Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27143 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27143 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22127/2021, proposto da
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO , dal quale è rappresentato e difeso, per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME NOMENOME elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO dal quale è rappres. e difeso, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 331/2021 della Corte d’appello di Roma, depositata il 18.01.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2.10.2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME conveniva innanzi al Tribunale di Roma il figlio NOME COGNOME, chiedendo di accertare che il convenuto era, nei confronti dell’attore, il fiduciario della partecipazione al capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE di euro 2176,00- pari al 21,76% dello stesso capitalee di condannarlo a retrocedere la suddetta partecipazione sociale, ex art. 2932 cc.
Si costituiva il convenuto, eccependo l’infondatezza della domanda.
Con sentenza del 2019, il Tribunale di Roma rigettava la domanda, osservando che: i documenti prodotti non dimostravano il patto fiduciario invocato, per il quale occorreva il consenso del fiduciario e l’obbligo assunto dallo stesso di ritrasferire i beni fiduciariamente intestati a richiesta del fiduciario; a tal fine, non era sufficiente la mera dichiarazione degli altri soci, espressa in sede assembleare o nell’accordo per il finanziamento della sottoscrizione delle partecipazioni sociali, non potendo tali dichiarazioni incidere sull’intestazione delle quote di altri soci, e tenuto conto che nessuna di tali dichiarazioni risultava effettuata, confermata o sottoscritta dal convenuto.
Con sentenza depositata il 18.01.2021, la Corte territoriale rigettava l’appello di NOME COGNOME, osservando che: non era fondato il motivo concernente la violazione dell’art. 115 c.p.c., dato che la non contestazione riguardava le allegazioni fatte dalla parte nel processo, e non già la mancata contestazione dell ‘altrui pretesa in epoca precedente al giudizio (tale condotta potrebbe essere valutata quale elemento di prova a supporto delle prove già acquisite, ma non poteva integrare la ‘non contestazione’ di cui all’art. 115 c.p.c.), né essa
poteva riguardare i documenti; nella specie, il convenuto aveva contestato nel giudizio il fatto che si assume nei documenti indicati dall’appellante, ossia la sussistenza del patto fiduciario allegato dall’attore nella citazione; era irrilevante l’assembl ea del 15.6.16, in cui le sorelle dell’attore e il commercialista della società, avevano dichiarato di essere a conoscenza del negozio fiduciario, considerando che il convenuto aveva dichiarato che non era presente a tale assemblea e di non aver avuto conoscenza della suddette dichiarazioni; pertanto, ferma l’avvenuta contestazione da parte del convenuto del fatto costitutivo allegato dall’attore, il rilievo probatorio dei documenti citati dall’appellante e del comportamento tenuto dal convenuto prima della lite, esulava totalmente dalla regola di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., attenendo esso, invece, alla valutazione delle prove. La Corte d’appello riteneva parimenti infondato il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato che il Tribunale non avesse ritenuto provato il negozio fiduciario sulla scorta dei documenti da lui prodotti (le raccomandate provenienti dall’appellante – nelle quali era dedotto il suddetto negozio fiduciario in questione-; il verbale assembleare dei soci del 15.6.16 nel quale i soci NOME e NOME avevano confermato di essere a conoscenza dell’intestazione fiduciaria delle quote dal padre al figlio NOME), non contestati, osservando che: preliminarmente, si rilevava che nel fascicolo telematico del giudizio di primo grado non erano inseriti la citazione e i documenti allegati, ma solo gli atti a partire dalle memorie ex art. 183 c.p.c., mentre tali documenti non risultavano depositati nel giudizio d’appello, come si desumeva dall’attestazione della cancelleria; i documenti depositati dall’attore in primo grado, secondo quanto riportato in sentenza, non comprendevano atti relativi al negozio fiduciario; infatti, il suddetto verbale assembleare non registrava la presenza del convenuto, ma le
dichiarazioni delle sorelle del COGNOME e del commercialista della societàsull’effettivo patto fiduciario tra le parti in causa – neppure confermate oralmente in giudizio, che erano prive di rilievo probatorio atteso che non era dato sapere se tali soggetti avessero appreso i fatti de relato , oppure se fossero stati presenti al momento della cessione delle quote; l’accordo per il finanziamento della sottoscrizione dell’aumento di capitale, intercorso tra l’attore e la sorella NOME COGNOME, non costituiva prova diretto del negozio fiduciario; parimenti irrilevanti erano le diffide inviate dal legale dell’attore; in definitiva, l’appellante non aveva contrastato adeguatamente la motivazione del Tribunale in ordine all’insufficienza delle prove documental i offerte; era altresì inammissibile, per violazione dell’art. 345 c .p.c., il documento prodotto dall’appellante nel giudizio d’appello tre giorni prima della precisazione delle conclusioni in forma scritta, consistente in una dichiarazione sottoscritta da ll’appellato apparentemente in data 14.7.09 nella quale si riconosceva l’esistenza del negozio fiduciario (documento che risulterebbe inviato con mail dalla figlia dell’attore il quale lo avrebbe rinvenuto in fondo ad una cassa), dato che non era provato che tale documentomai menzionato negli scritti difensivi dell’attore il quale aveva allegato sempre la forma orale del negozio fiduciario- non fosse stato ricercato e rinvenuto prima della data della sua produzione in giudizio in appello, né risultava ded otta l’oggettiva impossibilità per l’appellante di produrre in primo grado detto documento che era comunque nella disponibilità dei familiari del COGNOME, sicché quest’ultimo doveva imputare a sé stesso la circostanza di non aver rammentato l’esistenza del documento reputato decisivo per la causa in esame e, comunque, di non aver diligentemente ricercato, nei termini di legge, tutta la documentazione necessaria a sostegno della domanda ex art. 2932 c.c.
Infine, la Corte d’appello , pur rilevando la correttezza del rilievo a tenore del quale il patto fiduciario non richiede la forma scritta quando abbia ad oggetto il trasferimento di beni immobili mediante il trasferimento di quote di società proprietarie di tali beni- alla luce della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazionerespingeva anche il motivo concernente la possibilità di provare tale patto con prova orale, in quanto l’appellante aveva posto a fondamento della domanda produzioni documentali ritenute insufficienti dal Tribunale- come dettomentre l’attore non aveva insistito all’udienza istruttoria o di precisazione delle conclusioni per l’ammissione delle prove orali articolate in atti, che dovevano dunque intendersi rinunciate.
NOME COGNOME ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza di secondo grado, con due motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia, ex art. 360, n.5, c.p.c., l’omessa valutazione di un documento decisivo ai fini della decisione ex art. 345 c.p.c., prodotto tardivamente per causa non imputabile alla parte. Al riguardo, il ricorrente adduce di non aver avuto la disponibilità della prova documentale del pactum fiduciae e di aver prodotto il documento non appena il soggetto che lo deteneva ne aveva palesato l’esistenza (avendolo rinvenuto in fondo ad una cassa nella sua abitazione privata, non liberamente accessibile da parte del ricorrente), lamentando altresì che nella sentenza impugnata non si era tenuto conto del fatto che proprio il rapporto familiare aveva consentito il trafugamento dell’atto in questione, e che la controparte aveva sempre negato l’esistenza del suddetto patto.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 115 e 16, c.p.c., e 2697 c.c., per a ver la Corte d’appello omesso di valutare tutti i documenti prodotti dal ricorrente (verbale dell’assemblea del 15.6.16 e le diffide extragiudiziali), senza considerare il mancato pagamento delle quote sociali da parte di NOME COGNOME, essendo inconfutabile che quest’ultimo, al momento della cessione delle quote, non avesse alcun reddito e vivesse del mantenimento del padre.
Il primo motivo è inammissibile. Il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia esaminato il documento prodotto dall’appellante nel giudizio d’appello tre giorni prima della precisazione delle conclusioni in forma scritta, consistente in una dichiarazione sottoscritta dall’appellato , apparentemente in data 14.7.09, nella quale si riconosceva l’esistenza del negozio fiduciario (documento che risulterebbe inviato con mail dalla figlia dell’attore il quale lo avrebbe rinvenuto in fondo ad una cassa), non riconoscendo che la tardività della produzione fosse da ricondurre a causa a lui non imputabile.
La Corte d’appello ha invece correttamente ritenuto inammissibile tale documento, del quale il ricorrente non aveva mai fatto menzione, non allegando l’oggettiva impossibilità per l’appellante di produrre in primo grado detto documento che era comunque nella disponibilità dei suoi familiari, sicché quest’ultimo doveva imputare a sé stesso la circostanza di non aver rammentato l’esistenza del documento reputato decisivo per la causa in esame e, comunque, di non aver diligentemente ricercato, nei termini di legge, tutta la documentazione necessaria a sostegno della domanda ex art. 2932 c.c.
In questa prospettiva, il motivo tende al riesame dei fatti ed introduce inammissibilmente elementi probatori nuovi: il divieto di produzione di nuovi documenti in appello, di cui al vigente art. 345, comma 3, c.p.c. – nel testo introdotto dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
convertito con l. n. 134 del 2012, applicabile nella specie ratione temporis – può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere (Cass., n. 16289/24).
Ciò nella specie non risulta, essendosi il ricorrente limitato ad affermare genericamente di non aver potuto produrre il suddetto documento in primo grado perché in possesso di terzi familiari (senza indicare quali) e di averlo poi prodotto in appello appena acquisito alla sua disponibilità (senza chiarire con quali modalità ciò fosse avvenuto).
Inoltre, la questione non può essere dedotta come vizio di motivazione, trattandosi di profilo incidente sull’applicazione della norma processuale. In tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme regolatrici del processo non è riconducibile al vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c. quanto, piuttosto, a quello ex art. 360, n. 4, c.p.c., ovvero a quelli di cui ai precedenti numeri 1 e 2, ove si tratti – in quest’ultimo caso – di fatti concernenti l’applicazi one delle disposizioni in tema di giurisdizione o competenza (Cass., n. 5785/17).
Il secondo motivo è inammissibile, perché diretto al riesame dei fatti, lamentandosi genericamente che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente esaminato i citati documenti.
La valutazione delle prove, anche se si tratti di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato,
a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass., n. 20553/22). Il ricorrente per cassazione non può cioè rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 32505/23).
Nel caso concreto, come detto, la doglianza è diretta a rimettere in discussione la valutazione delle prove compiuta dalla Corte d’appello , per inferirne un diverso apprezzamento.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 5.200,00 di cui 200,00 per esborsi,
oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile, in data