Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6902 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 6902  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1680/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE ,  in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore ed elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO,  presso  lo studio  dell’avvocato  COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME che l a  rappresenta  e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Ministro pro tempore,
Oggetto: pubblico
Appalto
R.G.N. 1680/2020
Ud. 13 febbraio 2025
CC
RAGIONE_SOCIALE IN RAGIONE_SOCIALE , in
persona del legale rappresentante pro tempore entrambi  domiciliati ope  legis in  INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende
-controricorrenti –
avverso  la  sentenza  della  CORTE  D’APPELLO  ROMA  n.  3686/2019 depositata il 31/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
 Con  sentenza  n.  3686/2019,  pubblicata  in  data  31  maggio 2019 ,  la  Corte  d’appello  di  Roma,  nella  regolare  costituzione  degli appellati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ha respinto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3874/2016, pubblicata in data 24 febbraio 2016.
RAGIONE_SOCIALE aveva adito il Tribunale di Roma chiedendo la condanna  delle  due  Amministrazioni  –  ciascuna  per  quanto  di  sua ragione e spettanza -alla  corresponsione  delle somme trattenute a titolo di penale (€ 55.071,62; € 17.463,07 ed € 18.135,00), applicate a fronte di contestati inadempimenti relativi ad un contratto avente ad oggetto la fornitura di prodotti ortofrutticoli alle mense scolastiche.
Gli inadempimenti contestati si sostanziavano: nell’aver somministrato  frutta  fuori  stagione,  difformemente  dalle  previsioni contrattuali; nella mancata distribuzione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE scuole; nel
mancato rispetto  delle  modalità  di  confezionamento,  imballaggio  ed etichettatura dei prodotti.
In subordine, la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la riduzione di dette penali, deducendone l’ammontare eccessivo.
Costituitesi regolarmente le Amministrazioni, il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda, rilevando -in sintesi -che la somministrazione della frutta fuori stagione non era mai stata autorizzata; che le deduzioni della società attrice risultavano del tutto generiche e quindi inidonee a distinguere tra l’ipotesi di consegne di prodotti difformi dal contratto e le ipotesi di consegne non autorizzate; che generiche ed indimostrate erano le deduzioni dell’attrice in ordine alla non gravità e non imputabil ità dell’inadempimento; che il numero e la tipologia delle violazioni del contratto oggetto di contestazione e la loro incidenza sul sinallagma contrattuale valevano ad escludere la sussistenza dei presupposti per procedere alla riduzione delle penali.
 La  Corte  d’appello  di  Roma  ha  disatteso  i  cinque  motivi  di gravame formulati dall’odierna ricorrente osservando, in sintesi, che:
-la  mancata  applicazione  della  penale  da  parte  della  stazione appaltante in relazione ad una diversa ipotesi di inadempimento (sostituzione di un tipo di frutta con altra) non costituiva fattore tale  da  giustificare  l’annullamento  della penale  irrogata  per l’inadempimento connesso alla fornitura di frutta fuori stagione, considerato anche il fatto che nel primo caso -quello in cui la penale  non  era  stata  applicata -la frutta sostituita era comunque “di stagione”;
-in  relazione  alla  mancanza  di  autorizzazione  alla  fornitura  di frutta  fuori  stagione,  era  irrilevante  che  le  Amministrazioni fossero  o  meno  state  informate  delle  giustificazioni  fomite dall’appaltatrice, rilevando unicamente il fatto che la fornitura –
pacificamente -non era stata autorizzata, risultando ininfluenti e comunque non dimostrate le giustificazioni addotte dall’appellante al fine di dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento;
-quanto alla penale applicata in relazione alla quantità di prodotti imballati od etichettati in modo  difforme alle previsioni contrattuali,  risultava  preclusa  ogni  valutazione  in  ordine  alla illegittimità della penale medesima, in assenza di dati specifici;
-il motivo di gravame relativo al rigetto della  domanda subordinata di riduzione delle penali risultava totalmente generico, non essendo stati chiariti né quali elementi il primo giudice avesse omesso di considerare né le circostanze sulla cui base si sarebbero dovute ritenere le penali contrattuali sproporzionate o irragionevoli, risultando in tal modo assenti i presupposti per poter esercitare d’ufficio il potere di riduzione di cui all’art. 1384 c.c.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resistono  con  unico  controricorso  RAGIONE_SOCIALE  e  RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1.  Il  primo  motivo  di  ricorso  è,  testualmente,  rubricato: ‘ Violazione dell’art. 112 e.p.c. per omessa pronunzia con riferimento all’art.  360  e.p.c.,  comma  1,  n.  4,  ovvero  subordinatamente  per omesso esame e motivazione ex art. 360 c.p.c. co. 1 n. 5, in ordine al
primo motivo di appello del punto sub. C) e relativo all’annullamento delle connesse e conseguenti penalità relative alla mancata consegna RAGIONE_SOCIALE scuole del prodotto susine per €. 5.054,34. I l  tutto  per effetto della  annullata  sanzione  di  cui  al  punto  sub.  A)  delle  premesse dell’appello ‘ .
Deduce  la  ricorrente  che  la  Corte  d’appello  di  Roma  avrebbe omesso di statuire su un punto – primo punto sub. C) – dell’atto di appello, concernente l’annullamento ‘ della sanzione relative alle susine per € 5.054,34, per effetto della annullata sanzione di cui al punto sub. A) delle premesse dell’appello ‘ .
Riferisce, infatti, la ricorrente di avere evidenziato nel proprio gravame che il RAGIONE_SOCIALE aveva annullato le penalità relative alla intervenuta sostituzione di tipologie di frutta, procedendo alla riduzione della relativa penale, senza tuttavia tenere conto ‘dell’ulteriore e successivo accoglimento dell’annullamento delle penalità relative alla consegna delle susine così come sostituite dalle nettarine (…) per effetto del successivo provvedimento di cui alla lettera di comunicazione dell’esito del riesame delle sanzioni, Prot. 0025757 del 12/12/2011 del MIPAAF. Di tal ché le sanzioni relative alla mancata consegna delle susine sostituite dalle nettarine, e nonostante il provvedimento di annullamento, non sono state giammai annullate ed il relativo importo giammai è stato corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE‘ .
Tale circostanza sarebbe stata oggetto di motivo di appello col quale  sarebbe  stato  chiesto  l’annullamento  sia  delle  penali  per  la mancata consegna delle susine sia delle penali ‘tra di loro strettamente connessei e conseguenti relative ad altri prodotti (arance e pere). non oggetto  di  alcun  diretto  provvedimento  di  accoglimento (…)’ ,  e  sul quale  la  Corte  d’appello  non  avrebbe  statuito,  incorrendo  nella
violazione  dell’art.  112  c.p.c.  o,  in  subordine,  nell’omesso  esame  di fatto decisivo.
1.2.  Il  secondo  motivo  di  ricorso  è,  testualmente,  rubricato: ‘Violazione di cui all’art. 360 c.p.c. co. 1 n. 5, per omesso esame e stante l’assoluta omessa motivazione con riferimento a fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ed oggetto dei punti di impugnazione di seguito riportati, in ordine al:
motivo di cui al punto sub. B) dell’appello per l’annullamento delle sanzioni per €. 55.071,62= per le fuori stagionalità di un residuo quantitativo di pere e arance;
secondo motivo di appello di cui al punto sub. C) dell’appello e relativo all’annullamento delle connesse e conseguenti penalità relative alla mancata consegna RAGIONE_SOCIALE scuole di residui quantitativi di pere ed arance per €. 12.408,73 (al netto delle sanzio ni relative alle susine di cui al punto sub. 1 del presente ricorso per € 5.054,34);
terzo motivo di appello di cui al punto sub. D) dell’appello e relativo all’annullamento delle connesse e conseguenti penalità relative al mancato rispetto delle modalità di confezionamento, imballaggio ed etichettatura per un totale di €. 18.135,00′
Deduce la ricorrente che la Corte territoriale si sarebbe ‘limitata ad una stringata, sommaria e del tutto generica spiegazione motivazionale del rigetto dell’appello, senza tuttavia entrare nel merito delle ampie ed articolate impugnazioni rese dall’appellante’ , omettendo di esaminare una serie di fatti che sarebbero decisivi, e che la ricorrente individua analiticamente.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso, sollevata dalle controricorrenti.
Risulta, infatti, disponibile in atti il messaggio di notifica a mezzo EMAIL del ricorso, dal cui esame emerge che il ricorso è stato notificato
in data 31 dicembre 2019, alle ore 14.27 e quindi nell’ultimo giorno del termine  lungo  di  cui  all’art.  327  c.p.c.,  a  fronte  del  deposito  della sentenza impugnata in data 31 maggio 2019
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, sotto plurimi motivi. In primo luogo, quanto alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., si deve osservare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2016 , trova applicazione il disposto di cui all’art. 348ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
In secondo luogo, questa Corte deve ribadire il principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto – che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma – e del vizio di motivazione – che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
Ciò in quanto l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e al merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle
ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
Nella specie, il motivo di ricorso viene a formulare una serie di deduzioni RAGIONE_SOCIALE quali il profilo giuridico viene a mescolarsi con profili in fatto, sostanzialmente veicolando, tramite la denuncia della violazione di legge, quelle che invece appaiono come vere e proprie censure al merito della decisione, come ben evidenziato dal reiterato riferimento ad aspetti fattuali che esulano dallo specifico ambito dell’individuazione del corretto governo delle norme di diritto, traducendosi in un indiretto -ma inammissibile -sindacato del merito della decisione.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
La declaratoria di inammissibilità del motivo non esime, peraltro, questa Corte dal rammentare, in linea generale, il principio per cui, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, con la conseguenza che tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018) e dall’osservare , nello specifico, che nel caso in esame è agevole osservare il complessivo impianto della decisione risulta incompatibile con l’accoglimento anche solo parziale del motivo di gravame formulato dalla ricorrente.
 Sotto  plurimi  motivi  risulta  inammissibile  anche  il  secondo motivo.
Il primo -ancora una volta – è costituito dalla preclusione di cui al disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., già in precedenza richiamata.
Il secondo è costituito dalla constatazione del fatto che il motivo si sostanzia nella riproposizione delle deduzioni svolte in sede di appello, al punto da formulare reiterate censure non alla decisione della Cote territoriale bensì alla decisione di prime cure, e si traduce nell’inammissibile sollecitazione ad operare una nuova valutazione del merito della vicenda, come ben evidenziato da ll’insistito richiamo ad una serie di profili in fatto non deducibili in sede di legittimità.
Quanto, infine,  alle  censure  sulla  sufficienza  della  motivazione -definita ‘ stringata, sommaria e del tutto generica ‘ -va rammentato che  questa  Corte  a  Sezioni  Unite  ha  chiarito  che  la  riformulazione
dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022), esulando dal vizio la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna delle carenze estreme poc’anzi elencate risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso  argomentativo  in  modo  sintetico  ma  comunque  completo, univoco,  comprensibile  ed  immune  da  affermazioni  reciprocamente inconciliabili,  di  talché  risulta  inevitabile  constatare  che,  ancora  una volta,  le  doglianze  della  ricorrente  si  sostanziano  in  una  critica  del merito della decisione.
 Il  ricorso  deve  quindi  essere  dichiarato  inammissibile,  con conseguente  condanna  della  ricorrente  alla  rifusione  in  favore  dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai  sensi  del  D.P.R.  30  maggio  2002,  n.  115,  art.  13  comma  1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima