Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17101/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE STRAORDINARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale:
EMAIL
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1431/2022 depositata il 03/05/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Il Tribunale di Lecco, in parziale accoglimento della domanda exart. 67, comma 2, l. fall. proposta da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Banca Antonveneta s.p.a., dichiarò l’inefficacia delle rimesse solutorie per complessivi € 164.807,19, affluite, nel cd. periodo sospetto, sul conto corrente intrattenuto dalla società in bonis presso l’istituto di credito convenuto, escludendo che fra le stesse potesse rientrare un accredito di € 681.136,38, in quanto rinveniente dalla vendita di titoli costituiti in pegno irregolare in favore della banca.
-La decisione fu impugnata in via principale da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale da Banca Monte dei Paschi di Siena (in seguito MPS), succeduta ad Antonveneta nella titolarità del rapporto controverso.
-La Corte d’Appello di Milano, con sentenza dell’11.2.2016, accolse l’appello principale e respinse quello incidentale. Nel merito, qualificò il pegno come regolare, ritenne sussistente la scientia decoctionis di Antonveneta ed escluse che, ai fini della determinazione delle rimesse revocabili, potesse tenersi conto del contratto di apertura di credito prodotto dalla banca, privo di data certa e perciò inopponibile alla procedura; dichiarò pertanto inefficace ex art. 67 comma 2, l.fall. anche la rimessa derivata dall’escussione del pegno e condannò RAGIONE_SOCIALE a restituire alla procedura di ARAGIONE_SOCIALE. la somma complessiva di € 845.943,57, maggiorata degli interessi legali dalla domanda.
RAGIONE_SOCIALE propose ricorso per cassazione in quattro mezzi, cui la procedura di RAGIONE_SOCIALE resistette con controricorso.
-Con ordinanza n. 22096 del 22.7.2020 questa Corte accolse il primo motivo (‘ violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e la nullità della sentenza impugnata, per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del motivo d’appello, introduttivo di una nuova questione, con il quale l’A.S. aveva dedotto la natura regolare del pegno, dopo che, nel giudizio di primo grado, non aveva in alcun modo contrastato la difesa di Antonveneta secondo cui i titoli erano stati costituiti in suo favore in pegno irregolare,
con facoltà di disporne per soddisfarsi dei propri crediti senza dovere agire in sede esecutiva, con conseguente non assoggettabilità a revocatoria della somma derivante dal loro realizzo ‘), dichiarò assorbito il secondo e inammissibili i restanti, e cassò la sentenza con rinvio osservando: « Come già affermato da questa Corte (Cass. 9 maggio 2007, n. 10629), ciò che distingue il pegno irregolare di cose fungibili da quello regolare è la circostanza che nel primo, a differenza che nel secondo, il debitore concede al creditore pignoratizio la facoltà di disporre del bene oggetto della garanzia. La deduzione della ricorrenza dell’una o dell’altra fattispecie di pegno, rendendo necessaria l’allegazione del diverso fatto costitutivo (non disponibilità/disponibilità del bene) che le caratterizza e comportando (nel caso che la questione sia controversa) un apposito accertamento del giudice del merito sul punto (cfr. ancora Cass. 10629/07 cit.), non integra pertanto una mera difesa: ne consegue che la parte che nel primo grado del giudizio abbia qualificato il pegno come regolare o irregolare non può, in grado d’appello, fondare la propria domanda sull’opposta qualificazione, attraverso la quale introdurrebbe in sede di gravame (a seconda della sua posizione di attore o di convenuto) una nuova causa petendi o una nuova eccezione, entrambe precluse dall’art. 345 cod. proc. civ. Nel caso in esame è stata la banca convenuta, e non la procedura attrice, a dedurre nella propria comparsa di risposta, in via di eccezione, che la rimessa rinveniente dalla vendita dei titoli costituiti in pegno era irrevocabile in ragione della natura irregolare della garanzia pignoratizia. MPS sostiene però che l’A.S. avrebbe prestato adesione, quantomeno implicita, a detta eccezione, non avendola contrastata sotto alcun profilo di fatto ed essendosi limitata, nella memoria di replica, ad eccepire a sua volta l’inopponibilità o l’invalidità dell’atto costitutivo della garanzia. La questione della novità della causa petendi dedotta dall’A.S. in appello (peraltro rilevabile anche d’ufficio) era stata espressamente sottoposta all’esame del giudice del gravame. Si legge infatti nella sentenza impugnata, a pagina 6, che MPS “ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’affermazione, fatta dalla procedura per la prima volta in questo grado, della natura regolare del pegno oggetto della lite”. La corte territoriale, incorrendo nel
denunciato vizio procedurale, ha però omesso di pronunciare su tale eccezione, che le imponeva di accertare, prima di scendere all’esame nel merito dell’appello principale, se nel corso del giudizio di primo grado l’ARAGIONE_SOCIALE avesse, esplicitamente od implicitamente, aderito alla tesi della banca convenuta, della natura irregolare del pegno costituito sui titoli, posto che in tale ipotesi l’impugnazione proposta dalla procedura sarebbe risultata inammissibile in quanto fondata su un nuovo fatto costitutivo. All’accoglimento del primo motivo di ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, per un nuovo esame sulla sole questioni concernenti l’ammissibilità dell’appello principale e la qualificazione del pegno, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione ».
-La corte d’appello di Milano, in sede di rinvio, ha: A) rilevato la tempestiva contestazione (sintetica, ma sia formale che sostanziale) dell’A .S., che nella prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. aveva dedotto: ‘ Costaferroviaria provvedeva pertanto a concedere in garanzia CT per un controvalore complessivo di euro 665.000,00 titoli che risultano esattamente individuati e descritti nei documenti prodotti da controparte sicché sin da ora si contesta in ogni caso la natura di pegno irregolare in relazione alla garanzia dedotta da controparte ‘ , con conseguente ammissibilità dell’appello; B) scendendo nel merito, ha accertato in concreto la natura regolare del pegno, in base ad una serie di previsioni contrattuali (v. pag. 6) attestanti che i titoli erano divenuti ‘di proprietà’ di MPS (cfr. Cass. 24137/2018).
-MPS è tornata a proporre ricorso per cassazione in un unico motivo, lamentando sostanzialmente che avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere che una contestazione della natura irregolare del pegno vi fosse stata, in quanto l’A .S. si era limitata a dedurre, errando, che il pegno era regolare sol perché i titoli erano stati ‘ espressamente individuati e descritti nei documenti ‘, mentre avrebbe dovuto dedurre semmai che MPS aveva la possibilità di disporre dei titoli. Ha poi aggiunto di non voler chiedere ‘ovviamente’ un riesame nel merito, pur non rinunciando a
manifestare di non condividere l’accertamento della natura regolare del pegno da parte della Corte d’appello.
-L’A RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
-In data 20.12.2023 è intervenuta una proposta di definizione ex art. 380-bis c.p.c., ma MPS ha chiesto la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis, co. 2, c.p.c., depositando memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La Proposta di definizione ex art. 380-bis c.p.c. è del seguente tenore:
«Il ricorrente con unico motivo di ricorso censura la sentenza della Corte d’Appello di Milano per violazione ex art. 360, c.1, n. 3 c.p.c. degli artt. 112, 115 e 345, c.1, c.p.c. per non essersi pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata da Banca Monte dei Paschi di Siena, per la mancata contestazione circa la natura del pegno da parte della A.SRAGIONE_SOCIALE nel corso del giudizio di I grado, da cui sarebbe derivata l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla procedura, in quanto fondata su un nuovo fatto (costitutivo del diritto) rappresentato dalla natura irregolare del pegno. Parte ricorrente denuncia, altresì, che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai sostenuto nel corso del I grado di giudizio che i titoli erano entrati nella disponibilità del creditore, a cui il debitore aveva concesso la facoltà di disporre, svolgendo una contestazione generica sui fatti costitutivi della domanda.
La Corte ha chiarito da tempo come ricorra la violazione dell’art. 112 c.p.c. solamente in caso di totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto e che tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 15255 del 2019).
Si osserva che, all’interno del provvedimento impugnato e diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, è rinvenibile specifica pronuncia sull’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione sollevata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena;
a pag. 5 del provvedimento impugnato si legge che ‘deve ritenersi che la contestazione relativa alla natura irregolare del pegno è stata sollevata dalla AS: – sia formalmente, dato che vi è stata una espressa contestazione della natura irregolare del pegno nel primo atto successivo all’affermazione in tal senso di controparte, – sia sostanzialmente, dato che l’AS ha esplicitato la natura irregolare del pegno, affermata da controparte, non era condivisibile per uno specifico motivo, e cioè per essere stati i titoli espressamente individuati e descritti nei documenti prodotti da MPS. In presenza della rilevata tempestiva contestazione, da parte dell’AS, circa la natura irregolare del pegno, l’appello principale dell’A.S. è da considerarsi ammissibile (in quanto avente ad oggetto una contestazione già effettuata in primo grado)’.
Alla luce di quanto sopra il ricorso va rigettato poiché infondato, in quanto nessun vizio di omessa pronuncia è rintracciabile nel provvedimento impugnato.»
-Il Collegio ritiene che la proposta sopra trascritta sia totalmente condivisibile, e la fa propria.
È evidente, infatti, come il ricorrente confonda l’assenza di contestazione con la presenza di una contestazione che si deduce essere, in diritto, errata.
Ogni altro aspetto di merito non può essere valutato in questa sede, come ammette lo stesso ricorrente.
12. -Occorre dar conto, in relazione al disposto dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. che, trattandosi di giudizio pendente alla data del 28 febbraio 2023 (Cass. Sez. U, 10955/2024) e deciso in piena conformità alla proposta ex art. 380-bis c.p.c., vanno disposte, in uno alla condanna alla rifusione delle spese processuali, anche la condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nonché l’ulteriore condanna al pagamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., il tutto liquidato come da dispositivo.
-Si è detto, infatti, che l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta di decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per le condanne di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 96 c.p.c. codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U, 27433/2023, 28540/2023; conf. Cass. 11346/2024).
-Il rilievo risulta assorbente rispetto alla richiesta di condanna per lite temeraria ex art. 96, comma 3 c.p.c.
-Sussistono infine i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione proposta, se dovuto, a norma del comma 1-bis dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115/02.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Condanna il ricorrente al pagamento di € 14.000,00 in favore dello stesso controricorrente, quale somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c. e dell’ulteriore somma di €. 2.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11/03/2025.