Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
Oggetto:
società di fatto patto leonino
AC – 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13931/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., elett.te domiciliata in Roma, INDIRIZZO,
presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1332/2019, pubblicata il 3 ottobre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Massa, lo ha condannato a rimborsare alla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo, breviter , ‘la società’) la somma di euro 22.041,00, oltre accessori, come conseguenza della declaratoria di nullità dei contratti stipulati tra le parti in data 27 febbraio 2003 e 4 settembre 2004, confermando per il resto la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato la società a corrispondere al COGNOME la somma di euro 163.934,16, oltre accessori, a titolo di utili di impresa maturati quale titolare della partecipazione in detta società nella misura del 50%.
La società ha resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che nessuna società poteva ritenersi sussistente tra il COGNOME e la COGNOME, atteso che il primo non aveva in alcun modo conferito qualsivoglia elemento economicamente apprezzabile ai fini della costituzione del capitale sociale della seconda; b) che la nullità
del contratto stipulato inter partes poteva comunque rinvenirsi nella violazione del divieto di patto leonino, per come chiaramente emergeva dalla lettura delle clausole dei due contratti stipulati tra il COGNOME e la società, atteso che , mancando ogni forma di conferimento lecito da parte del primo, egli si sarebbe trovato a beneficiare di utili ‘ senza assunzione di alcun rischio, né di capitale, né di opera ‘; c) che i rapporti patrimoniali connessi ai pagamenti reciprocamente effettuati tra le parti, valutati sulla base delle prove in atti, dimostravano la sussistenza di un credito a saldo della società nei confronti del COGNOME pari a euro 22.041,00 .
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
Primo motivo «I. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale degli artt. da 62 a 67 del d.l. 21/6/2013 N° 69, convertito con modificazioni nella L. 9/8/2013 N°98, in relazione agli artt. 102 co. 1 e 106 co. 1 e 2 Costituzione e conseguente nullità della Sentenza per vizio di costituzione del Giudice ex art. 158 C.P.C. in relazione all’art. 360 co. 1 N°4 C.P.C.» deducendo che l ‘incostituzionalità dell’ istituzione dei giudici ausiliari in appello per assenza di esigenze emergenziali che ne giustificassero la creazione determina la nullità derivata della sentenza, emessa nella specie con il concorso di uno di essi.
Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità a quanto condivisibilmente già affermato da questa Corte (Sez. 6-2, Ordinanza n. 32065 del 05/11/2021) secondo cui, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 2021, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni,
contenute nel d.l. n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella l. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo “status” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà a una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta a evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili.
Secondo motivo «II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 C.C. , in relazione all’art. 360 , co. 1, NN°3 e 5 C.P.C, per avere la Corte territoriale escluso ogni forma di conferimento da parte del ricorrente nella società di fatto costituita con scrittura privata 27/2/2003, violando e non applicando il disposto normativo, con motivazione quanto meno perplessa ed omettendo di valutare fatti decisivi per il giudizio.
Terzo motivo «III. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 C.C., in relazione all’art. 360 co. 1 NN°3 e 5 C.P.C, per aver la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del c.d. ‘patto leonino’ sul presupposto dell’inesistenza di conferimenti leciti da parte dell’odierno ricorrente.»
Quarto motivo «IV. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. C.C. in relazione all’art. 360 co. 1 NN°3 e 5 C.P.C, per avere la Corte territoriale interpretato la scrittura 27/2/2003 quale costituente un’unica pattuizione riferibile sia
all’attività di direzione dei lavori che alle attività connesse alla vendita degli immobili».
Quinto motivo «V. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 C.C. in relazione all’art. 360 co. 1 NN°3 e 5 C.P.C, per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità dell’intero contratto in presenza di una asserita nullità relativa ad una singola pattuizione.
Sesto motivo «VI. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 C.C. in relazione all’art. 360 co. 1 NN°3 e 5 C.P.C, per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità del contratto 27/2/2003 per essersi impegnato il Sig. COGNOME a svolgere attività tecniche che, a detta della Corte, presupponevano l’ esistenza in capo al Geom. COGNOME della sua abilitazione professionale di Geometra e di Mediatore.».
Settimo motivo «VII. Omessa e comunque perplessa motivazione e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, co.1 n°5) per avere la Corte territoriale riconosciuto a favorire della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 22.041,00 condannando il geom. COGNOME al relativo pagamento oltre rivalutazione monetaria dalla data dei singoli pagamenti e gli interessi dalla data della spettanza al saldo.»
I motivi dal secondo al settimo sono complessivamente fondati, nei limiti e per le considerazioni che seguono.
La sentenza impugnata è nulla in quanto consta, come eccepito dal ricorrente, di una motivazione contenente una serie di affermazioni tra di loro giuridicamente inconciliabili, che ne minano complessivamente l’ intellegibilità.
A pag. 10 della sentenza, la Corte territoriale afferma che nessuna affectio societatis sarebbe rinvenibile nel rapporto che
ha legato le parti; in particolare, afferma che dagli atti non sarebbe emerso alcun apporto oggettivo del COGNOME alla realizzazione degli scopi societari della RAGIONE_SOCIALE riferiti alla negoziazione di immobili, ciò che costituiva l’oggetto della società che, nella tesi dell’ odierno ricorrente, si sarebbe instaurata di fatto tra le parti.
L’affermata esclusione dell’esistenza di una società di fatto tra le parti avrebbe, tuttavia, dovuto indurre la Corte a farsi carico della qualificazione giuridica del rapporto pacificamente esistito tra le parti in causa, idonea a giustificare gli altrettanto pacifici rapporti economici tra le stesse instaurati per effetto delle due scritture private sottoscritte inter partes . Ciò che corrisponde a un dovere del giudice del merito che, allorquando mostra di non condividere la qualificazione giuridica proposta dalle parti, ha tuttavia il preciso obbligo, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo, di qualificare correttamente il rapporto esistito e, nei limiti della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di provvedere in conseguenza.
Sennonché la sentenza impugnata, ben lungi che effettuare quanto appena indicato, afferma (sempre a pag. 10) che l’ impossibilità di configurare, seppur di fatto, un valido ‘ patto societario ‘ avrebbe determinato che gli impegni assunti nelle due scritture private sarebbero da considerarsi nulli per aver violato il disposto dell’art. 2265 cod. civ.
Orbene, una siffatta affermazione è del tutto inconciliabile con la prima, poiché l’accertata inesistenza di alcuna affectio societatis non consente di ritenere sotto alcun profilo applicabile alle obbligazioni assunte dalle parti stipulanti il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 cod. civ., per la semplice quanto
insuperabile considerazione che tale disposizione codicistica si applica solo nell’eventualità che tra le parti stipulanti esista una società e non in quella contraria.
Di talché, del tutto incomprensibile appare come la Corte ligure abbia potuto affermare, subito dopo aver negato la venuta a esistenza di qualsivoglia società tra le parti, che il ‘patto sociale’ sarebbe stato nullo per la violazione del divieto del patto leonino. Né alcuna motivazione è offerta dalla sentenza a spiegazione de ll’affermazione (pag. 11) secondo cui l a violazione del citato patto sarebbe conseguenza dell’assenza di ‘alcun conferimento lecito’ da parte del COGNOME. Se poco prima si era escluso che vi sia stato alcun conferimento, è evidente che tale inesistenza non può qualificare la violazione di un divieto societario; né vi è alcuna spiegazione del riferimento al ‘conferimento lecito’, quasi a intendere che ve ne siano stati di non leciti.
L’aporia motivazionale appena illustrata è rilevante ai fini dell’ invalidità della sentenza, perché non si risolve in una mera contraddizione motivazionale o di logica giuridica, ciò che avrebbe potuto condurre a una mera correzione motivazionale, ma conduce la Corte territoriale a una diretta applicazione pratica nella regolazione dei rapporti tra le parti: anziché applicare i principi generali in tema di effetti retroattivi della nullità, con conseguente impartizione delle disposizioni di accertamento e di condanna alla restituzione di tutte le prestazioni legittimamente ripetibili, la Corte territoriale conferma espressamente la sentenza di primo grado nella parte in cui ha condannato la società a corrispondere al COGNOME la somma di euro 163,934,16 a titolo di utili di impresa nella misura del 50%. In tal modo, la Corte di appello non solo
dimentica di applicare i principi sulla retroattività della declaratoria di nullità dei contratti, ma non si avvede che, confermando in parte qua la sentenza di primo grado, ove la società di fatto era stata ritenuta sussistente, finisce per rendere una sentenza del tutto antinomica: il titolo giuridico del pagamento disposto in primo grado, e confermato in appello, a carico della società e in favore del COGNOME è identificato nella società di fatto esistita tra le parti per effetto delle due scritture private in atti; il titolo giuridico del pagamento disposto in appello, per effetto della parziale riforma della sentenza di primo grado, a carico del COGNOME e in favore della società, muove dall’accertata inesistenza o, alternativamente, nella nullità della società, ma omette qualsivoglia accertamento di quale negozio giuridico sia insorto tra le parti che possa giustificare un calcolo di dare e avere che, tuttavia, la sentenza impugnata effettua (a pag. 12/13), qualificandolo come ‘indennizzo’. Affermazione , ancora una volta, del tutto incomprensibile, dovendo ribadirsi che la declaratoria di nullità del contratto comporta non già l’insorgere di un diritto all’indennizzo, bensì di un indebito oggettivo, come più volte affermato da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 715 del 15/01/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 6664 del 16/03/2018), con precise conseguenze sia in tema di onere della prova, sia in tema di effetti restitutori connessi all’ eventualmente accertata sussistenza delle condizioni per il ripristino dello status quo ante nel patrimonio delle parti coinvolte nel contratto invalido.
La sentenza va, dunque, cassata e le parti rinviate alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà a
rinnovare il giudizio secondo i principi sopra esposti e a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i restanti motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti, in relazione ai motivi accolti, innanzi alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2024.