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Patto di stabilità: risarcimento per inadempimento

Una società, promittente venditrice di un complesso industriale, si era impegnata in un contratto preliminare a garantire un patto di stabilità triennale per i lavoratori, che sarebbero stati assunti dalla società acquirente. A causa dell’inadempimento della venditrice, il contratto definitivo non è stato stipulato e i lavoratori sono stati licenziati. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna della società venditrice al risarcimento del danno, chiarendo che il diritto dei lavoratori deriva dalla violazione dell’obbligo contrattuale assunto in loro favore (contratto a favore di terzo), e non dalle norme sul licenziamento illegittimo.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Patto di Stabilità e Risarcimento: La Tutela dei Lavoratori va Oltre il Licenziamento

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta una complessa vicenda giudiziaria, al centro della quale vi è un patto di stabilità a favore di un gruppo di lavoratori, inserito in un contratto preliminare di compravendita aziendale. Questa pronuncia è di fondamentale importanza perché chiarisce la natura giuridica della tutela dei lavoratori in casi simili, distinguendola nettamente dalle tradizionali impugnazioni di licenziamento. La Corte ha stabilito che la violazione di tale patto genera un diritto al risarcimento basato sull’inadempimento contrattuale, a prescindere dalle azioni contro il licenziamento.

I Fatti della Causa: Una Promessa Mancata

La vicenda ha origine da un contratto preliminare di vendita di un complesso industriale. La società promittente venditrice si era impegnata con la promissaria acquirente a garantire l’assunzione di quindici suoi dipendenti, assicurando loro un patto di stabilità per un triennio.

Tuttavia, a causa di gravi inadempienze imputabili alla società venditrice (tra cui l’assenza di licenze edilizie), il contratto definitivo non venne mai concluso. Di conseguenza, la società acquirente, che aveva nel frattempo assunto i lavoratori, si trovò costretta a licenziarli. I lavoratori, vedendo svanire la promessa di stabilità triennale, avevano agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito, non contro il loro datore di lavoro formale (l’acquirente), ma contro la società venditrice, ritenuta la vera responsabile del fallimento dell’operazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Patto di Stabilità

La società venditrice, condannata sia in primo che in secondo grado, ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna al risarcimento.

Inammissibilità dei Primi Motivi di Ricorso

I primi due motivi del ricorso, relativi a presunte violazioni nell’interpretazione del contratto e a vizi di motivazione, sono stati dichiarati inammissibili. La Corte ha riscontrato una “inestricabile promiscuità” tra diverse censure (violazione di legge, vizio di motivazione, omesso esame di fatti decisivi), una tecnica processuale non consentita che impedisce un’analisi chiara e distinta delle doglianze.

Il Cuore della Questione: Responsabilità Contrattuale, non Diritto del Lavoro

Il terzo motivo, il più rilevante, sosteneva che i lavoratori non avessero diritto ad alcun risarcimento perché non avevano impugnato formalmente il loro licenziamento nei termini di legge. Secondo la ricorrente, la loro unica tutela sarebbe stata quella prevista dalla normativa sui licenziamenti (L. 604/1966).

La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi, chiarendo la natura dell’azione intentata dai lavoratori. Essi non stavano chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro o un’indennità per licenziamento illegittimo, ma il risarcimento del danno derivante dalla violazione di una specifica obbligazione contrattuale presa in loro favore: il patto di stabilità.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la clausola contenente il patto di stabilità configura un “contratto a favore di terzo” (art. 1411 c.c.). I lavoratori, pur non essendo firmatari del contratto preliminare, erano i beneficiari diretti di quella promessa. L’inadempimento della società venditrice, che ha causato il fallimento dell’intera operazione e la conseguente perdita del lavoro stabile per i dipendenti, ha fatto sorgere in capo a questi ultimi un diritto autonomo al risarcimento del danno.

Questo diritto, precisa la Corte, ha natura contrattuale e si fonda sulle norme generali in materia di obbligazioni e contratti (art. 1453 c.c.), non sulle leggi speciali che regolano i licenziamenti. Di conseguenza, le decadenze e i termini previsti per impugnare un licenziamento sono del tutto inapplicabili al caso di specie. La richiesta dei lavoratori era volta a ottenere il ristoro per la perdita della stabilità economica triennale promessa, un danno patrimoniale diretto causato dalla condotta inadempiente della società venditrice.

Le Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio cruciale: un patto di stabilità incluso in un accordo tra aziende per tutelare i lavoratori crea un’obbligazione giuridicamente vincolante, la cui violazione fonda un’azione di risarcimento autonoma e distinta da quella contro il licenziamento. La tutela dei lavoratori, in questo scenario, non si esaurisce negli strumenti del diritto del lavoro, ma si estende alle tutele offerte dal diritto civile contrattuale. Questa decisione rafforza la posizione dei lavoratori quali beneficiari di accordi aziendali, riconoscendo loro un diritto al risarcimento per le promesse mancate che hanno un impatto diretto sulla loro stabilità occupazionale ed economica.

Un patto di stabilità per i lavoratori inserito in un contratto tra due aziende è vincolante?
Sì. Secondo la Corte, una clausola di questo tipo costituisce un contratto a favore di terzo (i lavoratori), generando un’obbligazione giuridicamente vincolante per la parte che si impegna a garantirla. La sua violazione dà diritto al risarcimento del danno.

Se il patto di stabilità viene violato, i lavoratori possono chiedere il risarcimento anche se non hanno impugnato il licenziamento?
Sì. L’azione per il risarcimento del danno derivante dalla violazione del patto di stabilità è un’azione di natura contrattuale, basata sulle norme del codice civile. È distinta e autonoma dall’azione di impugnazione del licenziamento, che è regolata da leggi speciali e soggetta a specifici termini di decadenza. La mancata impugnazione del licenziamento non preclude la richiesta di risarcimento per l’inadempimento contrattuale.

Qual è la differenza tra un’azione per inadempimento contrattuale e una per licenziamento illegittimo in questo contesto?
L’azione per licenziamento illegittimo contesta la validità dell’atto di recesso del datore di lavoro e mira a ottenere le tutele previste dalla legge (reintegrazione o indennità). L’azione per inadempimento contrattuale, in questo caso, non contesta il licenziamento in sé, ma la violazione della promessa di stabilità triennale fatta da un’altra società (la venditrice), e mira a ottenere il risarcimento del danno patrimoniale subito per la perdita di tale stabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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