Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20754 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20754 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19473/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1493/2021 depositata il 18/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 19 luglio 2021 RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione della sentenza n. 1493/2021 della Corte d’Appello di Venezia, depositata in data 18.05.2021, emessa nei confronti di NOME COGNOME in relazione a un contratto di locazione finanziaria stipulato inter partes il 28.04.2005, risoltosi di diritto per inadempimento dell’utilizzatore. L’intimato COGNOME ha notificato controricorso.
Il giudice di primo grado, dopo avere constatato che l’utilizzatore COGNOME aveva pagato fino a marzo 2014 la somma di € 285.857,58 oltre IVA, aveva ritenuto che l’utilizzatore fosse tenuto, oltre alla restituzione dell’imbarcazione, al pagamento dei canoni scaduti prima della risoluzione del contratto pari a € 9.762,34 e alla penale contrattuale, posto che l’imbarcazione, del valore di acquisto pari a € 310.000,00 oltre IVA, non era stata restituita, somma cui dovevano aggiungersi gli interessi maturati dalla risoluzione del contratto fino al saldo. Respingeva per l’effetto le domande del COGNOME di rilevare la nullità dei patti sugli interessi e sulla clausola risolutiva espressa per mancanza di specifica approvazione e di dichiarare non meritevole di tutela la penale o di ridurla ad equità, posto che la imbarcazione
non era stata restituita; escludeva la natura usuraia degli interessi; in particolare, assumeva che la norma di cui all’articolo 1526, comma due, c.c., non potesse essere applicata stante la mancata restituzione del bene e condannava l’utilizzatore al pagamento dei canoni scaduti e non pagati, oltre alla penale di € 92.411,92, escludendone la riduzione ad equità.
Per quanto ancora di interesse, la Corte di merito, ritenendo fondato il primo motivo d’appello di COGNOME (avente ad oggetto la validità della clausola n. 10 del contratto di leasing , concernente la penale per la risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore), sulla base dell’esito della CTU acquisita nel giudizio di secondo grado, e preso atto della avvenuta restituzione coattiva dell’imbarcazione oggetto del contratto di leasing , in riforma della sentenza di primo grado, in applicazione dell’art. 1526 , co. 2, c.c. condannava RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di € 200.303,29, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, quale somma dallo stesso indebitamente versata in forza del contratto di leasing del 28.04.2005, oltre alla rifusione delle spese. In particolare, sulla base di una CTU acquisita nel corso del giudizio rideterminava in euro € 95.000,00 il valore di mercato del bene restituito, in € 71.920,12 il valore del danno da inadempimento ai sensi dell’articolo 10 delle condizioni generali del contratto -la penale- (risultante dalla differenza tra il valore del prezzo di 93.000,00 pattuito per l’opzione di acquisto finale e l’importo di € 20.491,80 ottenuto per la vendita del bene), cui dovevano aggiungersi € 24.930,52 per danno da conversione/risoluzione al 30.6.2014, nonché le spese per recupero del bene in forma coattiva, conservazione e stima del bene, pari a € 7.677,80 IVA inclusa e i canoni a scadere pari a € 9.762,34 IVA inclusa, per un totale di euro 114.290,76.
Avendo l’utilizzatore versato i canoni per € 285.857,00, Iva esclusa, pari a € 314.594,07 IVA inclusa, la Corte di merito considerava che il medesimo aveva diritto a vedersi riconoscere dalla concedente la differenza tra i due importi ( somme versate a titolo di rate pari a € 314.594,07, IVA inclusa, e somma dovuta per il godimento del bene, spese e penale pari a € 114.290,76, IVA inclusa), pari a € 200.303,29 inclusa IVA, oltre interessi legali dal dovuto al saldo.
Motivi della decisione
Con il primo motivo ex articolo 360 1 comma, n. 4/3 cod. proc. civ. la società concedente -ricorrentedenunzia violazione dell’articolo 132 numero 4 cpc per apparente motivazione nella parte in cui la Corte d’appello, senza in alcun modo analizzare l’articolo 10 delle condizioni generali di contratto, ha ritenuto di applicare l’articolo 1526, 2° co., c.c.
Con il secondo motivo denuncia ex articolo 360 numeri 3 e 4 cod. proc.civ. nella parte in cui la sentenza della Corte d’appello, affermando di applicare gli articoli 1526 c.c. secondo comma e l’articolo 1384 c.c., lo ha fatto solo apparentemente o comunque ne ha fatto un’errata applicazione.
Con il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ex articolo 360 numero 5 cod.proc.civ., in punto di quantum anche sotto il profilo del credito della banca, avendo la Corte di merito omesso di considerare il valore del bene all’epoca della vendita, stimato dal perito in circa € 90.000, ma in realtà ceduto per la somma di € 25.000,00/€ 20.000,00 come risulterebbe dalla prima e terza vendita dopo la riconsegna dell’imbarcazione, posto che la seconda vendita intermedia sarebbe stata realizzata a prezzi fuori mercato. Le stesse censure sono mosse in ordine alle richieste avanzate per interessi di mora di cui si obietta l’impossibilità, asserita dalla Corte d’appello, di confermare i conteggi, nonostante risultino su
poste contrattuali facilmente ricostruibili; inoltre si deduce che dal CTU non sono state calcolate le spese della fase monitoria che risultano nel precetto pari a € 4.193, 54, cui vanno aggiunti € 84,37 € per spese vive relative alla fase esecutiva, oltre ai relativi compensi professionali che porterebbero a una complessiva spesa di € 29.114,55 per il recupero del bene in executivis . Detraendo da quanto ricavato dalla vendita € 25.000, l’ammontare dei canoni scaduti e non pagati € 9.762,34, il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale pari a euro 93.000 oltre iva, le spese relative al recupero del bene pari a euro € 29.114,55, il residuo credito in favore della concedente sarebbe di euro € 127.336,89 al quale vanno aggiunti gli interessi di mora euro 2.966,34, l’indicizzazione in euro 37.537,95 e il rischio cambio di € 24.908,42, detratto l’importo della nota di accredito come da estratto conto e fatture dimesse. Il credito complessivo della concedente sarebbe di € 183.496,28, assumendo la ricorrente che le censure ai conteggi della CTU erano specifiche e dettagliate e su di esse il giudice era tenuto a pronunciarsi, mentre la Corte d’appello, oltre a ritenere di poter ridurre ad equità la penale non avrebbe tenuto conto delle specifiche critiche mosse all’elaborato tecnico soprattutto sul tema del valore del bene , sugli interessi di mora e le spese legali per affrontare il recupero coattivo della barca, ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi pari a € 183.496,28.
I motivi, vertendo sulla medesima questione vista sotto diversi profili di nullità della sentenza, possono essere congiuntamente esaminati.
Le censure sono inammissibili in quanto non si confrontano adeguatamente con la ratio della sentenza e con le compiute ragioni del decidere in essa rappresentate.
Va preliminarmente rilevato che il primo e il secondo motivo lamentano una motivazione apparente della sentenza d’appello per omesso esame dell’articolo 10 delle condizioni generali di contratto ovvero la violazione di legge per la errata applicazione dell’articolo 1526 c.c.
Quanto al primo motivo si osserva che la sentenza gravata non omette di motivare sull’articolo 10 del contratto, dimostrandosi del tutto soddisfacente sotto il profilo del rispetto del principio del ‘minimo costituzionale’ indicato dalla nota sentenza n. 8054/2014 delle SU della Suprema Corte in tema di apparenza di motivazione, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di ‘sufficienza’, nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili’, nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’.
Ed invero, la Corte d’appello si è soffermata sull’analisi della clausola contrattuale evidenziando la eccessiva sproporzione tra le prestazioni alla stregua di una valutazione comparativa delle stesse in esplicazione dei propri poteri ( evocando il precedente Cass. n. 8470 del 2020 ) e facendo applicazione analogica dell’articolo 1526 c.c. in relazione a contratto di leasing ( il cui carattere traslativo non è in contestazione ) stipulato anteriormente alla L. n. 124 del 2017, in conformità a quanto statuito di recente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza numero 2061 del 2021 (sancendo, così, l’obbligo di restituzione, da parte del concedente, delle rate versate e la contestuale corresponsione, da parte dell’utilizzatore, di un equo
compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d’uso, oltre al risarcimento del danno).
Quanto al secondo motivo, in parte sovrapponibile al precedente, va osservato che la corte di merito ha applicato analogicamente la disposizione di cui all’art. 1526, 2° co., c.c. pervenendo a ridurre la penale contrattualmente prevista e a determina re un’ equa indennità dovuta dell’utilizzatore rimasto inadempiente in favore della concedente per l’utilizzazione del bene, includendovi le spese per come documentate e stimate dal perito, il corrispettivo incassato dalla vendita del bene, nonché il prezzo pattuito per l’opzione finale, il tutto comprensivo di IVA per rendere i valori omogenei.
La censura, in particolare, si fonda sull’erroneo assunto che la corte d’appello abbia condannato la banca alla restituzione dei canoni già riscossi, mentre la condanna è riferita alla restituzione delle somme indebitamente versate dall’utilizzatore in forza di un contratto con finalità traslative che, essendosi risolto in via anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, a d insindacabile giudizio del giudice di merito, una volta restituito il bene al legittimo proprietario (la concedente) doveva vedere ridotta ad equità la penale contrattuale prevedente il diritto del concedente a trattenere i canoni versati, e ciò al fine di ripristinare l’equilibrio sinallagmatico e di corrispondere alla concedente un’equa indennità per l’uso e il godimento del bene usufruito dall’utilizzatore fino alla riconsegna del medesimo, oltre al rimborso delle spese sopportate, come previsto nell’art. 1526, co.2, c.c. da applicarsi analogicamente (cfr. Cass., Sez. III, 18287/2010; Cass. SU 2061/2021; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7367 del 14/03/2023; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16632 del 12/06/2023).
Il terzo motivo è del pari inammissibile, in quanto sostanzialmente volto a richiedere una rivalutazione delle
emergenze processuali e probatorie ( in particolare delle risultanze dell’espletata CTU ) nonché del merito finalizzata a una diversa determinazione del quantum dovuto a titolo di indennizzo e di interessi.
I motivi si appalesano altresì non correlati alla motivazione, resa con argomentazioni sufficienti e coerenti a sostegno della corretta applicazione dei principi di diritto che governano i contratti di leasing , pertanto impingendo nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione; l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente COGNOME, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 8.200,00, di cui € 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29/04/2024.