Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14016 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14016 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6084 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente avverso la sentenza n. 1154/2020 depositata il 4 agosto 2020 della Corte di appello di Catanzaro.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE -oggi RAGIONE_SOCIALE in liquidazione -e NOME COGNOME deducendo di essere stata designata dalla Regione Calabria quale soggetto gestore di una misura comunitaria che prevedeva aiuti finanziari alle piccole e medie imprese al fine di promuovere e sostenere nel territorio regionale lo sviluppo di iniziative imprenditoriali anche attraverso apporti finanziari nella forma della sottoscrizione del capitale sociale; ha aggiunto che la suddetta misura prevedeva anche l’acquisizione temporanea di partecipazioni sociali di minoranza nelle imprese finanziate per un periodo di tempo non inferiore a quattro e non superiore a sette anni. La società attrice ha poi dedotto che la convenuta RAGIONE_SOCIALE le aveva richiesto un intervento partecipativo, a valere sulla predetta misura, per l’importo di euro 258.228,45, pari al 4,35% del capitale sociale. La richiesta aveva avuto un riscontro positivo onde RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato un aumento del proprio capitale sociale da lire 11.000.000.000 a 11.500.000.000 mediante emissione di 5.000 nuove azioni ordinarie del valore nominale unitario di lire 100.000. La società attrice ha spiegato che con scrittura privata del 27 dicembre 1999 era stato poi previsto il pagamento, da parte della convenuta, in proprio favore, di una commissione su base annua pari all’1,5% del costo globale dell’intervento partecipativo dai corrispondersi annualmente. A garanzia del carattere temporaneo della partecipazione di RAGIONE_SOCIALE era stato poi accordato a questa una opzione put avente ad oggetto il trasferimento della sua partecipazione per il corrispettivo commisurato al patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio approvato dalla società, da esercitarsi mediante comunicazione che andava inoltrata con novanta giorni di preavviso, entro novanta giorni dal compimento del settimo anno successivo alla sottoscrizione dell’aumento di capitale; correlativamente era stata accordata al socio e legale rappresentante di NOME COGNOME NOME Comensoli, una opzione call disciplinata in modo corrispondente alla
opzione put , avente ad oggetto il trasferimento della medesima partecipazione dietro il versamento dello stesso corrispettivo. Infine, a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dall ‘ opzione put , COGNOME si era reso fideiussore nei confronti di Fincalabra per l’importo di lire 500.000.000.
L’attrice ha dedotto l’inadempimento di NOME COGNOME quanto al versamento annuale della commissione pattuita per gli anni dal 1998 al 2005 e ha lamentato che, essendo giunto a scadenza l’impegno relativo alla propria partecipazione azionaria, aveva vanamente esercitato, con nota del 17 gennaio 2007, l’ opzione put , visto che RAGIONE_SOCIALE non si era avvalso dell’opzione call a lui riconosciuta.
L’attrice ha dunque domandato al Tribunale di Catanzaro di condannare la società e Comensoli, per i titoli indicati, al pagamento delle somme di euro 23.240,58 e di euro 269.848,74.
Nella resistenza di NOME Fly e di Comensoli, il nominato Tribunale ha condannato i predetti convenuti al pagamento delle somme di euro 11.620,29, quale commissione dovuta relativamente agli anni 2004, 2005 e 2006 e, rispettivamente, di euro 257.889,85, quale prezzo dovuto a fronte dell’esercizio della opzione put.
L’i nterposto gravame è stato respinto dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 4 agosto 2020.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ricorrono per cassazione avverso detta pronuncia facendo valere otto motivi di impugnazione. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la violazione delle disposizioni in materia di giurisdizione. I ricorrenti oppongono il «difetto di giurisdizione del Tribunale a conoscere della controversia»: difetto che discenderebbe dalla clausola compromissoria contenuta nell’art. 26 dello statuto sociale di RAGIONE_SOCIALE In base a detta disposizione, infatti,
qualsiasi controversia dovesse insorgere in dipendenza dai rapporti tra i soci e la società o tra essi e gli organi sociali o nell’interpretazione dello statuto doveva essere sottoposta a un collegio arbitrale.
Il motivo è inammissibile.
La questione è estranea al decisum del Giudice di appello. Del resto, la Corte territoriale non avrebbe potuto occuparsi di tale questione, visto che, come risulta dalla sentenza impugnata , l’odierna ricorrente, costituendosi, non ebbe a proporre l’eccezio ne di arbitrato: deve qui rammentarsi che l ‘eccezion e di compromesso ha carattere processuale e integra una questione di competenza, onde va sollevata, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo della parte convenuta (per tutte: Cass. 3 gennaio 2024, n. 112; Cass. 5 giugno 2019, n. 15300).
2. ─ Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 2265 c.c.. Viene invocato l’art. 2.3 dell’accordo parasociale, secondo cui gli utili e le riserve formatisi negli anni precedenti e risultanti in bilancio alla data di ingresso di RAGIONE_SOCIALE sarebbero stati utilizzati per il ripianamento di eventuali perdite di esercizio che si fossero formate durante la partecipazione della detta società. Si assume che l’odierna ricorrente poteva così godere di un trattamento privilegiato per tutto il periodo in cui era socia di NOME COGNOME «e ciò in maniera assoluta essendo esplicitamente previsto che le perdite (durante tutta la durata della partecipazione) non dovevano essere computate ai fini della quantificazione del patrimonio netto e del conseguente calcolo del valore delle azioni, perché le stesse sarebbero state compensate dagli utili e dalle riserve formatesi negli anni precedenti all’ingresso di Fincalabra».
Il motivo di ricorso si correla all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui il divieto del patto leonino, posto dall’art. 2265 c.c., presuppone una situazione statutaria, costitutiva dei diritti e degli obblighi di uno o più soci nei confronti della società ed integrativa della loro posizione nella compagine sociale, caratterizzata dalla
esclusione totale e costante del socio dagli utili o dalle perdite. La Corte di merito ha rilevato che in base all’accordo parasociale le perdite che non avrebbero dovuto concorrere al computo del valore del patrimonio netto da prendere in considerazione ai fini della quantificazione del prezzo di cessione del pacchetto azionario acquistato da RAGIONE_SOCIALE sarebbero state unicamente quelle sofferte da NOME Fly prima dell’ingresso in quest’ultima società da parte dell’odierna controricorrente.
Gli istanti invocano una specifica previsione della pattuizione parasociale che la Corte territoriale non ha preso in considerazione, in quanto il tema del patto leonino è stato da essa esaminato avendo riguardo alla questione delle perdite da computare ai fini della stima del patrimonio netto. La parte ricorrente non deduce di aver specificamente lamentato, in appello, che la previsione contenuta alla lett. c) dell’art. 2.3 dell’accordo parasociale fosse stata posta a fondamento dell’eccepita nullità dell’intercorsa pattuizione : e ai ricorrenti incombeva l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
Anche a ritenere che la questione sia stata ritualmente introdotta nel giudizio di legittimità, andrebbe in ogni caso considerato che la Corte territoriale ha ritenuto, di fatto, restassero a carico di RAGIONE_SOCIALE le perdite maturate dopo il suo subentro: e una tale affermazione non è passibile della censura di violazione e falsa applicazione dell’art . 2265 c.c.. Infatti, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie
in essa delineata, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista, pur rettamente individuata e interpretata, non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; non rientra, invece, nell’ambito applicativo dell’art. 360, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. 14 gennaio 2019, n. 640; in senso conforme: Cass. 4 marzo 2022, n. 7187).
Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.
3. ─ Col terzo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1936 c.c. in relazione alla disposizione di cui all’art. 3.6 dell’accordo parasociale. Si rileva che in base a quest’ultima disposizione pattizia COGNOME si era costituito fideiussore, e dunque garante di sé medesimo, per le obbligazioni da lui assunte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, e nello specifico per il pagamento del prezzo delle azioni acquistate nel caso la società in questione avesse esercitato l’opzione put . Tale previsione, secondo i ricorrenti, sarebbe nulla per mancanza di causa e per contrarietà a norme imperative.
Anche tale motivo è inammissibile.
Premesso che le censure del ricorso per cassazione non possono risultare prive di specifiche attinenze al decisum (Cass. 9 aprile 2024, n. 9450; Cass. 3 luglio 2020, n. 13735), la doglianza prospettata mostra di non cogliere il senso della pronuncia, nella parte che qui interessa. La Corte di appello ha rilevato che l’esercizio dell’ opzione put di RAGIONE_SOCIALE era condizionata all’integrale versamento del prezzo convenuto «al socio RAGIONE_SOCIALE ovvero a terzi (anche non soci) che dallo stesso fossero stati presentati», onde, nel caso in cui «l’acquisto si fosse
venuto a perfezionare in capo ad altro soggetto, anziché in capo a Comensoli personalmente», quest’ultimo doveva reputarsi «tenuto a garantire personalmente l’adempimento delle obbligazioni correlate alla corresponsione del prezzo di cessione del pacchetto azionario». Come è evidente, tale ricostruzione raccorda la garanzia fideiussoria a una situazione in cui vi è alterità tra garante e debitore principale e che quindi esclude la nullità dedotta dai ricorrenti.
4. ─ Il quarto mezzo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 141 8 c.c. in relazione alla regolamentazione contenuta negli artt. 2 e 3 dell’accordo parasociale. Secondo chi impugna la finalità coercitiva della intercorsa pattuizione, consistente nell’obbligo di acquisto, ne inficia la validità ─ in quanto attraverso di esso verrebbe violato il principio di ordine pubblico economico che permea la materia societaria, in base al quale non si può costringere nessuno a diventare socio di una società ─ , oltre che il principio di libera circolazione dei titoli azionari.
Il motivo non ha fondamento.
Come questa Corte ha avuto già modo di rilevare, in tema di patti parasociali, è valida la previsione all’interno di essi di opzioni put e call tra i soci stipulanti, identificandosi la causa concreta del negozio in una forma di garanzia per il socio finanziatore, come tale rientrante nell’autonomia contrattuale concessa ai soci e pertanto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento (Cass. 7 ottobre 2021, n. 27227). In particolare, la causa concreta del patto parasociale in discorso corrisponde al fine pratico, sia pure mediante il meccanismo dell’opzione di rivendita o di riacquisto a prezzo fisso, di assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell’autonomia negoziale privata ex artt. 41 Cost. e 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti (sent. ult. cit., in motivazione). L’effetto consistente nell’acquisto della qualità di socio è del resto conseguenza di un atto tipizzato dell’autonomia privata ─ l’opzione ─ che è diretto,
per sua natura, a creare un vincolo a carico del promittente: non si vede, dunque, come possa ipotizzarsi, in tale evenienza, una nullità contrattuale derivante dall’obbligo di riacquisto della partecipazione sociale attraverso il trasferimento dei titoli azionari che quella partecipazione rappresentano.
5. ─ Col quinto motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione del l’art. 2348 c.c. in relazione alla disposizione di cui all’art. 5.2 dell’accordo parasociale. Viene osservato che la previsione di una commissione per l’ingresso di Fincalabra in RAGIONE_SOCIALE darebbe vita ha una categoria di azioni privilegiate con conseguente nullità dell’accordo, dal momento che tale eventualità non era contemplata dallo statuto sociale.
Il motivo è inammissibile.
Al pari del motivo che precede, il mezzo difetta di aderenza alla sentenza impugnata. A questa è difatti estranea alcuna affermazione circa la natura privilegiata delle azioni acquistate da RAGIONE_SOCIALE: la Corte di appello non ha asserito che in detti titoli fossero incorporati diritti diversi da quelli spettanti alle altre azioni ordinarie della parte ricorrente: ha qualificato, piuttosto, la commissione pattuita come un semplice «costo che si era impegnata a sostenere a fronte dell’apporto finanziario ottenuto attraverso l’intervento partecipativo al proprio capitale sociale da parte della RAGIONE_SOCIALE», precisando che la finalità remunerativa per i vantaggi conseguiti dal soggetto obbligato attraverso il finanziamento risultava essere «del tutto autonoma e svincolata dagli aspetti concernenti le modalità e i criteri del concorso dei soci nella distribuzione degli utili societari».
6. ─ Il sesto motivo prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si deduce quanto segue: in base all’art. 5.2 della pattuizione parasociale la commissione cui aveva diritto RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata restituita da RAGIONE_SOCIALE nel solo caso in cui il prezzo di cessione sarebbe stato pari o inferiore al valore nominale sottoscritto mentre, qualora al momento
della cessione il valore delle quote fosse stato superiore al valore nominale delle azioni, maggiorato del valore della commissione cumulata, la società convenuta in giudizio avrebbe avuto il diritto di trattenere la differenza fino alla concorrenza della commissione; spiegano i ricorrenti che il valore della quota di RAGIONE_SOCIALE, pari a euro 280.128,64, era superiore al valore nominale sommato alla commissione.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti non indicano quale sia il fatto decisivo oggetto di omesso esame. Nel corpo del motivo la parte istante fa questione del mancato scrutinio di una propria eccezione: il che lascia pensare a un’omessa pronuncia. E tuttavia, se non è indispensabile, ai fini della valida proposizione della censura di omessa pronuncia, che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., il motivo deve pur sempre recare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. Sez. U. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862): e tale riferimento nel caso in esame difetta. In secondo luogo, la parte ricorrente non riproduce il contenuto della richiamata eccezione: nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo il detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto
processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367).
7. ─ Col settimo motivo si lamenta, ancora, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Viene dedotto che gli odierni ricorrenti avevano sempre eccepito l’irritualità e la tardività dell’esercizio dell’opzione put da parte di RAGIONE_SOCIALE e che tale eccezione non era stata tuttavia «esaminata adeguatamente dalla Corte di appello e comunque non sulla base di quanto dedotto e argomentato» dagli istanti nei loro atti difensivi.
Varrebbero, al riguardo, le considerazioni svolte esaminando il sesto motivo se non fosse che la parte ricorrente si duole non già di un’omessa pronuncia, ma di uno scrutinio per essa non soddisfacente della richiamata eccezione: il che esclude, anche in linea astratta, la cassazione della sentenza per il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. . D’altro canto, la deduzione delle circostanze di cui a pagg. 17 s. del ricorso non possono assurgere a fatti storici oggetto dell’omesso esame di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., dal momento che gli istanti mancano di indicare, come da loro preciso onere, il «dato», testuale o extratestuale, da cui ogni singolo fatto risulti esistente, il «come» e il «quando» il fatto stesso sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività»: ciò, tenendo conto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
8. ─ L’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. . in relazione all’eccezione di compensazione tra crediti reciproci. La censura verte sulla domandata compensazione del credito di Fincalabra col credito vantato dai ricorrenti nei confronti dell’Azienda forestale regionale della Calabria: eccezione che il Giudice distrettuale aveva ritenuto inammissibile. Oppongono gli istanti che nella fattispecie non verrebbe in questione una mutatio libelli ; deducono che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo e che l’unico limite della modifica della domanda è dato da ciò: l’originario elemento identificativo soggettivo delle persone deve rimanere immutato e la vicenda sostanziale deve essere uguale, o quantomeno collegata a quella dedotta in giudizio con l’atto introduttivo.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha escluso che potesse avere ingresso la domanda subordinata riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE basata sulla richiamata compensazione, osservando che tale domanda era stata proposta tardivamente e concerneva comunque un rapporto intercorrente con un soggetto estraneo al giudizio.
L’affermazione si rivela corretta sotto entrambi i profili.
La parte ricorrente non riproduce, come da suo preciso onere, il contenuto della deduzione difensiva che qui interessa. E’ da credere, nondimeno, che gli odierni istanti avessero fatto valere in giudizio, più che una domanda, un ‘ eccezione: e infatti a pag. 19 del ricorso si deduce che «i ricorrenti reiteravano l’eccezione, dichiarata inamm issibile dal giudice di prime cure, di compensazione del presunto credito vantato dalla Fincalabra nei confronti degli stessi con il credito da questi ultimi vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (Azienda forestale regionale) della Calabria». Del resto, tra le domande trascritte nell ‘ epigrafe della sentenza impugnata non ne figura alcuna che abbia ad oggetto la compensazione: e ciò conferma nel convincimento che la detta
compensazione fosse stata introdotta in giudizio con una mera eccezione. Se così è, risulta decisiva la circostanza per cui l’eccezione di compensazione, in quanto eccezione in senso stretto, avrebbe dovuto essere proposta, a pena di decadenza, della comparsa di risposta di primo grado: ciò che pacificamente non è accaduto.
La statuizione di inammissibilità è poi senz’altro condivisibile avendo riguardo alla distinta soggettività giuridica di coloro tra cui la compensazione dovrebbe operare; infatti, l’art. 1242 c.c. richiede che vi sia reciprocità di posizione creditoria e debitoria fra le medesime parti (si veda, per tutte: Cass. 11 settembre 2013, n. 20874).
─ In conclusione, il ricorso è respinto.
─ Le spese di giudizio seguono la s occombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, facente capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione