Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7015 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20852/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in LATINA INDIRIZZO CON RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4155/2022 depositata il 16/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha proposto azione revocatoria fallimentare nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena relativamente alla costituzione del pegno costituito in data 14 giugno 2002 su Polizza AXA MPS Propensione 72PV n. 115363 sottoscritta in data 6 febbraio 2002, la cui escussione era avvenuta dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.
Il Tribunale di Latina ha accolto la domanda, ritenendo la natura regolare del pegno e considerando inapplicabile ratione temporis la disciplina delle garanzie finanziarie di cui al d. lgs. n. 170/2004.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’a ppello della banca. Il giudice di appello ha ritenuto applicabile ratione temporis la disciplina di cui al d. lgs. n. 170/2004 ma ha ritenuto che l’art. 4 d. lgs. cit. non deroga alla par condicio tra i creditori e all’obbligo per il creditore di insinuazione al passivo , consentendogli solo di agire in autotutela per il proprio credito in sede di escussione del pegno. Ha, poi, rigettato il motivo di appello relativo alla natura irregolare del pegno e alla facoltà di utilizzo da parte del creditore del bene mobile conferito in pegno, ritenendo che dal testo del contratto costitutivo di pegno emerge che la facoltà di disporre del pegno è consentita solo in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite.
Propone ricorso per cassazione il creditore, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il fallimento, ulteriormente illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di titolarità del credito, articolata dal controricorrente in memoria, avendo il ricorrente appreso -in base a PEC del 9 luglio 2024 -che il ricorrente non sarebbe stato titolare del credito sin dalla proposizione del ricorso per cassazione, atteso che era già intervenuta cessione del credito in favore della RAGIONE_SOCIALE, C.F. 14535321005. L’eccezione è tempestiva ancorché venga formulata solo in memoria ex art. 378 cod. proc. civ., attesa l’impossibilità per il controricorrente di sollevarla nel controricorso, per cause ad essa non imputabili, posto che il controricorrente ha avuto conoscenza di tale circostanza all’atto della ricezione della menzionata PEC, come da documentazione allegata alla memoria.
L’eccezione è infondata . Non è incompatibile con il giudizio di legittimità la disciplina della successione nel diritto controverso, per cui il successore di una delle parti può costituirsi in giudizio, allegando e documentando tale sua qualità al fine di assicurare il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva (Cass., Sez. U., n. 9692/2013; Cass., n. 7941/2023). Tuttavia, il giudizio continua, in ogni caso, a svolgersi tra le parti originarie (Cass., n. 3331/2024; Cass., n. 24901/2023; Cass., n. 14480/2018; Cass., n. 11322/2005) e, comunque, la sentenza spiegherà i suoi effetti nei confronti del successore a titolo particolare (Cass., n. 4741/2023; Cass., n. 47/2007). Non può, pertanto, considerarsi venuta meno la legittimazione del dante causa nel giudizio di legittimità per effetto della intervenuta cessione del credito.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 4 d. lgs. n. 170/2004, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inapplicabile al caso di specie la disciplina delle garanzie finanziarie. Osserva parte ricorrente che, nella specie, ricorrerebbero i
presupposti per l’applicazione della suddetta disciplina, nel qual caso diviene legittima la compensazione tra i beni costituiti in pegno e il credito anche in assenza di insinuazione allo stato passivo del credito.
4 . Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ. per difetto di motivazione « circa la ritenuta mancata applicazione alla fattispecie concreta della normativa sulle cosiddette garanzie finanziarie », riproponendosi sotto altro profilo la doglianza esposta al superiore motivo.
I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili in quanto non colgono propriamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha espressamente affermato -diversamente da quanto avvenuto nel giudizio di primo grado l’applicazione , nel caso di specie, della disciplina delle garanzie finanziarie, benché si sia trattato di garanzia costituita prima dell’entrata in vigore della suddetta disciplina (Cass., n. 6760/2016); ciò nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che tale disciplina non deroghi all’onere per il creditore di insinuarsi allo stato passivo, statuizione non oggetto di specifica censura. Anche la seconda doglianza -involgente una nullità processuale della sentenza e non un error in iudicando (così, diversamente dal motivo di censura invocato) -si rivela infondata, essendo la sentenza -benché assai stringata -al di sopra del minimo costituzionale, in quanto consente di comprendere l’iter logico seguito ai fini della decisione (Cass., Sez. U., n. 8053/2014), ove statuisce che « ciò non significa però l’automatica deroga al principio della par condicio creditorum e alla necessità di insinuazione al passivo fallimentare ».
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ. per difetto di motivazione , nonché in relazione all’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia « sulla questione giuridica di cui si discute – pegno regolare o irregolare », riproponendosi sotto altro profilo la doglianza esposta al superiore motivo.
Il terzo motivo è infondato in relazione alla dedotta omessa pronuncia, essendosi il giudice di appello espressamente pronunciato sul relativo motivo di appello, relativo alla natura regolare del pegno (« nell’ipotesi di soddisfacimento della banca mediante incameramento della somma portata dal libretto offerto in pegno regolare, sussistono i presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67 l.f. »).
Il terzo motivo è, inoltre, infondato quanto alla dedotta nullità della sentenza per inesistenza della motivazione, essendo la motivazione -sintetica sul punto – in grado di consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito ai fini della decisione (Cass., Sez. U., n. 8053/2014). Il giudice di appello ha affermato che il diritto di disporre della cosa pignorata insorge al momento dell’inadempimento dell’obbligazione del debitore, da ciò arguendosi che il diritto di disposizione non viene immediatamente attribuito al creditore all’atto della stipula del contratto di pegno , ma solo in un momento successivo e, precisamente, nel momento in cui l’obbligazione risulterebbe inadempiuta , da ciò potendosi desumere la accertata natura regolare del pegno (« Nel contratto in esame il pegno consente il potere di disporre del diritto solo in caso di inadempimento del debitore. Pertanto, nell’ipotesi di soddisfacimento della banca mediante incameramento della somma portata dal libretto offerto in pegno regolare, sussistono i
presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare »: pag. 6 sent. imp.).
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 7.600,00 , oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/03/2025.