Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9811 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9811 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26984-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 969/2020 della CORTE D ‘ APPELLO DI MILANO, depositata il 23/4/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio dell ‘ 11/3/2025;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il tribunale di Pavia, con sentenza del 16/1/2018, ha dichiarato l ‘ inefficacia, a norma dell ‘ art. 67, comma 2°, l.fall., del pagamento che la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, quando era in bonis , aveva eseguito, in favore della Banca
Popolare di Sondrio RAGIONE_SOCIALE tramite rimessa solutoria in conto corrente del 12/3/2013, per la somma di €. 501.768,48.
1.2. La banca ha proposto appello avverso l ‘ indicata sentenza che la corte distrettuale, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato.
1.3. La corte d ‘ appello, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: (a) la qualificazione dell ‘ operazione realizzata dalla banca come pegno regolare era giuridicamente corretta, avendo il tribunale rilevato che: -il contratto costitutivo del pegno, pur avendo ad oggetto un bene fungibile come il denaro, aveva determinato non l ‘ immediato trasferimento della relativa somma nella proprietà della banca ma solo la facoltà del suo utilizzo, in caso d ‘ inadempimento dell ‘ obbligazione principale, per l ‘ estinzione del debito garantito; – sino ad allora, la somma di denaro oggetto del pegno non avrebbe potuto essere trasferita alla proprietà della banca né quest ‘ ultima aveva il potere di disporne; (b) la banca era a conoscenza dello stato d ‘ insolvenza in cui versava la debitrice al momento dell ‘ impugnato pagamento, se non altro perché, in data 26/2/2013, e cioè prima dell ‘ escussione del pegno, la stessa aveva ‘ passato a sofferenza ‘ alcuni rapporti contrattuali dei quali la società poi fallita era intestataria presso la sua filiale di Casteggio, per un ‘ dare ‘ complessivo pari ad oltre 5 milioni e mezzo di euro.
1.4. La Banca Popolare di Sondrio RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 15/10/2020, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, notificata, come da relazione in atti, in data 30/7/2020.
1.5. Il Fallimento ha resistito con controricorso e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la banca ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell ‘ art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha ritenuto che il tribunale aveva correttamente qualificato come regolare il pegno invocato dalla convenuta, limitandosi, tuttavia, ad affermare, con motivazione solo apparente, che il tribunale aveva sul punto già replicato alle argomentazioni addotte dalla banca e senza, dunque, tracciare l ‘ iter logico-argomentativo che l ‘ ha condotta a condividere le ragioni del primo giudice.
2.2. La corte d ‘ appello, per contro, ai fini della corretta qualificazione del pegno, avrebbe dovuto considerare non solo che l ‘ oggetto dello stesso era un bene fungibile come il denaro ma anche che sin dalla sua stipulazione il creditore pignoratizio aveva il potere di disporre delle somme pignorate e depositate su un conto corrente aperto presso la stessa banca.
2.3. Il motivo è inammissibile, con assorbimento del terzo (che riguarda l ‘ inopponibilità, statuita dalla corte d ‘ appello, del contratto di pegno in quanto privo di data certa anteriore al fallimento).
2.4. La sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto che la qualificazione dell ‘ operazione realizzata dalla banca come pegno regolare era giuridicamente corretta sul rilievo, in fatto, che il contratto costitutivo della garanzia, pur avendo avuto ad oggetto un bene fungibile come il denaro, non aveva determinato l ‘ immediato trasferimento della relativa somma nella proprietà della banca, attribuendo alla stessa solo la facoltà di utilizzarla, in caso d ‘ inadempimento dell ‘ obbligazione principale, per l ‘ estinguere il debito garantito.
2.5. Tale statuizione, rimasta incensurata per ciò che riguarda gli accertamenti fattuali sui quali risulta fondata,
peraltro espressi in modo nient ‘ affatto apparente o contraddittorio, è, sul piano giuridico, senz ‘ altro corretta.
2.6. Questa Corte, infatti, ha ritenuto che: – il pegno di cose fungibili è irregolare esclusivamente nel caso in cui, a differenza di quanto accertato nel caso in esame, il contratto costitutivo abbia attributo al creditore pignoratizio la facoltà di disporre del bene oggetto della garanzia (Cass. n. 22096 del 2020); – nel pegno irregolare, invero, le somme di danaro o i titoli depositati in garanzia presso il creditore diventano sin da subito di proprietà del medesimo, il quale, pertanto, sin da questo momento può senz ‘ altro disporne, mentre, in caso d ‘ inadempimento del debitore, è tenuto, come inequivocamente prevede l ‘ art. 1851 c.c., soltanto a restituire l ‘ eventuale eccedenza rispetto alle somme garantite; – nel pegno regolare, invece, il creditore ha diritto a soddisfarsi disponendo dei titoli ricevuti in pegno, come, in particolare, prevede l ‘ art. 2797 c.c., che, al suo secondo comma, disciplina l ‘ ipotesi della vendita a prezzo corrente del bene preso in garanzia (Cass. n. 24137 del 2018).
2.7. Il pegno, dunque, se costituito su un bene fungibile, come il denaro, si configura come pegno irregolare soltanto nel caso in cui sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre della relativa somma, mentre qualora (come accertato, in fatto, dalla corte d ‘ appello) difetti il conferimento di tale facoltà, si rientra nella disciplina del pegno regolare, con la conseguenza che la banca garantita non acquisisce la somma con l ‘ obbligo di restituire al debitore il tantundem .
2.8. In tale ipotesi, pertanto, difettano i presupposti per la compensazione dell ‘ esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della stessa banca verso quest ‘ ultimo, che invece opera nel pegno irregolare come
modalit à tipica di esercizio della prelazione, con la conseguenza che l ‘ incameramento della relativa somma da parte della banca (se del caso, a mezzo di rimessa solutoria su conto corrente), rientra nell ‘ ambito d ‘ applicazione dell ‘ art. 67 l.fall. ed è, quindi, assoggettabile a revocatoria fallimentare (Cass. n. 16618 del 2016; Cass. n. 31029 del 2023, in motiv.).
2.9. Con il secondo motivo, la banca ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 67 l.fall. e degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha ritenuto che la banca fosse consapevole dello stato d ‘ insolvenza in cui la società debitrice versava al momento del pagamento, senza, tuttavia, considerare che una valutazione complessiva e rigorosa di tutti gli elementi di fatto emersi dalle prove raccolte in giudizio avrebbe dovuto indurre ad escludere la scientia decoctionis in capo alla convenuta.
2.10. Il motivo è inammissibile. La ricorrente, infatti, non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato: la quale, infatti, con statuizione rimasta del tutto priva di censura, ha ritenuto che la banca convenuta era a conoscenza dello stato d ‘ insolvenza in cui versava la debitrice al momento dell ‘ impugnato pagamento se non altro perché, in data 26/2/2013, e cioè prima dell ‘ escussione del pegno, la banca aveva ‘ passato a sofferenza ‘ alcuni rapporti contrattuali dei quali la società poi fallita era intestataria presso la sua filiale di Casteggio, per un ‘ dare ‘ complessivo pari ad oltre 5 milioni e mezzo di euro.
2.11. E tanto basta, in fatto, in difetto di emergenze fattuali che depongano con certezza in senso contrario, per ritenere che la banca, al momento del pagamento impugnato,
era a conoscenza dello stato d ‘ insolvenza in cui versava la correntista poi fallita.
Il ricorso, per l ‘ inammissibilità dei motivi articolati, è, a sua volta, inammissibile: e come tale dev ‘ essere dichiarato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l ‘ inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese di lite, che liquida in €. 15.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima