Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21426 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21426 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
Oggetto: leasing
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25431/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dellAVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1859/2019, depositata il 30 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
– la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, depositata il 30 dicembre 2019, di reiezione del suo appello per la riforma dell’ordinanza del locale Tribunale che aveva dichiarato l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto di locazione finanziaria concluso con la RAGIONE_SOCIALE (poi, RAGIONE_SOCIALE), ordinato alla medesima RAGIONE_SOCIALE il rilascio del compendio immobiliare oggetto del contratto libero da persone e cose entro la data del 29 febbraio 2017 e respinto le domande riconvenzionali dalla stessa formulate;
– la Corte di appello ha disatteso il gravame della società evidenziando, in particolare, che: correttamente il giudice di prime cure aveva escluso che il giudizio fosse sottoposto alla condizione di procedibilità di cui all’art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28; non ricorreva il dedotto vizio di nullità del contratto per difetto del requisito formale, né il carattere vessatorio delle clausole n. 7, 10 e 20; infondata era la domanda della società, fatta valere in via riconvenzionale, avente a oggetto la determi nazione dell’esatto ammontare del credito della concedente, atteso che le parti avevano convenuto, con la predetta clausola n. 20, il diritto della concedente medesima di trattenere i canoni già percepiti sino alla risoluzione del contratto, fatto salvo lo scomputo di un importo pari al ricavato della vendita dell’immobile o della rilocazione in leasing dello stesso a un terzo ovvero, in assenza, al valore commerciale dell’immobile, per cui la determinazione dell’ammontare dell’importo da corrispondere all’ utilizzatore poteva compiersi solo all’esito dalla riconsegna dell’immobile da parte dell’utilizzatore medesimo ;
il ricorso è affidato a due motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE;
la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363, 1370, 1383, 1385 e 1526 cod. civ., per aver la sentenza impugnata omesso di interpretare la clausola n. 20.3 del contratto nel senso, rispondente al criterio della comune intenzione delle parti, dell’interpretazione sistematica e di quello contro l’autore della stipulazione, per cui la finalità perseguita dai contraenti era non solo la concessione del godimento del bene mediante il pagamento delle rate pattuite, ma anche, al termine del piano dei pagamenti stabiliti, il trasferimento del bene all’utilizzatore dietro pagamento del prezzo di riscatto qualora questi avesse inteso esercitare la relativa opzione;
sottolinea che la corretta interpretazione della clausola avrebbe consentito al giudice di merito di rilevarne la nullità per difformità del suo contenuto da quello di cui all’art. 1526 cod. civ. e, comunque, per indebito cumulo del pagamento della penale e del corrispettivo contrattuale;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1384 e 1526 cod. civ., per aver la Corte territoriale omesso di considerare che la clausola in contestazione concretizzava la violazione dell’art. 1383 cod. civ., consentendo al creditore di ottenere sia la prestazione principale sia la penale per l’inadempimento;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la Corte di appello, pronunciandosi sul motivo di gravame avente ad oggetto la dedotta nullità della clausola 20 del contratto di leasing prospettata per violazione dell’art. 15 26 cod. civ., ha rilevato che tale clausola prevedeva, a titolo di penale, il diritto del concedente al pagamento dei canoni scaduti alla data di risoluzione del contratto e, riconoscendo lo scomputo da tale somma di un importo pari al ricavato della vendita dell’immobile o della rilocazione in leasing dello stesso a un terzo ovvero, in assenza, al valore commerciale dell’immobile ,
realizzava una finalità risarcitoria, ponendo il concedente medesimo in una situazione patrimoniale equivalente a quella che avrebbe conseguito dalla regolare esecuzione del contratto, per cui doveva escludersi che tale penale fosse manifestamente eccessiva;
la ricorrente contesta l’interpretazione della clausola offerta dal giudice di merito, nella parte in cui non avrebbe considerato che la stessa consentiva, al concedente, di chiedere, alla risoluzione del contratto, non solo il pagamento delle rate non scadute e non pagate, ma anche, congiuntamente e non alternativamente, il prezzo di riscatto nel bene, le rate a scadere e i danni sofferti;
-tale contestazione, tuttavia, appare priva della necessaria concludenza, non risultando che il concedente abbia agito anche per la tutela di tali ulteriori diritti, e, comunque, si risolve nella mera contrapposizione dell’interpretazione della ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata e, dunque, in una critica dell’accertamento del contenuto del contratto che è riservato al giudice di merito (cfr. Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319);
può, in ogni caso, evidenziarsi che, come riferito in precedenza, la Corte di appello ha interpretato la contestata clausola nel senso che riconosceva alla concedente , oltre alla restituzione dell’immobile concesso, il diritto ai canoni scaduti alla data di risoluzione del contratto, fatto salvo lo scomputo di un importo pari al ricavato della vendita dell’immobile o della rilocazione in leasing dello stesso a un terzo ovvero, in assenza, al valore commerciale dell’immobile, e ritenuto che tale clausola fosse valida, risolvendosi nella fissazione di una penale contrattuale non manifestamente eccessiva;
la ritenuta validità di siffatta clausola risulta in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che ritiene coerente con la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 1526 cod. civ. -e, in quanto tale, non manifestamente eccessiva -la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni
riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito o dalla rilocazione in leasing dello stesso a un terzo ovvero, in assenza, del valore commerciale dell’immobile (cfr. Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2021, n. 2061; in seguito, Cass. 30 marzo 2022, n. 10249; Cass. 12 giugno 2023, n. 16632);
con la memoria depositata parte ricorrente allega che il contratto in oggetto è stato risolto in data antecedente all’entrata in vigore della l . 4 agosto 2017, n. 124, per cui allo stesso sarebbe applicabile la disciplina introdotta dalla predetta legge atteso che gli effetti dello stesso non si sono ancora esauriti e sono ancora sub iudice ;
orbene, premesso che in tema di leasing finanziario, la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, l.n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa (così, la richiamata Cass., Sez. Un., n. 2061 del 2021), si osserva che, in ogni caso, la deduzione della ricorrente non è concludente, atteso che il contenuto della controversa clausola, così come accertato dal giudice di appello, risulta coerente con la previsione dell’art. 1, comma 138, l.n. 124 del 2017, prevedendo l’obbligo del concedente, a fronte del suo diritto a trattenere i canoni scaduti e riscossi, di versare all’utilizzatore l’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito o dalla rilocazione in leasing dello stesso a un terzo ovvero, in assenza, del valore commerciale dell’immobile ;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano, in
complessivi euro 5.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 31 maggio 2024.