Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7554 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7554 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5173/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE SOCIO UNICO IN RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3906/2022, depositata il 12/12/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.In data 5 marzo 2013 G.PRAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) concesse ad RAGIONE_SOCIALE l’affitto dell’azienda commerciale che si occupava dell’attività di stampatura e tranciatura di metalli e fabbricazione di articoli di metallo. Il relativo contratto, all’art. 17, prevedeva un patto di opzione.
Dopo alcuni anni (e precisamente il 9 maggio 2016), data in cui RAGIONE_SOCIALE manifestò la volontà di esercitare il diritto di opzione nei termini temporali previsti dal contratto (versando integralmente il relativo prezzo), ma la società Milo si oppose alla vendita e non comparve innanzi al notaio per la stipula dell’atto di compravendita.
La società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo al Tribunale di Milano che venisse dichiarato l’avvenuto trasferimento dell’azienda.
La convenuta Milo costituendosi, oltre a dedurre la nullità del patto di opzione e la necessità della corresponsione di una ulteriore somma a titolo di corrispettivo per il trasferimento dell’azienda, proponeva una domanda riconvenzionale con cui chiedeva di accertare l’esclusione dal rapporto contrattuale di sette di stampi (del valore compreso tra 150-200.000) e degli attrezzi da officina (del valore di € 50.000), utilizzati da Eurofix sin dall’inizio del rapporto di affitto. Conseguentemente chiedeva la restituzione di detti stampi e di detti attrezzi, oltre alla condanna dell’affittuaria al pagamento di un equo compenso per l’avvenuto utilizzo.
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2713/2020, accoglieva totalmente le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE, altresì rigettando le domande riconvenzionali proposte da RAGIONE_SOCIALE
La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla società Milo nel 2020, ma l’appello veniva integralmente rigettato dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 3906/2022.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE socio unico in liquidazione.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Prima di procedere all’illustrazione dei motivi, giova ripercorrere il contenuto di entrambe le sentenze di merito fin qui intervenute.
1.1. In particolare, il Tribunale di Milano:
da un lato, ha accolto le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE in via principale, dichiarando l’intervenuto perfezionamento del contratto di acquisto dell’azienda affittata, così argomentando: (i) non era stata in alcun modo dimostrata dalla società Milo la pattuizione di un ulteriore corrispettivo dovuto per il trasferimento d’azienda; (ii) quand’anche tale pattuizione fosse stata dimostrata, il mancato pagamento dell’ulteriore corrispettivo avrebbe eventualmente costituito un inadempimento di RAGIONE_SOCIALE (e non un vizio genetico del contratto, come eccepito da NOME); (iii) il patto di opzione non deve avere necessariamente natura onerosa, e, comunque, sussisteva un interesse giuridico in capo all’affittante alla stipula del contratto, in quanto era documentalmente provato che al momento dell’affitto detta società si trovasse in una difficile situazione economico-finanziaria, e, pertanto, era evidente che le parti avessero inteso porre in essere l’operazione di affitto in vista della futura vendita a RAGIONE_SOCIALE dell’azienda al prezzo non contestato di € 333.072,00, mediante progressivo versamento dei canoni in possibile ‘conto prezzo’; (iv) il contratto di compravendita dell’azienda doveva ritenersi concluso il 9 maggio 2016, data in cui RAGIONE_SOCIALE aveva manifestato la volontà di esercitare il diritto
di opzione nei termini temporali previsti dal contratto, ed aveva altresì versato integralmente il relativo prezzo;
dall’altro, ha rigettato le domande riconvenzionali di NOME, così argomentando: (i) l’azienda ha notoriamente carattere unitario ex art.2555 c.c., e quindi comprende tutti gli elementi costituenti l’ universitas senza necessità di specifica elencazione nel contratto di affitto; (ii) gli stampi e i relativi disegni-progetto, oggetto di riconvenzionale, erano risultati in sede di CTU funzionali all’esercizio dell’attività di stampaggio e tranciatura metalli concessa in affitto e tale circostanza era stata confermata dall’amministratrice dell’affittante; (iii) dalle prove testimoniali non era emersa alcuna contestazione di NOME in merito all’utilizzo degli stampi (e/o dell’attrezzatura) anteriore all’esercizio da parte di Eurofix del diritto di opzione né alcuna diversa pattuizione sul punto; (iv) l’elenco di attrezzature e arredi dei quali NOME chiedeva la restituzione era talmente generico da non consentire l’individuazione dei beni oggetto della domanda, anch’essi comunque funzionali all’azienda affittata e dunque appartenenti all’ universitas di cui sopra; (v) non vi era allegazione né prova alcuna fornita da Milo in merito all’asserito vizio del consenso da parte del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE al momento della stipula del contratto di affitto, che giustificasse l’annullamento della clausola contenente il patto di opzione; (vi) la domanda di condanna dell’affittante al pagamento di un’indennità per l’utilizzo dell’azienda anche in seguito alla scadenza del contratto era stata tardivamente formulata.
1.2. D’altra parte, la Corte d’Appello di Milano – sez. Imprese, confermando la sentenza di prime cure:
ha respinto il primo motivo di appello, argomentando sul fatto che: il patto di opzione non può considerarsi privo di causa, in quanto privo di corrispettivo, atteso che la causa è individuabile nella complessiva operazione negoziale voluta dalle parti, nel caso di specie avvenuta anche nell’interesse dell’affittante laddove essa ha
quantificato il canone di affitto nella previsione del possibile esercizio del diritto di opzione in favore di RAGIONE_SOCIALE (pagamento frazionato e anticipato di una parte del prezzo); non vi era alcuna necessità di offerta reale del prezzo da parte di RAGIONE_SOCIALE, che aveva ritualmente ma vanamente invitato l’affittante avanti al notaio per la stipula del contratto di compravendita; in ogni caso, detta questione sarebbe stata attinente ad un possibile inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e non ad un vizio genetico del patto di opzione, oggetto dell’eccezione da parte di NOME;
ha respinto il secondo motivo di appello, argomentando sul fatto che: NOME non aveva allegato né provato il vizio del consenso lamentato, né aveva dimostrato che il prezzo di vendita dell’azienda non fosse congruo rispetto al valore degli stampi (che era comunque notevolmente inferiore rispetto al prezzo di € 333.072,00);
ha respinto il terzo motivo di appello, argomentando sul fatto che: l’elenco dei beni allegato al contratto di affitto era meramente esemplificativo, in quanto l’azienda è un complesso di beni organizzati all’esercizio dell’impresa e comprende tutto ciò che è funzionale alla sua realizzazione, stampi inclusi (come confermato in CTU);
ha respinto il quarto motivo di appello, argomentando sul fatto che: l’allegazione di NOME, in merito alla minuteria, era generica e indeterminata;
ha ritenuto assorbiti il quinto ed il sesto motivo per effetto dell’accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà dell’azienda in capo ad RAGIONE_SOCIALE dal 9 maggio 2016 in virtù dell’esercizio del patto di opzione.
1.3. I fatti oggetto del giudizio di primo e di secondo grado sono i medesimi ed entrambi i giudici di merito hanno basato le rispettive decisioni sulle stesse ragioni.
2.La società RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il primo motivo del suo atto di appello:
a) ha ritenuto valido il patto di opzione, di cui all’art. 17 contenuto nel contratto di affitto di azienda; al riguardo, la società ricorrente sottolinea che aveva eccepito la nullità di detto contratto, in quanto era privo di corrispettivo e costituiva un vantaggio per RAGIONE_SOCIALE, ma non anche per la RAGIONE_SOCIALE dalla cui scissione essa società ricorrente era nata;
b) ha ritenuto provato l’interesse della G.P.M. a concedere il suddetto patto di opzione, a titolo gratuito, per il solo fatto che, al momento di conclusione del contratto di affitto di azienda, la predetta poteva trovarsi in condizione di difficoltà economica, dovendosi desumere ciò, sia dalla chiusura in perdita di due bilanci di esercizio consecutivi, sia dalla stessa previsione negoziale (art. 17), siccome formulata con riferimento al fatto che, nel caso di esercizio dell’opzione, i canoni già versati sarebbero stati decurtati dal prezzo ancora dovuto a saldo, cosa questa che, secondo la corte di merito, consentiva di affermare che, le parti, nel determinare il contenuto economico del contratto, avevano anche economicamente valutato il futuro esercizio del patto di opzione;
c) ha ritenuto – in maniera perplessa ed incomprensibile – che l’interesse della GPM a concedere il suddetto patto di opzione fosse ulteriormente avvalorato dal fatto che l’azienda, oggetto di controversia, fosse costituita da un complesso di beni non soggetti a rapida obsolescenza, cosa questa che, secondo la corte distrettuale, permetteva di affermare che il canone mensile rappresentasse – in vista della finalità economica concretamente perseguita dalle parti – il pagamento frazionato ed anticipato di una parte di prezzo, il cui saldo sarebbe stato corrisposto nel caso di esercizio dell’opzione;
ha, quindi, ritenuto infondato il suo rilievo difensivo circa il fatto che – a fronte del proprio rifiuto di addivenire alla stipulazione notarile – RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto versare il prezzo immediatamente ed in unica soluzione, in difetto della quale l’esercizio dell’opzione sarebbe stato comunque invalido, non potendo considerarsi idoneo allo scopo il pagamento dei canoni mensili – sino al completo pagamento del prezzo – così snaturando le modalità di esercizio del patto di opzione convenute dalle parti;
ha, pertanto, condiviso la motivazione del primo Giudice, il quale aveva ritenuto corretta la modalità di corresponsione del prezzo da parte di RAGIONE_SOCIALE, senza che la stessa, allorquando essa società ricorrente si era rifiutata di comparire avanti al Notaio come richiesto da RAGIONE_SOCIALE, avesse provveduto a versarlo, in un’unica soluzione;
ha, infine, ritenuto, seppure implicitamente, corretto e valido l’esercizio dell’opzione di acquisto, nonostante fossero stati ricompresi beni che erano sicuramente esclusi dal contratto di affitto d’azienda, quale ad es. la cc.dd. minuteria, come pure ammesso dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
2.2. Con il secondo motivo, che indica come subordinato al primo, la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte distrettuale, rigettando il secondo motivo del suo atto di appello (riferito all’annullabilità del patto di opzione, per errore o per dolo, per vizio del consenso, in considerazione dell’elevato valore degli stampi e relativi progetti, nonché delle cc.dd. minuterie):
ha ritenuto che detti beni non erano ricompresi nel contratto di affitto di azienda – e, in particolare non lo fossero le minuterie, come
pure era stato ammesso dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, all’udienza dell’11.12.2019 celebrata nel giudizio penale scaturito da una denuncia sporta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME (figlio di NOME COGNOME, socia unica e ora liquidatrice di RAGIONE_SOCIALE) – omettendo di prendere in esame gli elementi di prova da essa rappresentati, quantomeno ai sensi dell’art. 2729 c.c., con conseguente violazione di tale norma, peraltro sulla base di una motivazione apparente, in violazione di quanto disposto dall’art. 112 c.p.c., condividendo, in maniera apodittica, quanto affermato dal primo Giudice in merito all’asserito ‘difetto di allegazione e di prova degli elementi costitutivi dell’azione, cui la parte era onerata ex art. 2697, 1° comma, c.c. (così: p. 8 sentenza)’ ;
b) ha dichiarato che essa ricorrente non aveva allegato e provato che il valore degli stampi (quantificato dal c.t.u. in primo grado in euro 77.213,50) fosse tale da fare ritenere non congruo il valore complessivo dell’azienda ceduta, sull’apodittico assunto che ‘tutti’ i beni, materiali e immateriali, che la componevano, avessero un valore ‘stimato dalle parti’ in complessivi euro 333.072,00, e che, di conseguenza, non era fondata la prospettazione dell’ ‘errore’ vizio del consenso in cui essa società ricorrente sarebbe incorsa al momento di conclusione del contratto.
2.3. Con il terzo motivo, che pure indica come subordinato al primo, la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte di merito, rigettando il terzo motivo del suo atto di appello, ha ritenuto non fondate le sue censure basate sulla denunciata violazione dell’art. 1364 c.c., facendo inappropriato riferimento agli artt. 2555 e 1362 c.c., sull’erroneo presupposto che l’azienda è un complesso di beni organizzati all’esercizio dell’attività di impresa (art. 2555 c.c.), e che, pertanto, doveva comprendere tutti i beni obiettivamente funzionali
alla sua realizzazione, richiamando a rafforzativo, in maniera altrettanto inappropriata, l’art. 1362 c.c., sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da essa società ricorrente successivamente alla conclusione del contratto, in relazione all’utilizzo dei sette stampi e della minuteria, omettendo di considerare: a) che il valore degli stampi, se anche non fosse stato valutato dal CTU in 150 mila euro (bensì poco meno di € 100.000,00 dovendosi considerare anche i progetti), come indicato dalla predetta, non era stato valutato pari a zero, come indicato dalla RAGIONE_SOCIALE; b) che la minuteria era stata esclusa dal contratto per stessa ammissione del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva anche sostenuto che la stessa veniva pagata ‘nel momento in cui arriva l’ordine dal cliente’.
2.4. Con il quarto motivo, che indica come subordinato rispetto ai precedenti tre motivi, la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il quarto motivo del suo atto di appello:
a) ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria, sull’assunto che appariva ‘generica l’elencazione dei beni effettuata con la missiva del 13.5.2016’ (nella quale si faceva riferimento ad es. ad ‘utensili per fornitura’, ‘frese di tutti i generi in acciaio e widia’, ‘maschi e egira maschi di tutte le misure’ ), facendo peraltro inappropriato riferimento all’onere della prova che sarebbe gravato in capo ad essa società ricorrente ai sensi dell’art. 2697 c.c., non considerando che la domanda era stata svolta ai sensi dell’art. 1226 c.c., proprio per l’impossibilità di fornire la prova, visto che la RAGIONE_SOCIALE, per tutto il corso del giudizio, aveva affermato che tutti i beni indistintamente rientrassero nel contratto di affitto di azienda, senza pertanto permettere un contraddittorio sul punto, e neppure una consulenza tecnica;
b) ha quindi omesso di statuire in merito alla domanda risarcitoria formulata in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., relativa alla mancata messa a disposizione da parte di RAGIONE_SOCIALE, allorché espressamente richiesta da parte di essa società ricorrente con lettera del 13.05.2016, di tutta l’attrezzatura, minuteria, merce e mobili , di un importo mensile ‘corrispondente al loro complessivo valore’ (indicato in non meno di € 50.000,00), da determinarsi, ‘su base annua, in percentuale di tale valore, in via equitativa ex art. 1226 c.c.’.
Il ricorso è inammissibile.
3.1. Inammissibile è il primo motivo.
E’ inammissibile nella parte in cui parte ricorrente deduce in modo inidoneo la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., giacché fonda la censura – contrariamente al criterio indiato dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 – sulla base non già della sola motivazione, bensì anche di elementi aliunde rispetto ad essa, fra cui lo stesso tenore dell’atto di appello.
Ed è inammissibile nella parte in cui parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’assorbente ragione che il primo motivo di appello è stato esaminato.
Ciò che lamenta parte ricorrente è la pretesa insufficienza di detto esame, la quale però non può integrare quella violazione, dato che quest’ultima può concernere la mancata decisione su un motivo di appello (Cass. n. 29952/2022), mentre l’omesso esame di fatti, sui quali un motivo di appello risulti fondato, è semmai deducibile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 e sempre secondo i criteri indicati dalle citate sentenze dele S.U.
Nella specie, se anche si volesse intendere il motivo alla stregua di quel paradigma (S.U. n. 17931 del 2013), tali criteri non risulterebbero rispettati, atteso che parte ricorrente parla (non di fatti, ma) di argomenti ed essi illustra.
D’altronde nella specie, vige la preclusione da doppia conforme, già prevista dall’art. 348ter commi quarto e quinto ed attualmente prevista 360 comma quarto c.p.c., ragion per cui la società ricorrente, nonostante la doppia conforme, inammissibilmente cerca di introdurre censure, quale quella relativa alla lettera dell’11 aprile 2016 inviata da RAGIONE_SOCIALE al consulente fiscale della Milo.
Il motivo si risolve in realtà in una manifestazione di dissenso dalla valutazione del fatto.
Contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, la corte territoriale, ha dato risposta ai motivi di appello (compreso il primo) con una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta, fondando la sua decisione su elementi materiali che corrispondevano al fatto costitutivo oggetto della domanda, come risultante dagli atti introduttivi, con i quali la società RAGIONE_SOCIALE aveva istaurato il giudizio di primo grado e la società RAGIONE_SOCIALE si era opposta (agendo a sua volta in via riconvenzionale). D’altronde, come è noto, il giudice di merito non è tenuto a dar conto di tutte le prove prodotte o acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione.
3.2. Inammissibile è il secondo motivo.
Quanto alla denuncia di motivazione apparente ed alla violazione dell’art. 112 c.p.c. valgono le stesse ragioni indicate a proposito del primo motivo.
La violazione dell’art. 116 c.p.c. non rispetta i criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016 e ribaditi, ex multis , da Cass., Sez. Un. n. 20867 del 2020.
La violazione dell’art. 2729 c.c. è dedotta senza rispettare i criteri indicati, in ampia motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018, ai cui paragrafi 4 e ss. si rinvia.
In particolare, la società ricorrente non precisa quali sarebbero state le presunzioni gravi, precise e concordanti che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare; non precisa le ragioni per cui la dedotta violazione delle regole sulla prova presuntiva dovrebbe ricollegarsi alla violazione degli artt. 1131, 1427 e 1429 c.c.; denuncia il vizio di violazione di legge, ma non pone alcuna questione interpretativa delle disposizioni che sarebbero state violate, risolvendosi le censure nella sollecitazione ad una nuova valutazione di circostanze fattuali (quale ad es il valore degli stampi, l’esclusione della minuteria dal contratto, il significato da darsi alla lettera 11 aprile 2016, ecc.).
Anche questo motivo sollecita, in realtà, una rivalutazione dei fatti, quali processualmente emersi, e solo all’esito di essa, il che è inammissibile, postula la violazione delle norme sostanziali evocate.
3.3. Inammissibile è il terzo motivo.
Invero, parte ricorrente non deduce la violazione e falsa applicazione delle norme evocate, ma inammissibilmente la postula all’esito di rivalutazione di circostanze fattuali.
In particolare, la società ricorrente sollecita il sindacato di questa Corte sulla valutazione compiuta dal giudice di merito di alcune circostanze di fatto (e, in particolare, la congruità del prezzo di acquisto dell’azienda concordato dalle parti al momento della stipula del contratto di affitto di azienda per l’ipotesi di esercizio del diritto di opzione, alla luce di tutti i beni del complesso aziendale); e contesta l’interpretazione (operata in sede di merito) della clausola contrattuale contenente il patto di opzione, dimenticando che <> (Cass. n. 29205/2023).
3.4. Inammissibile è il quarto motivo
La violazione dell’art. 112 c.p.c. è nuovamente dedotta in modo non idoneo per le ragioni già indicate a proposito del primo motivo.
Contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la corte territoriale si è pronunciata sulla domanda risarcitoria relativa alla mancata restituzione da parte di RAGIONE_SOCIALE di tutti i beni, che la società RAGIONE_SOCIALE continua a ritenere non compresi nel contratto, rigettandola sotto il profilo dell’ an debeatur .
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025, nella camera di consiglio