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Penale leasing: la clausola è valida se c’è scomputo

Una società utilizzatrice di un bene in leasing si opponeva alla clausola penale applicata dopo la risoluzione del contratto per inadempimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la penale leasing è legittima se prevede la deduzione, dalle somme dovute dall’utilizzatore, dell’importo ricavato dalla vendita o riallocazione del bene. Questo meccanismo di scomputo garantisce che la penale abbia una finalità risarcitoria e non sia manifestamente eccessiva, allineandosi ai principi di equità contrattuale.

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Penale Leasing: La Cassazione Conferma la Validità della Clausola con Scomputo del Valore del Bene

La gestione della risoluzione di un contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore è una questione complessa, soprattutto riguardo la legittimità della penale leasing. Con l’ordinanza n. 21426 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su questo tema, offrendo chiarimenti cruciali sulla validità delle clausole penali che prevedono un meccanismo di scomputo del valore del bene recuperato. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a bilanciare la tutela del concedente con la necessità di evitare un ingiusto arricchimento ai danni dell’utilizzatore.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore del leasing finanziario aveva ottenuto la risoluzione di diritto di un contratto a causa dell’inadempimento della società utilizzatrice. Il Tribunale di primo grado aveva non solo confermato la risoluzione e ordinato la restituzione dell’immobile, ma aveva anche respinto le domande riconvenzionali dell’utilizzatore, che contestava la validità della clausola penale prevista dal contratto.

La società utilizzatrice aveva impugnato la decisione davanti alla Corte d’Appello, la quale, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado. Secondo i giudici d’appello, la clausola penale (nello specifico, la clausola 20 del contratto) non era da considerarsi nulla né vessatoria. Essa prevedeva il diritto del concedente di trattenere i canoni già percepiti e di esigere quelli scaduti fino alla data della risoluzione, ma stabiliva anche un correttivo fondamentale: lo scomputo di un importo pari al ricavato della vendita dell’immobile o della sua rilocazione a un terzo. In assenza di ciò, si sarebbe dovuto considerare il valore commerciale del bene. Questa previsione, secondo la Corte territoriale, rendeva la penale non manifestamente eccessiva.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Insoddisfatta, la società utilizzatrice ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Errata interpretazione della clausola: La ricorrente sosteneva che la clausola fosse stata interpretata erroneamente, violando diverse norme del codice civile (artt. 1362, 1363, 1370, 1383, 1385 e 1526). A suo dire, la clausola permetteva un indebito cumulo tra la penale e il corrispettivo contrattuale, portando a una nullità per difformità rispetto all’art. 1526 c.c.
2. Violazione del divieto di cumulo: Con il secondo motivo, si deduceva la violazione degli artt. 1384 e 1526 c.c., poiché la clausola avrebbe consentito al creditore di ottenere sia la prestazione principale sia la penale per l’inadempimento, in violazione del principio stabilito dall’art. 1383 c.c.

In sostanza, l’utilizzatore lamentava che la struttura della penale leasing fosse eccessivamente punitiva e squilibrata a favore del concedente.

La Validità della Penale Leasing secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando la validità dell’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito che la valutazione del contenuto di una clausola contrattuale è un’attività riservata al giudice di merito e non può essere oggetto di una nuova valutazione in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici che in questo caso non sono stati riscontrati.

Il fulcro della decisione risiede nella natura della clausola contestata. La Corte ha riconosciuto che la clausola, pur prevedendo il diritto del concedente di trattenere i canoni e richiedere quelli scaduti, realizzava una finalità risarcitoria equilibrata. Il meccanismo di scomputo del valore ricavato dalla vendita o rilocazione del bene (o del suo valore commerciale) era la chiave di volta per escludere che la penale fosse “manifestamente eccessiva”.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse le Sezioni Unite (sent. n. 2061/2021). La clausola in esame è stata ritenuta coerente con la previsione del secondo comma dell’art. 1526 c.c., che consente al giudice di stabilire un equo compenso per l’uso della cosa. La previsione dello scomputo garantisce che il concedente venga posto in una situazione patrimoniale equivalente a quella che avrebbe avuto con la regolare esecuzione del contratto, senza però ottenere un arricchimento ingiustificato.

La Corte ha inoltre affrontato la questione dell’applicabilità della Legge n. 124/2017, sollevata dalla ricorrente in una memoria successiva. Pur ribadendo che tale legge non ha efficacia retroattiva e si applica solo alle risoluzioni avvenute dopo la sua entrata in vigore, i giudici hanno osservato che il contenuto della clausola contrattuale era, di fatto, già allineato ai principi sanciti dalla nuova normativa (in particolare, l’art. 1, comma 138). Anche la legge del 2017, infatti, prevede un meccanismo analogo di recupero del bene e deduzione del valore ricavato dalla vendita o ri-locazione.

Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché la contestazione della ricorrente si risolveva in una mera contrapposizione interpretativa rispetto a quella, ben motivata, del giudice di merito.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre un’importante lezione pratica per operatori e utilizzatori nel settore del leasing. Una penale leasing non è di per sé nulla o vessatoria. La sua validità dipende dalla sua struttura e dalla sua capacità di bilanciare gli interessi delle parti. Il criterio decisivo è la presenza di un meccanismo di “scomputo” che neutralizzi il rischio di un ingiusto profitto per il concedente. La clausola è legittima se, al netto della restituzione del bene, garantisce al concedente il recupero del suo investimento e del mancato guadagno, ma al contempo obbliga a restituire all’utilizzatore l’eventuale eccedenza derivante dalla valorizzazione del bene recuperato. Questo principio di equità contrattuale è ormai un punto fermo della giurisprudenza di legittimità.

Una clausola penale in un contratto di leasing è sempre valida in caso di risoluzione per inadempimento?
No, non sempre. La sua validità dipende dalla sua struttura. Secondo la Cassazione, la clausola è valida se ha una finalità risarcitoria e non punitiva, e se non risulta “manifestamente eccessiva”. Un elemento chiave per garantirne la validità è la previsione di un meccanismo che scomputi, dalle somme dovute dall’utilizzatore, il valore ricavato dalla vendita o dalla rilocazione del bene restituito.

Cosa significa che la penale non deve essere “manifestamente eccessiva”?
Significa che l’importo della penale non deve portare a un ingiusto arricchimento del creditore (la società di leasing) a danno del debitore (l’utilizzatore). La penale deve mirare a ripristinare la situazione patrimoniale che il creditore avrebbe avuto se il contratto fosse stato eseguito regolarmente, ma non deve andare oltre. La deduzione del valore del bene recuperato è il meccanismo che, secondo la giurisprudenza, assicura questo equilibrio.

La legge sul leasing (L. 124/2017) si applica ai contratti risolti prima della sua entrata in vigore?
No. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite, ha confermato che la disciplina introdotta dalla Legge n. 124/2017 non ha efficacia retroattiva. Pertanto, si applica solo alle risoluzioni contrattuali i cui presupposti si sono verificati dopo la sua entrata in vigore. Tuttavia, la Corte ha sottolineato che i principi di tale legge sono coerenti con l’orientamento giurisprudenziale precedente in materia di equilibrio contrattuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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