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Pegno su quote di fondo: chi prova la validità?

Una società in concordato preventivo ha contestato l’escussione di un pegno su quote di un fondo di investimento da parte di una banca. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere di provare la validità del pegno su quote di fondo spetta al creditore. Poiché la banca non ha dimostrato la corretta costituzione della garanzia, che in assenza di certificati individuali va trattata come pegno su diritti di credito, l’escussione è stata ritenuta illegittima e l’istituto di credito condannato alla restituzione delle somme.

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Pegno su Quote di Fondo: La Cassazione chiarisce l’onere della prova

La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta una questione cruciale nel diritto bancario e fallimentare: la validità del pegno su quote di fondo comune di investimento e, soprattutto, a chi spetti l’onere di provarne la corretta costituzione in giudizio. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale tra pegno su titoli di credito e pegno su diritti di credito, con implicazioni significative per gli istituti di credito e le imprese.

I Fatti di Causa: Una Garanzia Contesa

Una società aveva costituito in favore di un istituto di credito due distinti pegni su quote di un fondo comune di investimento. Il primo pegno garantiva debiti propri della società, mentre il secondo era a garanzia di linee di credito concesse a una società terza.

Successivamente, la società datrice della garanzia veniva ammessa alla procedura di concordato preventivo. Nonostante ciò, la banca procedeva all’escussione di uno dei pegni, incassando le relative somme. La società in concordato agiva quindi in giudizio per ottenere la restituzione di quanto incassato dalla banca, sostenendo che l’escussione fosse avvenuta in violazione del divieto di azioni esecutive individuali previsto dalla legge fallimentare (art. 168).

Il Percorso Giudiziario e la Questione Centrale

Il contenzioso ha attraversato diversi gradi di giudizio. La questione centrale, come chiarito dalla Corte di Cassazione, non era tanto la legittimità dell’escussione in pendenza di concordato, quanto un problema a monte: la validità e l’opponibilità stessa della garanzia.

La Corte d’Appello, investita della questione, ha stabilito che la banca non aveva fornito la prova della valida costituzione del pegno. La controversia è quindi giunta nuovamente dinanzi alla Corte di Cassazione, con la banca che lamentava un’errata inversione dell’onere della prova a suo carico.

Pegno su quote di fondo: La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della banca, confermando la decisione dei giudici di merito e fornendo chiarimenti fondamentali su due aspetti interconnessi.

La qualificazione delle quote di fondo: Diritto di Credito o Titolo di Credito?

Il primo punto cruciale riguarda la natura giuridica delle quote del fondo comune di investimento. La Corte ha stabilito che la partecipazione a un fondo, in assenza di un certificato individuale autonomo e separato che la rappresenti, non costituisce un “titolo di credito”, bensì un semplice “diritto di credito” dell’investitore nei confronti della società di gestione del fondo.

Questa distinzione è dirimente. Il pegno su un titolo di credito si perfeziona con la consegna del documento (art. 2787 c.c.), mentre il pegno su un diritto di credito richiede una procedura più complessa, disciplinata dall’art. 2800 c.c. Quest’ultima prevede, per l’opponibilità ai terzi, la notifica della costituzione del pegno al debitore del credito dato in garanzia (in questo caso, la società di gestione del fondo) o una sua accettazione con atto avente data certa.

L’Onere della Prova sulla validità del pegno

Il secondo e conseguente principio affermato dalla Corte riguarda l’onere della prova. Poiché la società in concordato aveva contestato la legittimità dell’incasso, basando la sua richiesta di restituzione sulla violazione delle norme concorsuali, spettava alla banca, per difendersi, dimostrare di essere titolare di un valido titolo pignoratizio che giustificasse la sua azione.

In altre parole, di fronte alla contestazione, la banca era onerata di provare il fatto costitutivo della sua pretesa, ovvero l’esistenza di un pegno validamente costituito e opponibile. Non avendo la banca dimostrato né l’emissione di certificati individuali al portatore (che avrebbero qualificato le quote come titoli di credito), né di aver notificato l’atto di pegno alla società di gestione del fondo, la garanzia è stata considerata inefficace.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica processuale rigorosa. L’azione della società in concordato mirava alla restituzione di somme indebitamente incassate. La difesa della banca si basava sull’esistenza di un valido pegno. Pertanto, la validità del pegno era il presupposto logico-giuridico che la banca doveva dimostrare per paralizzare la pretesa avversaria. La Corte ha chiarito che non si trattava di un’inversione dell’onere probatorio, ma di una corretta applicazione del principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi eccepisce l’esistenza di un fatto a proprio favore (in questo caso, l’esistenza di una garanzia valida) deve fornirne la prova. La mancata prova della corretta costituzione del pegno secondo le forme dell’art. 2800 c.c. ha reso la garanzia inopponibile alla procedura concorsuale, rendendo l’escussione illegittima.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per gli operatori del settore bancario e finanziario. La costituzione di un pegno su quote di fondo comune di investimento richiede un’attenzione particolare alla sua forma. Se le quote non sono rappresentate da certificati individuali, esse si qualificano come diritti di credito e la garanzia deve essere perfezionata tramite notifica al gestore del fondo. In caso di contenzioso, specialmente nell’ambito di una procedura concorsuale, sarà l’istituto di credito a dover sopportare l’onere di dimostrare di aver adempiuto a tutte le formalità previste dalla legge per assicurare la validità e l’opponibilità del proprio diritto di prelazione.

A chi spetta l’onere di provare la validità di un pegno quando la sua escussione è contestata da un debitore in concordato preventivo?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta al creditore (la banca) che intende far valere la garanzia. Di fronte alla contestazione sulla legittimità dell’escussione, è la banca a dover dimostrare il fatto costitutivo del suo diritto, ossia l’esistenza di un pegno validamente ed efficacemente costituito.

Le quote di un fondo comune di investimento sono considerate “titoli di credito” o “diritti di credito” ai fini della costituzione in pegno?
Le quote di un fondo comune di investimento sono qualificate come “diritti di credito” nei confronti della società di gestione del fondo. Diventano “titoli di credito” solo se viene data la prova dell’emissione di un certificato individuale, autonomo e separato, idoneo alla circolazione come bene mobile.

Quali sono i requisiti per costituire validamente un pegno su quote di un fondo comune qualificate come diritti di credito?
Per costituire validamente un pegno su quote di fondi qualificate come diritti di credito, è necessario, ai sensi dell’art. 2800 c.c., che la costituzione del pegno sia notificata al debitore del credito dato in garanzia (la società di gestione del fondo) o che sia da quest’ultimo accettata con un atto scritto avente data certa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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