Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21794 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29563/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentato e difeso dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
e
;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CESENZA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i se- guenti indirizzi di posta elettronica certificata:
e
;
– controricorrente –
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21794 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 144/19, depositata il 2 aprile 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 814 del 4 novembre 2013, confermata sia in appello che in sede di legittimità, il Tribunale di Forlì dichiarò nullo il contratto stipulato il 21 agosto 2002, con cui il Comune di Cesena aveva concesso in uso alla società RAGIONE_SOCIALE un immobile sito in Cesena, alla INDIRIZZO perché fosse ristrutturato e adibito a ristorante, e condannò il Comune al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, rigettando invece la richiesta di riconoscimento di una provvisionale.
La società convenne quindi in giudizio il Comune, per sentir liquidare il danno subìto, ivi compresi i costi sostenuti per la ristrutturazione, la perdita dell’avviamento, il lucro cessante e il danno non patrimoniale, riferendo, in particolare, di non aver potuto fruire del reddito derivante dall’esecuzione della promessa di affitto di azienda stipulata con la società RAGIONE_SOCIALE il 23 ottobre 2009, avente ad oggetto il pubblico esercizio di ristorante avviato nell’immobile.
Si costituì il Comune, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.
2.1. Con sentenza del 16 novembre 2017, il Tribunale di Forlì accolse la domanda, condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 1.166.595,85, oltre interessi, ivi compresi Euro 638.197,43 per costi di ristrutturazione, Euro 298.271,41 per la perdita dell’avviamento ed Euro 50.000,00 per danno non patrimoniale, negando invece il riconoscimento del lucro cessante.
L’impugnazione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Bologna, che con sentenza del 2 aprile 2019 ha rigettato anche l’appello incidentale proposto dal Comune.
Premesso che la mancata impugnazione della prima sentenza, nella parte
in cui aveva escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della provvisionale, ritenendo incerta la concreta attuazione e la remuneratività della promessa di affitto, ne aveva comportato il passaggio in giudicato sul punto, la Corte ha comunque osservato che l’onerosità del canone pattuito per l’affitto, il riconoscimento all’affittuaria della facoltà di recedere in qualsiasi momento, con un preavviso di sei mesi, e la mancata previsione di un’adeguata garanzia per l’adempimento impedivano di formulare una prognosi positiva in ordine all’effettivo andamento ed alla stabilità del rapporto contrattuale, e quindi alla possibilità che lo stesso costituisse un’affidabile fonte di reddito per l’attrice. Ha ritenuto irrilevante, in contrario, l’inclusione di tale fonte di reddito nella stima compiuta dal c.t.u. nominato in primo grado, spettando al Giudice l’accertamento del danno risarcibile, ed essendo la mancata esecuzione della promessa di affitto qualificabile come mera perdita di chance , non specificamente allegata. Ha ritenuto altresì infondate le censure riguardanti la quantificazione del danno non patrimoniale, rilevando che il Tribunale aveva chiaramente indicato i criteri adottati per la liquidazione equitativa, costituiti in particolare dall’incidenza negativa della vicenda sull’immagine dell’attrice, anche in relazione alla segnalazione della stessa alla Centrale dei rischi. Quanto ai costi di ristrutturazione, comprendenti anche quelli sostenuti per i beni mobili, ha ritenuto irrilevante la circostanza che alcuni di essi fossero rimasti nella disponibilità dell’attrice, risultando gli stessi inutilizzabili, ed ha disatteso l’eccezione di compensazione sollevata dal Comune in relazione al credito derivante dal mancato pagamento del canone e dall’omessa manutenzione dell’area limitrofa all’immobile, in considerazione della accertata nullità del contratto. Ha precisato infine che le spese sostenute dalla attrice per aver confidato nella valida conclusione del contratto consistevano nei costi sopportati per la ristrutturazione, escludendo la possibilità di tenere conto del deperimento degl’investimenti effettuati dall’attrice, e ritenendo invece generiche le censure concernenti la perdita dell’avviamento.
Avverso la predetta sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 100, 187, terzo comma, 276, secondo comma, 278 e 279, secondo comma, cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito efficacia di giudicato alla sentenza n. 814 del 2013, relativamente alla remuneratività della promessa di affitto, senza considerare che il rigetto della richiesta di provvisionale era stato determinato da motivi di ordine processuale, rispetto ai quali il riferimento alla mancanza degli elementi necessari per la liquidazione si configurava come un mero obiter dictum . Precisato inoltre che il diniego della provvisionale non implica un giudizio d’insussistenza del danno da ristorare, che attiene all’esame della domanda di condanna generica, sostiene che la sentenza del 2013 non recava alcuna statuizione al riguardo, e non precludeva quindi la risarcibilità del danno cagionato dalla perdita del reddito derivante dall’affitto dell’azienda.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 101 e 115 cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere incerta la perdita del reddito derivante dall’affitto dell’azienda, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’avvenuta dimostrazione della stipulazione di un contratto preliminare con La Poggianina e della genericità dei rilievi sollevati al riguardo dal Comune, ponendo a fondamento della decisione un fatto che quest’ultimo non aveva chiesto di accertare.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione degli artt. 101 e 115 cod. proc. civ., ribadendo che la sentenza impugnata ha valutato di propria iniziativa la possibilità di esecuzione della promessa di affitto, senza che il Comune avesse formulato alcuna allegazione o richiesta istruttoria al riguardo.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver espresso un giudizio prognostico in ordine all’esecuzione ed alla remuneratività della promessa di affitto sulla base di elementi indiziari non pertinenti e comunque privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Sostiene infatti che il canone d’affitto non risultava affatto oneroso, mentre la fideiussione ed il
recesso costituivano elementi accessori fisiologici rispetto al contratto, aggiungendo che dagli atti emergeva l’effettiva volontà di obbligarsi delle parti, mentre non risultava in alcun modo che le stesse avessero mai manifestato insoddisfazione o ripensamenti, che fossero emersi profili d’invalidità o inefficacia del preliminare, o che La Poggianina fosse priva di mezzi.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1218, 1223, 1372 e 2932 cod. civ., rilevando che, nel qualificare la mancata percezione del reddito derivante dall’esecuzione della promessa di affitto come una perdita di chance , configurabile nel caso in cui un soggetto non possa vantare un vero e proprio diritto a conseguire un bene della vita, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’efficacia vincolante del preliminare, avente forza di legge tra le parti ed eseguibile anche in via coattiva, avendo assimilato la posizione della promittente ad una mera aspettativa.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., sostenendo che la qualificazione della mancata percezione del reddito derivante dall’esecuzione della promessa di affitto come perdita di chance non impediva il riconoscimento del danno, sotto il profilo della perdita dell’avviamento o del lucro cessante, non comportando una modificazione dei fatti su cui si fondava la responsabilità del Comune né un mutamento del petitum o della causa petendi della domanda, riconducibile all’art. 1223 cod. civ.
Con il settimo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 cod. civ., osservando che il mancato riconoscimento del danno derivante dalla mancata esecuzione della promessa di vendita, nonostante la qualificazione dello stesso come perdita di chance , ha impedito ad essa ricorrente di ottenere il pieno ristoro del pregiudizio subìto.
Con l’ottavo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1226 e 2059 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto congrua la liquidazione del danno non patrimoniale sulla base di una valutazione atomistica dei fatti accertati, senza considerarli nella loro globalità. Rileva infatti che la Corte territoriale ha conferito rilievo esclusivamente al danno all’immagine, in relazione all’avvenuta segnalazione di essa ricorrente alla Centrale dei rischi, senza tenere adeguatamente conto delle conseguenze
pregiudizievoli della sospensione dell’attività imprenditoriale, della demolizione dell’edificio e dell’escussione della fideiussione da parte del Comune.
Prioritario, rispetto all’esame del primo motivo d’impugnazione, è quello del secondo e del terzo motivo, valutabili congiuntamente, in quanto riflettenti entrambi la mancata contestazione del danno derivante dalla mancata esecuzione della promessa di affitto, ed entrambi infondati.
L’onere della contestazione, ai fini dell’esclusione dell’operatività del principio sancito dall’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., si riferisce infatti esclusivamente alle circostanze di fatto allegate dalle parti a sostegno delle rispettive domande ed eccezioni, e non si estende quindi alla valutazione delle stesse, la quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., ed opera in un momento successivo, avendo ad oggetto tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo, ivi compresi sia quelli allegati e provati dalle parti, sia quelli soltanto allegati da una parte, rispetto ai quali l’altra abbia omesso di prendere posizione in modo chiaro e specifico, come prescritto dall’art. 167 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. VI, 1/02/2019, n. 3126; 21/12/2017, n. 30744). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, nonostante la mancata contestazione dell’avvenuta stipulazione di un contratto preliminare di affitto tra la ricorrente e La COGNOME, avente ad oggetto l’azienda gestita nell’immobile concesso in uso alla prima dal Comune, ha ritenuto non provato che la mancata esecuzione dello stesso, in conseguenza della nullità del contratto di concessione in uso, avesse comportato per l’attrice la perdita di una sicura fonte di reddito, sulla base di un giudizio prognostico fondato sulle condizioni concordate per l’affitto.
Il principio di acquisizione processuale comporta d’altronde, che, ai fini della determinazione dell’esatta entità del danno risarcibile, il giudice possa far riferimento a tutte le risultanze del giudizio, la cui segnalazione ad opera delle parti non si traduce nell’allegazione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo della pretesa risarcitoria azionata, e quindi in un’eccezione rimessa all’iniziativa esclusiva della parte, ma in una sollecitazione all’esercizio di un potere ufficioso del giudice, ovverosia in una mera difesa (cfr. Cass., Sez. lav., 30/07/2004, n. 14667). Inconferente risulta pertanto il richiamo all’ob-
bligo del giudice di stimolare il contraddittorio in ordine alle questioni rilevate d’ufficio, previsto dall’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., il quale si riferisce esclusivamente alle questioni di fatto che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti o alle eccezioni rilevabili d’ufficio, e non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito (cfr. Cass., Sez. lav., 19/05/2016, n. 10353). Non è infine configurabile una la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che può ritenersi sussistente soltanto nel caso in cui il giudice abbia posto l’onere della prova a carico di una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece quando oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia compiuto in ordine alle prove acquisite al processo, la quale è sindacabile in sede di legittimità soltanto nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. V, 15/10/2024, n. 26739; Cass., Sez. VI, 23/10/2018, 26769; Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395).
10. E’ invece inammissibile il quarto motivo, avente ad oggetto la valutazione compiuta in ordine agli elementi sulla base dei quali la sentenza impugnata ha ritenuto insussistente il danno derivante dalla mancata esecuzione del preliminare di affitto.
Com’è noto, infatti, la valutazione dell’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’accertamento della rispondenza di tali fatti ai requisiti di legge spettano in via esclusiva al giudice di merito, il cui apprezzamento e sindacabile in sede di legittimità per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., oppure per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.: ai fini della denuncia di tali vizi, nella specie neppure dedotti, non risulta peraltro sufficiente la prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nella sentenza impugnata, dovendosi far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; deve comunque escludersi che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dar luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, o che tra il fatto noto
e quello ignoto debba sussistere un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, giacché la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (cfr. Cass., Sez. I, 15/09/2023, n. 27266; Cass., Sez. II, 19/07/ 2021, n. 20553; 5/08/ 2021, n. 22366).
11. Sono poi infondati il quinto, il sesto ed il settimo motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti la configurabilità del danno derivante dalla mancata esecuzione del preliminare di affitto come una perdita di chance .
Benvero, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che, in mancanza di elementi idonei a consentire una valutazione dell’affidabilità della prospettiva di guadagno ricollegabile all’affitto dell’azienda, il danno derivante dalla mancata esecuzione della relativa promessa fosse qualificabile come una mera perdita di chance , ontologicamente diversa da quella allegata dall’attrice.
In tema di risarcimento del danno, la differenza esistente tra la perdita di chance e il lucro cessante non è apprezzabile esclusivamente in termini quantitativi, come minore verosimiglianza, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti al processo, della perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo, ma, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale (che non ne ha tratto però le dovute conseguenze ai fini della qualificazione del pregiudizio), ha carattere ontologico, richiedendosi in entrambi i casi la sussistenza di un nesso eziologico tra il pregiudizio e l’evento dannoso, ma configurandosi il lucro cessante come la perdita di un’occasione di guadagno attuale direttamente ricollegabile al fatto illecito, e la perdita di chance come il venir meno della possibilità concreta ed effettiva di conseguire un risultato diverso ed ulteriore, anch’esso economicamente e giuridicamente valutabile, ma d’incerta verificazione (cfr. Cass., Sez. III, 2/09/2022, n. 25886; 26/01/2022, n. 2261; 14/03/2017, n. 6488): un esempio tipico di tale differenza è rappresentato dalla perdita della possibilità di ottenere maggiori guadagni in conseguenza della preclusione di opportunità di lavoro o di studio determinata dal
danno alla salute cagionato da un fatto illecito, la quale non è in alcun modo equiparabile, sotto il profilo concettuale, alla perdita del canone derivante dall’impossibilità di stipulare il contratto definitivo di affitto in conseguenza dell’indisponibilità dell’immobile in cui viene gestita l’azienda, configurandosi quest’ultimo come un pregiudizio immediatamente ricollegabile alla risoluzione del contratto preliminare, ove lo stesso rechi la determinazione delle condizioni economiche dell’affitto.
La perdita di chance si distingue ontologicamente anche da quella dell’avviamento, che si configura anch’essa come un pregiudizio attuale immediatamente ricollegabile all’evento dannoso che determina la disgregazione della azienda, consistendo nel venir meno non già della possibilità di conseguire un risultato favorevole ulteriore attraverso l’esercizio dell’attività produttiva, ma dell’intrinseca ed attuale capacità di profitto della stessa, comunemente definita come una qualità immateriale dell’azienda, da intendersi come idoneità del complesso aziendale a consentire il conseguimento di risultati economici diversi e migliori di quelli che potrebbero essere ottenuti mediante l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono (cfr. Cass., Sez. I, 2/08/ 1995, n. 8470).
11.1. Nella specie, tuttavia, il riferimento alla tardiva allegazione di una perdita di chance da parte dell’attrice si configura come un’argomentazione svolta ad abundantiam , e quindi concretamente ininfluente sulla decisione adottata dalla Corte d’appello, la quale ha giustificato il rigetto della domanda di risarcimento del danno derivante dall’impossibilità di adempiere il preliminare di affitto dell’azienda sulla base di una valutazione riguardante le concrete possibilità di una fruttuosa esecuzione del contratto definitivo, alla stregua delle condizioni concordate con La Poggianina, sicché le censure proposte in ordine alla qualificazione della fattispecie non attingono la ratio decidendi della sentenza impugnata. L’esclusione della sussistenza del predetto pregiudizio, indipendentemente dalla sua qualificazione come perdita di chance , anziché come lucro cessante o perdita dell’avviamento, consente inoltre di ritenere insussistente un’omissione di pronuncia, configurabile soltanto nel caso in cui manchi totalmente qualsiasi decisione su di un capo di domanda, per tale intendendosi ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in
concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Cass., Sez. VI, 16/07/2018, n. 18797; 27/11/2017, n. 28308).
Nel censurare la predetta statuizione, la ricorrente si limita infine a lamentare la violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 cod. civ., senza curarsi di confutare le argomentazioni sulla base delle quali la Corte di merito è pervenuta ad escludere il pregiudizio in questione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logicoformale delle stesse, nei limiti in cui le anomalie motivazionali sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).
12. Il rigetto delle predette censure comporta la dichiarazione d’inammissibilità del primo motivo, anch’esso riguardante il rigetto della domanda di riconoscimento del danno derivante dalla mancata esecuzione del contratto preliminare di affitto.
A fondamento di tale decisione, la Corte d’appello ha infatti addotto tre distinti ordini di considerazioni, configurabili come altrettante rationes decidendi , e consistenti rispettivamente nella preclusione derivante dal giudicato interno formatosi in ordine all’insussistenza del danno, a seguito del rigetto, da parte della sentenza n. 814 del 2013, della domanda di liquidazione di una provvisionale proposta dalla ricorrente nel precedente giudizio, nella ritenuta incertezza delle prospettive di effettiva concretizzazione del preliminare, e nella tardiva allegazione del danno da perdita di chance .
Trova pertanto applicazione il principio, costantemente ribadito dalla giu-
risprudenza di legittimità, secondo cui, ove, come nella specie, il provvedimento impugnato sia sorretto da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad alcune di esse ne comporta il passaggio in giudicato, rendendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, il cui accoglimento non potrebbe in alcun caso condurre all’annullamento della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. III, 26/02/2024, n. 5102; 14/02/2012, n. 2108; Cass., Sez. V, 11/05/2018, n. 11493).
E’ infine inammissibile l’ottavo motivo, concernente la liquidazione del danno non patrimoniale.
Come riconosce la stessa ricorrente, nel confermare la liquidazione risultante dalla sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha richiamato la valutazione compiuta dal Tribunale, il quale aveva preso in considerazione tutti gli elementi da essa addotti, conferendo particolare rilievo al danno all’immagine derivante dalla segnalazione alla Centrale dei Rischi. Tale apprezzamento si pone perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di liquidazione del danno non patrimoniale con criterio equitativo, il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata (cfr. Cass., Sez. III, 10/11/2015, n. 22885; 29/09/2005, n. 19148; 14/10/2004, n. 20283).
Le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata non possono ritenersi validamente censurate dalla ricorrente, la quale, nel lamentare la valutazione atomistica degli elementi presi in esame, non considera che, in quanto concernente un apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice di merito, il predetto vizio non è deducibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., ma ai sensi del n. 5 della medesima disposizione, nella specie peraltro non utilmente invocabile, ai sensi dell’art. 348ter cod. proc. civ., avendo la sentenza impugnata deciso in senso conforme a quella
di primo grado.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 12/03/2025