Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30174 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30174 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1710/2022 R.G. proposto da : BANCA di CREDITO RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) per procura speciale in atti
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale in atti – controricorrente –
nonché contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) per procura speciale in atti – controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1917/2021 depositata il 4/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 831/2019, rigettava l’azione revocatoria fallimentare proposta ex art. 67, comma 2, l.
fall. dal fallimento di RAGIONE_SOCIALE onde sentir dichiarare inefficaci le rimesse eseguite dalla compagine poi fallita (in data 8 marzo 2016 e 7 luglio 2016) nel semestre antecedente alla dichiarazione di fallimento a estinzione di un mutuo chirografario, garantito da fideiussione di NOME COGNOME e da pegno su un libretto di deposito a risparmio, concessole dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.c. a r.l., per un importo complessivo di € 207.690,50, con conseguente condanna della banca al pagamento di tale somma.
Rilevava, in particolare, che le rimesse effettuate da RAGIONE_SOCIALE erano state prelevate dal libretto di deposito costituito in pegno, ravvisando, poi, la natura irregolare di quest’ultimo.
Dichiarava, inoltre, non luogo a provvedere sulla domanda di manleva proposta dalla banca nei confronti del terzo chiamato in garanzia NOME COGNOME, che aveva rilasciato fideiussione in suo favore fino alla concorrenza di € 130.000.
2. La Corte distrettuale di Bari, a seguito dell’appello proposto dalla procedura, constatava -fra l’altro e per quanto qui di interesse – che in nessun punto del contratto costitutivo di pegno era stato riconosciuto alla banca il diritto di disporre immediatamente delle somme portate dal saldo del libretto di deposito concesso in garanzia, giacché la facoltà di disporre del bene offerto in pegno (saldo sul libretto di deposito) ad estinzione o decurtazione delle obbligazioni garantite aveva come presupposto il previo inadempimento delle stesse, presupposto che non ricorreva nel caso di specie, caratterizzato dall’estinzione anticipata del mutuo chirografario concesso dalla banca.
Escludeva, di conseguenza, la possibilità di inquadrare la fattispecie in esame nel pegno irregolare.
Sottolineava che da metà ottobre 2015 il saldo del conto corrente intestato a RAGIONE_SOCIALE era consistentemente diminuito, per poi cristallizzarsi in negativo a partire dell’8 marzo 2016.
Osservava che tali emergenze trovavano significativi elementi di integrazione e riscontro nella visura Cerved presente in atti, che, nel commentare il bilancio al 31 dicembre 2015, evidenziava un basso livello di capacità dell’impresa di sostenere il costo del debito con margini operativi lordi, un valore nullo o negativo dell’utile corrente e un valore negativo del patrimonio netto tangibile e del capitale circolante.
Riteneva che un simile trend negativo non potesse sfuggire a un operatore professionale come la banca mutuante, tenuto conto, peraltro, che la stessa era già stata destinataria, quale terzo, di due pignoramenti per complessivi € 803.231,98, in occasione dei quali aveva rilasciato, al pari degli altri terzi pignorati, dichiarazioni per somme incapienti.
Dichiarava, pertanto, in accoglimento dell’appello principale, l’inefficacia dei pagamenti eseguiti da RAGIONE_SOCIALE in favore della banca appellata per complessivi € 207.690,50, condannando quest’ultima alla restituzione di tale importo.
Giudicava, infine, infondato l’appello incidentale presentato dalla banca avente ad oggetto l’omessa pronuncia sulla domanda di manleva rivolta nei confronti di NOME COGNOME, dato che questi aveva garantito l’adempimento dell’obbligazione princi pale, mentre nel caso di specie la condanna della banca trovava titolo nell’accoglimento dell’azione promossa ex art. 67, comma 2, l. fall.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 4 novembre 2021, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso sia il fallimento di RAGIONE_SOCIALE che NOME COGNOME.
La ricorrente e il controricorrente COGNOME hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi d ell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67, comma 4, l. fall. e 1851 cod. civ.: la decisione impugnata risulta emessa -a dire di parte ricorrente -in violazione delle clausole contrattuali contenute nell’atto di costituzione di pegno, che ai numeri 5 e 7 prevedevano espressamente la facoltà per la banca di disporre del saldo del deposito a risparmio concesso in pegno.
Tenuto conto di questa facoltà il pegno costituito dalla banca andava qualificato come pegno irregolare, ai sensi dell’art. 1851 cod. civ., e, come tale, non era soggetto ad azione revocatoria da parte del fallimento.
La banca ricorrente ha osservato, inoltre, che la Corte territoriale non ha comunque tenuto conto che RAGIONE_SOCIALE risultava in mora, per non aver versato le rate maturate tra il novembre 2015 e il luglio 2016, ragione per la quale il mutuante aveva legittimamente disposto delle somme concesse in garanzia con l’atto di costituzione in pegno.
5. Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale ha ritenuto che la disposizione contrattuale non conferisse alla banca la facoltà di disporre del bene offerto in pegno tout court a estinzione o decurtazione delle obbligazioni garantite, dato che condizionava questa facoltà alla sussistenza del presupposto del previo inadempimento delle obbligazioni garantite, presupposto che nel caso di specie, caratterizzato dall ‘ estinzione anticipata del mutuo concesso, non ricorreva.
Una simile statuizione è pienamente conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui ciò che rileva – ai fini della qualificazione del pegno come irregolare – è la facoltà di disposizione del libretto di deposito bancario costituito in garanzia immediatamente attribuita alla banca, perché solo in questo caso è possibile affermare che la banca abbia legittimamente acquisito la
somma, con la conseguenza che, in presenza dei presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, la costituzione del pegno non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 l. fall. e non è, pertanto, assoggettabile a revocatoria fallimentare (v. Cass. 16618/2016, Cass. 7563/2011, Cass. 14067/2008, Cass. 3794/2008, Cass. 5845/2000).
La Corte d’appello ha escluso che l’attribuzione di una simile facoltà vi fosse stata con riferimento alle evenienze che caratterizzavano la fattispecie in esame (estinzione anticipata piuttosto che inadempimento), e l’assunto corrisponde ad un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, né sotto il profilo della portata della clausola contrattuale, né con riguardo alla verifica che le circostanze da cui dipendeva la facoltà di disposizione del libretto di deposito bancario costituito in garanzia si fossero in effetti verificate.
Del pari, non è possibile porre in contestazione, secondo il canone di critica previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa) , l’accertamento di merito in ordine al fatto che il presupposto dell’inadempimento, previsto dalla clausola contrattuale n. 5, non ricorresse (neanche in parte) nel caso di specie.
Peraltro, la banca ricorrente non solo non si è doluta, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., dell’omesso esame del fatto che RAGIONE_SOCIALE, quanto meno per alcuni ratei, risultava in mora, ma non ha neppure rappresentato il “come” e il “quando” tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti, a suffragio dei propri assunti (cfr. Cass., Sez. U., 8053/2014).
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 67, comma
2, l. fall., 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo: la Corte distrettuale -sostiene parte ricorrente -ha ravvisato la scientia decoctionis della banca effettuando una valutazione atomistica di alcuni elementi fattuali, che non erano concordanti con quelli indicati dalla banca, senza operare un complessivo giudizio di sintesi.
7. Il motivo è inammissibile.
In materia di prova per presunzioni, il giudice è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (Cass. 8115/2025, Cass. 9059/2018, Cass. 1964/2018, Cass. 9108/2012).
Spetta perciò al giudice, e non alla parte, come pretende l’odierna ricorrente, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge e apprezzare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con un apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità; peraltro, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando escluso che
la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 8023/2009, Cass. 10847/2007, Cass. 1404/2001).
Risulta così inammissibile in questa sede una censura che lamenti la mancata espressa inclusione nel novero degli elementi valutati di talune circostanze indicate dalla parte, in quanto, come detto, l’individuazione degli elementi rilevanti a tal fine e l’ apprezzamento della loro gravità, precisione e concordanza è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, a cui il disposto dell’art. 116 cod. proc. civ. attribuisce il compito di valutare le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, non rivedibile in questa sede.
Il terzo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1936 cod. civ., nonché, e x art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo: la Corte d’appello ha ritenuto che la fideiussione fosse stata rilasciata a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione principale, escludendo l’operatività della stessa nel ca so di specie perché la condanna della banca trovava titolo nell’art. 67 l. fall. e non nell’inadempimento della fallita.
In questo modo la Corte di merito ha omesso di considerare che nella lettera di fideiussione del 5 dicembre 2014 era stata espressamente prevista (all’art. 1, ultimo comma) la reviviscenza della garanzia fideiussoria in caso di revoca dei pagamenti.
9. Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha accertato, all’esito dell’esame della fideiussione prodotta e facendo prevalere una lettura di senso della fideiussione ristretta al solo inadempimento, che la stessa era stata rilasciata a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione principale e non riguardava una declaratoria di inefficacia pronunciata ai sensi del l’art. 67 l. fall.
La doglianza in esame non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, né denuncia il mancato esame di un documento, ma esprime un dissenso rispetto alla valutazione, asseritamente erronea ed incompleta, del contenuto della garanzia rilasciata.
Questa valutazione, però, non è sindacabile da questa Corte, costituendo un apprezzamento di fatto frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito.
A fronte di una simile critica occorre ribadire come sia inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese fra la ricorrente e la procedura controricorrente seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Le spese fra la ricorrente e il controricorrente COGNOME, invece, devono essere integralmente compensate, tenuto conto dell’adesione da questi prestata ai primi due motivi di ricorso e del fatto che la declaratoria di inammissibilità del l’ultimo mezzo ha trovato fondamento in ragioni diverse da quelle illustrate dalla difesa del garante.
Questa Corte ha chiarito che la responsabilità di cui all’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non
è di per sé condotta rimproverabile anche se questa si riveli infondata.
Va perciò disattesa la richiesta (contenuta alle pagg. 17 e 18 del controricorso della procedura) di condanna al risarcimento danni ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., non ravvisandosi la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore della procedura controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità fra la ricorrente e il controricorrente NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 15 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME