Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7013 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7013 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9763/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA NOME COGNOME 8 OSTIA, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli
avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 6783/2021 depositata il 17/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE ha proposto azione revocatoria ex art. 67, secondo comma, l. fall. nei confronti di BANCA DI CREDITO RAGIONE_SOCIALE in relazione alla costituzione di ipoteca connessa alla erogazione di un mutuo fondiario in data 12 giugno 2012, nonché alla costituzione di garanzia pignoratizia contestuale, funzionalmente collegata al mutuo fondiario.
Il Fallimento -per quanto qui rileva – ha dedotto che la banca aveva erogato alla società debitrice in data 2 giugno 2012 un mutuo dell’importo di € 240.000,00 , espressamente destinato all ‘ estinzione di pregresse esposizioni chirografarie nei confronti della medesima banca derivanti da diverse linee di credito; al contratto di mutuo erano collegate sia l’ accensione di ipoteca fondiaria su immobili della società mutuataria (opificio industriale e pertinenze), sia la costituzione in pegno dell’importo di € 240.000,00 , posto a garanzia sia del perfezionamento dell’iscrizione ipotecaria, sia della stipula di polizza assicurativa a garanzia del rischio incendio nei limiti del valore dell’ipoteca sui fabbricati oggetto di iscrizione. La garanzia pignoratizia contestualmente creata doveva ritenersi, a giudizio del fallimento attore, stipulata nella consapevolezza dello stato di insolvenza della debitrice, dichiarata fallita in data 29 giugno 2012 dopo diciassette giorni dall’operazione in oggetto.
Il Tribunale di Frosinone ha accolto la domanda, ritenendo trattarsi di revocatoria di garanzie contestuali al sorgere del credito costituite nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello della banca. Ha ritenuto il giudice di appell o, in accoglimento del primo motivo di impugnazione, che la banca avesse dato prova della inscientia decoctionis , essendo stata tratta in inganno dalla falsificazione dei bilanci della società, né essendo la stessa in grado di accorgersi della falsità degli stessi, atteso anche che la società aveva manifestato prospettive « di ripresa ». Ha, poi, ritenuto il giudice di appello che non dovesse essere la banca a offrire la prova contraria, ma il fallimento a dover provare la consapevolezza dello stato di insolvenza; onere della prova giudicato non assolto dalla Corte d’Appello , atteso che gli elementi indiziari addotti non sarebbero ricollegabili specificamente alla società debitrice.
Ha, poi, ritenuto il giudice di appello che il pegno costituito sulla somma di € 240.000,00 fosse pegno irregolare , non oggetto di revocatoria e non soggetto a insinuazione allo stato passivo. Ha, poi, aggiunto che il pegno non fosse funzionalmente collegato al mutuo fondiario, bensì destinato a garantire l’avveramento delle condizioni per il perfezionamento del mutuo , incentrate nell’obbligazione di iscrizione di ipoteca e di accensione di polizza assicurativa antincendio sugli immobili, la cui mancata stipula ha costituito inadempimento delle obbligazioni del contratto di mutuo, legittimando l’ escussione del pegno.
Propone ricorso per cassazione il fallimento, affidato a otto motivi e ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la banca, la quale deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vanno preliminarmente rigettate tutte le eccezioni di inammissibilità articolate dal controricorrente in relazione ai diversi motivi di ricorso, essendo i motivi dotati di specificità, ancorati ai punti di motivazione della sentenza impugnata, ai fatti e agli atti di causa, nonché avendo il ricorrente censurato tutte le ragioni della decisione della sentenza impugnata. I motivi di ricorso, inoltre, non involgono profili di mero fatto e non deducono travisamento delle prove.
2 . Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistere un pegno irregolare in relazione alla costituzione in pegno della somma di € 240.000,00, oggetto di debito contestualmente creato. Osserva parte ricorrente come il giudice di appello si sarebbe concentrato sul momento satisfattivo dell’escussione della garanzia ma non su quello della costituzione del vincolo di pegno. Osserva il ricorrente, sotto altro profilo, che il pegno sarebbe revocabile ancorché irregolare, indipendentemente dal momento della sua escussione, posto che la costituzione del pegno irregolare pregiudica la garanzia dei creditori in quanto il bene fuoriesce immediatamente dal patrimonio del debitore.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1851 cod. civ. e dell’art. 67, secondo comma, l. fall. per avere la sentenza impugnata qualificato l’atto costitutiv o di pegno come pegno irregolare a termini dell’art. 1851 cod. civ. in relazione alla somma di danaro di € 240.000,00 in carenza dei presupposti normativi. Osserva parte ricorrente che oggetto del pegno era una somma di danaro data a mutuo (« lo stesso denaro che dal rogito notarile corrisposto dalla Banca »), chiaramente individuabile e
per la quale il contratto costitutivo non prevedeva il conferimento della facoltà di disporre del denaro e di restituire il tantundem, ma la sola escussione del pegno in caso di inadempimento del debitore, diversamente da quanto l’art. 1851 cod. civ. prevede ai fini della sussistenza di un pegno irregolare.
Per la ragione più liquida si esamina il secondo motivo, che è fondato, con assorbimento del primo. Caratteristica del pegno irregolare è il trasferimento in proprietà del creditore dei beni assoggettati a pegno, con eventuale restituzione del tantundem al momento dell’adempimento , ovvero dell’eccedenza rispetto a quanto garantito in caso di inadempimento (Cass., n. 26154/2006; Cass., n. 10000/2004). La natura giuridica del pegno irregolare -disciplinato dall’art. 1851 cod. civ. nell’ambito della antic ipazione bancaria – comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano – diversamente che nell’ipotesi di pegno regolare – di proprietà del creditore stesso, che ha diritto a soddisfarsi non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796 – 2798 cod. civ. -norme che postulano l’altruità delle cose ricevute in pegno – bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori (Cass., n. 5111/2003; Cass., Sez. U., n. 202/2001).
Diversamente, nel pegno regolare il soddisfacimento avviene al momento dell’inadempimento dell’obbligazione garantita (Cass., n. 24137/2018). Ricorre il pegno regolare ove il cliente vincoli a garanzia del proprio adempimento verso la banca un titolo di credito o un documento di legittimazione che risultino « specificamente descritti ed analiticamente indicati» senza che venga attribuito al creditore pignoratizio il potere di disporre degli stessi (Cass., n. 18597/2011).
Ne consegue che, ove oggetto del pegno sia un bene determinato, per il quale non sia stato conferito al creditore
pignoratizio il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra nella disciplina del pegno regolare, per il quale il creditore ha l’obbligo, di regola, di restituire l’oggetto del pegno ed è obbligato a insinuarsi nel passivo del fallimento (Cass., n. 16618/2016; Cass., n. 18597/2011, cit.; Cass., n. 12964/2005).
Nella specie, il giudice di appello non ha accertato, al fine di ritenere irregolare la natura del pegno, l’esistenza nel contratto costitutivo della garanzia della facoltà del creditore di disporre del bene conferito in pegno, né dell’obbligo di restituire il tantundem , diversamente da quanto dispone l’art. 1851 cod. civ. , così non facendo corretta applicazione dei suddetti principi.
Con il terzo motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, l. fall. nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di verificare che il contratto costitutivo del pegno avrebbe permesso la soddisfazione del creditore tramite compensazione tra oggetto della garanzia e obbligazione garantita, mancando omogeneità tra l’una e l’altra . Osserva parte ricorrente che la costituzione del pegno avrebbe garantito due distinte obbligazioni (l’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile e la stipula della polizza antincendio sull’immobile), circostanza che avrebbe precluso l’incameramento della somma costituita in pegno.
Il terzo motivo è fondato. Nel caso di specie, il pegno non garantisce obbligazioni pecuniarie della società debitrice, bensì obbligazioni accessorie alla stipulazione del contratto di mutuo, quali l’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile oggetto di garanzia e la stipula della polizza antincendio sull’immobile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la compensazione è possibile anche tra crediti illiquidi, ancorché uno dei crediti sia indeterminato nel suo ammontare, ma
purché sia di facile e pronta liquidazione (Cass., n. 7018/2020), nonché ove il credito, ancorché indeterminato nel suo ammontare, sia liquidabile dal giudice che procede (Cass., n. 23225/2016). Analogamente, la compensazione è consentita in sede concorsuale anche ove i presupposti di liquidità maturino dopo l’apertura della procedura, purché i fatti genetici delle rispettive obbligazioni siano preesistenti alla stessa (Cass., n. 2005/2025; Cass., n. 20063/2023). Nessuna compensazione può, invero, operarsi -né in sede ordinaria, né in sede fallimentare ex art. 56 l. fall. – ove una delle reciproche obbligazioni -come nella specie -non sia una obbligazione pecuniaria.
10. Con il quarto motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 72 l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inadempiuta l’obbligazione della società debitrice, all’atto della dichiarazione di fallimento, alla stipula della polizza assicurativa antincendio. Osserva parte ricorrente che tutti i rapporti pendenti sono sospesi all’atto della dichiarazione di fallimento, per cui non può configurarsi un inadempimento rilevante da parte del debitore, non ricorrendo pertanto i presupposti per permettere l’applicazione diretta della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ.
11. Il quarto motivo è fondato. Il fallimento del contraente preclude l’esperibilità dell’azione di risoluzione nei confronti del curatore del fallimento, salvo il caso in cui il terzo contraente si sia già avvalso della clausola risolutiva espressa prima della dichiarazione di fallimento (Cass., n. 23462/2024); la dichiarazione di fallimento determina, difatti, la destinazione del patrimonio di quest’ultimo al soddisfacimento di tutti i creditori (Cass., n. 826/2018), non potendosi configurare (come già sotto il precedente regime normativo) un inadempimento del curatore all’atto della
dichiarazione di fallimento, stante l’applicazione della disciplina dei rapporti pendenti (Cass., n. 6653/2013). Nella specie, il curatore non poteva ritenersi inadempiente all’obbligo di stipulazione dell a polizza assicurativa antincendio, attesa la sospensione del contratto in oggetto a termini dell’art. 72 l. fall. e atteso il verificarsi dell’invocata risoluzione dell’inadempimento in un momento successivo al fallimento, in contrasto con l’articolo 72 l. fall. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del suddetto principio.
12. Con il quinto motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto assolto l’onere della prova contrari a della inscientia decoctionis sulla base del comportamento assunto dalla debitrice volto ad occultare la sua situazione economica tramite bilanci falsi, in particolare quanto all’esercizio 2010 . Osserva parte ricorrente come non sia stata offerta prova della presentazione alla banca di un bilancio falso dell’esercizio 2010 , non risultando tale circostanza agli atti del giudizio penale nei confronti degli amministratori della società fallita.
13. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione al dedotto inganno ai danni della banca da parte della società debitrice per effetto della presentazione di un bilancio falso, laddove la stessa banca controricorrente, nel settembre 2011 (circa otto mesi prima la stipula del contratto di mutuo) aveva rilevato la non corrispondenza della documentazione contabile rispetto a quanto risultante dalla visura CCIAA, circostanza che -ove rilevata -avrebbe inciso sul giudizio di inconsapevolezza della banca della falsità del bilancio prodotto.
14. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai fini del giudizio di prova della inscientia decoctionis , costituito dalle circostanze in fatto indicate i una denuncia-querela sporta dalla banca ai danni degli amministratori della società fallita, quali la riduzione dell’attività caratteristica a fronte di richieste di incremento delle linee di credito, l’esistenza di consistenti perdite di esercizio, la dichiarata falsità dei bilanci anche nei confronti di altri istituti di credito (punto 7 della denuncia-querela), l’assenza di garanzie della debitrice , l’indisponibilità al rilascio di fideiussioni dei soci, l’incremento costante dell’esposizione debitoria, la revoca degli affidamenti (punto 11 della denuncia-querela) , l’offerta della banca di finanziamenti diretti nei confronti dei soci, costituenti elementi indiziari idonei a comportare l’insussistenza della inscientia decoctionis a favore della banca.
15. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 67, secondo comma, l. fall. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non raggiunta la prova relativa alla scientia decoctionis da parte della curatela attrice. Deduce parte ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe omesso una valutazione globale del complesso degli elementi indiziari addotti dal fallimento, quali l’es istenza di una precedente ipoteca volontaria « sull’unico cespite immobiliare della società fallita ed oggetto dell’ipoteca » di cui al mutuo fondiario, l’esistenza di un pignoramento sul medesimo immobile, l’esistenza di crediti privilegiati gravanti sull’immobile di importo ampiamente assorbente il valore del cespite immobiliare , l’esistenza di rilevanti perdite di esercizio tali da azzerare i mezzi propri , l’imputazione a patrimonio
netto di un finanziamento soci, tali da costituire elementi conclamati, percepibili dalla banca controricorrente, di consapevolezza di un irreversibile stato di insolvenza.
16. L’ottavo motivo , attinente all’assolvimento dell’onere della prova da parte del fallimento in relazione all’elemento soggettivo dell’azione proposta, va esaminato pregiudizialmente rispetto a quelli sopra riepilogati ed è fondato. Il giudice del merito, nell’esame dei diversi elementi indiziari addotti dalla parte ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova circa l’esistenza del fatto ignoto, deve esaminare gli elementi addotti nella loro globalità, esaminandoli sia analiticamente attribuendo un peso ponderale a ciascuno di essi, sia sinteticamente nel loro insieme logico e di contesto, valutando se la relativa combinazione sia in grado di fornire una plausibile e dunque valida, prova presuntiva (Cass., n. 26802/2020; Cass., n. 22003/2022). Pur potendo il giudice del merito esercitare la propria discrezionalità nell’esame dei vari elementi presuntivi, non può pertanto prescindere dalla valutazione anche globale degli elementi indiziari addotti dalla parte (Cass., n. 9059/2018).
17 . In particolare, in caso di assolvimento dell’onere della prova della scientia decoctionis , la valutazione globale degli elementi indiziari deve condurre alla idoneità degli elementi, nel loro complesso, a ritenere che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza e avvedutezza – rapportata anche alle qualità personali e professionali, nonché alle condizioni in cui egli si è trovato concretamente ad operare – non potesse non aver percepito i sintomi rivelatori della decozione del debitore (Cass., n. 13445/2023; Cass., n. 3081/2018; Cass., n. 25635/2017; Cass., n. 18196/2012). Tali elementi involgono l’osservanza di uno standard di diligenza attendibile ed esigibile da un accorto operatore professionale del
settore che si fosse trovato ad operare nelle medesime condizioni del contraente in bonis.
Nella specie, il giudice di appello ha trascurato di valutare i molteplici elementi addotti dal fallimento (iscrizione ipotecaria antergata sul medesimo cespite oggetto di iscrizione ipotecaria, bene immobile già oggetto di pignoramento sia pure con assenso alla cancellazione, incapienza del bene a soddisfare i creditori privilegiati, perdite di esercizio tali da azzerare i mezzi propri, imputazione a patrimonio netto di finanziamenti soci), attinenti appunto a uno standard di accorto operatore del settore ai fini della prova della consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore. La sentenza impugnata non ha, pertanto, fatto corretta applicazione del suddetto principio.
19. Il sesto e il settimo motivo (attinenti all’assolvimento dell’onere della prova contraria in tema di elemento soggettivo dell’azione proposta) , i quali possono ora essere esaminati congiuntamente e preliminarmente al quinto, sono fondati. Ai fini dell’attitudine ingannatoria del comportamento assunto dagli amministratori della società fallita nella falsificazione dei bilanci, assumono valore decisivo i fatti storici indicati dal ricorrente, quali il consapevole (e diligente) comportamento assunto dalla stessa banca controricorrente, nel settembre 2011, ove aveva rilevato la non corrispondenza della documentazione contabile rispetto a quanto risultante dalla visura CCIAA, così come assumono rilevanza i fatti indicati nella denuncia-querela presentata dalla banca ai danni degli amministratori della società fallita, in cui si denunciavano richieste di incremento delle linee di credito a fronte della riduzione dell’attività caratteristica e di consistenti perdite di esercizio, il fatto che gli amministratori avessero dichiarato di modificare i dati di bilancio quando si rivolgevano alle banche, oltre ad altri elementi di
difficoltà finanziaria (assenza di garanzie e indisponibilità al rilascio di fideiussioni dei soci, revoca degli affidamenti, rifiuto dei soci a finanziamenti diretti nei loro confronti), tali da incidere sul giudizio di inscientia decoctionis del controricorrente. La sentenza va, pertanto, cassata anche in relazione a tale punto di motivazione. E’, pertanto, assorbito il quinto motivo.
20. Il ricorso va, conclusivamente, accolto, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo cui è rimessa anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto motivo e i motivi dal sesto all’ottavo, con assorbimento del primo e del quinto motivo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma,