenza in relazione all’esito finale del giudizio.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce che chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno da perdita di chance nel pubblico impiego ha un onere probatorio rigoroso. Non è sufficiente dimostrare l’irregolarità della procedura di selezione, ma è indispensabile fornire al giudice tutti gli elementi per poter affermare, con un alto grado di probabilità, che l’esito sarebbe stato diverso. La decisione ha anche il merito di aver censurato una gestione non corretta delle spese di lite, riaffermando che anche una vittoria parziale deve trovare un adeguato riconoscimento in termini di costi processuali. La causa è stata quindi nuovamente rinviata alla Corte d’Appello, ma solo per la ridefinizione delle spese.

In un caso di perdita di chance, chi deve provare la probabilità di successo?
Spetta al lavoratore che si ritiene danneggiato. Egli deve fornire la prova di avere avuto una possibilità concreta, seria e apprezzabile di ottenere il risultato sperato, dimostrando la sua maggiore probabilità di successo non solo rispetto al candidato prescelto, ma anche in confronto a tutti gli altri potenziali aspiranti.

Qual è la differenza tra motivazione ‘mancante’ e ‘insufficiente’ in un atto di nomina?
La motivazione è ‘mancante’ se l’amministrazione non fornisce alcuna ragione per la sua scelta. È invece ‘insufficiente’ quando viene indicato un criterio di scelta (es. aver ricoperto incarichi simili), ma viene omessa la necessaria valutazione comparativa tra i candidati basata su quel criterio.

Se una richiesta di risarcimento viene accolta solo in parte, le spese legali possono essere compensate integralmente?
No. Secondo la Corte, l’accoglimento anche parziale di una domanda non può giustificare la compensazione integrale delle spese legali. Al massimo, può consentire una compensazione parziale, ma la regola generale resta quella della soccombenza, per cui la parte che ha perso, anche se non su tutta la linea, deve farsi carico delle spese in proporzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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