Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7999 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7999 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5087/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1669/2020 depositata il 01/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME diviene titolare di licenza di rivendita di Monopoli di RAGIONE_SOCIALE a seguito della rinuncia della precedente titolare NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Tale attività veniva svolta all’interno di spazi locati dalla società RAGIONE_SOCIALE che gestiva un Bar denominato ‘l’RAGIONE_SOCIALE del Centro’ all’interno di un complesso commerciale di Val Vibrata in Colonnella di Teramo.
Successivamente veniva trasferito l’intero ramo d’azienda della società RAGIONE_SOCIALE alla costituita nuova società RAGIONE_SOCIALE di proprietà di NOME COGNOME (2% delle azioni) e NOME COGNOME (proprietario del 98% delle azioni, marito della COGNOME nonché socio maggioritario ed amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE,). COGNOME assumeva anche la carica di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE.
Nel 2015, i coniugi si separavano e la signora COGNOME si ‘appropriava’ dell’azienda di rivendita reclamandone la proprietà esclusiva sulla scorta della intestazione della licenza amministrativa e, conseguentemente, tratteneva gli aggi dei monopoli.
Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio NOME COGNOME chiedendo, accertata l’esistenza del patto fiduciario e la sua violazione da parte della convenuta, la restituzione del prezzo di acquisto dell’azienda, della licenza e delle merci per complessivi euro 112.121,05, ed a titolo di indennizzo o di risarcimento danni la somma di 71.168,40 di cui 31.168, 40 per credito residuo degli aggi dei monopoli non versati.
La convenuta resisteva evidenziando il difetto di legittimazione RAGIONE_SOCIALE, oltre che l’inesistenza e/o l’illic eità del patto fiduciario.
Il Tribunale di Pescara, con ordinanza del 28 novembre 2016, accoglieva la domanda ravvisando l’esistenza del pactum fiduciae dedotto dalla ricorrente in virtù del collegamento negoziale tra il contratto di cessione di ramo d’azienda sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE ed il separato atto di rinunzia alla licenza di rivendita di generi di monopolio in favore dell’odierna resistente. Il Tribunale osservava che la RAGIONE_SOCIALE aveva comprovato i versamenti mensili degli aggi eseguiti dalla resistente rispetto ai quali quest’ultima si era limitata ad allegare in modo generico che si trattava della restituzione del prezzo pagato per la licenza senza considerare che il prezzo della licenza era di 1000 €.
Confermava l’importo degli aggi non versati dalla COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE e la condannava al risarcimento del danno da inadempimento della fiduciaria per 71.168,40 oltre interessi legali; dichiarava inammissibile la domanda di restituzione del prezzo di acquisto dell’azienda, atteso che si trattava di due distinti contratti nei quali ciascuna delle parti risultava effettivo titolare del relativo bene.
La Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1669/2020, del 1° dicembre 2020, confermava la sentenza impugnata.
Avverso detta pronuncia NOME COGNOME propone ricorso per Cassazione, sulla base di 3 motivi.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Curatela Fallimentare della RAGIONE_SOCIALE
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme che disciplinano la cessione di ramo d’azienda (artt. 2555, 2558 e 2112 c.c.) in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Sostiene che la sentenza impugnata è erronea dove ha ritenuto che l’attività di rivendita di Tabacchi intestat a a NOME COGNOME,
con propria autonomia gestionale, rientrasse nel contratto di cessione di ramo d’azienda del bar trasferito dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE nonostante non fosse in alcun modo menzionata.
Nel caso di specie, sostiene la ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE cedeva alla RAGIONE_SOCIALE lo specifico ramo costituito dal bar ed in particolare: l’esercizio dell’attività di bar sotto l’insegna ‘l’RAGIONE_SOCIALE del Centro’, sito in Colonnella, INDIRIZZO, presso il Centro Commerciale Val Vibrata, di cui alle autorizzazioni amministrative citate.
Lamenta che nel contratto di cessione mai era stato previsto l’eventuale ramo della tabaccheria, pertanto, la Corte d’appello erroneamente ha ritenuto includere nel contratto di cessione di ramo di azienda anche una parte non espressamente prevista, dotata di propria autonomia, costituendo ad ogni effetto un’azienda, o ramo d’azienda, autonoma.
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Innanzitutto, è stato formulato in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c., stante l’inosservanza dei principi di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950).
Qualunque sia il tipo di errore denunciato (in procedendo o in iudicando), il ricorrente ha l’onere di indicare specificatamente, a pena di inammissibilità, i motivi di impugnazione, esplicandone il contenuto e individuando, in modo puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, oltre ai fatti che potevano condurre, se adeguatamente considerati, ad una diversa decisione. E ciò perché il ricorso deve ‘contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata’ (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 8/08/2023, n. 24179; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13/07/2023, n. 20139; Cass. civ., Sez. V, Ord., 10/07/2023, n. 19524; Cass. civ., Sez. V, Ord., 22/06/2023, n. 17983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25/05/2023, n. 14595; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14/02/2023, n. 4571; Cass. civ., Sez. V, 20/07/2022, n. 22680; Cass. civ., Sez. 1, 19/04/2022, n. 12481; Cass. civ., Sez. V, Ord., 13/01/2021, n. 342; Cass. civ., Sez. 1, 10/12/2020, n. 28184; Cass. civ., SS. UU., 27/12/2019, n. 34469).
Nel caso di specie, la COGNOME a pag. 19 del ricorso riporta stralci del contratto senza indicare dove si rinviene il documento citato che non compare, tra l’altro, neanche nell’indice dei documenti depositati così da non fornire i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda (Cass. 19/04/2022, n. 12481), e nemmeno indica dove ha posto la questione dell’accertamento della questione della cessione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e se fosse o meno compresa l’azienda di rivendita dei generi di RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, trova qui applicazione il principio, ribadito più volte dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di denuncia del vizio di cui al n. 3), dell’art. 360, comma 1, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, l’onere di specificità dei motivi ex
art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata, dimostrando come contrastano col precetto normativo (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 28 febbraio 2024, n. 5267; Cass. civ., Sez. II, Ord., 28 febbraio 2024, n. 5259; Cass. civ., Sez. I, Ord., 19 dicembre 2023, n. 35425; Cass. civ., Sez. I, Ord., 19 dicembre 2023, n. 35425; Cass. civ., Sez. II, Ord., 21 novembre 2023, n. 32320; Cass. civ., Sez. II, Ord., 20 ottobre 2023, n. 29237; Cass. civ. Sez. I, Ord., 12 luglio 2023, n. 19822, Cass. civ., Sez. I, Ord., 20 dicembre 2022, n. 37257; Cass. civ., SS. UU., 28 ottobre 2020, n. 23745).
Infine, con il motivo, parte ricorrente mira chiaramente ad ottenere un nuovo apprezzamento dei fatti di causa, che sono stati però compiutamente analizzati dalla Corte territoriale, la quale, seguendo l’ordine logico nell’analisi della fattispecie concreta, già tracciato dai giudici dal Tribunale, ha adeguatamente motivato la sua decisione di rigetto (cfr. pag. 17 e s.s. sentenza impugnata).
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle norme che disciplinano gli accordi assunti contro la legge e/o per eludere una norma imperativa (art. 1344 e 1418 c.c., L. 1293/1957) in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
La sentenza impugnata ha ritenuto legittimo il patto fiduciario volto ad aggirare il vincolo posto dalla legge sull’intestazione a persona fisica della concessione di vendita dei Monopoli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e della sua gestione personale. Appare evidente, secondo la ricorrente, che un eventuale patto fiduciario tra la COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE sull’intestazione e gestione della rivendita dei beni del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avrebbe trovato quale propria unica causa l’aggirare il vincolo di intestazione e gestione posto dalla legge.
La normativa ha, infatti, disposto che la concessione di rivendita di beni del RAGIONE_SOCIALE può essere intestata esclusivamente ad una persona fisica, e da questa personalmente gestita, pone un vincolo cogente ed ogni patto che voglia girare o violare tale vincolo disponendo una sostituzione soggettiva non può che essere illegittimo. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto legittimo un accordo (mai dimostrato) volto a sostituire fittiziamente una persona fisica rispetto ad una società proprio per aggirare il vincolo legislativo che impone l’intestazione della concessione in capo ad una persona fisica.
Il motivo è infondato.
La sentenza non è viziata da alcuna nullità. La ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha accertato, con un ragionamento giuridico privo di vizi, che le parti hanno voluto che la licenza fosse intestata effettivamente alla COGNOME e che il patto fiduciario riguardava solo la gestione dell’esercizio, con obbligo di pagamento di una percentuale di aggi (cfr. sentenza impugnata pag. 18 e 19, § 39,40,41). Tale statuizione non viene scalfita dalla censura della ricorrente che si limita ad una richiesta di rivalutazione dei fatti.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della erroneità della sentenza per essere stata pronunciata: a) in violazione ed in contraddizione di una sentenza passata in giudicato facente stato tra le parti in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; b) senza aver esaminato un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 2909 c.c.) in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
La sentenza impugnata fonda il proprio convincimento sull’unica circostanza dell’avvenuto versamento di circa 60.000 € da parte della COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE.
Sostiene la COGNOME, in relazione alle somme versate, che il Tribunale di Teramo aveva accolto la richiesta della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della ricorrente riconoscendo che le somme versate erano
effettivamente state corrisposte come canone di comodato di parte del locale dei servizi accessori. Tale sentenza risulta essere passata in giudicato e costituisce cosa giudicata facendo stato tra le parti. La prima parte del motivo è inammissibile.
Lo è innanzitutto per violazione dell’art. 366 n. 6 e n. 4 c.p.c. in quanto, anche qui, si limita a riportare stralci di motivazione rendendo la censura del tutto aspecifica, in punto di violazione delle norme di diritto, e si compendia in una contestazione meramente fattuale della valutazione delle prove compiuta dai giudici di merito, in ciò contravvenendo ai due principi di diritto, di formazione giurisprudenziale, secondo cui la denuncia del vizio n. 3, a pena di inammissibilità: (a) non può sostanziarsi nella mera indicazione delle norme asseritamente violate dal giudice di merito, ma, in ossequio all’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., deve contenere l’esame del contenuto precettivo della norma, confrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, in modo da dimostrare che contrastano col precetto normativo (cfr. tra le tante, da ultimo, Cass. civ., Sez. II, Ord., 18 gennaio 2024, n. 1918; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 12 gennaio 2024, n. 1346; Cass. civ., Sez. II, Ord., 2 gennaio 2024, n. 28; Cass. civ., Sez. I, Ord., 19 dicembre 2023, n. 35425).
Inoltre, in merito alla prima parte della censura relativa alla violazione della sentenza passata in giudicato si osserva che nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata; in tal caso, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito, ed è, invece, operante ove la parte invochi l’efficacia di giudicato di
una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (Cass. n. 11572/2016; Cass. n. 14883/2019; Cass. n. 1534/2018). Mentre non è rilevabile d’ufficio l’esistenza del giudicato esterno intervenuto nelle more del giudizio di merito, senza tempestiva deduzione in quella sede.
Il principio della rilevabilità in sede di legittimità del giudicato esterno, sempre che questo risulti dagli atti comunque prodotti nel giudizio di merito, deve essere coordinato con l’onere di completezza e autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve indicare il momento e le circostanze processuali in cui i predetti atti siano stati prodotti, senza possibilità di depositare per la prima volta la sentenza in sede di legittimità, atteso che tale facoltà è consentita solo in caso di giudicato successivo alla sentenza impugnata (Cass. n. 15846/2023). Nel caso di specie tale onere non è stato osservato. La seconda parte del motivo è, invece, inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.
Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5947/2023; Cass. 7724/2022). Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice.
In considerazione della complessità della controversia la Corte ritiene di compensare le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza