Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9476 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9476 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4501-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COL PAOLO; COGNOME NOME (anche nella qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione), COGNOME NOME, COGNOME NOME tutti nella qualità di eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
Oggetto
Rapporto di lavoro
Patto di stabilità
Risarcimento del danno
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/01/2024
CC
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME nella loro qualità di eredi di COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 157/2022 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 16/12/2022 R.G.N. 381/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 1117/2018.
La Corte territoriale premetteva anzitutto un dettagliato svolgimento dell’annosa e complessa vicenda giudiziaria.
2.1. Più in particolare, ma in sintesi: I) la causa era stata instaurata con atto di citazione notificato in data 22.9.1983, con cui NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE avevano
convenuto innanzi al Tribunale di Cagliari la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la declaratoria di nullità o, quantomeno, di giudiziale risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di vendita che il COGNOME ed il COGNOME, per sé e per persona da nominare, avevano stipulato con la RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto un fabbricato industriale, con condanna della medesima società al risarcimento dei conseguenti danni; II) nel corso di tale giudizio, con atto del 15.6.1986, erano intervenuti i lavoratori per lamentare di aver sofferto grave pregiudizio per effetto del mancato adempimento dell’accordo contrattuale dedotto in causa, dal momento che l’art. 9 dello stesso aveva espressamente condizionato l’efficacia dell’accordo traslativo all’assunzione da parte d ella cessionaria RAGIONE_SOCIALE di quindici unità lavorative già in forza alla cedente RAGIONE_SOCIALE e all’impegno della società datrice di lavoro a non procedere a licenziamenti collettivi per tre anni almeno, laddove essi, dopo un breve periodo di ammissione al regime di CIG, erano stati tutti licenziati; III) il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 2278/2009, da un lato, aveva dichiarato l’estinzione del procedimento relativamente alle domande reciprocamente proposte dalle originarie parti del giudizio, a i sensi dell’art. 306 c.p.c., e, dall’altro, aveva dichiarato la propria incompetenza a conoscere delle domande dei lavoratori intervenuti, fissando il termine di 60 giorni per la riassunzione della causa dinanzi alla competente sezione specializzata, sul presupposto che gli intervenuti non avessero spiegato un intervento adesivo dipendente, ma azionato un proprio autonomo diritto, direttamente derivante dal titolo negoziale già dedotto in giudizio dalle parti principali, qualificabile -secondo la prospett azione fattuale contenuta nell’atto di intervento come contratto a favore di terzo; IV) a seguito di riassunzione da parte
dei lavoratori o loro eredi (vale a dire, i due attuali controricorrenti e gli ulteriori intimati in epigrafe indicati), il Tribunale di Cagliari, con la sentenza n. 1117/2018: 1) aveva anzitutto rigettato il ricorso in riassunzione nei confronti di NOME COGNOME e degli eredi di COGNOME NOME (nelle more del giudizio deceduto); 2) aveva condannato, invece, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e in precedenza RAGIONE_SOCIALE) al risarcimento del danno nei confronti di tutti i lavoratori, quantificato in ragione delle competenze retributive che avrebbero percepito qualora il rapporto di lavoro fosse realmente proseguito per tre anni, comprensive di TFR calcolato per l’intera durata del rapporto, e cioè dal 21.10.1982 al 20 ottobre 1985, fatta eccezione per NOME COGNOME, dimissionario dal 22 novembre 1983.
Dopo aver dato ampiamente conto dei motivi d’appello di RAGIONE_SOCIALE, la Corte distrettuale riteneva infondato il primo motivo, con il quale detta società aveva censurato la sentenza impugnata per aver il primo giudice erroneamente dichiarato come essenziale il termine del 12 dicembre 1982, accogliendo la domanda proposta dai lavoratori sul presupposto che il contratto definitivo con la RAGIONE_SOCIALE non si sarebbe potuto concludere ‘per colpa della promittente RAGIONE_SOCIALE (…) entro il termine finale fissato dalla data del 12.12.1982, come detto di natura essenziale e inderogabile’.
3.1. Disattendeva, altresì, il secondo motivo d’appello, a mezzo del quale la società aveva lamentato che il Tribunale aveva acriticamente recepito le conclusioni raggiunte dal CTU incaricato nel giudizio R.G. n. 8059/1983 in ordine all’asserita assenza di licenza edilizia dei fabbricati oggetto della compravendita, senza preoccuparsi di confutare le numerose e puntuali critiche mosse alla CTU del consulente tecnico della
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con conseguente nullità della sentenza nel suo complesso, in violazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 132 n. 4 c.p.c., comunque errata nel merito anche in quanto in contrasto con tutta la copiosa documentazione in atti e con le allegazioni della società RAGIONE_SOCIALE
3.2. Riteneva, infine, infondato anche il terzo motivo d’appello, con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato, in via subordinata, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha liquidato il risarcimento dei danni in favore dei lavoratori per il periodo 17.10.1983 (termine della CIG) -20.10.1985 (scadenza del triennio di stabilità garantita), senza limitarlo al 16.1.1984, quando erano divenuti efficaci i licenziamenti intimati dalla RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale decisione, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Hanno resistito con unico controricorso COGNOME, nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, questi ultimi tre quali eredi del defunto COGNOME NOME, e la prima di questi tre anche quale liquidatrice della RAGIONE_SOCIALE
Dei lavoratori o loro eredi qui intimati hanno resistito, con controricorso, solo COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre gli altri sono rimasti meri intimati.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione degli artt. 1362 e seguenti cod. civ. in relazione al contratto
preliminare di compravendita del 22 giugno 1982, e degli artt. 1457 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio dibattuti dalle parti (art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)’. Individuata la parte di motivazione dell ‘impugnata sentenza in cui la Corte territoriale aveva respinto il suo motivo circa la natura essenziale del termine stabilito per la stipula del contratto di compravendita, assume che essa sentenza aveva ‘violato le disposizioni della legge che disciplina no l’interpretazione dei contratti, nonché l’art. 1457 cod. civ.’. Assume, in base all’interpretazione sistematica di quel contratto che propone, che la Corte d’appello ‘ha deciso in violazione della legge, in quanto ha dedotto il carattere essenziale del termine del 12 dicembre 1982 esclusivamente dall’espressione ‘entro e non oltre’ contenuta nell’articolo 6 del preliminare’. Deduce, ancora, che era una mera illazione, oltretutto inammissibile perché nuova e, comunque, non provata, l’argomentazione svolta nella memoria di costituzione in appello dei signori COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME, secondo cui RAGIONE_SOCIALE avrebbe contratto dei ‘finanziamenti’, sicché la sentenza impugnata aveva anche deciso in violazione dell’art. 2697 c.c. Inoltre, la stessa sentenza aveva deciso i n violazione dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ., il quale impone che, nella interpretazione dei contratti ‘per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto’. A ri guardo espone, quindi, una serie di fatti, che assume essere stati debitamente ribaditi dalla sua difesa nelle note autorizzate del 15.2.2021 in grado d’appello; fatti che assume essere decisivi, in quanto dimostrano che il termine del 12 dicembre 1982 previsto per il rogito non era essenziale, perché il contratto definitivo sarebbe stato una mera formalità. E, secondo la
ricorrente, la sentenza impugnata aveva completamente ignorato quei fatti, così come i relativi documenti, come risultava dal fatto che nella motivazione della sentenza impugnata non si fa alcun cenno alla transazione del 14 gennaio 2003 depositata dai lavoratori allora appellati. Con la conseguenza che la Corte d’appello di Cagliari, omettendo di valutare il comportamento successivo delle parti, ha reso una motivazione soltanto apparente e priva di qualsiasi supporto logico e probatorio, laddove afferma: ‘ Al riguardo, si evidenzia che RAGIONE_SOCIALE, al momento della comunicazione del 29 aprile 1983 era già, pacificamente, inadempiente rispetto agli obblighi assunti nel preliminare, essendo tale comunicazione successiva di oltre quattro mesi rispetto alla scadenza del termine finale previsto nel contratto preliminare e che i lavoratori, fin dalla loro assunzione, erano stati posti in CIG, giacché non avrebbero potuto essere altrimenti occupati da RAGIONE_SOCIALE fino a quando non fosse stata completata l’acquisizione del complesso industriale’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ., degli artt. 1453 e 1457 cod. civ., nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio dibattuti dalle parti (artt. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ.)’. Per la ricorrente, la sentenza impugnata, nel respingere il suo secondo motivo d’appello, si era basata su una motivazione soltanto apparente, la quale non consente di ricostruire la ratio della decisione. Secondo la stessa, inoltre, la Corte d’appello come già il primo giudice -nemmeno prendeva in considerazione le osservazioni mosse alla CTU dal consulente della allora RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, la sentenza impugnata è anche incorsa nel vizio di omesso esame di fatti decisivi. Assume, in particolare, che la sentenza impugnata aveva del tutto ignorato
il certificato del 17 giugno 1983 del Sindaco del Comune di Assemini, e che la Corte d’appello aveva ‘del tutto ignorato il fatto decisivo che RAGIONE_SOCIALE aveva ribadito al n. 9 delle note autorizzate del 15.2.2021′, che di seguito trascriveva in ricorso.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 1411, 1453 e 2112 cod. civ., nonché dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)’. In via meramente subordinata, la ricorrente deduce che la sentenza deve essere annullata nella parte in cui ha liquidato il risarcimento dei danni in favore dei lavoratori odierni intimati per il periodo dal 17 ottobre 1983 (termine della cassa integrazione guadagni chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE) al 20 ottobre 1985 (data di stabilità garantita prevista nel preliminare di vendita), e non anche al 16 gennaio 1984 (data di efficacia dei licenziamenti intimati dalla RAGIONE_SOCIALE agli odierni appellati e da questi ultimi non impugnati). Censura, in particolare, la parte della gravata deci sione in cui la Corte d’appello ha rigettato la sua eccezione fondata sulla mancata impugnazione dei licenziamenti, sostenendo che la Corte ha violato l’art. 2112 c.c. a mente del quale, in caso di cessione d’azienda, il rapporto resta unico ed unitario, con la conseguenza che la mancata impugnazione del licenziamento preclude ogni rivendicazione sia nei confronti del cedente sia nei confronti del cessionario. Secondo la ricorrente, era stato violato anche l’art. 6 della legge n. 604 del 1966, il quale impedisce che, in assenza di impugnazione del licenziamento, il lavoratore possa chiedere l’applicazione della tutela reale, così come il risarcimento di diritto comune. Infine, la sentenza impugnata era incorsa anche nella violazione degli artt. 1411 e 1453 c.c. quando, a fine di
omettere la doverosa applicazione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, ha affermato che in ogni caso, con l’azione intentata, i lavoratori odierni intimati non avrebbero chiesto le ‘conseguenze risarcitorie di diritto comune’.
4. Il primo motivo è inammissibile.
4.1. Secondo questa Corte, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facendo riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (così Cass., sez. lav., 28.5.2020, n. 10212; n. 1859/2021). E’, infatti, principio consolidato che in seno al medesimo motivo di ricorso non possono coesistere censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità, così che non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’o perazione di interpretazione e sussunzione delle censure (cfr. Cass., sez. lav., 25.6.2020, n. 12625). Piuttosto, perché censure tra loro eterogenee e cumulativamente formulate non incorrano nella ricordata preclusione è necessario che nell’ambito dell’uni ca esposizione risulti ben identificata e specificamente trattata sia la doglianza relativa all’interpretazione o all’applicazione delle norme di
diritto appropriate alla fattispecie che i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass., sez. lav., 9.7.2020, n. 14634).
4.2. Ebbene, nella rubrica del primo motivo di ricorso si fa riferimento appunto contemporaneamente ai differenti mezzi di cui al nn. 3) e 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c.; ma dall’unitario sviluppo che segue, come già sopra riassunto, si trae un’in estricabile promiscuità delle differenti censure cumulativamente proposte, lamentandosi anche alla fine che una parte di motivazione sarebbe ‘soltanto apparente’ (vizio che, in ipotesi, doveva comportare la deduzione della nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.).
4.3. Nota, infatti, il Collegio che la ricorrente non precisa quali canoni ermeneutici legali di quelli previsti dagli artt. 1362 e segg. c.c. la Corte di merito avrebbe violato nell’interpretare il contratto preliminare del 22.6.1982 quanto alla natura essenziale del termine ivi pattuito per la stipula del rogito definitivo, se non quando si riferisce al comportamento anche posteriore alla conclusione del contratto di cui all’art. 1362, comma secondo, c.c. (cfr. pag. 12 del ricorso per cassazione)
Per sostenere la relativa violazione, tuttavia, come si è anticipato, la ricorrente esplicitamente fa leva su un vizio differente, vale a dire, quello dell’omesso esame di più fatti asseritamente decisivi ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.
4.4. Con precipuo riferimento alla transazione del 14.1.2003, la ricorrente assume che: ‘Tale omesso esame è proprio della Corte d’Appello di Cagliari in quanto la transazione è stata depositata dai lavoratori soltanto in grado d’appello e ciò
vale a distinguere i fatti esaminati, rispettivamente, dai Giudice di primo e di secondo grado’.
Osserva la Corte che tale specifica deduzione è volta all’evidenza ad evitare la preclusione di cui al combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art. 348 ter c.p.c., in relazione alla parte del motivo da riferire al mezzo di cui al n. 5) del comma primo dell’art. 360 c.p.c.
4.6. In ogni caso, la ricorrente, da un lato, non considera che in realtà la Corte territoriale ha preso in esame la ‘transazione intervenuta il 14 gennaio 2003’ (cfr. in particolare pag. 13 della sua sentenza), e, dall’altro, come già notato, deduce l’ome sso esame di quella transazione come degli altri fatti rappresentati quali decisivi in funzione dell’asserita prova del comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del preliminare che la Corte di merito non avrebbe considerato in violazione dell’art. 1362, comma secondo, c.c.
Resta, perciò, confermata la promiscuità di mezzi di ricorso differenti di cui s’è detto.
Il secondo motivo di ricorso presenta profili d’inammissibilità, in parte analoghi.
5.1. Per la parte in cui esso fa riferimento all’omesso esame di fatti decisivi (pagg. 2022 del ricorso), già s’è detto, nell’esaminare il primo motivo, che la transazione del 14.1.2003 è stata in realtà presa in considerazione dalla Corte di merito.
Quanto al certificato del 17.6.1983 e agli altri fatti asseritamente decisivi, dei quali la stessa Corte avrebbe omesso l’esame, a non voler considerare operante la preclusione ex art. 348, comma quinto, c.p.c., la ricorrente non specifica il come e
il quando tali fatti avrebbero formato oggetto di discussione processuale tra le parti (cfr. Cass., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
5.2. La parte del secondo motivo, in cui si assume la violazione delle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 1453 e 1457 c.c., dovrebbe essere ricondotta all’ipotesi di cui al n. 3) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., ma in nessun punto dello svolgimento della censura è specificato come e perché tali norme sarebbero state violate nella gravata decisione.
5.3. Infine, per la parte in cui in tale motivo si lamenta che la motivazione sarebbe soltanto apparente, la motivazione resa dalla Corte di merito, in risposta (negativa) al secondo motivo d’appello di RAGIONE_SOCIALE, non è sicuramente apparente.
Al contrario, tale motivazione è senz’altro diffusa ed analitica (cfr. in extenso pagg. 1520 dell’impugnata sentenza). In particolare, la Corte ha anzitutto ritenuto che già il ‘primo giudice, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, aveva fatto buon uso dello strumento della consulenza tecnica, specificando adeguatamente, con motivazione articolata, le ragioni per cui ha condiviso le conclusioni cui è pervenuto il perito incaricato nel giudizio RG n. 5059/1983 e soprattutto le risposte alle osservazioni formulate dal consulente di parte, puntualmente richiamando le considerazioni critiche espresse dal c.t.u. in ordine alle argomentazioni contrarie proposte dal consulente tecnico di parte di quella che allora era la RAGIONE_SOCIALE‘.
Non è affatto vero, comunque, che la Corte d’appello nemmeno avrebbe preso ‘in considerazione le osservazioni
mosse alla CTU dal consulente della allora RAGIONE_SOCIALE‘, come asserisce la ricorrente.
Com’è agevole riscontrare, infatti, i motivi della decisione della Corte di merito a riguardo hanno costantemente tenuto conto dei ‘numerosi rilievi critici mossi dal consulente della RAGIONE_SOCIALE liquidazione’ (cfr. pagg. 16 -20 cit.).
E’ infine nel suo complesso infondato il terzo motivo di ricorso.
7.1. Esso è inammissibile per la parte in cui vi si lamenta che ‘la Corte d’appello di Cagliari ha violato l’art. 2112 cod. civ. quando non ha considerato che RAGIONE_SOCIALE, rispetto ai lavoratori odierni intimati, non era un terzo qualsiasi, ma era il precedente datore di lavoro che aveva ceduto la propria azienda alla RAGIONE_SOCIALE e, con essa, i loro rapporti di lavoro, peraltro pattuendo a loro favore con la cessionaria un regime di stabilità per tre anni’.
7.2. Orbene, la questione dell’inquadramento della vicenda di cui è causa, per quanto riguarda la posizione dei lavoratori, in una cessione d’azienda disciplinata dall’art. 2112 c.c., come ora sostenuto dalla ricorrente, non risulta assolutamente trattata in sede d’appello, ma anche in primo grado.
Più nello specifico, la Corte di merito aveva riferito che ‘il primo giudice … ha anzitutto condiviso la prospettazione dei ricorrenti in riassunzione secondo cui, in virtù delle previsioni sottoscritte il 22.0.6.1982 (preliminare di compravendita) e in data 08.09.1982 (scrittura aggiuntiva), era stato assunto dalle parti stipulanti, secondo uno schema riconducibile al contrato a favore di terzi, l’impegno di conservare il posto di lavoro dei lavoratori già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE per un triennio, alle
stesse condizioni economiche’ (cfr. in extenso pagg. 7-10 dell’impugnata sentenza per la completa ricostruzione in base alla quale avevano trovato accoglimento le domande dei lavoratori esclusivamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, subentrata a RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, in precedenza subentrata a RAGIONE_SOCIALE).
Del resto, il terzo motivo d’impugnazione dell’unica appellante RAGIONE_SOCIALE era volto esclusivamente a sentir ridotto il risarcimento dei danni liquidato ai lavoratori, e non a caso era stato formulato in via subordinata (cfr. pag. 12 dell’impugnata sentenza).
Esso, infatti, non riguardava la suddetta ricostruzione giuridica del fondamento delle domande dei lavoratori ritenuto dal primo giudice, né prospettava che la vicenda dovesse essere invece ricondotta alla cessione d’azienda ex art. 2112 c.c. e che per questo RAGIONE_SOCIALE, quale cedente, avrebbe potuto giovarsi dei licenziamenti intimati all’epoca dalla RAGIONE_SOCIALE, in veste di ipotetica cessionaria, in quanto non impugnati.
7.3. A sua volta, la Corte territoriale, nel giudicare infondato il terzo motivo d’appello, con il quale, in subordine, si lamentava l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva liquidato il risarcimento senza limitarlo al 16.1.1984, quando erano divenuti efficaci i licenziamenti intimati dalla RAGIONE_SOCIALE, in base ad estesa motivazione, ha ribadito l’ininfluenza della decadenza dei lavoratori dall’impugnativa di quei licenziamenti. Ha, infatti, considerato che: ‘I lavoratori hanno, al contrario, pr eso atto dell’inevitabile recesso loro intimato, senza dedurne l’illegittimità ed hanno, invece, lamentato un inadempimento delle obbligazioni contrattuali previste dal preliminare di vendita
e della scrittura aggiuntiva e in particolare la violazione dell’obbligo di stabilità del rapporto per un triennio dalla loro assunzione pattuito, cui le parti avevano pacificamente subordinato l’efficacia delle scritture private stipulate il 22 giugno e l ‘8 settembre 1982 (‘condizione sospensiva costituita dall’assunzione da parte degli acquirenti di n. 15 unità lavorative già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE ed all’impiego di tali unità dell’iniziativa industriale che sarà realizzata dagli acquirenti nel com plesso immobiliare costituente l’oggetto del presente atto’ -art. 9 della scrittura del 22 giugno 1982) e domandato il risarcimento del danno che ne era derivato, allegando la perdita della stabilità anche economica per questi tre anni da parte della RAGIONE_SOCIALE, di cui all’esito del giudizio, per effetto degli inadempimenti rilevati in sentenza, come già sopra evidenziato, era risultata responsabile la RAGIONE_SOCIALE, la cui condotta aveva impedito di portare a conclusione l’affare oggetto del contratto preliminare cens urato’.
7.4. La stessa Corte ha, quindi, concluso che: ‘Correttamente, pertanto, il primo giudice, una volta rilevata la sussistenza delle condizioni per la risoluzione del contratto preliminare di vendita per inadempimento imputabile a colpa della committente RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’articolo 1453 c.c., attesta l’innegabile importanza e gravità delle carenze riscontrate in relazione all’utilizzo a fini industriali e alla commerciabilità del complesso immobiliare promesso in vendita, tali da non consentire la conclusione del contratto definitivo entro il temine essenziale ed inderogabile fissato, ha quantificato il danno riconoscendolo con riferimento all’intero periodo dal termine della Cig il 17 ottobre 1983 alla scadenza del patto triennale di stabilità del 20 ottobre 1985′, fatta
eccezione per la più ridotta quantificazione del risarcimento in favore del COGNOME dimissionario in data 22.11.1983.
7.5. Mette conto notare, infine, che la Corte di merito aveva aggiunto che: ‘La natura dirimente di tali argomentazioni, ancor più se si considera che non sono state oggetto di impugnazione da parte dei lavoratori le statuizioni contenute nella sentenza con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, degli eredi di NOME COGNOME e del liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, rende superfluo l’esame delle ulteriori domande ed eccezioni formulate dai lavoratori nel primo grado del giudizio e qui riproposte con la memoria di costituzione, che non porterebbero a risultati differenti da quelli già conseguiti, per i quali i lavoratori hanno resistito in giudizio e cioè l’accertamento della dichiarazione della ‘responsabilità per inadempimento contrattuale di RAGIONE_SOCIALE in quanto parte stipulante i contratti in data 22 giugno e 8 settembre 1982′ (punto 54 della memoria difensiva in appello).
7.6. Anche in base a queste ultime considerazioni dell’impugnata sentenza, resta definitivamente confermato che i riferimenti ad una cessione d’azienda ex art. 2112 c.c. contenuti nella memoria di costituzione in appello dei lavoratori, non appellanti neanche in via incidentale, cui si riferisce ora la ricorrente per cassazione (cfr. pagg. 23-24 del suo ricorso), non sono stati assolutamente considerati dalla Corte di merito, per la loro evidente estraneità al thema decidendum .
Risultano, pertanto, inammissibili anche le deduzioni della ricorrente volte a sostenere la violazione anche dell’art. 6 L. n. 604/1966 (cfr. pagg. 25-26 del ricorso).
8.1. Invero, la Corte territoriale aveva ritenuto non ‘conferenti alla fattispecie in contestazione i principi
giurisprudenziali di legittimità richiamati dalla parte appellante, secondo cui al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l’accertamento giudiziale della sua illegittimità e conseguentemente la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali, non potendo il giudice neppure conoscere dell’illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, dal momento che l’ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza, all’evidente fine di dare certezze ai rapporti giuridici’.
Ed aveva, quindi, motivatamente respinto argomenti pressoché identici a quelli ora meramente riproposti dalla ricorrente (cfr. in extenso pagg. 20-22 della sua sentenza).
Ebbene, la ricorrente non si confronta con tale perspicua motivazione in fatto e in diritto.
Infine, è privo di qualsiasi fondamento il motivo in esame nella parte in cui è dedotta la violazione anche degli artt. 1411 e 1453 c.c., sul solo rilievo che la Corte d’appello avrebbe <affermato che in ogni caso, con l'azione intentata, i lavoratori o dierni intimati non avrebbero chiesto le 'conseguenze risarcitorie di diritto comune', e che .
9.1. E’ di tutta evidenza, infatti, che, quando la Corte di merito s’è riferita a ‘conseguenze risarcitorie anche di diritto comune’, lo ha fatto sempre con riferimento alle conseguenze
derivanti da un licenziamento di cui sia dedotta l’illegittimità nei confronti del datore di lavoro che l’abbia intimato, e tanto appunto per escludere che potessero operare nella specie i principi in tema di licenziamento richiamati a riguardo dall’allora appellante (cfr. pag. 21 della sua sentenza).
9.2. Indubbiamente, quindi, il fondamento giuridico delle domande risarcitorie, ritenuto dai giudici del doppio grado di merito, risiede in norme del diritto contrattuale comune, ma del tutto al di fuori della tutela apprestata dall’ordinamento rispetto a licenziamenti illegittimi.
In sintesi, secondo la ricostruzione approfonditamente argomentata dalla Corte d’appello, il grave inadempimento all’epoca della RAGIONE_SOCIALE (cui è alla fine subentrata RAGIONE_SOCIALE) rispetto agli obblighi assunti nel contratto preliminare aveva provocato ‘l’impossibilità di avviare la produzione, nel mese di gennaio 1984’, sicché la RAGIONE_SOCIALE che pure, onorando gli accordi presi, aveva assunto i quindici lavoratori già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, ‘si era dovuta determinare al loro licenziamento, così però inc orrendo nella violazione dell’obbligo assunto con il contratto preliminare, e cioè quello di garantire la stabilità triennale ai rapporti lavorativi instaurati’, e ‘Di conseguenza, del danno patrimoniale subito dai predetti lavoratori deve rispondere la RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, avendo la stessa con la sua condotta impedito alla RAGIONE_SOCIALE assolvere alle clausole contrattuali previste in favore dei dipendenti appellati’ (cfr. pag. 20 dell’impugnata sentenza).
E’ ben evidente, allora, che tale impostazione in fatto e in diritto che ha portato al confermato accoglimento delle domande
risarcitorie dei lavoratori o loro eredi nulla ha a che vedere con la tutela in caso di licenziamento illegittimo.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore dei difensori dei lavoratori controricorrenti, dichiaratisi anticipatari, e degli altri controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, come distintamente liquidate in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
Nulla dev’essere disposto, invece, quanto alle spese tra la ricorrente e gli altri intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei difensori dei controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 8.000,00 per compensi professionali, e al pagamento, in favore degli altri controricorrenti, delle spese di questo giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 8.000,00 per compensi professionali, in entrambi i casi oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 24.1.2024.