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Patto di retrovendita nel leasing: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la validità di un patto di retrovendita a carico del fornitore di un bene in leasing. In caso di inadempimento dell’utilizzatore, il fornitore era obbligato a riacquistare il bene dalla società di leasing. La Corte ha rigettato il ricorso del fornitore, stabilendo che tale accordo non costituisce una clausola vessatoria che necessita di specifica approvazione scritta e che la valutazione del giudice di merito sulla volontà contrattuale delle parti è insindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivata.

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Patto di retrovendita nel leasing: la Cassazione ne conferma la validità

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione affronta un’interessante questione legata ai contratti di leasing e agli accordi accessori, in particolare il patto di retrovendita. Questo accordo, stipulato tra la società di leasing e il fornitore del bene, obbliga quest’ultimo a riacquistare l’asset in caso di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore. La pronuncia chiarisce la natura giuridica di tale patto e i limiti del sindacato della Corte sulla sua interpretazione.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un contratto di leasing stipulato nel 2007 tra una società concedente e una società utilizzatrice per un autocarro. Il bene era stato acquistato dalla concedente presso una terza società fornitrice. A seguito del mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatrice, la società di leasing ha risolto il contratto avvalendosi di una clausola risolutiva espressa e ha ottenuto la restituzione del veicolo.

Successivamente, la concedente ha citato in giudizio la società fornitrice e il suo legale rappresentante per attuare una clausola contrattuale che li obbligava a rimborsare il prezzo del bene, con una riduzione percentuale basata sul tempo trascorso. In sostanza, un obbligo di riacquisto. I convenuti si sono opposti, sostenendo di non aver mai voluto assumere tale obbligo. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione alla società di leasing, portando la fornitrice a ricorrere in Cassazione.

L’analisi dei motivi di ricorso

Il fornitore ha basato il proprio ricorso su quattro motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte.

Il vizio di costituzione del giudice

I ricorrenti lamentavano la nullità della sentenza d’appello per la presenza nel collegio giudicante di un giudice ausiliario. La Corte ha rigettato la censura, richiamando una precedente pronuncia della Corte Costituzionale (n. 41/2021) che ha confermato la legittimità della partecipazione dei magistrati onorari ai collegi, purché siano garantite la loro indipendenza e terzietà.

La natura del patto di retrovendita e le clausole vessatorie

Il fulcro del ricorso riguardava la qualificazione del patto di retrovendita. I ricorrenti sostenevano che le clausole che imponevano l’obbligo di riacquisto fossero vessatorie ai sensi dell’art. 1341 c.c. e, pertanto, avrebbero dovuto essere specificamente approvate per iscritto. La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, spiegando che la qualificazione del contratto è un’attività riservata al giudice di merito. Quest’ultimo aveva interpretato la clausola non come una garanzia personale (fideiussione), ma come un contratto preliminare di retrovendita condizionato alla risoluzione del leasing. Tale valutazione di fatto, se non illogica, non può essere riesaminata in sede di legittimità.

L’inapplicabilità della nuova normativa sul leasing

Un ulteriore motivo di doglianza era basato sulla presunta violazione della Legge n. 124/2017, che disciplina le conseguenze della risoluzione del contratto di leasing. I ricorrenti sostenevano che la società concedente avesse venduto il bene recuperato a un prezzo inferiore a quello di mercato, violando le tutele previste da tale legge. Anche questo motivo è stato respinto, poiché la legge in questione non era in vigore all’epoca dei fatti (2007) e non può essere applicata retroattivamente (ratione temporis).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’interpretazione del contratto e la ricostruzione della comune volontà delle parti sono accertamenti di fatto riservati al giudice di merito. In Cassazione è possibile sindacare solo la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.), non proporre una diversa e più gradita interpretazione del contratto. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno dimostrato che il giudice d’appello avesse violato tali criteri nel qualificare l’accordo come patto di retrovendita.

La Corte ha sottolineato che, una volta qualificato il patto come un accordo di riacquisto, era onere dei ricorrenti dimostrare la non conoscibilità delle clausole con l’ordinaria diligenza, cosa che non è stata fatta. Di conseguenza, la decisione dei giudici di merito, che hanno ritenuto valido ed efficace l’obbligo del fornitore, è stata confermata.

Conclusioni e implicazioni pratiche

Questa ordinanza consolida l’orientamento secondo cui il patto di retrovendita tra fornitore e società di leasing è uno strumento contrattuale legittimo, distinto dalla fideiussione. Per i fornitori, ciò significa prestare la massima attenzione alle clausole contenute negli accordi di fornitura collegati a operazioni di leasing, poiché un obbligo di riacquisto può essere pienamente vincolante anche senza una specifica approvazione scritta, se non rientra nelle categorie di clausole considerate vessatorie dalla legge. La decisione evidenzia inoltre l’importanza della corretta qualificazione giuridica del contratto, che spetta al giudice di merito e può essere contestata in Cassazione solo per vizi procedurali e non per un semplice dissenso sull’interpretazione dei fatti.

Un patto di retrovendita inserito in un contratto collegato al leasing è una clausola vessatoria che richiede specifica approvazione scritta?
No, la Corte ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso su questo punto, confermando la decisione del giudice di merito che ha qualificato la clausola come un contratto preliminare di retrovendita, e non come una clausola vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. che necessitava di approvazione specifica.

La presenza di un giudice ausiliario nel collegio della Corte d’Appello rende nulla la sentenza?
No, la Corte di Cassazione ha rigettato questo motivo, richiamando una sentenza della Corte Costituzionale (n. 41/2021) che ha ritenuto legittima la partecipazione di un giudice ausiliario ai collegi, a condizione che siano garantite l’indipendenza e la terzietà del magistrato onorario.

Le nuove norme sul leasing (Legge 124/2017) si applicano ai contratti risolti prima della loro entrata in vigore?
No, la Corte ha stabilito che la Legge 124/2017 non è applicabile ratione temporis (per ragioni di tempo) a contratti e situazioni, come quella in esame, sorte e definite prima della sua entrata in vigore nel 2017.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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